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Consiglio di Stato, Sez. VI, 26/10/2005 n. 5981
Sulla sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in ordine al recesso della stazione appaltante a seguito di informativa prefettizia relativa a tentativo di infiltrazione mafiosa.

Materia: appalti / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dal C. società coop. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.to Mario Tonucci, ed elettivamente domiciliato presso lo stesso, in Roma, via Principessa Clotilde, n. 7;

 

contro

Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro tempore, e Prefettura - Ufficio territoriale del governo di Roma, in persona del Prefetto pro tempore, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso la stessa in Roma via dei Portoghesi n. 12;

Raffineria di G. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giorgio Lenzi, Michele Pallottino e Bruna D'Amario, ed elettivamente domiciliato presso il secondo. in Roma, piazza dei Martiri di Belfiore, n. 2;

Polimeri Europa s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giorgio Lenzi, Michele Pallottino e Bruna D'Amario, ed elettivamente domiciliato presso il

secondo, in Roma, piazza dei Martiri di Belfiore, n. 2;

Eni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giorgio Lenzi, Michele Pallottino e Bruna D'Amario, ed elettivamente domiciliato presso il secondo, in Roma, piazza dei Martiri di Belfiore, n. 2;

e con l'intervento ad adiuvandum di

S. F., costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Salvatore Raimondi e Francesca Sbrana, ed elettivamente domiciliato presso la seconda, in Roma, via Cola di Rienzo, n. 52;

 

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I ter, n. 854/2004 pubblicata il 1-2-2005;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti appellate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 15-7-2005 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.

Uditi l'avv. Troiano per delega dell'avv. Tonucci, l'avv. Pallottino e l'avv. dello Stato Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 

FATTO E DIRITTO

1. Il C., società cooperativa avente sede a Roma e con una importante unità operativa in G., ha impugnato il provvedimento del 31 marzo 2004, con cui il prefetto di Roma ha ritenuto sussistere nei confronti del consorzio il pericolo di condizionamento mafioso ai sensi dell'articolo 10, comma 7, del DPR n. 252/98; la nota della prefettura di Roma con cui il 27 aprile 2004, a seguito di richiesta di riesame e nuova istruttoria, è stato confermato il predetto provvedimento; le note con cui Raffineria di G. s.p.a., Polimeri Europa s.p.a. ed Eni s.p.a. hanno comunicato di ritenere risolti tutti i contratti o i rapporti in essere con il consorzio ricorrente.

Con l'impugnata sentenza il Tar ha respinto il ricorso, ritenendo che i provvedimenti della prefettura fossero fondati su idonei elementi istruttori e che gli impugnati atti di revoca dei rapporti contrattuali costituissero una conseguenza obbligata a seguito delle informative del prefetto.

Il C. ha proposto appello avverso tale decisione per i seguenti motivi:

1) violazione dell'art. 10, comma 7, lett. e), del DPR n. 252/98;

2) travisamento ed erronea valutazione dei fatti; insussistenza degli elementi istruttori posti a fondamento dei provvedimenti impugnati con particolare riguardo alle posizioni degli ex dipendenti Trefolo e S.;

3) violazione dell'articolo 7 della legge n. 241 del 1990;

4) difetto di motivazione;

5) insussistenza di un obbligo di recesso dai contratti in capo alle società appellate;

6) accertamento del diritto del consorzio ricorrente al risarcimento dei danni a causa dell'illegittimo comportamento dei soggetti appellati.

Il Ministero dell'interno e la Prefettura - Ufficio territoriale del governo di Roma si sono costituiti in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

Raffineria di G. s.p.a., Polimeri Europa s.p.a. ed Eni s.p.a., costituitisi in giudizio, hanno proposto appello incidentale, rilevando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda relativa al recesso dai contratti.

S. F. è intervenuto ad adiuvandum, chiedendo l'accoglimento del ricorso.

All'odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L'oggetto del presente in giudizio è costituito dall'impugnazione dell'informativa antimafia resa dal prefetto di Roma nei confronti del consorzio appellante e dei conseguenti atti di recesso dai rapporti contrattuali posti in essere dalle società Raffineria di G. s.p.a., Polimeri Europa s.p.a. ed Eni s.p.a..

Sotto il profilo procedimentale il consorzio appellante deduce la violazione dell'articolo 7 della legge n. 241 del 1990 per non essere stato comunicato l'avvio del procedimento concluso con l'informativa del prefetto.

Il motivo è infondato.

Come già riconosciuto dalla Sezione, a causa della peculiarità dei procedimenti antimafia non vi è spazio per una partecipazione dell'interessato, trattandosi di accertamenti fondati o su provvedimenti giudiziari o sull'esito di indagini di polizia sottratte per ragioni di segretezza alla disciplina della legge n. 24111990; si tratta di procedimenti in cui la segretezza verso l'interessato condiziona l'efficacia stessa dei risultati dell'attività indagatoria con conseguente inapplicabilità dell'art. 7 della legge n. 241/90 (Cons. Stato, VI, n. 4724/2001; n. 149/2002 anche con riferimento alla sussistenza in re ipsa di ragioni di urgenza incompatibili con la comunicazione di avvio del procedimento).

3. Il consorzio appellante ha anche dedotto il vizio di difetto di motivazione degli impugnati provvedimenti.

            Anche tale motivo è privo di fondamento, in quanto il decreto del prefetto di Roma è motivato per relazione agli atti istruttori di organi di polizia richiamati nelle premesse.

            Anche in questo caso, nel citato precedente la Sezione ha già affermato la legittimità dell'informativa antimafia che omette di citare testualmente i singoli atti dell'istruttoria, essendo sufficiente il mero richiamo per integrare la motivazione "per relationem" ex art. 3 1. 7 agosto 1990 n. 241 (Cons. Stato, VI, n. 4724/2001).

            4. Con il primo motivo di ricorso il consorzio ha rilevato che la sentenza impugnata è fondata su un erroneo presupposto, costituito dalla qualificazione come vincolati dei poteri di cui all'art. 10, comma 7, lett. c), del DPR n. 252/98.

In effetti, il giudice di primo grado ha affermato che la competenza prefettizia in materia è tendenzialmente vincolata, nel senso che il prefetto deve limitarsi ad una verifica della serietà e congruenza degli elementi indicativi del pericolo di infiltrazione mafiosa.

Al riguardo, si rileva che la giurisprudenza prevalente riconosce il carattere discrezionale dei poteri previsti dall'art. 4, comma 4, del D. Lgs. 490/1994 e dall'art. 10, comma 7, del D.P.R. 252/1998 (Cons. Stato, IV, n. 2783/2004).

Tuttavia, ciò che rileva al fine di un corretto sindacato giurisdizionale non è tanto la qualificazione del tipo di attività amministrativa, ma piuttosto l'intensità del controllo che il giudice amministrativo può esercitare sugli atti impugnati.

Nel caso delle informative antimafia il potere esercitato dall'autorità prefettizia consiste in genere nell'acquisizione di fatti da parte degli organi di polizia e nella valutazione di tali fatti ai fini del giudizio sul pericolo di infiltrazione mafiosa.

La veridicità dei fatti e la loro rilevanza ai fini della informativa antimafia sono elementi sindacabili da parte del giudice amministrativo.

Non è quindi corretto quanto sostenuto dalle amministrazioni appellate circa l'impossibilità del giudice di sindacare valutazioni, che, nel caso di specie, atterrebbero al merito amministrativo.

Tenuto conto di tali precisazioni, le preoccupazioni esposte dal consorzio appellante con il primo motivo di ricorso non sono fondate, in quanto la qualificazione come vincolata dell'attività contestata non ha comunque determinato alcuna diminuzione del grado di effettività della tutela; ed anche ipotizzando tale diminuzione, nella presente sede del giudizio di appello l'effettività della tutela è garantita dall'affermato carattere del sindacato giurisdizionale.

5. Ciò premesso, si può ora passare ad esaminare il punto centrale della controversia, che è costituito dalla valutazione degli elementi ritenuti l'indice del tentativo di infiltrazione mafiosa.

Il Collegio ritiene di dover esaminare separatamente i fatti richiamati nel primo provvedimento prefettizio e quelli posti a fondamento del successivo provvedimento con cui è stata definita in senso negativo l'istanza di riesame del consorzio appellante.

Le censure proposte dal consorzio avverso il provvedimento del 31 marzo 2004 sono prive di fondamento.

Va premesso che l'istituto della informativa di cui all'art. 4 del D.Lgs.490/94 non fa riferimento esclusivamente a fatti aventi rilevanza penale o alla esistenza di misure di prevenzione a carico del soggetto interessato.

Al contrario, le determinazioni prefettizie in materia di lotta antimafia, sono fondate su fatti e vicende aventi valore sintomatico e indiziario e mirano alla prevenzione di infiltrazioni mafiose e criminali nel tessuto economico imprenditoriale, anche a prescindere dal concreto accertamento in sede penale di uno o più reati che vi siano direttamente connessi (cfr., Cons. Stato, VI, n. 4724/2001; n. 149/2002).

L'informativa antimafia deve quindi fondarsi su di un quadro fattuale di elementi che, pur non dovendo assurgere necessariamente, a livello di prova (anche indiretta), siano tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l"'id quod plerumque accidit", l'esistenza del rischio di infiltrazioni mafiose (Cons. Stato, IV, n. 2615/2004).

L'ampiezza dei poteri di accertamento circa i tentativi di infiltrazione mafiosa o della criminalità organizzata, giustificata dalla finalità preventiva del provvedimento, giustifica che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza - quali una condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti - ma che, nel loro coacervo, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali. di soggetti legati ad organizzazioni mafiose (Cons. Stato, V. n. 4408/2005).

Inoltre, l'amministrazione è chiamata a valutare non la sussistenza di un effettivo condizionamento mafioso, ma solo il rischio di tale condizionamento derivante da "eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate".

Nel caso di specie, l'informativa impugnata è fondata sui seguenti elementi:

- ruolo svolto all'interno del consorzio fino al 2000 da G. T., già sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e con diversi precedenti penali (arrestato anche nel gennaio 2002 nell'ambito dell'operazione "Metamorfosi" e in contatto con numerosi esponenti della Stidda);

- attività svolta dopo il 1999 dallo stesso T. attraverso la creazione di E. s.r.l. finalizzata a scavalcare il referente unico nazionale del consorzio appellante, anche attraverso atti intimidatori consumati contro dirigenti e dipendenti del consorzio;

- ruolo svolto dal 2000 da S. F., inquadrato come impiegato tecnico nella struttura consortile, ma in realtà vero e proprio dirigente, che di fatto partecipava alle più importanti riunioni e decisioni del consorzio (segnalati anche indizi del fatto che il rapporto di dipendenza con il consorzio fosse solo fittizio e creato al fine di poter accedere quotidianamente alla struttura del petrolchimico );

- precedenti penali e segnalazioni a carico dello S. e rapporti, anche di parentela, con esponenti di clan mafiosi.

Il consorzio appellante contesta la valutazione di tali elementi, effettuata dall'amministrazione e confermata dal Tar, rilevando che:

- il T. non ha mai ricoperto la carica di presidente del consorzio ed ha comunque cessato ogni rapporto con lo stesso fin dal febbraio del 2000, e non del 2002 come indicato dal Tar;

- ogni vicenda legata al T. non è quindi più ricollegabile all'attività del consorzio, tenuto anche conto che pende un contenzioso tra questo e il T., che è stato anche denunciato dal consorzio;

- in ogni caso il consorzio è stato soggetto passivo, e non autore, di atti intimidatori e non si può ritenere soggetto a rischio di infiltrazione mafiosa chiunque subisce intimidazioni o addirittura reagisce alle stesse;

S. F. non è mai stato dirigente del consorzio, né ha avuto poteri decisionali;

- la partecipazione dello S. ad una riunione non assume alcuna rilevanza ai fini dell'erroneo ruolo attribuito al dipendente dagli organi di polizia;

- il dipendente è stato comunque dapprima sospeso dal servizio e poi allontanato definitivamente con risoluzione del rapporto di lavoro. Si osserva che gli elementi evidenziati dal consorzio non sono idonei a dimostrare l'assenza del rischio di infiltrazione mafiosa, ritenuto invece sussistente dalla prefettura.

Tale rischio è stato desunto sulla base di una complessiva valutazione degli elementi sopra descritti.

Non è in contestazione tra le parti il fatto che la presenza del T. nel consorzio potesse costituire un rischio di infiltrazione mafiosa, tanto che lo stesso consorzio deduce come elemento a suo favore di fatto di aver allontanato ed anche denunciato tale soggetto.

Tuttavia, è un dato di fatto che fino al 2000 il T., risultato legato a clan mafiosi, abbia inciso sull'attività del consorzio e ne sia poi uscito solo allo scopo di acquisire, attraverso la creazione dell'E. srl, totale autonomia gestionale nelle commesse AGIP nell'ambito di quella che la questura di Caltanissetta ha definito una lotta intestina di potere tra cosche mafiose di diversa appartenenza.

E' quindi significativo il fatto che, uscito dal consorzio il T., nello stesso anno 2000 entri in scena lo S.

Tale soggetto, oltre ad avere precedenti penali, è sospettato di essere organico a cosa nostra ed è inoltre in rapporti di parentela con soggetti condannati per reati di mafia e ritenuti appartenenti a clan mafiosi.

Il tentativo di ridurre il ruolo dello S. a quello di un semplice dipendente del consorzio urta con alcuni dati di fatto, costituiti dalla presenza, altrimenti ingiustificata, del dipendente ad almeno un'importante riunione e dal fatto che le ulteriori attività imprenditoriali dello S. non giustificherebbero un rapporto di semplice dipendenza dal consorzio.

Del resto, nello stesso ricorso in appello il consorzio ha sostenuto di aver chiesto, dopo l'informativa della prefettura, chiarimenti al proprio dipendente e di aver poi risolto il rapporto di lavoro, non essendo pervenuto alcun chiarimento.

Tali chiarimenti non sono stati forniti neanche con l'atto di intervento in giudizio ad adiuvandum svolto dallo S., che si è limitato a sminuire alcuni fatti, quali quelli della partecipazione alla riunione e dei legami di parentela con soggetti mafiosi.

Va ribadito che l'istituto della informativa antimafia costituisce una forma di tutela anticipata e preventiva, in relazione alla quale assumono rilievo fatti e vicende solo sintomatici ed indiziari del mero pericolo di infiltrazione mafiosa.

Ovviamente, ciò non significa che è sufficiente un tentativo o una forma di intimidazione mafiosa per ritenere sussistente tale rischio, in quanto altrimenti si consegnerebbe proprio alle organizzazioni mafiose uno strumento per danneggiare quelle imprese che resistono ai tentativi di intimidazione.

Tuttavia, nel caso di specie, il consorzio appellante ha dimostrato di non avere un pieno controllo della propria unità operativa di G., avendo reagito solo con ritardo ad evidenti infiltrazioni avvenute sia prima del 2000, sia successivamente.

Peraltro, al momento dell'adozione della prima informativa prefettizia il ruolo dello S. all'interno del consorzio era ancora pienamente operativo e solo successivamente alle informazioni prefettizie il consorzio si è adoperato per chiedere spiegazioni e poi per allontanare il dipendente.

Ciò denota, quanto meno per il periodo storico preso in considerazione nella prima informativa, una incapacità del consorzio a controllare, e quindi impedire, eventuali tentativi di infiltrazione in relazione alle attività svolte a G..

Di conseguenza, deve essere respinto il ricorso relativo all'impugnazione del decreto del prefetto di Roma del 31 marzo 2004, con cui è stato ritenuto sussistente il pericolo di infiltrazione mafiosa.

6. Si deve invece giungere a conclusioni diverse per quanto riguarda la successiva nota della prefettura del 27 aprile 2004, con cui è stata respinta l'istanza di riesame presentata consorzio.

In data 19 aprile 2004 il consorzio appellante aveva infatti presentato al prefetto di Roma una istanza ampiamente motivata, con cui veniva chiesto il riesame del precedente provvedimento e l'accertamento del venire meno delle condizioni di cui all'art. IO del DPR n. 252/98.

In tale istanza erano stati indicati (ed allegati) tutti gli atti compiuti dal consorzio in relazione alla posizione del T. e era stato evidenziato la disponibilità a prendere opportuni provvedimenti nei confronti dello S..

Il prefetto di Roma ha respinto tale istanza sulla base delle ulteriori informazioni trasmesse dalla questura di Caltanissetta il 22 aprile 2004. con cui venivano ribaditi i pregressi elementi già valutati in sede di prima informativa.

Pur non sussistendo i presupposti per l'annullamento d'ufficio del precedente provvedimento, la cui legittimità è stata ribadita in questa sede, doveva tuttavia essere valutato il nuovo impegno preso dal consorzio al fine di evitare qualsiasi rischio di infiltrazione mafiosa e poi troncare i rapporti con tutti i soggetti ritenuti pericolosi a tal fine,

Nella sostanza, la prefettura, nel ribadire la legittimità della precedente informativa, avrebbe potuto valutare con una istruttoria più adeguata se effettivamente fosse venuto meno il rischio di infiltrazione mafiosa, a seguito degli impegni presi e della successiva effettiva realizzazione degli stessi.

Ciò proprio al già delineato scopo di evitare che ogni tipo di intimidazione da parte di organizzazioni mafiose possa solo per questo danneggiare le imprese e al fine di consentire a queste ultime di reagire (anche con ritardo) a tali tentativi, eliminando il rischio di infiltrazione.

Di conseguenza. deve essere accolto il ricorso proposto avverso la nota della prefettura di Roma del 27 aprile 2004.

Dall'annullamento di tale nota non deriva l'accertamento dell'insussistenza del rischia di infiltrazione mafiosa per il consorzio appellante, ma il solo obbligo per l'amministrazione di svolgere ulteriori accertamenti al fine di verificare e effettivamente come sostenuto dal consorzio, tale rischio sia oggi venuto meno.

A tal fine, le amministrazioni competenti non dovranno limitarsi a verificare se i soggetti in precedenza menzionati svolgono ancora un ruolo all'interna del consorzio, ma dovrà anche essere accertato se finalmente il consorzio stesso ha assunto idonee iniziative per un miglior controllo del proprio ufficio di G..

7. Deve a questo punto essere esaminata la domanda relativa agli atti di revoca dai rapporti contrattuali, posti in essere con le società odierne appellanti incidentali.

La conferma della legittimità dell'informativa prefettizia del 31 marzo 2004 non fa cessare l'interesse al motivo, in quanto secondo la tesi dell'appellante la legge prevederebbe la sola facoltà di recesso, e non anche un obbligo in tal senso, come ritenuto dal Tar.

Raffineria di G. s.p.a., Polimeri Europa s.p.a. ed Eni s.p.a. hanno proposto appello incidentale, rilevando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda relativa al recesso dai contratti.

Gli appelli incidentali sono fondati.

L'art. 11 del DPR n. 2521/98 prevede che le in assenza delle informazioni prefettizie i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni sono corrisposti sotto condizione risolutiva e l'amministrazione interessata può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. Le facoltà di revoca e di recesso si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto.

Pur facendo riferimento alle "amministrazioni", tale disciplina si applica ai sensi dell'art. 1 dello stesso DPR anche a società o imprese controllate dallo Stato o da enti pubblici ed è questo proprio il caso delle tre menzionate società che operano nel settore petrolchimico a G..

Tali società non sono concessionarie di pubblico servizio, né possono essere qualificate come soggetti pubblici, ma sono tuttavia tenute all'osservanza della menzionata disciplina antimafia.

Gli atti di recesso, contestati dall'appellante, hanno riguardato alcuni contratti quadro "aperti" stipulati tra il consorzio e la Raffineria di G. e la Polimeri, con cui erano stati concordati determinate condizioni da applicare ai rapporti con il consorzio C.; era inoltre previste una clausola risolutiva in caso di perdita dei requisiti antimafia.

Per quanto concerne l'ENI, il recesso ha riguardato l'esclusione dalla c.d. "vendor list" e la revoca delle "lettere di qualifica", che in alcun modo impegnavano l'ENI ad affidare appalti al consorzio.

In tutti i casi, non si è in presenza di provvedimenti di carattere autoritativo, incidenti su una procedura di evidenza pubblica, ma si tratta di atti di natura privatistica incidenti su rapporti contrattuali, sempre privatisti, assoggettati alla disciplina antimafia e in cui vi era una specifica clausola risolutiva per la perdita dei requisiti antimafia (la natura autoritativa di atti adottati ai sensi del cit. art. 11 era invece stata sostenuta da Cons. Stato, IV, n. 4780/2001 sulla base di considerazioni comunque non applicabili al caso di specie, caratterizzato da atti di recesso da contratti aperti o dalla semplice esclusione di una "vendor list").

Peraltro, gli atti adottati dall'Eni non hanno inciso su alcun contratto tra tale società e il consorzio, ma sulla sola possibilità di sottoscrivere contratti attraverso l'utilizzo da parte dell'Eni della c.d. "vendor list".

La natura privatistica di tali atti di recesso conduce ad escludere la sussistenza di un potere autoritativo, peraltro in capo a soggetti privati, con la conseguente configurazione di posizioni di diritto soggettivo attinenti alla fase dell'esecuzione di contratti o addirittura la fase che precede la stipula di tali contratti (“vendor list”).

Tali fattispecie non rientrano in alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non trattandosi né di "controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale" (art. 6 della legge n. 205/2000), né di controversie in materia di pubblici servizi ex art. 33 del D. lgs. n. 80/98, come risultante a seguito della sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale.

Di conseguenza, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo tali controversie alla giurisdizione del giudice ordinario, davanti al quale peraltro il consorzio C. ha già proposto azione.

8. Deve infine essere respinta la domanda di risarcimento del danno.

Infatti, la conferma della legittimità della prima informativa antimafia determina che alcun danno può essere derivato al consorzio appellante in conseguenza di attività legittima dell'amministrazione.

Per quanto concerne la reiezione dell'istanza di riesame, come già detto, l'annullamento di tale atto comporta solamente l'obbligo per l'amministrazione di verificare se siano venuti meno i rischi di infiltrazione mafiosa, e non anche l'accertamento dell'insussistenza di tale rischio.

Conseguentemente, il consorzio appellante non può, allo stato, pretendere alcun danno derivante da una informazione antimafia negativa, risultata legittima, mentre deve essere ancora dimostrato ed accertato nelle competenze sedi che il rischio di infiltrazione mafiosa è venuto meno.

9. In conclusione, l'appello deve essere in parte accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere annullata la nota del prefetto di Roma del 27 aprile 2004.

Devono, inoltre, essere accolti i ricorsi in appello incidentale, proposti da Raffineria di G. s.p.a., Polimeri Europa s.p.a. ed Eni s.p.a. e deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle domande relative agli atti di recesso dai contratti, con conseguente annullamento senza rinvio della relativa statuizione della sentenza impugnata.

Per la restante parte il ricorso in appello deve essere respinto. Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie in parte il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla la nota del prefetto di Roma del 27 aprile 2004.

Accoglie i ricorsi in appello incidentale, proposti da Raffineria di G. s.p.a., Polimeri Europa s.p.a. ed Eni s.p.a. e dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alle domande relative agli atti di recesso dai contratti, con conseguente annullamento senza rinvio della relativa statuizione della sentenza impugnata.

Respinge nel resto il ricorso in appello.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 15-7-2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Claudio Varrone          Presidente

Carmine Volpe Consigliere

Domenica Cafini          Consigliere

Guido Salerai               Consigliere

Roberto Chieppa         Consigliere Est.

 

Presidente

 Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il 26 ottobre 2005

 

 

 

Note: Nota alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 26 ottobre 2005, n. 5981. Contratti della P.A.-Informative prefettizie antimafia- Tentativo di infiltrazione mafiosa-Presupposti-Recesso della stazione appaltante-Difetto di giurisdizione del g.a..
di Santi Dario Tomaselli

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