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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania - Sezione Seconda, composto dai Signori Magistrati:
Dott. Vincenzo Zingales Presidente
Dott. Pancrazio Maria Savasta Consigliere Rel. Est.
Dott. Salvatore Gatto Costantino Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 5859/2004 R.G. proposto da: PANACEA OFFICINA ORTOPEDICA E SANITARIA DI PETITTO GIUSEPPE, rappresentata e difesa da BONARRIGO AVV. SALVATORE con domicilio eletto in CATANIA VIA CAPACE, 16 presso BONARRIGO AVV. SALVATORE
contro
AZIENDA UNITA' SANITARIA LOCALE N.3 – CATANIA, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
per il riconoscimento
del diritto di "Panacea" Officina Ortopedica e Sanitaria di Petitto Giuseppe alla acquisizione dei corrispettivi delle forniture eseguite in favore della Azienda U.S.L. 3 di Catania, per le quali sono state emesse le fatture che di seguito si elencano:
fatt. n. 19/S del 9.2.1996 di euro 5.586,,75; fatt. n. 23/S del 5.3.1996 di euro 6.179,990; fatt. n. 34/S del 4.4.1996 di euro 4.885,01; fatt. n. 38/S del 2.5.1996 di euro 5.134,.66; fatt. 364/PA del 31.12.1998 di euro 52.896,88; fatt. n. 365/PA del 31.12.1998 di euro 54.196,.88; fatt. n. 213 del 17.5.1999 di euro 2.317,80; fatt. n. 214 del 17.5.1999 di euro 17.744,22; fatt. n. 215 del 17.5.1999 di euro 4.778,93; fatt n. 216 del 17.5.1999 di euro 18.693,16; fatt. n. 281/PA del 28.6.1999 di euro 35,33; fatt. n. 282 del 28.6.1999 di euro 8.713,71; fatt. n. 283/PA del 28.6.1999 di euro 5.891,46; fatt. n. 459/PA del 5.11.1999 di euro 18.816,07; fatt. n. 539/PA del 31.12.1999 di euro 1388,75; fatt. n. 540/PA del 31.12.1999 di euro 9.628,90; fatt. n. 541/PA del 31.12.1999 di euro 137,58; fatt. n. 542/PA del 31.12.1999 di euro 4.442,82; fatt. n. 167/PA del 3.4.2000 di euro 3.134,89; fatt. n. 168/PA del 3.42000 di euro 6.018,25; fatt. n. 313/PA del 5.72000 di euro 7.446,79; fatt. n. 314/PA del 5.7.2000 di euro 619,75; fatt. n. 315/PA del 5.7.2000 di euro 1.683,65; fatt. n. 528/PA del 3.10.2000 di euro 402,84; fatt. n. 530/PA del 3.10.2000 di euro 7.9376,56; fatt. n. 316/PA del 31.3.2001 di euro 903,80; fatt. n. 1800/PA del 31.12.201 di euro 2.875,47,
per complessivi euro 252.486,81 oltre agli interessi pari al tasso ufficiale di sconto maggiorato di tre punti sino alla data del 9.10.2002 e dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 231/2002 nella misura indicata nell'ambito dell'art. 5 del decreto predetto,
e per la condanna
della Azienda U.S.L. 3 di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento della somma di euro 252.486,81 oltre agli interessi maturati dal dovuto e sino all’integrale soddisfo determinati nella misura appena specificata.
Visto il ricorso ed i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore per la Camera di Consiglio del 27.1.2005 il Consigliere Dr. Pancrazio Savasta;
Uditi gli avvocati delle parti come da verbale;
Visto l'art. 21 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, nel testo modificato dall'art. 3 della L. 21 luglio 2000, n. 205, in base al quale, nella camera di consiglio fissata per l'esame dell'istanza cautelare, il Tar può definire il giudizio nel merito, a norma dell’art. 26 della stessa legge n. 1034/1971 (nel testo modificato dalla L. n.205/2000);
Accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria e sentite sul punto le parti costituite;
Ritenuto che il Collegio, ai sensi dell’art. 183, co. 3, c.p.c., ha indicato, in sede di discussione, tra le questioni rilevabili d’ufficio, anche quella relativa alla giurisdizione del Giudice adito (cfr. Cons. Stato, A.P. 1/2000);
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Con il ricorso in esame, la ricorrente, ditta abilitata alla fornitura di protesi ed ausili tecnici, ha chiesto la condanna dell’AUSL intimata al pagamento di fatture il cui credito sottostante deriva dalla fornitura, in regime di assistenza diretta, di prodotti dietetici a soggetti affetti da morbo celiaco e da diabete mellito ed asseritamente aventi diritto al rimborso, in quanto in possesso di autorizzazione della medesima amministrazione intimata.
I. Il Collegio, come comunicato alle parti in occasione della discussione in Camera di Consiglio, deve preliminarmente occuparsi della giurisdizione del Giudice amministrativo sulla questione in esame.
Come è noto, con sentenza del 6.7.2004, n. 204, la Corte Costituzionale è intervenuta sull’art. 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, lettera a), della legge 21 luglio 2000, n. 205, modificando profondamente l’impianto normativo attributivo della giurisdizione esclusiva al Tribunale Amministrativo.
La norma, ridisegnata dalla predetta pronuncia, ha limitato la giurisdizione del G.A. “alle controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché” quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481.
Non v’é dubbio, pertanto, che la Corte ha lasciato integra la norma, e quindi la giurisdizione esclusiva, ove riferita, per quanto interessa nel presente giudizio, alla “materia” del servizio farmaceutico, obliterando la possibilità di procedere anche alla condanna al pagamento dei crediti da esso derivanti.
Il Collegio osserva, infatti, che la richiamata decisione “manipolativa”, nel costruire, con un’operazione “originale” o, quanto meno, non consueta, la nuova norma (che, pertanto, non è il semplice frutto di elisione di parti dispositive da espungere, siccome incostituzionali, dal sistema legislativo, ma la “sintesi” di residuali precetti, anche altrove stabiliti) ha formulato, in materia di servizi pubblici, tre ipotesi fondamentali di giurisdizione esclusiva:
1) le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi;
2) le controversie relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 (ed in tal senso appaiono particolarmente rilevanti le ipotesi degli accordi sostitutivi ed integrativi di cui agli artt. 11 e 15 di detta legge);
3) le controversie relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore.
La Corte, però, come il dato testuale suggerisce, ha concluso la parte “manipolativa - additiva” del dispositivo della sentenza con una quarta ipotesi (caratterizzata da un elenco più specifico di materie), formalizzata di seguito al “nonché” ivi previsto e da collocare, sistematicamente, come premesso, all’interno del “novellato” art. 33 d.lgs.vo n. 80/1998, prima dei servizi “afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481”.
Le richiamate fattispecie, inalterate rispetto all’originaria formulazione, sono quindi rimaste assegnate alla giurisdizione esclusiva del G.A. secondo un riparto “per materia”.
Pertanto, le stesse sono state a questi sicuramente attribuite nella loro interezza, sulla base - deve ritenersi - di un implicito giudizio di configurabilità in detti settori (sempre ed in ogni caso) del potere autoritativo dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, IV, 5.10.2004, n. 6489), ritenuto dalla Corte - con la sentenza n. 204/2004 - presupposto caratterizzante ed imprescindibile per l’attribuzione della giurisdizione amministrativa.
In altri termini, la mancata “alterazione” dell’elenco (in origine anch’esso espressivo di una mera esemplificazione delle tipologie di servizio pubblico affidato “in generale” alla competenza esclusiva del G.A.) conduce ad affermare che, diversamente da quanto è avvenuto per quello rappresentato al secondo comma dell’art. 33 d.lgs.vo n. 80/1998, dichiarato interamente incostituzionale dalla sentenza della Corte, la giurisdizione esclusiva è rimasta ivi delimitata nella sua originale formulazione ed assegnata in maniera “tassativa” e “totale” al predetto Giudicante, sempre nel rispetto del principio del riparto per “materia”.
Non sembra al Collegio, per concludere sul punto, che questo diverso trattamento sia incoerente con le premesse concettuali di cui alla sentenza n. 204/2004.
E’ agevole osservare che l’altro elenco contenuto nelle originarie lettere a) – e) dell’art. 33, co. 2, diversamente che nelle ipotesi prospettate al primo comma, si riferisce, sia pure nel medesimo ambito del servizio pubblico, a figure generali e non individuate in maniera puntuale.
La Corte, nella parte motiva della decisione, facendo proprie alcune osservazioni del Giudice rimettente, ha chiaramente stabilito che la conformità all’art. 103 Cost. è verificata ove il Legislatore indichi “particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investa “anche” diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie.
In definitiva, “il legislatore ordinario ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità: con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice “della” pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.) e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo”.
Sulla scorta di dette puntualizzazioni, quindi, la Corte sembra aver preso atto che vi sono alcune materie (quelle del primo comma) espressive di un potere autoritativo, rientranti quindi nel “requisito minimo” di fattispecie attribuibile alla giurisdizione di legittimità del G.A., che, potendo inoltre coinvolgere diritti soggettivi ed essendo state espressamente individuate quali fattispecie “particolari” senza alcuna dicitura generica o a “blocchi”, sono state dal Legislatore assegnate a detto Giudicante, in maniera coerente con il limite dell’art. 103 Cost., in sede anche di giurisdizione esclusiva.
In altri termini, tutte le richiamate materie individuate “singolarmente” sono state ritenute “particolari” (per usare il termine specificamente utilizzato dall’art. 103 Cost. e valorizzato nella sentenza della Corte n. 204/2004) e, quindi, sono rimaste incardinate presso il G.A. nella sua competenza “esclusiva”.
Non è condivisibile, invece, il “dubbio”, più volte prospettato in Giurisprudenza, e segnatamente anche nella citata sentenza del Giudice di seconde cure n. 6489/2004, sulla possibile carenza del potere autoritativo nel servizio farmaceutico.
Il Collegio ritiene di dover rammentare che la giurisdizione esclusiva è stata modellata sull’esempio del pubblico impiego.
Ebbene, non v’è dubbio che, in origine, prima della c.d. privatizzazione di detta materia, le vicende collegate alla costituzione, modifica ed estinzione del rapporto di un dipendente pubblico fossero riconducibili nell’alveo del potere autoritativo.
L’interferenza con il diritto soggettivo, causa della configurazione della giurisdizione esclusiva successivamente “ideata”, era prospettabile soltanto di seguito a vicende che nulla avevano a che vedere, se non come eventuale riflesso, con il momento genetico o modificativo del rapporto. Si pensi ai numerosi riconoscimenti dei differenziali emolumenti dipendenti dalle mansioni superiori esercitate o, ancor di più, alle vicende relative a pagamenti di mere pretese patrimoniali.
In dette ipotesi, la decisione del giudice, in sede di giurisdizione esclusiva, era rivolta al riconoscimento di un diritto soggettivo non immediatamente collegabile alla manifestazione di alcun potere autoritativo dell’amministrazione, ma pur sempre avente quest’ultimo come presupposto.
Per restare in tema di servizio farmaceutico, le questioni attinenti ai diritti di credito maturati dal farmacista nei confronti dell’amministrazione sanitaria hanno certamente autonoma rilevanza rispetto al potere organizzativo-autoritativo riconosciuto ex lege a detta amministrazione, ma devono pur sempre essere l’espressione di detta potestà appositamente conferita per regolamentare la materia.
Solo detti crediti vantati nell’espletamento del servizio farmaceutico “proprio” potranno trovare unitaria soddisfazione nell’alveo della medesima giurisdizione esclusiva.
Le attività altrimenti svolte dalle farmacie, in quanto non dipendenti dal potere amministrativo di regolamentazione del servizio farmaceutico e, quindi, non riferibili alle funzioni proprie ad esse attribuite dalla legge (si pensi, ad esempio, alla vendita di cosmetici o prodotti alimentari) non potranno invece mai trovare compiuta regolamentazione nell’alveo della giurisdizione esclusiva, in quanto non presuppongono né l’esercizio di un potere, né, consequenzialmente, la sussistenza di un’originaria giurisdizione di legittimità del G.A.
In altri termini, posto che il momento dell’esercizio del potere si manifesta in una fase diversa da quello in cui viene in rilievo il diritto soggettivo, occorre pur sempre indagare che quest’ultimo sia esercitato sempre quale conseguenza di una potestà conferita a monte all’Amministrazione.
Il Collegio ritiene, conclusivamente, che l’indagine sulla sussistenza del presupposto potere autoritativo (che la Corte, come già precisato, ha ritenuto essere necessario ai fini della attribuzione della giurisdizione di legittimità al G.A.) vada rivolta al momento della costituzione del rapporto e non già alle vicende successive, relazionate al riconoscimento dei diritti soggettivi e, quindi, anche dei rapporti obbligatori, che, come è noto, ne costituiscono una “species”.
Queste ultime vicende, se ritenute “particolari” dal Legislatore, nel senso assegnato dalla Corte al disposto dell’art. 103 Cost., possono, se collegate al potere nel senso sopra prospettato, determinare l’attribuzione dell’intera materia alla giurisdizione esclusiva del G.A.
In detta ultima fase, si ribadisce, è vana la ricerca del potere autoritativo, che, per definizione, non “colloquia” mai con un diritto soggettivo.
Se questa premessa è vera, non sembra che sia misurata la considerazione secondo la quale nel servizio farmaceutico non sia rinvenibile l’espressione di un potere autoritativo, in quanto, come analogamente previsto ab origine per il pubblico impiego, la costituzione, la trasformazione e l’estinzione di una farmacia sono regolate da un rapporto concessorio, caratterizzato dall’evidenza pubblica e da criteri di contingentamento, sicuramente espressivi di detto tipo di potestà. Per cui, se il Legislatore ha scelto, connotando la giurisdizione come esclusiva, di affidare anche i rapporti successivi, di mero diritto soggettivo, al giudice amministrativo, non può ritenersi sussistente alcuna contraddizione con l’art. 103 Cost. e, tanto meno, con la sentenza n. 204/2004 più volte citata.
In conclusione, quindi, come premesso, il servizio farmaceutico, regolato dal potere autoritativo nella fase genetica, di tal guisa che è certamente ipotizzabile la giurisdizione di legittimità del G.A., è stato “scelto” dal Legislatore (visto, probabilmente, l’alto numero di contenzioso sui diritti soggettivi ed il “riflesso” che questi hanno comunque sull’esercizio concreto del potere) quale “materia” su cui individuare, altresì, una giurisdizione “esclusiva” riferita al diverso momento delle controversie afferenti i diritti soggettivi.
II. Sennonché, questa stessa Sezione, con sentenza n. 1874/2002 del 4.11.2002, ha già avuto modo di occuparsi della natura del tipo di prestazione posta a fondamento della pretesa creditoria incardinata nel processo in esame, precisando che i prodotti dietetici (alimentari) non possono considerarsi “medicinali o prodotti galenici”, gli unici di stretta pertinenza distributiva delle farmacie ai sensi dell’art. 122 del T.U.LL.SS. n. 1265 del 27.7.1934.
Ne deriva che il rapporto in esame, seppur espressivo di una funzione paragonabile a quella del servizio farmaceutico (in quanto volta alla somministrazione in assistenza diretta di prodotti a particolari tipi di soggetti affetti da patologie a spessore “sociale”), non può essere ad esso ricondotto, mancando il necessario presupposto della somministrazione di farmaci e di prodotti ad essi assimilati.
III.A. Resta da verificare, infine, se lo stesso possa rientrare nella nozione di “affidamento di un servizio pubblico”, così come delineato dalla Corte con la sentenza in esame.
Il Collegio rileva, preliminarmente, che l’espressione utilizzata nel testo antecedente alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 33 d.lgs.vo 80/1998, così come novellato dall’art. 7 della l.n. 205/2000, era più “ristretto”, in quanto riferito alle controversie “aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti di (. . . ) pubblici servizi” (cfr. comma 2 lett. d).
Quindi, la nuova nozione coniata dalla Corte, per qualificare l’”affidamento”, non si riferisce più né alla “procedura”, né al collegamento diretto con l’”appalto” di servizi.
L’art. 6 della l.n. 205/2000, inoltre, non è stato “intaccato” dalla sentenza della Corte, per cui è rimasto integro il precetto secondo il quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale”.
Il Collegio ritiene che il Giudice delle Leggi, nel ridisegnare la disciplina in argomento, non può non avere tenuto nella massima considerazione sia la “sopravvivenza” dell’art. 6, che le parole utilizzate, come sopra riferito, nel concepire la nuova disposizione.
Pertanto, dall’esame congiunto della richiamata normativa, emerge un’ulteriore distinzione, secondo la quale il Giudice amministrativo ha giurisdizione esclusiva nelle controversie relative:
- alle procedure di affidamento dei servizi a rilievo comunitario e/o ad evidenza pubblica (art. 6);
- alla “materia” concernente l’affidamento di un pubblico servizio (e non più sulle procedure relative all’appalto), secondo il disposto del ridisegnato art. 7.
Inoltre, la Corte, nella sua operazione di “sintesi” della giurisdizione esclusiva affidata al G.A. nell’ipotesi in esame, ha inserito nel nuovo testo le controversie relative alla concessione di pubblici servizi, “escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”.
Quest’ultima riserva, in quanto relazionata alla sola materia delle concessioni, non è applicabile ai pubblici servizi “strictu sensu”, per cui sembrerebbe trasparire che il momento successivo dei corrispettivi (e, quindi, dei diritti soggettivi “monetari” o, più esattamente, dei crediti pecuniari), mentre è stato escluso dalla giurisdizione esclusiva del G.A. per le prime, è rimasto incardinato per questi ultimi.
Il rilievo appare confermato ove si osservi che la normativa comunitaria stabilisce una sorta di equiparazione tra la nozione di concessione e quella di appalto pubblico di servizi, per il quale, così come per l’affidamento del servizio, non è prevista la limitazione della giurisdizione del G.A. relativa ai “corrispettivi”.
L’art. 1, co. 4, della Dir. 31-3-2004 n. 2004/18/CE, che ha sostituito la Direttiva CE n. 92/50, stabilisce, infatti, che “la «concessione di servizi» è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo”.
In conclusione, su materie assimilabili, la Corte ha espresso la limitazione al momento dei corrispettivi, non espressivo dell’esercizio di un potere autoritativo, solo in materia di concessioni.
Vieppiù. Occorre indagare nelle intenzioni manifestate dalla sentenza della Corte per comprendere il senso dell’attribuzione di una giurisdizione esclusiva.
Se la stessa dovesse ritenersi limitata alla mera fase procedimentale dell’affidamento (posto il chiaro sillogismo a fondamento della decisione in esame che ha come premessa principale la circostanza che detto tipo di giurisdizione “presuppone” un potere autoritativo e, quindi, la sussistenza di una giurisdizione di “legittimità”), risulterebbe contraddittoria, in quanto nulla aggiungerebbe ad una competenza già sussistente.
In altri termini, si dovrebbe concludere che una giurisdizione che venga limitata alla non più prevista procedura di affidamento, in quanto involgente esclusivamente interessi legittimi, dovrebbe essere soltanto di legittimità, mentre la norma – così come riformulata dalla Corte -, conformemente all’art. 103 Cost., ha attribuito sulla “materia” dell’affidamento dei servizi una giurisdizione esclusiva che, per definizione, deve coinvolgere anche diritti soggettivi.
Risulta del tutto chiaro che, diversamente opinando, la norma resterebbe una “scatola vuota”, un’affermazione di principio, cioè, priva di alcun effetto.
Del resto, e la considerazione appare al Collegio “troncante”, occorrerebbe chiedersi quale sia la motivazione profonda dell’attribuzione di una giurisdizione esclusiva nella materia in esame, se poi il G.A. dovesse essere “fermato” nel momento in cui debba occuparsi di diritti soggettivi.
La considerazione appare vieppiù avvalorata dalla presenza di norme, espresse nella L. 205/2000, che consentono una sorta di equiparazione tra i mezzi istruttori consentiti nelle diverse forme di giurisdizione (di legittimità, di merito o esclusiva) e la risarcibilità pressocché indifferenziata.
Ne deriva che la giurisdizione esclusiva, avendo perso i surriferiti tradizionali elementi discriminatori con gli altri tipi di giurisdizione, esiste in quanto tale ed ha ragion d’essere, nella misura in cui consente la valutazione integrale anche dei diritti soggettivi coinvolti nella materia attribuita o devoluta dal legislatore alla cognizione esclusiva del G.A.
Inoltre, come premesso, il Giudice delle Leggi, coerentemente, non ha limitato il suo intervento additivo alla semplice assegnazione della “procedura” di affidamento del servizio (il che, come ritenuto più volte da questo Tribunale, non avrebbe comunque scalfito la possibilità di occuparsi anche della fase esecutiva del rapporto, cfr. TAR Catania, II, 8.8.2001 n. 1456; II, 13.8.2003 n. 1287; II, 5.12.2003 n. 1987, 27.10.2004, n. 2985), ritenendo più appropriata una dicitura che potesse abbracciare momenti caratterizzati dalla presenza del diritto soggettivo, in relazione al quale, si badi bene, è rimasta integra, anche dopo la sentenza della Corte, la possibilità di ottenere il risarcimento del danno.
Infatti, l’art. 7 della legge n. 205 del 2000, nella parte in cui (lettera c) sostituisce l’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998, come espressamente previsto nella decisione in esame, non è stato intaccato, in quanto, “il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova “materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.
L’attribuzione di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato, ma anche, e soprattutto, essa affonda le sue radici nella previsione dell’art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di adeguati poteri; e certamente il superamento della regola (avvenuto, peraltro, sovente in via pretoria nelle ipotesi olim di giurisdizione esclusiva), che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l’eventuale risarcimento del danno (regola alla quale era ispirato anche l’art. 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, che pure era di derivazione comunitaria), costituisce null’altro che attuazione del precetto di cui all’art. 24 Cost.” (cfr. Corte Cost. n. 204/2004 cit., punto 3.4.1. della motivazione).
Quindi, la sentenza ha regolato la nuova norma creando qualcosa di diverso da quanto previsto dall’art. 6 della l.n. 205/2000 (per cui non può trattarsi della semplice “procedura” di affidamento del servizio pubblico) e qualcosa di nuovo rispetto alla vecchia formulazione (che ripeteva il termine procedura collegandolo all’”appalto”) e rispetto alla concessione di servizio pubblico (dalla quale soltanto ha espressamente espunto la fase, per quanto di interesse, delle questioni afferenti i “corrispettivi”).
Inoltre, dovendo riferirsi “necessariamente e per definizione” a situazioni di diritto soggettivo, ha lasciato “un’area di intervento” da individuare, che non può essere, per un verso, quella relativa al momento dell’esercizio del potere (in quanto sufficientemente regolabile da una giurisdizione di legittimità), per un altro, quella del risarcimento del danno, espressamente disciplinata dall’art. 35 del d.lgs.vo n. 80/1998, così come riformato dall’art. 7 della l.n. 205/2000, posto che, come chiarito, detta tutela appare non intaccata dalla sentenza della Corte.
Mutuando l’ottica del Giudice delle Leggi, l’affidamento del servizio finisce con l’abbracciare tutte le ipotesi in cui si manifesta un potere autoritativo relazionato ad un “autentico” servizio pubblico, che, in quanto posto innanzi a posizioni soggettive qualificabili come interessi legittimi, diventa presupposto per l’affidamento di una giurisdizione esclusiva al G.A., ove, poi, sussistano riflessi relativi a diritti soggettivi.
Del resto, l’inserimento nella giurisdizione esclusiva per materia anche delle fasi esecutive del rapporto e della dinamica dei corrispettivi (ove non espressamente esclusi, come per le concessioni) finisce con il valorizzare alcuni momenti regolati ormai in posizione paritaria, ma pur sempre relativi all’utilità collettiva che dalla gestione del pubblico servizio discendono (cfr. Cons. Stato, V, 12.10.2004, n. 6574).
Quindi, il giudice amministrativo, per riconoscere se abbia giurisdizione esclusiva nella materia espressamente individuata dal Legislatore e, per quanto in esame, in quella relativa all’affidamento di un servizio pubblico, deve preliminarmente indagare se la fattispecie “a monte” investa un potere autoritativo della P.A. (sussistente, come già chiarito sub I, soltanto nella fase genetica del rapporto) e, poi, se il rapporto controverso “a valle” concerna diritti soggettivi, in riferimento ai quali, come è del tutto evidente, la ricerca dell’espressione della “supremazia” del potere amministrativo si profila vana, a causa della regolamentazione paritetica del rapporto.
In altri termini, ove il rapporto controverso sia caratterizzato dalla presenza di diritti soggettivi, lo stesso potrà comunque essere sottoposto alla cognizione esclusiva del G.A., anche se in relazione a tali situazioni o posizioni soggettive non si percepisce l’immediata manifestazione di un potere autoritativo, in quanto lo stesso, per definizione, si manifesta nella fase antecedente della regolamentazione del rapporto.
III.B. Il Collegio, conclusivamente, deve occuparsi della qualificazione dell’affidamento del servizio pubblico.
Intanto, come già evidenziato, l’inciso in commento non si riferisce più alla “procedura” ad esso rivolta.
Secondo quanto espressamente previsto all’art. 1 della direttiva CE 92/50, nonché dalla successiva Dir. 31-3-2004 n. 2004/18/CE, art. 1, comma 11, le procedure “aperte” o “ristrette” sono quelle in cui un operatore può presentare un’offerta, quindi le fasi di attribuzione dell’appalto.
La scomparsa di detto termine, come già considerato, unitamente al correlato riferimento all’appalto, ha modificato l’area di sussistenza della giurisdizione esclusiva.
Se l’affidamento del servizio “non” è riferibile alla “procedura di conferimento” dell’appalto occorre stabilire, in positivo, in cosa consista.
Già il termine utilizzato, coerentemente con le premesse, depone per lo spostamento del “baricentro” della giurisdizione ad un momento successivo dell’iter procedurale finalizzato all’assegnazione del servizio. Sotto un profilo strettamente letterale, occorre riferirsi alla fase della “consegna” del medesimo.
La stessa può avvenire in maniera diretta ovvero mediante apposita procedura ad evidenza pubblica.
La norma, elidendo la previgente disposizione relativa alla “procedura”, ha equiparato le due fattispecie.
L’elemento caratterizzante è correlato alla circostanza che il servizio pubblico non sia svolto direttamente dall’Amministrazione, ma che sia “affidato” ad altri con provvedimento specifico o generale.
E’ solo in questa ipotesi che, per espressa disposizione normativa, si radica la giurisdizione esclusiva del G.A.
Come è del tutto evidente, nell’ipotesi di affidamento mediante procedura di gara, sino al momento della consegna del servizio non traspare ancora alcun tipo di diritto soggettivo, posto che l’interessato, una volta ultimato il procedimento, non ha ancora maturato il diritto alla formalizzazione dell’atto (e del contratto), rimanendo in capo allo stesso, ancora, un semplice interesse legittimo.
Necessita, pertanto, proiettare la fase genetica dell’affidamento (ove si esplica il potere amministrativo), quale momento caratterizzante dell’instaurazione del rapporto, a quella dinamica del suo svolgimento al fine di radicare la giurisdizione, così come previsto dalla norma, anche ai diritti soggettivi.
Circa le modalità di detta estensione è sufficiente rinviare a quanto argomentato sub I.
In altri termini, rientrano nella giurisdizione esclusiva tutte le questioni che conseguano, involgendo diritti soggettivi, dal momento autoritativo dell’affidamento del servizio.
Occorre, a questo punto, individuare – se non con assoluta precisione, impossibile con riferimento a tale area concettuale, almeno con sufficiente approssimazione – la nozione di servizio pubblico, perché soltanto tale figura può qualificare la sussistenza, per quanto di interesse, di quel potere autoritativo che la Corte ha indicato quale elemento caratterizzante della giurisdizione del G.A.
Come già chiarito da questa stessa Sezione (T.A.R. Catania, II, 10.6.1999 n° 1137; 27.10.2004, n. 2985), in una prima accezione, a rilevanza eminentemente soggettiva, la nozione di pubblico servizio si rivolgeva alla necessità che l'attività materiale fosse comunque gestita dalla "mano pubblica".
Questo orientamento, come già appariva confermato dalle ipotesi prospettate al comma 2 dell’art. 33 del d.lgs.vo 80/98 prima dell’intervento della Corte, deve ormai essere sostituito da una visione “oggettiva” dell’istituto.
Coerentemente con le definizioni della normativa comunitaria, rese anche in tema di appalto pubblico di servizio, inoltre, per individuare detta figura, occorre avere riguardo a tre elementi fondamentali: il beneficiario del servizio, la sussistenza o meno di un interesse generale e la remunerazione (cfr. T.A.R. Catania, ult. cit.).
Il necessario perseguimento dell'interesse generale richiede che l'attività oggetto del rapporto debba essere rivolta non già direttamente all’amministrazione appaltante, ma ad una utenza indiscriminata (cfr., ex multis, T.A.R. Liguria, sez. II, 31 marzo 2004, n. 312; T.A.R. Milano 6 novembre 2002 n. 4262; Cons. Stato, A.P., 30 marzo 2000 n. 1).
Il servizio può essere svolto anche da soggetti privati, ma ciò non può far concludere che a detta nozione possa essere attribuita un'accezione così ampia da comprendere qualsiasi attività privata soggetta a controllo, vigilanza o autorizzazione della Pubblica amministrazione, in quanto il servizio si qualifica come pubblico perché l'attività in cui esso consiste si indirizza istituzionalmente al pubblico, mirando a soddisfare direttamente esigenze della collettività in coerenza con i compiti dell'Amministrazione pubblica (cfr. T.A.R. Basilicata – Potenza 598 - 4 settembre 2002).
In conclusione, la funzione deve in questi casi essere rivolta necessariamente a vantaggio della collettività.
Ne deriva che la remunerazione del servizio non si pone quale corrispettivo del sinallagma contrattuale (che caratterizza, al contrario, la diversa figura dell’appalto pubblico del servizio), ma, come era chiaramente ribadito dall'art. 12, comma 5, della L. 23.12.1992 n° 498 (novellato dall’art. 117 del D.Lgs.vo 18.8.2000 n ° 267), richiede il ricorso alla diversa forma tariffaria.
Per altro, il servizio si qualifica come “pubblico”, proprio a causa della sua vocazione a soddisfare esigenze della collettività in coerenza con i compiti dell’amministrazione pubblica.
In altre parole, è caratterizzato da un elemento funzionale (soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale) che non si rinviene nell’attività privata imprenditoriale, anche se indirizzata e coordinata a fini sociali (cfr. Cass. Civ. SS.UU. 30.3.2000 n° 71).
Si può, in conclusione, affermare che i fattori distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’idoneità del servizio, sul piano finalistico, a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti, e, dall’altro, la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata, invece, una comune attività economica (cfr. Cons. Stato, V, 6574/2004, cit.) ed al soddisfacimento di interessi che il Legislatore ha ritenuto aventi rilevanza sociale.
Più precisamente, relativamente ai servizi pubblici locali, l'art. 117 T.U.E.L. n. 267/2000 stabilisce che la tariffa ne costituisce il corrispettivo, ma non ne definisce il contenuto, determinato dalla possibilità concreta dell'ente di dividere sui singoli l'onere della gestione ed erogazione della prestazione.
Ne deriva che se è pur vero che lo stesso Titolo V del T.U.E.L. n. 267/2000 disciplina anche i criteri per la determinazione e la riscossione delle tariffe, è altrettanto vero che non si possono escludere dall'ambito dei servizi pubblici locali quelli erogati senza un corrispettivo, sempre che le prestazioni siano strumentali all'assolvimento delle finalità sociali dell'ente (cfr. C.d.S., V Sez. 16 dicembre 2004, n. 8090).
Il principio, mutatis mutandis, può applicarsi ai servizi pubblici in generale, per i quali, in definitiva, gli elementi veramente caratterizzanti rimangono quelli sopra considerati della generalità dei destinatari e della riconosciuta rilevanza sociale.
Per cui, ove venga affidato e non svolto dalla stessa amministrazione il servizio pubblico “in senso tecnico”, ossia un servizio rivolto direttamente alla collettività e non all’Amministrazione in quanto tale, espressivo di una potestà amministrativa che si impone nella cura dell’interesse pubblico e ove sia stata conferita la giurisdizione esclusiva, conformemente al principio informatore di detto istituto, il giudice amministrativo è chiamato a decidere anche delle fasi successive dell’esecuzione e di quelle relative ai corrispettivi, ove non espressamente esclusi.
Il Collegio, infine, ritiene di dover rilevare un ulteriore elemento di coerenza dell’assunto con la formulazione dell’art. 33 del d.lgs.vo n. 80/1998, anche dopo la “novella” apportata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004.
La norma, infatti, ha lasciato l’attribuzione al G.A. in sede esclusiva anche per le controversie “relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241”, definizione che, per altro, precede appena l’”affidamento del servizio” di cui il Tribunale si sta occupando.
Ebbene, la giurisdizione esclusiva cui si riferisce è contenuta negli artt. 11 e 15 della l.n. 241/1990, per effetto dei quali è conferita la competenza al giudice amministrativo in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi volti a “concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, (. . .) con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo”.
Dal senso palese delle parole utilizzate, quindi, la giurisdizione esclusiva abbraccia i momenti di regolamentazione della fase discrezionale di un provvedimento amministrativo “autoritativo” volto al perseguimento del pubblico interesse e, quindi, quelli “contrattuali” regolati in maniera “paritetica”, il cui presupposto consiste sempre in un’attività dell’Amministrazione geneticamente autoritativa.
La giurisdizione, infatti, espressamente si rivolge, altresì, anche al momento dell’esecuzione dell’accordo.
In altri termini, anche in questa ipotesi, sulla scorta del medesimo principio applicato dal Collegio, la giurisdizione esclusiva è rivolta ad occuparsi di diritti soggettivi espressivi di una fase successiva all’esercizio di un potere amministrativo, in quanto manifestazione e completamento dell’esercizio dello stesso.
IV. Venendo al caso in esame, il presunto servizio, intanto, si rivolge in maniera indiscriminata ad una collettività, sia pur qualificata da una comune patologia.
Sussiste, pertanto, la funzione economico-pratica destinata alla soddisfazione di un interesse generale (cfr. Cass. Civ. SS.UU. 9.6.2004, n. 10944).
Occorre verificare, però, se i diritti soggettivi controversi siano la conseguenza del potere autoritativo conferito, a monte, in tema di servizio sanitario.
In altri termini, occorre accertare se il credito rivendicato derivi dall’esercizio di un’attività rientrante nel novero dell’affidamento (indipendente, per come già chiarito, dalla sussistenza di una procedura a tal fine destinata) del servizio sanitario, in quanto espressivo di un servizio pubblico riconosciuto sia dalla legislazione nazionale che da quella comunitaria (cfr. in quest’ultimo senso la tabella II b Dir. 31-3-2004 n. 2004/18/CE) e, di più, in quell’area del servizio sanitario destinato espressamente alla cura degli interessi per cui è stato conferito il relativo potere.
Ciò perché la semplice prestazione, in quanto effettuata da soggetti incardinati o incaricati di un pubblico servizio, non è sufficiente a qualificare la sussistenza del potere, se lo stesso non sia previsto da espresse disposizioni normative.
In altre parole, il S.S.N. può occuparsi anche di zone ove l’interesse ed il servizio pubblico non emergono, per cui appare necessario che il tipo di attività da esaminare venga collocata nella dimensione del potere legislativamente attribuito.
Come già chiarito, le farmacie possono commercializzare prodotti cosmetici o alimentari non espressivi affatto di un servizio pubblico e, quindi, in dette aree non è possibile rinvenire detta figura e la consequenziale giurisdizione del G.A.,anche in presenza di una norma che espressamente attribuisce tal tipo di competenza, che, quindi, va comunque limitata all’esercizio del potere “proprio”.
Invero, come premesso sub II, la somministrazione “gratuita” dei prodotti per soggetti affetti da diabete mellito e da morbo celiaco non può ricondursi all’attività qualificante delle sole farmacie e, quindi, al servizio farmaceutico.
Tanto chiarito, occorre precisare che la disciplina relativa all’assistenza diretta per i portatori del morbo celiaco trova la sua preliminare regolamentazione nel d.l. 25.1.1982, n. 16, recante la disciplina relativa a “misure urgenti in materia di prestazioni integrative erogate dal Servizio sanitario nazionale”. In particolare, l’art. 1 ha stabilito che “il Ministro della sanità, con decreto da emanare entro il 30 giugno 1982, sentito il Consiglio sanitario nazionale, determina le forme morbose per le quali sono concedibili i prodotti dietetici e le relative modalità di erogazione”.
Con D.M. Sanità 1.7.1982, il morbo celiaco è stato annoverato tra le patologie ammesse alla prestazione integrativa.
Con successivo D.M. Sanità 8 giugno 2001, anch’esso recante disposizioni in materia di “assistenza sanitaria integrativa relativa ai prodotti destinati ad una alimentazione particolare”, il Legislatore nazionale, ritenuta l’opportunità di “rendere uniformi i procedimenti di certificazione relativi alle malattie metaboliche congenite, fibrosi cistica del pancreas e morbo celiaco, nonché rivedere i sistemi di distribuzione, erogazione e rimborsabilità degli specifici prodotti destinati ad una alimentazione particolare al fine del contenimento dei costi al Servizio sanitario nazionale” e sulla considerazione che “la popolazione affetta da morbo celiaco è in progressivo aumento”, ha riconosciuto, all’art. 3, nel limite di una spesa mensile, un contributo relazionato all’età dell’assistito. A tal fine è stata prevista una procedura attenta ad un preliminare oculato riconoscimento della patologia ed il consequenziale diritto al rilascio di 12 buoni annui o altro «documento di credito» - anche di tipo magnetico - di valore pari ai citati tetti di spesa, con i quali i suddetti prodotti possono essere acquistati presso i fornitori convenzionati di cui all'art. 6, tra i quali, oltre alle farmacie convenzionate, rientrano anche “altri fornitori incaricati dalle aziende unità sanitarie locali”, secondo direttive all'uopo emanate dalle regioni.
Analoga procedura era già prevista in Sicilia per effetto del d.a. 11.3.1999.
Per quanto riguarda i prodotti per diabetici, con D.M. sanità 4 giugno 1999, il Legislatore regionale in considerazione del fatto che i prodotti dietetici, trattandosi di “ausili e presidi e non di medicinali o prodotti galenici, ed anche per venire incontro ai soggetti in questione, e sopperire alla patologia di cui sono affetti”, ha ritenuto possibile che “la fornitura dei presidi ed ausili per i soggetti affetti da diabete mellito (potesse) essere effettuata, oltre che direttamente dalle AA.SS.LL. ed ospedaliere e dalle farmacie private, anche per il tramite delle aziende commerciali di articoli sanitari”.
Come già chiarito da questo stesso Tribunale (cfr. T.A.R. Catania, II, 4.11.2002 n. 1874, cit.), prima dell’introduzione di detta normativa, la distribuzione di detti prodotti era riservata alle farmacie.
La predetta decisione, però, ha già evidenziato come la disciplina introdotta dal Legislatore regionale ponga dei limiti non rinvenibili nel T.U.LL.SS., in quanto, i beni in questione, non trattandosi di sintesi di prodotti chimici e non essendo discriminati dalla presenza della posologia e della formula, non possono annoverarsi tra i medicinali o prodotti galenici per i quali, coerentemente, è invece prevista l’”esclusiva” di vendita in capo ai farmacisti, in quanto soggetti aventi una necessaria e particolare specializzazione, che giustifica il “contingentamento” delle farmacie e, quindi, una procedura “a monte” che manifesta l’esercizio di un potere autoritativo dell’amministrazione.
Seguendo detto ragionamento, e considerando che la somministrazione degli alimenti dietetici avviene mediante la corresponsione di “buoni” o “cedole di credito”, sembrerebbe che più che un’assistenza sanitaria diretta alla cura, diagnosi o prevenzione (finalità tipiche del S.S.N. e, quindi, causa del potere conferito), il Legislatore abbia voluto prevedere una forma di contribuzione, stante la rilevanza sociale delle malattie di cui si tratta.
Sennonché, lo stesso Legislatore pur sganciando detta materia dal “particolare” servizio farmaceutico, lo ha espressamente equiparato a quello generale del S.S.N.
Con l’art. 54 della L. 27-12-2002 n. 289 (legge finanziaria 2003), mentre sono stati confermati i livelli essenziali di assistenza previsti dall'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni (che non annoveravano la somministrazione di detti prodotti), è stato espressamente previsto che “le prestazioni riconducibili ai suddetti livelli di assistenza e garantite dal Servizio sanitario nazionale sono quelle individuate all'allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, con le esclusioni e i limiti di cui agli allegati 2 e 3 del citato decreto, con decorrenza dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto”.
Detto D.P.C.M., oggetto di un rinvio dinamico operato dalla legge sopra indicata, ha espressamente annoverato tra “le prestazioni di assistenza sanitaria garantite dal servizio sanitario nazionale” e quindi “riconducibili ai Livelli Essenziali di Assistenza” la “ fornitura di prodotti dietetici a categorie particolari “ e la “fornitura di presidi sanitari ai soggetti affetti da diabete mellito” (cfr. lett. D. Assistenza integrativa).
In definitiva, quindi, è lo stesso Legislatore che ha qualificato la somministrazione di detti prodotti alimentari come attività qualificante la prestazione sanitaria, alla stessa stregua della prestazione di ricovero e cure.
Se così è, non v’è dubbio che anche in detta ipotesi assume rilievo un servizio pubblico, del tipo sopra prospettato non qualificato dal pagamento di una tariffa da parte dell’utenza (ma dal rispetto dei prezzi predeterminati al momento dell’erogazione dei prodotti).
Ne deriva che sussiste sia il potere autoritativo “a monte” (organizzativo del S.S.N.), sia la “questione” su diritti soggettivi consequenziali all’espletamento del servizio, sia, infine, la qualificazione espressa di un servizio pubblico “affidato” a strutture esterne all’organizzazione del S.S.N.
Va pertanto riaffermata la giurisdizione di questo Tribunale, nella materia de qua.
V. Nel merito il ricorso va accolto.
Come diffusamente prospettato nella decisione di questa stessa Sezione n. 1874/02 cit., non sussistendo l’esclusiva di vendita a favore delle farmacie ed essendo la vendita espressamente autorizzata a favore delle aziende commerciali di articoli sanitari (cfr. art. 1 d.a. 4-6-1999), l’allegata licenza commerciale per officina di ortopedia “e sanitaria”, radica il diritto della ricorrente.
Il Collegio, per altro, osserva che al ricorso notificato il 26.11.2004 non è seguita alcuna costituzione (e, quindi, neanche alcuna controdeduzione) da parte dell’Amministrazione.
Consegue la condanna dell’amministrazione intimata al pagamento a favore della ricorrente delle fatture, ove supportate, come disposto dall’art. 2 del d.m. 4.6.1999 e dalla specifica regolamentazione contenuta nel successivo d.a. 15.3.2000, dalle fustelle di tutti i presidi ed ausili per soggetti affetti da diabete mellito, relativamente al periodo considerato dal predetto d.a. 15.3.2000.
Con la condanna, altresì, al pagamento degli interessi nella misura legale, dal trentesimo giorno successivo alla presentazione delle singole fatture e sino alla data dell’effettivo soddisfo.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania - Sezione seconda accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, condanna l’AUSL N. 3 di Catania al pagamento a favore della ricorrente delle fatture, ove supportate, come disposto dall’art. 2 del d.m. 4.6.1999 e dalla specifica regolamentazione contenuta nel successivo d.a. 15.3.2000, dalle fustelle di tutti i presidi ed ausili per soggetti affetti da diabete mellito, relativamente al periodo considerato dal predetto d.a. 15.3.2000.
Condanna, altresì, l’AUSL n. 3 al pagamento degli interessi nella misura legale, dal trentesimo giorno successivo alla presentazione delle singole fatture e sino alla data dell’effettivo soddisfo.
Condanna l’AUSL n. 3 di Catania alle spese di giudizio in favore della ricorrente che vengono liquidate in complessivi euro 1.500/00 (millecinquecento/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Catania, nella Camera di consiglio del 27.1.2005 e 9.2.2005.
L'Estensore
(Dott. Pancrazio Savasta)
Il Presidente
(Dott. Vincenzo Zingales)
Depositata in segreteria
il 21 marzo 2005 |