REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 9704 dell'anno 2004, proposto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t., e dall'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, in persona del legale rappresentate p.t. rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato e presso la stessa domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12.;
contro
F.A.P.A. s.r.l., in liquidazione, in persona del procuratore speciale dott. Paolo Angelo Sabatini rappresentata e difesa dall'avv. Corrado Mauceri e dall’avv. Diego Vaiano ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo sito in Roma, Lungotevere Marzio n. 3;
e nei confronti
della VISCONTEA-COFACE - Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Maria Giovanna Scioscia e Carlino Scopone e presso la prima domiciliata in Roma, Via La Spezia n. 74;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per la Lombardia Sez. Brescia in data 18 giugno 2004 n. 664;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Procuratore speciale della FA.PA srl e del legale rappresentante della Viscontea Coface s.p.a. ;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;
Visti tutti gli atti di causa;
data per letta alla pubblica udienza del 12 luglio 2005 la relazione del Cons. Sandro Aureli;
Uditi, altresì, gli avv.ti Diego Vaiano e l’Avvocato dello Stato Giordano;
Ritenuto in fatto e in diritto:
FATTO
con ricorso alla Sezione di Brescia del T.a.r della Lombardia, la srl FA.PA chiedeva l’annullamento del decreto del Direttore Generale dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato di prot. 2003/27772/COA/BNG, emesso in data 17 giugno 2003.
La FA.PA, aveva, infatti, ottenuto nel 2002 e per la durata contrattuale di sei anni, la concessione del servizio relativo alla gestione del gioco del bingo, presso la sala di Montichiari (BS), ma con lettera raccomandata del 7 marzo 2003 comunicava all’Amministrazione di voler rinunciare alla detta concessione, così cessando l’attività.
Di qui l’impugnato decreto direttoriale sopra descritto, con il quale si procedeva all’escussione della fideiussione di cui alla polizza assicurativa dalla Società prestata, a norma della convenzione accedente alla concessione (art. 6), a copertura del deposito cauzionale di un miliardo di vecchie lire, a garanzia dell’adempimento dei propri obblighi.
Il giudice di primo grado, ha condiviso quanto sostenuto dalla Società ed ha accolto il ricorso argomentando che il deposito cauzionale, fermo restando l’obbligo del concessionario di patire i danni per aver rinunciato anticipatamente alla gestione, non può essere assimilato sic et simpliciter alla clausola penale, in assenza di specifica volontà contrattuale della parti, ed nell’interpretazione da dare alle norme generali del settore concessioni (e dei contratti pubblici) (R.D. 23/571924 n. 827; D.M. 197472000 n. 145), onde illegittimamente l’Amministrazione aveva proceduto all’escussione della fideiussione senza fornire la prova del danno subito, dell’inadempimento e del nesso causale tra di essi, essendosi piuttosto in presenza di una garanzia reale generica.
L’Amministrazione statale appellante chiede la riforma della sentenza considerando errata l’argomentazione che ha portato il primo giudice ad escludere la presenza di una clausola penale nella convenzione di che trattasi, sottolineando al riguardo che la “cauzione” ivi prevista non è tanto riferibile al R.D. del 1924 bensì proprio alle norme civilistiche, essendo essa una “modalità” che ha assunto la prestazione di una penale al fine di consentire all’Amministrazione di conseguire prontamente una liquidazione forfetaria di una somma in seguito all’inadempimento dell’aggiudicatario della concessione.
La Società appellata respinge le argomentazioni dell’Amministrazione appellante chiedendo la conferma della sentenza, ovvero, in alternativa, l’accoglimento dell’appello incidentale contestualmente proposto in relazione alle censure ritenute infondate e respinte espressamente dal primo giudice.
Si è costituita la compagnia di assicurazione e di riassicurazione “LA VISCONTEA-COFACE”, datrice della polizza depositata dalla FA.PA srl, svolgendo argomenti in linea con quelli dall’assicurata.
L’appellante ha depositato memoria con la quale ha ribadito sinteticamente le proprie ragioni.
All’udienza odierna il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
Il tema controverso suscitato dal ricorso in esame, riguarda la natura della clausola contrattuale (art. 6) in forza della quale il concessionario dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, che ha sottoscritto la convenzione impegnandosi a rendere per sei anni il servizio riguardante la gestione del gioco del bingo, ha dovuto depositare una cauzione, a garanzia dell’adempimento dei propri obblighi.
Deve, in particolare, essere stabilito se in caso di inadempimento del concessionario agli obblighi convenzionalmente assunti, fosse consentito all’Amministrazione concedente di procedere senz’altro all’incameramento della cauzione, alla stregua degli effetti propri della clausola penale di derivazione civilistica (artt. 1382 e segg. ), ovvero, se, attesa la sua natura di garanzia reale generica, sussistesse l’onere di provare, prima, il danno, l’inadempimento ed il nesso di causalità tra di essi.
E’ bene sottolineare, per quanto emerge anche dalla esposta narrativa, che nella fattispecie non v’è contrasto tra le parti né in merito alla sorte del rapporto concessorio, il cui scioglimento è invero indiscusso, avendo il concessionario rinunciato a gestire l’attività oggetto della concessione, né in ordine all’esistenza di un inadempimento di quest’ultimo, essendo egli venuto meno all’obbligo di gestire il gioco del bingo per sei anni.
Si discute invece delle conseguenze di tale inadempimento, in punto di presupposti per l’utilizzazione del deposito cauzionale, al fine di riparare le conseguenze dannose derivatene.
Ciò premesso, la Sezione ritiene che la questione controversa non appartenga alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Il giudizio de quo è sorto e si è concluso nella vigenza dell’art. 33 d.leg. 80/98, modificato dall’art. 7 della legge n. 205 del luglio del 2000.
E’ utile notare come il primo giudice non ha potuto fare a meno di evidenziare che “la fattispecie all’esame… e di tipo contrattuale e …. resta assoggettata alla disciplina del codice civile”.
L’art. 7 sopra richiamato ha sancito in effetti, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per “tutte le controversie in materia di pubblici servizi”; in linea con tale previsione il 3° comma ha poi escluso l’applicabilità dell’art. 5 l. 1034 /71, sopprimendo le parole “ o di servizi” in esso inserita.
Non è inutile in proposito richiamare in questo giudizio l’orientamento giurisprudenziale formatosi nell’esegesi dell’art. 5 della legge del 1971, favorevole alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le quante volte “il rapporto concessorio entri a far parte a pieno titolo del thema decidendum “e quindi anche nel caso in cui il giudice, al fine di conoscere spettanze di carattere economico, doveva spingersi fino alla considerazione della portata e del contenuto del rapporto concessorio. (Corte Cass. Sez. Un. 10 dicembre 1999 n. 874).
Senonchè s’impone il richiamo alla sentenza n. 204 del 6 luglio del 2004, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 7 della legge n. 204 (ndr. 205), ponendo in modo nuovo, ovviamente anche in materia di servizi pubblici, il tema del riparto della giurisdizione tra il giudice amministrativo ed il giudice ordinario; da un lato, escludendo che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo possa essere ancorata alla pura e semplice presenza della pubblica amministrazione, e dall’altro, chiarendo che le “particolari materie” indicate dall’art. 103, 1 comma, Cost., debbono essere individuate tra quelle in cui si determina un legame pressoché “inestricabile” tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, non potendo fondarsi la giurisdizione esclusiva amministrativa sul dato, oggettivo, delle materie.
C’è stato, quindi, al fine del riparto della giurisdizione, un ritorno alla tormentata distinzione tra diritti soggetti ed interessi legittimi; all’insufficienza del criterio del petitum, alla necessità di tener conto anche della causa pretendi, vale a dire delle ragioni giuridiche poste a fondamento della domanda, individuate attraverso la disciplina posta dall’ordinamento; al riemergere quindi del criterio del “petitum sostanziale” (Cass. Sez. Un. n. 8438 del 04.05. 2004).
Con una, per quanto qui interessa, “riscrittura” dell’art. 5 della legge del 1971, che sulla base dell’innovativa motivazione adottata della Corte, parrebbe porre un ostacolo al riemergere sic et simpliciter della giurisprudenza in materia di servizi pubblici, alla quale si è accennato in precedenza.
Nel pensiero della Corte la materia dei pubblici servizi può, infatti, costituire oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo se “in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero, attesa la facoltà riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si avvale di tale facoltà”, la quale, evidentemente, presuppone l’esistenza di potere autoritativo.
Dal che sembra debba discendere che il riconoscimento di spettanze di carattere economico, quantunque incidenti sul rapporto concessorio, giammai potrebbe rientrare nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ove trovassero la loro matrice nella convenzione che accede alla concessione.
Ma al di là di tutto ciò, nella fattispecie in esame, della “novità” introdotta dalla sentenza n. 204, non si può in ogni caso prescindere, giacchè, l’iniziativa di procedere all’incameramento della spettanza di cui al deposito cauzionale, esclusa, come osservato, ogni sua incidenza sul rapporto concessorio, è stata assunta dall’amministrazione sulla base di una clausola della convenzione accedente alla concessione, e dunque al di fuori dell’esercizio di un potere autoritativo.
Resta solo da ribadire che l’efficacia immediata della sentenza n. 204, non trova alcun ostacolo nella specie nel principio codificato dall’art. 5 del c.p.c. al fine di individuare il momento determinativo della giurisdizione, poiché le sentenze della Corte Costituzionale non sono assimilabili a legge innovativa sopravvenuta, né sul giudizio pendente è intervenuta una decisione sulla giurisdizione della Corte di Cassazione (Cons. Stato Sez., IV 27.12.2004 n. 6329).
In conclusione, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando, dichiara il difetto di giurisdizione in ordine al giudizio in epigrafe.
Spese compensate in entrambi i gradi del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio con l'intervento dei signori:
Paolo Salvatore Presidente
Costantino Salvatore Consigliere
Pier Luigi Lodi Consigliere
Anna Leoni Consigliere
Sandro Aureli Consigliere, est.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Sandro Aureli Paolo Salvatore
IL SEGRETARIO
Rosario Giorgio Carnabuci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
27 ottobre 2005
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
Il Dirigente
Giuseppe Testa |