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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 6296 del 2005, proposto dalla Dott.ssa Anna Giuseppina BEDINI, C.F. BDNNGS49C69E715Y, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Enrico Cellentani e Carla V. Efrati, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, Via Toscana n. 1;
contro
il Dott. Pierluigi MORI, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Bruno Riccardo Nicoloso del Foro di Firenze ed Enrico de Bernardinis del foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, Lungotevere della Vittoria n. 9;
e nei confronti
del Comune di Orbetello in persona del Sindaco in carica, n.c.;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, Sezione III, n. 2665 del 31 maggio 2005;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Dott. Pierluigi Mori;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla camera di consiglio del 27 settembre 2005, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; uditi, altresì, gli Avv.ti E. Cellentani e B.R. Nicoloso;
Vista la sentenza n. 2665/2005 della Sezione III del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana;;
Considerato che i difensori delle parti private, presenti in camera di consiglio, hanno fatto coincidente e motivata richiesta di decisione immediata della causa nel merito, a norma del combinato disposto degli artt. 21 e 26 della legge n. 1034 del 1971, ed in tale senso hanno sviluppato, in udienza, le rispettive ragioni difensive;
Ritenuti e considerati:
- la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria;
- l’opportunità di accogliere l’istanza degli interessati in considerazione dell’oggetto della controversia e della natura degli interessi in giuoco, sussistendo i presupposti per il trattenimento della causa per la decisione nel merito;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
1. La controversia si incentra su come debba essere sciolta la concorrenza di una pluralità di dipendenti di farmacia comunale, tutti aventi titolo alla prelazione contemplata dall’art. 12, comma 2, della legge 8 novembre 1991, n. 362, i quali non intendano costituirsi in società (in una delle forme di cui all’art. 7 della medesima legge n. 362/1991), ed hanno, al contrario, esercitato singolarmente, ciascuno per proprio conto ed interesse, l’indivisibile opzione contemplata dalla norma citata.
2.1. Nel caso in esame, i due attuali contendenti, entrambi farmacisti alle dipendenze della farmacia di titolarità del Comune di Orbetello, sono stati invitati dall’Ente (che ha previamente espletato, per il trasferimento della farmacia comunale, procedura pubblica di aggiudicazione condizionata all’esercizio della prelazione di cui al citato art. 12 “al corrispettivo offerto dall’aggiudicatario” provvisorio) all’esercizio della opzione previa costituzione in società, con l’avvertimento che in caso di esercizio disgiunto l’Amministrazione si sarebbe riservata di stabilire le modalità della gara che sarebbe stata effettuata per l’assegnazione della farmacia al migliore offerente. L’Ente ha successivamente indetto ed espletato la gara fra i due farmacisti in questione, per l’assegnazione a quello che avesse offerto il corrispettivo più alto rispetto a quello offerto dall’aggiudicatario (sulla base del previsto rialzo non inferiore ad € 10.000,00) ed ha disposto l’assegnazione definitiva alla attuale appellante, la quale nulla ha opposto al criterio prescelto dall’Amministrazione.
Al contrario, il Dott. Mori (in questo grado, appellato-resistente) ha dapprima impugnato, davanti al Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, la nota dirigenziale 6 agosto 2004, n. 30221, nella parte in cui ha previsto che “nel caso di esercizio disgiunto (del diritto di prelazione da parte dei farmacisti dipendenti) l’amministrazione si riserva di stabilire le modalità della gara che dovrà essere effettuata per l’assegnazione definitiva della farmacia al migliore offerente” e successivamente, con gruppi di motivi aggiunti nel medesimo giudizio, ha impugnato la deliberazione di Giunta del 15 settembre 2004 n. 26 ( con quale è stato dato atto dell’esercizio disgiunto del diritto di prelazione da parte dei due dipendenti in questione, sono stati invitati gli stessi a costituirsi in società per l’acquisto congiunto della farmacia alle condizioni offerte dall’aggiudicatario provvisorio e si è avvertito che in difetto si sarebbe proceduto ad asta fra i due prelazionari con il metodo dell’art. 27, lett. a, del R.D. n. 827/1924 con conseguente aggiudicazione al migliore offerteti) e la nota di trasmissione della medesima (I gruppo di motivi aggiunti), la determinazione del funzionario comunale n. 7272 del 5 ottobre 2004 (recante le modalità di gara tra i due prelazionari) (II gruppo di motivi aggiunti) e, infine, l’atto finale della procedura, cui l’interessato ha partecipato per mero tuziorismo (senza rinunciare al giudizio in corso) e che ha visto aggiudicataria l’attuale appellante (III gruppo di motivi aggiunti).
La tesi di fondo del ricorso principale e dei motivi aggiunti - sviluppata in una serie di articolate denuncie di illegittimità (diretta e/o derivata), per violazione di legge (art. 12 l. n. 362/1991, e artt. 1353, 1355, 2041 c.c.) ed eccesso di potere sotto vari profili compreso il vizio formale della motivazione – è nel senso che il diritto di prelazione attribuito dalla legge speciale, indivisibile ancorché proprio di ciascuno dei dipendenti in possesso dei requisiti, non tollererebbe, per sua natura, la soggezione degli aspiranti (indipendentemente dalla concorrenza che si determini fra gli stessi in caso di esercizio disgiunto) ad un onere di acquisto che eccede il prezzo offerto dal promettente acquirente (nel caso, l’aggiudicatario provvisorio), in quanto si verificherebbe, al contrario, una lesione della sfera di interessi del pubblico dipendente che la norma ha inteso tutelare, unitamente alla violazione dei principi – di diritto comune – che presiedono all’istituto della prelazione, con illegittimo arricchimento dell’Ente, non previsto dalla norma ed in palese contrasto con la sua finalità. La concorrenza, dunque - secondo il ricorrente in primo grado - deve essere composta reperendo aliunde i necessari criteri, in analogia agli orientamenti espressi dalla giurisprudenza per ciò che riguarda il differente istituto della prelazione in tema di alienazione di fondi agrari (L. n. 817/1971).
2.2. Con la sentenza gravata d’appello, la Sezione III del Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana – superate talune eccezioni preliminari, non riproposte in questa sede – ha sostanzialmente condiviso la tesi dell’originario ricorrente, ritenendo illegittima la subastazione ed annullando, pertanto, i provvedimenti e gli atti impugnati, salvo il riconosciuto potere discrezionale dell’Amministrazione di definire i criteri di scelta fra i prelazionari, con il limite della “coerente funzionalità con l’interesse pubblico che naturaliter inserisce alla gestione dell’esercizio farmaceutico”, ferme “le condizioni economiche” dell’opzione che, nella specie, non possono essere che quelle offerte dall’aggiudicatario provvisorio.
2.3. La tesi è avversata in questa sede dalla farmacista aggiudicataria (già costituita in primo grado per resistere all’impugnazione) la quale denuncia il vizio logico giuridico delle tesi sviluppate in sentenza e delle conclusioni alle quali il giudice di primo grado è pervenuto: sarebbe fuor di luogo l’analogica applicazione di principi giurisprudenziali desunti da sentenze della Suprema Corte di cassazione in tema di prelazione agraria, e ragionevole, oltre che conforme all’interesse pubblico, la soluzione del conflitto con il ricorso alla gara sul prezzo, idonea a soddisfare l’interesse dell’Ente pubblico all’ottimazione del risultato per le casse comunali, che ha rappresentato l’obiettivo primario dell’operazione di privatizzazione della farmacia comunale.
Il Comune (che, secondo quanto riferito in camera di consigli dai difensori delle parti private, si starebbe apprestando a dare esecuzione alla sentenza di primo grado in base alle indicazioni in essa contenute) è rimasto assente nel giudizio di appello; si è, al contrario, costituito, resistendo all’appello, l’originario ricorrente.
3.1. La Sezione condivide le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado ed il procedimento logico giuridico su cui si basano.
3.2. Deve darsi atto che la legge non disciplina il concorso di dipendenti aventi diritto alla prelazione nel caso di trasferimento della titolarità di farmacia comunale e che, d’altra parte, la casistica della giustizia amministrativa non offre precedenti specifici in materia.
E’ acquisita, in giurisprudenza, l’autosufficienza operativa dell’art. 12 della L. 8 novembre 1991 n. 362, che estende anche alle farmacie gestite dal Comune o da azienda municipalizzata o speciale la possibilità di vendita nel senso esposto nella sentenza appellata (aspetto questo non contestato con l’appello in esame), ma non risulta affrontato il problema del concorso fra farmacisti entrambi aventi uguale titolo all’esercizio della prelazione.
Sul punto l’appellato segnala un precedente della sezione di Parma del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna (n. 292 dell’8 settembre 1994), non adattabile alla caso in esame – per ciò che attiene il problema specifico della concorrenza – trattandosi (nel caso deciso con la sentenza citata) di controversia instaurata da dipendenti con qualifica di farmacista ma in posizione differente da quelli individuati dall’Ente come titolari del dritto di prelazione.
Invero, nella controversia all’esame della Sezione, nessuno dei due contendenti mette in discussione la titolarità dell’altro al diritto di prelazione.
Altro precedente della Sezione II del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (la sentenza n. 389 del 25 febbraio 1997 anch’essa citata dell’appellato) non è di alcun aiuto per la soluzione del problema.
3.3. Pertinenti e risolutive - ancorché affrontino il differente caso della prelazione agraria contemplata dall’art. 7, comma 2, n. 2, legge n. 817 del 1971 - appaiono, al contrario, sul tema che interessa, le pronunce della Suprema Corte di Cassazione che espressamente affrontano il problema del concorso fra prelazionari con uguale ed indivisibile titolo alla prelazione, i quali addivengano all’esercizio singolare e separato del loro diritto, e ciò indipendentemente dalla circostanza che, nella prelazione agraria, il conflitto fra prelazionari concorrenti trova soluzione, per lo più, nell’ambito di relazioni intersoggettive, che devono trovare nel giudizio ordinario la compiuta composizione, cosicché è lo stesso giudice ad individuare il criterio di preferenza fra l’uno e l’altro dei concorrenti.
Comune alle due ipotesi (prelazione dei confinanti in tema di alienazione di proprietà agraria e prelazione dei dipendenti in caso di farmacia comunale) è il principio (desumile dagli orientamenti espressi, in materia dalla Suprema Corte: per tutte Cass. Civ., Sezione III, 28 novembre 1998 n. 12092) secondo cui, allorché vi sia una pluralità di soggetti aventi titolo alla prelazione, il diritto di ciascuno è singolare ed indivisibile pro quota, cosicché le ipotesi in questione devono essere risolte in modo da preservare la non frazionabilità del bene su cui ricade l’interesse, in stretta correlazione con il fine pubblico al quale (nell’uno come nell’altro caso) si correla la speciale preferenza accordata alla sfera degli interessi privati presi in considerazione dalla norma di favore (ovvero, nel caso disciplinato dall’art. 7, comma 2, n. 2, legge n. 817 del 1971, il buon ordinamento agrario, e, nell’ipotesi di cui si discute, contemplata dal più volte citato art. 12, comma 2 della legge n. 362 del 1991, la migliore gestione dell’esercizio farmaceutico).
3.4. Sotto differente profilo, si osserva che a fronte della mancata definizione del diritto di prelazione nel diritto vigente, e della mancanza, in concreto di una disciplina comune dell’istituto, è tuttavia acquisita dalla giurisprudenza, del giudice ordinario come del giudice amministrativo, la nozione derivante dalla tradizione pattizia, secondo cui si ha prelazione allorché un soggetto si obbliga (mediante apposito patto) o é obbligato (per legge) a non concludere un determinato contratto con soggetto differente dal titolare del diritto di prelazione (o di preferenza) ove quest’ultimo accetti le stesse condizioni offerte dal terzo.
Invero, in talune remote sentenza del giudice ordinario, sembra farsi spazio la tesi secondo cui il riferimento alle condizioni offerte dal terzo non sarebbe essenziale, in quanto non snaturerebbe l’istituto la previsione di una preferenza accordata a condizioni diverse da quelle offerte dal terzo (in questo senso Cass.civ. 30 luglio 1054 n. 2783); ma appare significativo che, nella casistica di tale tipo le condizioni fatte al prelazionariario sono comunque più favorevoli di quelle offerte dal terzo, ed in ogni caso espressamente previste nel patto di preferenza..
Non si rinvengono ipotesi in cui, al contrario, sia stata ritenuta conciliabile con l’istituto l’aggravamento della posizione del contraente preferito.
La giurisprudenza amministrativa, in particolare, dà per acquisito il principio secondo cui, nel caso in cui sia espletata una gara la cui aggiudicazione è condizionata all’esercizio della prelazione del titolare del diritto di preferenza, a costui è data “la possibilità di rendersene aggiudicatario allo stesso prezzo della migliore offerta presentata” (per tutte Cons. Stato., Sez. V, n. 1399 del 26 novembre 1994).
3.5. La Sezione ritiene che in mancanza di specifica definizione normativa, la nozione di prelazione recepita dal legislatore, nella formulazione della norma contenuta nel comma 2, del più volte citato art. 12 della legge n. 362 del 1991, non può che essere quella derivante dalla tradizione pattizia, nel senso dianzi specificato e recepito dalla giurisprudenza del giudice amministrativo.
Chiara è, peraltro, sul punto, la finalità della norma che accorda preferenza ai dipendenti, nell’acquisto della farmacia; essa è destinata ad operare, nel silenzio della legge, nei limiti in cui gli stessi accettino di contrarre alle condizioni economiche desunte dall’offerta più vantaggiosa per l’Amministrazione.
Invero, il sistema normativo attribuisce all’Ente il potere di decidere la privatizzazione in funzione dei vantaggi derivanti alle sue casse: l’economicità dell’operazione condizionerà ed orienterà in questo senso le scelte operative e le condizioni di gara (I comma dell’art. 12) ma è logicamente e cronologicamente anteriore all’esercizio della prelazione, senza possibilità di incidere sulla preferenza accordata dal legislatore ai dipendenti della farmacia, rispetto alla quale nessuna discrezionalità è conferita all’Ente pubblico per ciò che concerne le condizioni economiche alle quali l’opzione deve essere esercitata.
In altri termini, la prelazione è un diritto potestativo che l’Ente è destinato a subire, senza avere il potere di alterarne le condizioni economiche, che restano fissate, all’esito della pubblica gara, nella offerta dell’aggiudicatario provvisorio.
In buona sostanza, la legge attribuisce all’evidenza pubblica contemplata nel primo comma dell’art. 12 in esame, fra l’altro, la funzione di individuare quale sia, per le casse dell’Ente, il massimo di economicità dell’operazione di privatizzazione, e nel contempo, le condizioni alle quali deve essere esercitata la prelazione contemplata nel secondo comma dello stesso articolo, nella cui statuizione entrano in giuoco, con la preferenza accordata al dipendente, interessi pubblici di natura del tutto differente, che involgono, con la tutela dei farmacisti dipendenti, la gestione ottimale dell’esercizio farmaceutico, connesso anche alla valorizzazione dell’esperienza professionale conseguita attraverso l’espletamento dell’attività alle dipendenze dell’Ente.
E’ pur vero, dunque, che la concorrente posizione di prelazionari non disposti a costituirsi in società ingenera la necessità di fare ricorso a criteri (non previsti dalla legge) per la scelta (indivisibile) del contraente da preferire e che, come del resto precisato dal giudice di primo grado, tale scelta è rimessa alla stessa amministrazione titolare della farmacia da trasferire, non spettando al giudice amministrativo, nella materia, poteri analoghi a quelli che il giudice ordinario è legittimato ad esercitare, nella regolamentazione, per quanto riguarda il caso concreto, di relazioni intersoggettive interamente paritetiche.
E tuttavia - come pure rilevato dal giudice di primo grado – l’ampia discrezionalità di cui gode l’Amministrazione nel definire i suddetti criteri, non include anche la possibilità di alterare, per gli aspetti economico-patrimoniali, la posizione di vantaggio offerta dalla legge (in vista di interessi affatto diversi dal maggiore utile per l’economia comunale) in favore dei prelazionari, imponendo loro un concorso sul prezzo e, dunque, in definitiva una acquisto a condizioni più gravose, economicamente, da quelle offerte dall’aggiudicatario provvisorio.
Un criterio di questo tipo è, con tutta evidenza, viziato da eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento, oltre che per violazione di legge, con riferimento al combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’art.12 della legge n. n. 362 del 1991, che pongono a monte della prelazione le scelte che presiedono alla privatizzazione, ed indirizzano l’Ente pubblico nella scelta di prelazionari eventualmente concorrenti, in funzione degli interessi specificamente inerenti alla migliore gestione del servizio farmaceutico.
4. Ritenuto, in conclusione, che l’appello deve essere respinto, in quanto infondato, ma che le spese del giudizio devono essere interamente compensate fra le parti, in considerazione della novità della questione;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) - definitivamente pronunciando a norma degli artt. 21 e 26 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, testo vigente – respinge l’appello in epigrafe;
Compensa interamente fra le parti le spese del giudizio;
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 27 settembre 2005, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Agostino ELEFANTE PRESIDENTE
Corrado ALLEGRETTA CONSIGLIERE
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Est. CONSIGLIERE
Goffredo ZACCARDI CONSIGLIERE
Aldo FERA CONSIGLIERE
Il Presidente
F.to Agostino Elefante
L'Estensore Il Segretario
f.to Chiarenza Millemaggi Cogliani F.to Gaetano Navarra
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 5 ottobre 2005
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
PER IL DIRIGENTE
F.to Livia Patroni Griffi |