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TAR Friuli Venezia Giulia, 12/12/2005 n. 986
Sui presupposti necessari perché l'ente territoriale affidante eserciti sul soggetto gestore un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi.

E' da escludersi che una società sia sottoposta ad un penetrante controllo economico e gestionale da parte egli enti locali proprietari, analogamente a quanto avrebbero potuto fare con un servizio gestito direttamente, nel caso in cui è previsto da parte degli enti associati un controllo su alcuni aspetti importanti dell'attività svolta dalla società ma solo attraverso l'assemblea degli azionisti ed il consiglio di amministrazione, mancando però un "assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato" da parte degli enti nel loro complesso, riguardante "l'insieme dei più importanti atti di gestione". Ciò è tanto più vero se il consiglio di amministrazione detiene amplissimi poteri di gestione, che possono essere gestiti autonomamente.

Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, nelle persone dei magistrati:

Vincenzo Borea – Presidente

Oria Settesoldi - Consigliere

Vincenzo Farina – Consigliere relatore

ha pronunciato la seguente

 

sentenza

sul ricorso n. 132/04 proposto dalla società AMGA-Azienda Multiservizi s.p.a., in persona del Presidente del Consiglio di amministrazione, rappresentata e difesa dall’ avv. Angelica Citossi, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia ;

 

contro

il Comune di Faedis, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Piero Zanfagnini e Luca Zanfagnini con domicilio eletto presso la Segreteria del Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia ;

 

e nei confronti della controinteressata

società s.p.a. Consorzio per l’Acquedotto del Friuli Centrale (C.A.F.C.), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’ avv. Renato Fusco, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Trieste, Via di Donota n. 3 ;

 

per l’annullamento:

1. della deliberazione n. 58 del 15 dicembre 2003 assunta dal Consiglio comunale di Faedis, con la quale è stata affidata direttamente alla società s.p.a. Consorzio per l’Acquedotto del Friuli Centrale (C.A.F.C.) la gestione del servizio di illuminazione pubblica per la durata di anni cinque, con decorrenza dal 1°.1.2004, per il corrispettivo lordo di € 229.075,00 (IVA 20% esclusa);

2. di ogni altro atto precedente o successivo, presupposto o necessario,ancorché non conosciuto, comunque connesso con quello impugnato;

 

nonché per la risoluzione e/o l’annullamento e/o la declaratoria di nullità e/o di inefficacia

del corrispondente contratto stipulato tra il Comune di Faedis e il CAFC s.p.a.;

 

e per l’affermazione

dell’obbligo del Comune di Faedis di indire una gara ad evidenza pubblica per la scelta del gestore dell’attività di pubblica illuminazione;

Visto il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria generale con i relativi allegati;

Visti gli atti tutti di causa;

Data per letta alla pubblica udienza del 17.11.2005 la relazione del consigliere Vincenzo Farina ed uditi i difensori delle parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

 

FATTO E DIRITTO

Il Comune di Faedis (UD) faceva parte del “Consorzio per l’Acquedotto del Friuli Centrale” (C.A.F.C.).

Il consorzio si è trasformato nel 1993 in azienda speciale consortile in base agli artt. 25 e 60 della legge 8 giugno 1990, n. 142.

Al consorzio, costituito per la gestione di servizi pubblici locali, partecipavano settantuno Comuni della Provincia di Udine (tra cui quello di Faedis) e la Provincia di Udine.

Con “Atto di trasformazione” del 28.12.2000 il consorzio veniva trasformato, con decorrenza 1°.1.2001, in società per azioni “a prevalente capitale pubblico locale”, ai sensi dell’art. 22, comma 3, lett. e) della legge n. 142 del 1990.

La denominazione era quella di “CAFC s.p.a.”.

La partecipazione finanziaria del Comune di Faedis ammontava a £. 883.800.000 (l’1,47305% del capitale sociale), con riferimento al capitale sociale iniziale di 60 miliardi, suddiviso tra gli enti soci (art. 5 del rogito).

L’art. 7 del rogito confermava per un triennio i componenti del consiglio di amministrazione del consorzio trasformato.

Il successivo art. 9 prevedeva la possibilità di individuare “tra i servizi pubblici istituzionalmente affidati alla società quelli da svolgere per specifiche esigenze degli enti locali associati”.

Quanto all’oggetto sociale ed alle norme sull’amministrazione della nuova società, l’art. 2 rinviava allo statuto sociale.

Quest’ultimo – per quello che qui rileva – prevede tutta una serie di interventi (“Oggetto”: art. 4) nel campo dei servizi pubblici locali (tra cui quello relativo alla illuminazione pubblica: punto f); interventi da effettuarsi anche a favore di terzi (rispetto agli enti associati) ed attraverso moduli operativi ad ampio spettro (partecipazioni finanziarie ad altre società, concessione a terzi, esecuzione di operazioni commerciali, finanziarie, immobiliari, ecc.: art. 4, comma 2, 3, 4, 6, 7).

L’art. 4, comma 5 stabilisce che il consiglio di amministrazione “autorizzi di volta in volta o in linea generale per attività omogenee” l’effettuazione delle attività contemplate dai commi precedenti.

L’art. 9, comma 1 e 2, fissa nella misura del cinquantuno per cento il capitale sociale che deve essere posseduto dai soci di diritto pubblico, mentre il restante quarantanove per cento può essere posseduto anche da soci non di diritto pubblico.

L’art. 10 prevede che siano membri dell’assemblea degli azionisti ope legis i sindaci dei comuni associati ed il presidente della provincia associata.

L’art. 12 stabilisce che l’assemblea ordinaria - in particolare - approva il bilancio e nomina il presidente del consiglio di amministrazione “scelto tra gli amministratori nominati dai soggetti di diritto pubblico” .

Questi ultimi nominano i membri del consiglio di amministrazione (composto da un numero variabile da tre a sette: art. 16) in proporzione “all’entità della propria partecipazione” (art. 17, comma 1).

I restanti amministratori sono nominati dall’assemblea (art. 17, comma 4).

L’art. 18, comma 6 attribuisce al consiglio di amministrazione: “tutti i più ampi poteri di amministrazione sia ordinaria che straordinaria della società, salvo quanto espressamente riservato per legge all’assemblea e quanto previsto dal presente statuto”.

L’art. 20 stabilisce che il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni, escluse quelle indelegabili per legge e sei attribuzioni di grande rilievo: “piani programma” annuali e pluriennali e budget di esercizio, politica generale degli investimenti e dei prezzi, provvedimenti relativi alla nomina, sospensione e licenziamento del direttore generale, convenzioni ed accordi con i soggetti di diritto pubblico in ordine ai contratti di servizio, mutui, operazioni immobiliari di vario genere (comma 2).

L’art. 25 riserva ai soci di diritto pubblico la nomina del presidente del collegio sindacale (composto dal presidente e da due sindaci effettivi e da due supplenti), di un sindaco effettivo e di un sindaco supplente.

Ciò premesso, con la gravata deliberazione n. 58 del 15 dicembre 2003, il Consiglio comunale di Faedis ha affidato direttamente alla società s.p.a. Consorzio per l’Acquedotto del Friuli Centrale (C.A.F.C.) la gestione del servizio di illuminazione pubblica per la durata di anni cinque, con decorrenza 1°.1.2004, verso un corrispettivo lordo di € 229.075,00 (IVA 20% esclusa).

Contro detta deliberazione insorge in questa sede la società AMGA-Azienda Multiservizi s.p.a., deducendo cinque mezzi.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Faedis e la controinteressata società s.p.a. Consorzio per l’Acquedotto del Friuli Centrale (C.A.F.C.), chiedendo il rigetto del gravame.

Quest’ultimo è stato introitato dal Collegio ed è passato in decisione nella pubblica udienza del 17.11.2005.

In rito, va disattesa l’eccezione con la quale il resistente Comune di Faedis ha dedotto la irricevibilità del gravame per essere stato depositato oltre il termine dimezzato (quindici giorni) stabilito dall’art. 23-bis della legge 21 luglio 2000, n. 205.

Ed invero, il ricorso è stato notificato il 28 febbraio 2004 ed il 1° marzo 2004, rispettivamente al Comune ed alla controinteressata, ed è stato depositato il 16 marzo 2004, ossia entro il termine di quindici giorni dall’ultima notifica (art. 21, comma 2 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dall’art. 1 della legge n. 205 del 2000).

Sgombrato il campo dalla eccezione comunale ed entrando nel merito del ricorso, il Collegio osserva – in via assorbente – che coglie nel segno, in parte qua, il quarto motivo.

Con esso l’istante denuncia la violazione dell’art. 113, comma 5, lett. c) del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come modificato dal comma 1 dell'art. 14 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326.

Il nucleo argomentativo centrale del mezzo ruota intorno alla considerazione che nel caso di specie difetta sia il requisito del controllo “analogo a quello esercitato sui propri servizi” da parte dell’intimato Comune sulla controinteressata “CAFC s.p.a”, che quello della realizzazione, ad opera di quest’ultima, della parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti pubblici che la controllano: requisiti entrambi contemplati dall’art. 113, comma 5, lett. c) del D. Lgs. n. 267 del 2000.

Non ricorrendo le suddette condizioni – conclude l’istante – il servizio di illuminazione pubblica andava affidato mediante una gara ad evidenza pubblica, e non già mediante l’affidamento diretto (c.d. affidamento “in house providing”).

E’ d’uopo prendere le mosse dalla normativa di riferimento.

L’art. 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come modificato dal comma 1 dell'art. 14 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, così recita:

“Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

1. Le disposizioni del presente articolo che disciplinano le modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili ed integrative delle discipline di settore. Restano ferme le altre disposizioni di settore e quelle di attuazione di specifiche normative comunitarie. Restano esclusi dal campo di applicazione del presente articolo i settori disciplinati dai decreti legislativi 16 marzo 1999, n. 79, e 23 maggio 2000, n. 164.

1-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano al settore del trasporto pubblico locale che resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e successive modificazioni.

2. Gli enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici di cui al comma 1, salvo quanto stabilito dal comma 13.

2-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico-sportiva eserciti in aree montane.

3. Le discipline di settore stabiliscono i casi nei quali l'attività di gestione delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi pubblici locali di cui al comma 1 può essere separata da quella di erogazione degli stessi. È, in ogni caso, garantito l'accesso alle reti a tutti i soggetti legittimati all'erogazione dei relativi servizi.

4. Qualora sia separata dall'attività di erogazione dei servizi, per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali gli enti locali, anche in forma associata, si avvalgono:

a) di soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico cui può essere affidata direttamente tale attività, a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano;

b) di imprese idonee, da individuare mediante procedure ad evidenza pubblica, ai sensi del comma 7.

5. L'erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio:

a) a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;

b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche;

c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.

5-bis. Le normative di settore, al fine di superare assetti monopolistici, possono introdurre regole che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi da esse disciplinati prevedendo, nel rispetto delle disposizioni di cui al comma 5, criteri di gradualità nella scelta della modalità di conferimento del servizio.

[……]”.

5-ter. In ogni caso in cui la gestione della rete, separata o integrata con l'erogazione dei servizi, non sia stata affidata con gara ad evidenza pubblica, i soggetti gestori di cui ai precedenti commi provvedono all'esecuzione dei lavori comunque connessi alla gestione della rete esclusivamente mediante contratti di appalto o di concessione di lavori pubblici, aggiudicati a seguito di procedure di evidenza pubblica, ovvero in economia nei limiti di cui all'articolo 24 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e all'articolo 143 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554. [……]

6. Non sono ammesse a partecipare alle gare di cui al comma 5 le società che, in Italia o all'estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultime. Sono parimenti esclusi i soggetti di cui al comma 4. [……]”.

Il Collegio osserva che la impugnata deliberazione n. 58 del 15 dicembre 2003 assunta dal Consiglio comunale di Faedis, con la quale è stata affidata direttamente alla società s.p.a. Consorzio per l’Acquedotto del Friuli Centrale (C.A.F.C.) la gestione del servizio di illuminazione pubblica per la durata di anni cinque, non può dirsi rispettosa dell’art. 113, comma 5, lett. c) del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, né, tampoco, può dirsi conforme ai principi espressi in materia dalla Corte di Giustizia della Comunità europea (Cfr., in particolare, Corte di giustizia C.E. 18 novembre 1999, causa C - 107/98; Corte di giustizia n. 349 - 8 maggio 2003), secondo cui è legittimo l’affidamento di un servizio in house providing purchè l' Ente territoriale affidante eserciti sul soggetto gestore un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi, e che, allo stesso tempo, quest’ultimo svolga la parte essenziale della propria attività insieme con l' ente o gli enti territoriali che lo controllano.

Si è visto che l’art. 113, comma 5, lett. c) del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 stabilisce che l'erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento della titolarità del servizio “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”.

Quanto alla pronuncia pregiudiziale 18 novembre 1999 adottata in causa 107/98, Teckal s.r.l. c. Comune di Aviano, di cui si è testè fatto cenno, era stato chiesto se, a norma della Direttiva CEE 93/36, doveva farsi luogo alla procedura di gara per l’affidamento di un appalto pubblico di fornitura, considerando che era stato prescelto con trattativa diretta un soggetto consortile cui l’Amministrazione committente partecipava con proprio capitale.

La Corte (punto 50) ha affermato che, essendo il Comune amministrazione aggiudicatrice a norma dell’art. 1 lett. a) della Direttiva 93/36 CEE, la relativa normativa doveva essere applicata: quindi occorreva bandire una gara, se, secondo la valutazione del giudice a quo, si trattava di due soggetti distinti tra i quali si era concluso un contratto configurabile come appalto. “Può avvenire diversamente - ha soggiunto la Corte - solo nel caso in cui, nel contempo, l’Ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello che da esso esercitato sui propri servizi, e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’Ente o con gli Enti locali che la controllano.”.

Circa il concetto di “controllo analogo”, la Corte aveva avvertito che deve trattarsi di “un rapporto che determina da parte dell’amministrazione controllante un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione”.

Questa conclusione è stata ribadita dal recente arresto della Corte di giustizia europea, I, 13 ottobre 2005, n. c-458/03, secondo il quale, in particolare: “[…..] deve risultare che l’ente concessionario in questione è soggetto ad un controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti. […..]

Nel solco di questo indirizzo giurisprudenziale la Commissione europea, sin dalla nota del 16 giugno 2002, sottolineava che non era sufficiente, al fine di individuare il presupposto del “controllo analogo”, il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole del diritto societario, posto che il soggetto partecipato, in relazione ai più importanti atti di gestione, deve configurarsi solo formalmente come entità distinta dall’amministrazione, dovendo, invece, essere concretamente parte della stessa.

In ambito nazionale, sia pure con sfumature diverse, ovviamente dettate dalla particolarità delle fattispecie (anche in relazione alla specifica legislazione domestica) la giurisprudenza ha seguito e confermato l’indirizzo europeo.

In questo contesto è stato puntualizzato che il soggetto gestore si atteggia ad una sorta di longa manus dell’affidante, pur conservando natura distinta ed autonoma rispetto all’apparato organizzativo di questo; deve, in altri termini, trattarsi di una sorta di amministrazione “indiretta”, nella quale la gestione del servizio resta saldamente nelle mani dell’ente concedente attraverso un controllo gestionale e finanziario stringente sull’attività della società affidataria: la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente ad operare in favore di questo (Cfr., ex pluribus, Cons. St., VI, 25 gennaio 2005, n. 168; T.A.R. Sardegna, 2 agosto 2005, n. 1729; T.A.R. Campania, 30 marzo 2005, n. 2784, ove si parla di “controllo assoluto” da parte dell’ente concedente).

Venendo al caso di cui alla presente controversia, si è visto che il Comune di Faedis (UD) faceva parte del “Consorzio per l’Acquedotto del Friuli Centrale” (C.A.F.C.).

Il consorzio si è trasformato nel 1993 in azienda speciale consortile in base agli artt. 25 e 60 della legge 8 giugno 1990, n. 142.

Al consorzio, costituito per la gestione di servizi pubblici locali, partecipavano settantuno Comuni della Provincia di Udine (tra cui quello di Faedis) e la Provincia di Udine.

Con “Atto di trasformazione” del 28.12.2000 il consorzio veniva, per l’appunto, trasformato, con decorrenza 1°.1.2001, in società per azioni “a prevalente capitale pubblico locale”, ai sensi dell’art. 22, comma 3, lett. e) della legge n. 142 del 1990.

La denominazione era quella di “CAFC s.p.a.”.

La partecipazione finanziaria del Comune di Faedis ammontava a £. 883.800.000 (l’1,47305% del capitale sociale), con riferimento al capitale sociale iniziale di 60 miliardi, suddiviso tra gli enti soci (art. 5 del rogito).

L’art. 7 del rogito confermava per un triennio i componenti del consiglio di amministrazione del consorzio trasformato.

Il successivo art. 9 prevedeva la possibilità di individuare “tra i servizi pubblici istituzionalmente affidati alla società quelli da svolgere per specifiche esigenze degli enti locali associati”.

Quanto all’oggetto sociale ed alle norme sull’amministrazione della nuova società, l’art. 2 rinviava allo statuto sociale.

Quest’ultimo – per quello che qui rileva – prevede tutta una serie di interventi (“Oggetto”: art. 4) nel campo dei servizi pubblici locali (tra cui quello relativo alla illuminazione pubblica: punto f); interventi da effettuarsi anche a favore di terzi (rispetto agli enti associati) ed attraverso moduli operativi ad ampio spettro (partecipazioni finanziarie ad altre società, concessione a terzi, esecuzione di operazioni commerciali, finanziarie, immobiliari, ecc.: v. art. 4, comma 2, 3, 4, 6, 7).

L’art. 4, comma 5 stabilisce che il consiglio di amministrazione “autorizzi di volta in volta o in linea generale per attività omogenee” l’effettuazione delle attività contemplate dai commi precedenti.

L’art. 9, comma 1 e 2, fissa nella misura del cinquantuno per cento il capitale sociale che deve essere posseduto dai soci di diritto pubblico, mentre il restante quarantanove per cento può essere posseduto anche da soci non di diritto pubblico.

L’art. 10 prevede che siano membri ope legis dell’assemblea degli azionisti i sindaci dei comuni associati ed il presidente della provincia associata.

L’art. 12 stabilisce che l’assemblea ordinaria - in particolare - approva il bilancio e nomina il presidente del consiglio di amministrazione “scelto tra gli amministratori nominati dai soggetti di diritto pubblico” .

Questi ultimi, a loro volta, nominano i membri del consiglio di amministrazione (composto da un numero variabile da tre a sette: art. 16) in proporzione “all’entità della propria partecipazione” (art. 17, comma 1).

I restanti amministratori sono nominati dall’assemblea (art. 17, comma 4).

L’art. 18, comma 6 attribuisce al consiglio di amministrazione: “tutti i più ampi poteri di amministrazione sia ordinaria che straordinaria della società, salvo quanto espressamente riservato per legge all’assemblea e quanto previsto dal presente statuto”.

L’art. 20 stabilisce che il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni, escluse quelle indelegabili per legge e sei attribuzioni di grande rilievo: “piani programma” annuali e pluriennali e budget di esercizio, politica generale degli investimenti e dei prezzi, provvedimenti relativi alla nomina, sospensione e licenziamento del direttore generale, convenzioni ed accordi con i soggetti di diritto pubblico in ordine ai contratti di servizio, mutui, operazioni immobiliari di vario genere (comma 2).

L’art. 25 riserva ai soci di diritto pubblico la nomina del presidente del collegio sindacale (composto dal presidente e da due sindaci effettivi e da due supplenti), di un sindaco effettivo e di un sindaco supplente.

Ora, dall’ esame dell’atto costitutivo e dello statuto della società controinteressata è da escludersi – ictu oculi - che essa sia sottoposta ad un penetrante controllo economico e gestionale da parte del Comune intimato – nei termini paradigmatici di cui si è detto sopra - analogamente a quanto avrebbe potuto fare con un servizio gestito direttamente.

Basti osservare che, soprattutto a fronte di un oggetto sociale aperto ad interventi di grande spessore e di ampio respiro (Cfr. per un caso analogo, Corte di giustizia europea, I, 13 ottobre 2005, n. c-458/03, cit.), è in buona sostanza previsto da parte degli enti associati, ma solo attraverso l’assemblea degli azionisti ed il consiglio di amministrazione, un controllo su alcuni aspetti importanti dell’attività svolta dalla CAFC (v. , in particolare, gli artt. 12 e 20); però manca un “assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato” da parte degli enti nel loro complesso, riguardante “l’insieme dei più importanti atti di gestione“.

Ciò è tanto più vero se si considerano gli amplissimi poteri di gestione del consiglio di amministrazione (art. 18 dello statuto), che possono essere gestiti autonomamente (Cfr. sul punto, ancora, la sentenza della Corte di giustizia europea, I, 13 ottobre 2005, n. c-458/03).

Ma, quello che più conta, è che non è ravvisabile “un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione” del Comune di Faedis sull’ attività del soggetto partecipato e che riguarda i più importanti atti di gestione.

Non può sostenersi, quindi, che il soggetto gestore, cioè la CAFC, si atteggi ad una sorta di longa manus dell’affidante nell’ambito di una amministrazione “indiretta”, nella quale la gestione del servizio resti saldamente nelle mani dell’ente concedente attraverso un controllo gestionale e finanziario stringente.

In realtà, il Comune di Faedis – al pari degli altri soggetti associati – a parte il controllo indiretto di cui si parlato più sopra, ha una rappresentanza diretta (attraverso la figura del sindaco: art. 10 dello statuto) solo in seno alla assemblea degli azionisti; ha, poi, un ruolo nella nomina degli amministratori nel contesto dello speciale meccanismo elettorale disciplinato dall’art. 17 dello statuto.

Tutto ciò – de plano – non significa, però, che il Comune di Faedis possegga quell’ “assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato”, con riguardo ai più importanti atti di gestione della CAFC.

Oltretutto, come si è visto, la Commissione europea - sin dalla nota del 16 giugno 2002 - ha avvertito che non è sufficiente, al fine di individuare il presupposto del “controllo analogo”, il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole del diritto societario, posto che il soggetto partecipato, in relazione ai più importanti atti di gestione, deve configurarsi solo formalmente come entità distinta dall’amministrazione, dovendo, invece, concretamente essere parte della stessa.

Inoltre, come ha stabilito la ripetuta sentenza della Corte di giustizia europea, I, 13 ottobre 2005, n. c-458/03, la circostanza che il Comune possa designare la maggioranza dei membri del Consiglio di amministrazione, non è risolutivo per stabilire l’esistenza di un penetrante controllo gestionale da parte del Comune stesso.

Nel caso di specie neppure questa maggioranza è statutariamente assicurata (art. 17).

In realtà, il tipo di controllo di cui si sta parlando avrebbe potuto consistere - per esempio – seguendo il modus operandi prefigurato da questo T.A.R., 15 luglio 2005, n. 634:

nella consultazione tra gli enti associati circa la gestione dei servizi pubblici svolti dalla società, circa il suo andamento generale, e, soprattutto, circa le concrete scelte operative: con audizione, da disporsi con una frequenza ragionevole, del Presidente e del Direttore generale;

nelle modifiche dello Statuto della società, previo invio ai singoli enti locali per gli adempimenti di competenza;

nel consenso degli enti associati all’eventuale esercizio delle attività contemplate dall’art. 4, commi dal 2 al 7 dello statuto;

nel controllo, mediante una Commissione, dello stato di attuazione degli obiettivi, anche sotto il profilo dell’efficacia, efficienza ed economicità della gestione, con successiva relazione all’Assemblea degli azionisti, ovvero in ispezioni dirette da parte dei soci.

Un siffatto tipo di controllo si sarebbe potuto prevedere attraverso il meccanismo della convenzione tra tutti gli enti associati ex art. 30 del D. Lgs. n. 267 del 2000 (Cfr. T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 15 luglio 2005, n. 634, testè richiamata), che appare uno strumento idoneo a realizzare la condizione del “controllo analogo”, voluta dall’ordinamento europeo e nazionale, da parte di una pluralità di enti.

Così però non è stato.

Va soggiunto, quanto meno sotto forma di obiter dictum - posto che il relativo rilievo non ha formato oggetto di una chiara specifica censura nel gravame originario, ma solo nella memoria del 10.11.2005 - che il CAFC non può considerarsi a capitale interamente pubblico (come previsto dall’art. 113, comma 5, lett. c), prevedendo lo statuto una possibile partecipazione di privati nella misura del 49% del capitale sociale (art. 9, comma 2).

Ordunque, sotto il profilo considerato – assorbite le altre censure - il gravame va accolto e l’impugnata deliberazione n. 58 del 15 dicembre 2003 assunta dal Consiglio comunale di Faedis va caducata.

Vanno dichiarate, invece, inammissibili le domande attoree volte ad ottenere la risoluzione e/o l’annullamento e/o la declaratoria di nullità e/o di inefficacia del corrispondente contratto stipulato tra il Comune di Faedis e il CAFC s.p.a., nonché l’affermazione dell’obbligo del Comune di Faedis di indire una gara ad evidenza pubblica per la scelta del gestore dell’attività di pubblica illuminazione.

Trattasi di pronunce che esulano dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: gli artt. 6 e 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205 limitano, infatti, l’ambito di giurisdizione esclusiva ai soli provvedimenti inerenti alla procedura di affidamento degli appalti (con conseguente, implicita, esclusione della cognizione di tutti gli atti successivi alla sua conclusione, ivi compreso il contratto).

Quanto alla affermazione dell’obbligo del Comune di Faedis di indire una gara ad evidenza pubblica per la scelta del gestore dell’attività di pubblica illuminazione, va ricordato che la condanna dell’amministrazione ad un facere – perché questa è in sostanza la richiesta attorea - è da ritenersi circoscritta alle limitate ipotesi del rito speciale sull’accesso ai documenti amministrativi (art. 25, comma 6, legge 7 agosto 1990, n. 241) e sul silenzio (art. 21-bis, comma 2, legge n. 1034/1971).

Può aggiungersi, riguardo all’annullamento del contratto chiesto dalla ricorrente, che, com’è noto, la questione, che rivela profili di grande complessità per l’evidente commistione di aspetti pubblicistici e privatistici ravvisabili nella sequenza che connette la fase procedimentale di scelta del contraente a quella, propriamente negoziale, della conclusione dell’accordo, ha impegnato per anni dottrina e giurisprudenza: esse hanno indicato soluzioni assai diversificate tra loro (la questione è stata, da ultimo, sottoposta alla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza della quarta sezione, n. 3355/04 del 21 maggio 2004).

Da un lato, si sostiene la sussumibilità della patologia del contratto nello schema dell’annullabilità relativa ex art. 1441 c.c.; dall’altro si propende per la nullità del vincolo negoziale e per la conseguente soggezione dello stesso al regime di cui agli artt. 1421 ss. c.c.; secondo la terza opzione ermeneutica si realizzerebbe un effetto caducante automatico; infine, autorevole dottrina e recenti arresti giurisprudenziali affermano l’inefficacia del vincolo negoziale.

Senza, ovviamente, voler affrontare la tematica ex professo, pare al Collegio che prima facie la soluzione più persuasiva, e sostanzialmente collimante con la conclusione di cui si è detto circa i poteri ordinamentali del T.A.R. in questa materia, sia quella indicata dal Consiglio di Stato, VI sezione, 5 maggio 2003, n. 2332 e 30 maggio 2003, n. 2992: essa ha ricondotto la fattispecie allo schema della caducazione automatica, che comporta la necessaria ed immediata cessazione dell’efficacia del contratto ex tunc per il solo effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione (senza bisogno, cioè, di pronunce costitutive), sulla base del rilievo della sussistenza di una connessione funzionale tra la sequenza procedimentale pubblicistica e la conseguente stipula del contratto: il che implica, in analogia alle fattispecie privatistiche del collegamento negoziale, la caducazione del negozio dipendente nel caso di annullamento di quello presupposto.

In conclusione, alla stregua delle complessive argomentazioni che precedono, il ricorso va in parte dichiarato inammissibile e in parte va accolto, con il consequenziale annullamento dell’atto impugnato.

Le spese del giudizio possono venire compensate, sussistendone le giuste ragioni.

 

p. q. m.

il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione,

in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo accoglie, e, per l’effetto, annulla l’ atto impugnato, meglio indicato in epigrafe.

 Spese compensate.

 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 17.11.2005 .

f.to Vincenzo Borea - Presidente

f.to Vincenzo Farina - Estensore

f.to Erica Bonanni - Segretario

 

Depositata nella segreteria del Tribunale

il 12 dicembre 2005

f.to Erica Bonanni.

 

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