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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello iscritto al NRG. 4610 del 1995 proposto dalla PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, e dal MINISTERO DEL TESORO, in persona del ministro in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei Portoghesi, 12;
CONTRO
CISPEL, Confederazione Italiana Servizi Pubblici Enti Locali, in persona del legale rappresentante in rappresentata e difesa dall’avvocato Costantino Tessarolo, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, via Cola Di Rienzo, n. 271;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. I, n. 1305 del 13 settembre 1994;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della CISPEL;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 14 dicembre 2004, il Consigliere Carlo Saltelli;
Uditi l’Avvocato dello Stato Giordano, per le amministrazioni appellanti, e l’avvocato Tessarolo, per la CISPEL;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso giurisdizionale notificato l’8 agosto 1990 la CISPEL - Confederazione Italiana Servizi Pubblici Enti locali - chiedeva al Tribunale amministrativo regionale del Lazio l’annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 luglio 1990, contenente modifiche alla tabella A, annessa alla legge 29 ottobre 1984, n. 720 (recante l’istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici), nella parte in cui, all’articolo 3, modificava l’indicazione “Aziende municipalizzate di trasporto e consorzi di comuni e di province per i servizi di trasporto” in “Aziende regionalizzate, provincializzate e municipalizzate e aziende e consorzi fra regioni, province e comuni per l’erogazione di servizi pubblici”, e, all’articolo 4, nella parte in cui faceva decorrere dal 10 ottobre 1990 il sistema di tesoreria unica per i nuovi enti ad esso assoggettati, obbligandoli a versare entro il 28 settembre 1990 nelle contabilità speciali infruttifere da aprirsi presso le sezioni di tesoreria provinciali dello Stato tutte le disponibilità liquide detenute presso le aziende di credito e a smobilizzare i titoli di loro proprietà entro il 31 gennaio 1991 e disponendo, altresì, il versamento del ricavato nelle contabilità speciali infruttifere ovvero in quelle fruttifere, in relazione a titoli acquistati con fondi provenienti da entrate proprie.
A sostegno dell’impugnativa deduceva:
a) “Violazione (falsa ed errata applicazione) della legge 29 ottobre 1984, n. 740, dell’art. 38, 1° co., L. 7 agosto 1982, n. 526, e dell’art. 40 L. 30 marzo 1981, n. 119 - Violazione del principio di gerarchia delle fonti - eccesso di delega”, in quanto, essendo state escluse, per espressa volontà legislativa, dal sistema di tesoreria unica le aziende municipalizzate e consortili diverse da quelle di trasporto, il Presidente del Consiglio dei Ministri non avrebbe avuto il potere di derogare alla legge, assoggettando al sistema di tesoreria unica aziende per le quali aveva disposto diversamente la legge;
b) “Violazione (falsa ed errata applicazione) - sotto altro profilo - della L. 29 ottobre 1984, n. 720, delle disposizioni che disciplinano le aziende speciali degli enti locali, degli artt. 22 e 23 della L. 8 giugno 1990, n. 142 - Eccesso di potere per motivazione mancante o quanto meno insufficiente e perplessa, per illogicità manifesta, per omessa valutazione di elementi essenziali, per travisamento dei fatti, per contraddittorietà e disparità di trattamento, per mancata istruttoria”, in quanto l’inclusione nel sistema della tesoreria unica delle aziende municipalizzate e consortili diverse da quelle di trasporto avrebbe dovuto comportare la dimostrazione che esse ricevevano trasferimenti a carico dei bilanci dello Stato, Regioni ed enti locali, prova di cui nel provvedimento impugnato non vi era alcuna traccia (nè vi poteva essere atteso che le entrate delle predette aziende derivavano esclusivamente dalla propria attività gestionale, avendo il legislatore imposto il principio del pareggio di bilancio, ai sensi dell’articolo 10, comma 3, della legge 21 dicembre 1978, n. 843), e trattandosi quindi di strutture di tipo imprenditoriale, riconosciute dalla stessa legge 8 giugno 1990, n. 142;
c) “Violazione (falsa ed errata applicazione) - sotto altro profilo - della legge 29 ottobre 1984, n. 720 - Eccesso di potere per motivazione mancante o quanto meno insufficiente o perplessa, per omessa valutazione di elementi essenziali, per travisamento dei fatti, per mancata istruttoria”, in quanto, pur potendo ammettersi che il potere attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri dall’articolo 2 della legge 29 ottobre 1984, n. 720, fosse ampiamente discrezionale sia nell’an che nel quando, purtuttavia esso era in ogni caso limitato, per un verso, dalla rilevanza dei flussi finanziari dell’ente nell’ambito della finanza pubblica e, per altro verso, dalla conciliabilità del regime di tesoreria unica con l’efficienza e la funzionalità dell’ente, così che il provvedimento impugnato era affetto dai vizi rubricati, non potendo essere sufficiente a sorreggerlo la generica e sintetica disposizione che i flussi finanziari delle aziende municipalizzate e consortili diverse da quelle di trasporto interessavano direttamente o indirettamente la finanza pubblica;
d) in subordine “Violazione (falsa ed errata applicazione) - sotto altro profilo - dell’art. 1 L. 29 ottobre 1984, n. 720 - Eccesso di potere per travisamento dei fatti, per illogicità manifesta, per disparità di trattamento, sviamento di potere”, in quanto il provvedimento impugnato non rispettava neppure le previsioni circa la distinzione delle entrate da versare alle contabilità speciali fruttifere e a quelle infruttifere, salvo che per lo smobilizzo dei titoli di proprietà delle aziende.
L’adito Tribunale (sez. I), nella resistenza dell’intimata Presidenza dei Consiglio dei Ministri, con la sentenza n. 1305 del 13 settembre 1994, ritenuto che il potere attribuito dall’articolo 2, comma 4, della legge 29 ottobre 1984, n. 720, al Presidente del Consiglio dei Ministri di modificare e integrare le tabelle annesse alla legge stessa, pur non soffrendo limiti quantitativi, doveva essere esercitato previa puntuale, idonea e congrua giustificazione delle scelte compiute in relazione ai principi emergenti dalla stessa legge, annullava il provvedimento impugnato, ritenendo fondati i motivi di censura sollevati in ordine all’acritica inclusione di tutte indistintamente le aziende municipalizzate, provincializzate e regionalizzate esercenti pubblici servizi fra gli enti sottoposti al regime di tesoreria unica, sia in relazione al denunciato difetto di motivazione e all’illogicità (quest’ultima con particolare riferimento alla previsione contenuta nell’articolo 4).
Avverso tale statuizione hanno proposto appello la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero del Tesoro, con atto notificato il 2 giugno 1995, chiedendone la riforma.
Le amministrazioni appellanti hanno rivendicato la sostanziale legittimità del provvedimento, erroneamente annullato dai primi giudici, sottolineando innanzitutto che esso costituiva estrinsecazione dei poteri di coordinamento in materia finanziaria e di disciplina del credito, attribuiti dall’articolo 119 della Costituzione allo Stato, e che, d’altra parte, esso non aveva in alcun modo compresso (né procurato alcun nocumento) all’autonomia finanziaria della CISPEL, stante la piena disponibilità da parte delle aziende regionalizzate, provincializzate e municipalizzate esercenti servizi pubblici, assoggettate al sistema di tesoreria unica, delle somme di loro spettanza depositate presso la tesoreria statale; inoltre, dopo aver sottolineato che il provvedimento impugnato si inseriva nel più vasto disegno teso ad intensificare il processo di controllo e razionalizzazione dei flussi finanziari nell’ambito del c.d. settore pubblico allargato, esse hanno aggiunto che, contrariamente a quanto apoditticamente e superficialmente ritenuto dai primi giudici, il provvedimento impugnato non era affetto nè da difetto di motivazione, nè da illogicità o contraddittorietà, sia perché l’obbligo di motivazione non poteva ridursi ad una mera formalistica esternazione delle ragioni che avevano imposto l’inclusione delle aziende in questione nell’elenco di quelle assoggettate al regime di tesoreria unica, tale scelta essendo in realtà vincolata all’accertamento dei presupposti oggettivi puntualmente stabiliti dalla legge, sia perché era del tutto gratuita ed infondata l’affermazione che le aziende in questione fossero caratterizzate da modelli di gestione dell’imprenditoria privata, non potendo negarsi che la gestione di un servizio pubblico comportasse rilevanti riflessi in tema di finanza pubblica.
La CISPEL - Confederazione Italiana Servizi Pubblici Enti locali - si è costituita in giudizio, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, di cui ha chiesto il rigetto.
DIRITTO
I. E’ controversa la legittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 luglio 1990, di modifica alla tabella A, annessa alla legge 29 ottobre 1984, n. 720, recante l’istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici, nella parte in cui, all’articolo 3, ha modificato l’indicazione “Aziende municipalizzate di trasporto e consorzi di comuni e di province per i servizi di trasporto” in “Aziende regionalizzate, provincializzate e municipalizzate e aziende e consorzi fra regioni, province e comuni per l’erogazione di servizi pubblici», e, all’articolo 4, nella parte ha fissato dal 10 ottobre 1990 la decorrenza del sistema di tesoreria unica per i nuovi enti ad esso assoggettati, obbligandoli a versare entro il 28 settembre 1990 nelle contabilità speciali infruttifere da aprirsi presso le sezioni di tesoreria provinciali dello Stato tutte le disponibilità liquide detenute presso le aziende di credito e a smobilizzare i titoli di loro proprietà entro il 31 gennaio 1991 e disponendo, altresì, il versamento del ricavato nelle contabilità speciali infruttifere ovvero in quelle fruttifere, in relazione a titoli acquistati con fondi provenienti da entrate proprie.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero del Tesoro chiedono la riforma della sentenza n. 1305 del 13 settembre 1994 con cui il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I, ha annullato il predetto decreto, rivendicandone la piena legittimità, in ragione delle finalità della stessa normativa che ha istituito il sistema di tesoreria
unico, in relazione al quale erano infondate tutte le censure mosse dalla parte ricorrente in primo grado ed inopinatamente accolte dai primi giudici.
La CISPEL ha resistito all’appello, concludendo per la conferma della impugnata sentenza.
II.Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.
II.1. Giova innanzitutto evidenziare che con la sentenza n. 24 del 17 gennaio 1991 la Corte Costituzionale, pronunciando sul giudizio promosso dalla Regione Toscana per conflitto di attribuzioni sorto proprio a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 luglio 1990, ha dichiarato che non spetta allo Stato di modificare, con le modalità di cui al predetto D.P.C.M. 2 luglio 1990, l’indicazione, tra l’altro, “Aziende municipalizzate di trasporto e consorzi di comuni e di province per i servizi di trasporto” in “Aziende regionalizzate, provincializzate e municipalizzate e aziende e consorzi fra Regioni, Province e Comuni per [‘erogazione di servizi pubblici”, annullando l’articolo 3 (oltre che l’articolo 2) del predetto decreto nella parte in cui fa riferimento alle regioni: ciò in quanto, secondo la Corte, “non può essere legittimamente demandata all’Esecutivo [‘opzione.. .fra un regime di coordinamento e all’incontro [‘accentramento finanziario contabile (cosiddetta tesoreria mica): a quest’ultima finalità, con un regime cioè di tesorerie puramente nominali poiché ricondotte a meri agenti del tesoriere unico statale, tende appunto l’inserimento degli enti inclusi, come già chiarito, nella tabella A annessa alla legge n. 720 del 1984. Osta a tanto il disposto dell’articolo 119, primo comma, della Costituzione, che demanda alla legge, per il coordinamento che ne consegue, i relativi compiti attinenti, come è di chiara evidenza, a norme di principio, non realizzabili, quindi, con mero provvedimento dell’Esecutivo (sent. n. 243 del 1985)”.
Del resto, sempre secondo la citata decisione della Corte Costituzionale, “i contenuti fondamentali delle norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni (legge 19 maggio 1976, n. 335) puntualmente prescrivono che i bilanci degli enti e degli organismi in qualunque forma costituiti, dipendenti dalla Regione, sono approvati in termini e forme stabilite dallo Statuto e dalle leggi regionali, con ciò restando dimostrato il vincolo cui viene soggetta. . da materia dei flussi finanziari delle regioni in ogni loro aspetto e realizzazione
E’ pertanto infondato l’appello in relazione alla già accertata incostituzionalità della previsione relativa alla inclusione delle Aziende regionalizzate e delle Aziende e Consorzi fra regioni per l’erogazione di servizi pubblici nella tabella A, annessa alla legge 29 ottobre 1984, n. 720.
II. 2. Con riferimento, poi, alla questione della legittimità dell’inclusione nella predetta tabella A annessa alla legge 29 ottobre 1984, n. 720, delle aziende provincializzate e municipalizzate e delle aziende e consorzi fra Province e Comuni per l’erogazione di servizi pubblici, la Sezione è dell’avviso che la sentenza impugnata non merita le critiche che le sono state rivolte.
II. 2.1. Invero, pur potendosi convenire, sul piano dogmatico, sulla considerazione che il potere concretamente esercitato dal Presidente del Consiglio dei ministri col decreto impugnato trovi fonte diretta ed immediata nell’articolo 2 della legge 29 ottobre 1984, n. 720, e che esso non soffre, in linea di principio, alcun limite quantitativo, potendosi, attraverso le previste modifiche ed integrazioni giungere anche a variazioni integrali delle tabelle, salvo l’obbligo di giustificare le scelte di volta in volta effettuate (C.d.S., sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2900), e pur potendosi ammettere che il corretto esercizio di detto potere non possa essere valutato alla stregua di una formalistica esternazione delle ragioni per cui un certo ente viene incluso nelle citate tabelle ed assoggettato così al regime della tesoreria unico, atteso che la predetta inclusione avviene sulla base di un potere vincolato dell’Amministrazione circa la sussistenza di determinati presupposti e quindi a prescindere dalle motivazioni, più o meno diffuse, a supporto della concreta determinazione adottata (C.d.S., sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2900, già citata; sez. IV, 23 marzo 2004, n. 1509), purtuttavia non può dubitarsi che il limite dell’esercizio di tale
ampio potere attribuito al massimo organo dell’esecutivo è da rinvenirsi, come già puntualmente rilevato dai primi giudici, nella congruità delle scelte con i principi emergenti dalla stessa legge 29 ottobre 1984, n. 720, dovendosi escludere che attraverso il potere di integrazione e modificazione delle più volte citate tabelle possano essere assoggettati al sistema della tesoreria unica categorie di enti o di organismi, per i quali il legislatore abbia, implicitamente o esplicitamente, escluso l’applicabilità del regime di tesoreria unica.
Al riguardo deve rilevarsi che, com’è noto, la legge 29 ottobre 1984, n. 720 (Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici), ha reso più rigido il sistema di coordinamento e controllo della finanza pubblica delineato dall’articolo 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119 (recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato — legge finanziaria 1981), affiancando al controllo e al coordinamento espletato sugli enti confluiti nella tabella B, un vincolo molto più stretto e penetrante, riguardante gli enti rientranti nella tabella A, tenuti a mantenere tutte le loro entrate in conti di tesoreria presso la Banca d’Italia, fruttiferi per le proprie entrate, infruttiferi per quelle provenienti dai canali della finanza pubblica.
La finalità ditale sistema, come del resto già precisato più volte dalla Corte Costituzionale (decisioni n. 61 del 1987; 243 del 1985; 132 del 1993), è ispirato alla fondamentale esigenza per lo Stato di eliminare l’onere derivante dalla provvista anticipata di fondi rispetto alla effettiva capacità di spesa degli enti ed è, quindi, diretto ad evitare che somme reperite dallo Stato attraverso il ricorso al mercato finanziario e comportanti, pertanto, il pagamento di onerosi interessi da parte dello Stato stesso, restino giacenti presso i vari tesorieri degli enti pubblici, dando vita ad una produzione di interessi a favore dei medesimi enti scaturente da somme prese a prestito dallo Stato stesso.
Il presupposto di tale delineato sistema è esclusivamente l’utilizzo da parte degli enti di fondi pubblici: è significativa (ed è al contempo decisiva per la soluzione della controversia in esame) la circostanza che l’articolo 38 della legge 7 agosto 1982, n. 526 (recante “Provvedimenti urgenti per lo sviluppo dell’economia” abbia stabilito espressamente che “l’articolo 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119), non si applica agli enti previdenziali autonomi di categoria e alle aziende pubbliche degli enti locali che non ricevono trasferimenti a carico dei bilanci dello Stato, delle regioni o degli enti locali”.
Questa limitazione è in insanabile contrasto con l’estensione contenuta nel provvedimento impugnato.
II.2.2. Ciò posto, soprattutto in relazione alla puntuale disposizione contenuta nel citato articolo 38 della legge 7 agosto 1982, n. 526, non vi è dubbio che l’impugnato decreto del 2 luglio 1990 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, nella parte in cui ha ritenuto di poter includere nella tabella A, annessa alla legge 29 ottobre 1984, n. 720, indiscriminatamente tutte le aziende provincializzate e municipalizzate e le aziende e i consorzi fra province e comuni per l’erogazione di servizi pubblici, senza darsi carico di accertare se detti enti ricevessero o meno trasferimenti a carico dei bilanci dello Stato, delle regioni o degli enti locali, non può costituire legittima espressione del potere di modificazione e di integrazione riconosciuto in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri dal quarto comma dell’articolo 2 della stessa legge n. 720 del 1984, trattandosi di una scelta che si pone in stridente ed insanabile contrasto con la rado della disciplina della stessa tesoreria unica.
Non è invero sufficiente, proprio per la puntuale disposizione del più volte citato articolo 38 della legge n. 526 del 1982, a sorreggere la legittimità del decreto controverso il mero richiamo alla “connotazione giuridica” degli enti in questione ovvero la circostanza che “i loro flussi finanziari interessano direttamente o indirettamente la finanza pubblica”: anche a voler prescindere dalla estrema labilità, inconsistenza ed equivocità delle espressioni così utilizzate, la Sezione non può non evidenziare che, soprattutto a fronte della dichiarata connotazione imprenditoriale della gestione dei predetti servizi pubblici, le amministrazioni appellanti nulla hanno obiettato e controdedotto, nè tanto meno hanno provato circa trasferimenti a carico dei bilanci statali, regionali e degli enti locali per l’espletamento dei relativi servizi pubblici.
Resta pertanto confermata la fondatezza delle censure mosse in primo grado all’impugnato decreto e correttamente accolte dai primi giudici.
III. In conclusione, alla stregua delle osservazioni svolte, l’appello deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero del Tesoro, avverso la sentenza n. 1305 del 13 settembre 1994 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sez. I), lo respinge.
Condanna le amministrazioni appellanti al pagamento in favore della CISPEL delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano complessivamente in €. 5.000,00 (cinquemila euro).
Ordina che la presente decisione sia dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 14 dicembre 2004, dal eseguita
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Quarta -riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti
Magistrati:
Stenio RICCIO - Presidente
Costantino SALVATORE - Consigliere
Filippo PATRONI GRIFFI - Consigliere
Vito POLI - Consigliere
Carlo SALTELLI - Consigliere, rel, est.
Depositata in segreteria
il 13 aprile 2005 |