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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso nr. 1666/2005 R.G. proposto dalla Simei S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Andrea Ventimiglia ed elettivamente domiciliata in Roma, Viale Monte Oppio n. 28;
CONTRO
Il Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Edoardo Barone e Giuseppe Tarallo ed elettivamente domiciliato presso il dott. Gian Marco Grez in Roma, via Lungotevere Flaminio 46-Pal. IV B;
per l’integrale riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania - Napoli, sez. I, 24 novembre 2004, n. 17277;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio della parte appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l’art. 23 bis comma sesto della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;
Alla pubblica udienza del 21 Giugno 2005, relatore il Consigliere Michele Corradino ed uditi, altresì, gli avvocati A. Ventimiglia, E. Barone;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con sentenza del TAR della Campania n. 17277/2004, veniva respinto il ricorso (iscritto al nr. 11263/2002 R.G.) proposto dalla Simei S.p.A. per l'annullamento del bando di gara relativo al pubblico incanto per la gestione e la manutenzione biennale degli impianti di illuminazione pubblica del Comune di Napoli.
La sentenza è stata appellata dalla Simei S.p.A., che contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado.
Il Comune di Napoli si è costituito per resistere all’appello.
Alla pubblica udienza del 21 giugno 2005, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
1. Il Collegio è chiamato a determinare l’ambito di operatività della legge 11 febbraio 1994 n. 109 distinguendola da quello del d.lgs. 17 marzo 1995 n. 157, dovendo giudicare se l’appalto avente ad oggetto la gestione e manutenzione biennale degli impianti di illuminazione pubblica del Comune di Napoli debba rientrare nella disciplina dettata in materia di lavori pubblici ovvero in quella di pubblici servizi.
2. Merita di essere premesso, in aderenza alla consolidata giurisprudenza, che la reale natura dei rapporti contrattuali e la ricostruzione della disciplina ad essi conseguentemente applicabile deve essere effettuata in virtù dell’accertamento degli effettivi contenuti sostanziali del rapporto stesso, prescindendo da ogni eventuale difforme nomenclatura o definizione fornita dalle parti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 4 maggio 2001, n. 2518).
3. Orbene, ai fini della definizione della questione in esame occorre fare riferimento all’art. 2, comma 1, della L. n. 109/1994, che annovera espressamente tra i lavori pubblici le attività di <<restauro e manutenzione di opere ed impianti>>, nonché alla previsione dell’art. 2 comma 1 lett. l) del D.P.R. n. 554/1999, contenente regolamento di esecuzione della legge quadro sui lavori pubblici, che, in sede di definizione del concetto di manutenzione, parla di <<combinazione di tutte le azioni tecniche, specialistiche e amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un’opera o un impianto nella condizione di svolgere la funzione prevista dal provvedimento di approvazione del progetto>>, con ciò individuando nel contratto di manutenzione un’attività intesa prima a definire le esigenze del committente e, poi, ad eseguire gli interventi necessari a restituire funzionalità all’immobile e agli impianti.
4. La tesi secondo la quale possono considerarsi manutenzioni rientranti tra gli appalti di servizi soltanto quelle relative agli impianti di cui agli specifici numeri indicati nell’allegato 1 del D.L.vo n. 157/1995 - per quanto concerne i servizi di manutenzione e riparazione relativi alle voci della C.P.C. (Central product classification), corrispondenti ai nn. 6112, 6122, 633, 886 aventi ad oggetto veicoli a motore, motocicli e gatto delle nevi, articoli personali e domestici, prodotti metallici, macchinari ed attrezzature - è stata fondata dalla giurisprudenza e dalla dottrina sul presupposto del carattere esaustivo di tale elencazione, che porta ad escludere che possano considerarsi manutenzioni rientranti tra gli appalti di servizi attività relative ad impianti non compresi nei numeri indicati (si veda, in proposito, la decisione Cons. Stato, sez. V, 04/05/2001, n. 2518, nella quale si afferma che appare verosimile che il legislatore, alla stregua del dettato comunitario, abbia optato per un’elencazione tassativa proprio al fine di evitare, nei limiti del possibile, questioni sulla qualificazione delle innumerevoli attività di carattere manutentivo e, quindi, i connessi problemi in ordine alla normativa applicabile. La visione “panlavoristica” di tale decisione è testimoniata dall’ulteriore affermazione secondo la quale se il legislatore, con la l.109/1994, ha eletto ad oggetto del proprio intervento la più ampia categoria dei “lavori pubblici”, in luogo di quella dell’opera pubblica”, è proprio perché non viene presa tanto in considerazione l’opera realizzata, bensì viene riqualificato il lavoro che sull’opera è compiuto, cosicché, in definitiva, vengono ad essere ricompresi nell’ottica legislativa non solo i lavori che hanno dato luogo, mediante un’opera di costruzione, ad un’opera o ad un impianto, ma anche i lavori che si limitano ad avere l’opera o l’impianto come oggetto dell’attività).
Detto diversamente, secondo la tesi esposta, il fatto che la categoria specifica sia stata volutamente limitata non potrebbe avere altro significato se non quello che le attività della categoria non espressamente elencate dovrebbero essere escluse dalla disciplina prevista per la categoria stessa.
Tale tesi, tuttavia, è frutto di un manifesto errore interpretativo (come condivisibilmente affermato dalla recente decisione di questa Sezione 23 agosto 2004, n. 5572). Da un lato, perché non avrebbe alcun senso logico - specie se si tiene conto che il disposto di cui al d.lgs. n. 157/1995 costituisce trasposizione, nell’ordinamento nazionale, della disciplina comunitaria in tema di appalti di servizi - che attività, tipicamente di servizio, quale quella relativa alla manutenzione dell’impianto di illuminazione pubblica, debbano essere ricondotte nell’ambito dei lavori pubblici, mentre nel settore degli appalti di servizi dovrebbero essere ricomprese, per quanto attiene alle attività manutentive, solo quelle, del tutto marginali, inerenti a veicoli a motore, motocicli e gatti delle nevi. Dall’altro, in quanto, nella classificazione CPC (che designa la classificazione centrale dei prodotti ONU), corrispondono, tra gli altri, ai Servizi di manutenzione e riparazione 6112, 6122, 633, 866, anche “riparazione, manutenzione e servizi affini connessi alle strade ed altre attrezzature, manutenzione di impianti di illuminazione pubblica e semafori, servizi di manutenzione di impianti di illuminazione stradale, messa in opera di impianti di illuminazione pubblica” e, quindi, proprio i servizi qui in discussione (cfr., da ultimo, Reg. CE 5 novembre 2002, n. 2195/2002 - Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al vocabolario comune per gli appalti pubblici - CPV).
Inoltre, come chiarito dalla giurisprudenza, il concetto di “manutenzione” va fatto rientrare nei lavori pubblici qualora l’attività dell’appaltatore comporti un’attività prevalente ed essenziale di modificazione della realtà fisica, con l’utilizzazione, la manipolazione e l’installazione di materiali aggiuntivi e sostitutivi non inconsistenti sul piano strutturale e funzionale (cd. “quid novi”: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16/12/1998, n. 1680; Cons. Stato, sez. V, 04/05/2001, n. 2518 e la più recente Cons. Stato, sez. IV, 21 febbraio 2005 n. 537).
Ne discende, conformemente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, che la manutenzione degli impianti di illuminazione pubblica rientra nelle categorie oggetto degli appalti di servizi (sistema che non costituisce comunque un minus rispetto a quello di lavori pubblici in termini di garanzie di qualità, professionalità e correttezza richieste ai soggetti esecutori, essendo richiesta alle imprese concorrenti, sebbene con un meccanismo diverso dal sistema di qualificazione ideato per gli esecutori di lavori pubblici, la adeguata dimostrazione del possesso della capacità finanziaria, economica e tecnica per l’assunzione dell’appalto: cfr. artt. 13 e 14 del D. Lgs. n. 157/1995).
Con la conseguenza che l’impugnato bando di gara, in quanto modulato sulla base della disciplina relativa agli appalti di servizi è pienamente legittimo.
5. Deve essere presa in esame, a questo punto, la censura con la quale l’appellante si duole del bando di gara nella parte in cui è stato richiesto alle ditte partecipanti – quale requisito di ammissione alla procedura – un fatturato globale, nell’ultimo triennio, pari ad almeno 50.000.000 di euro (pari al doppio, circa, del prezzo a base d’asta) relativamente a servizi identici a quello oggetto di gara.
Detta censura, la quale presuppone il dato della titolarità, in capo alla stazione appaltante, del potere di integrare, per gli aspetti non oggetto di specifica ed esaustiva regolamentazione, i requisiti di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica ovvero di fissare requisiti di partecipazione ad una singola gara anche molto rigorosi e superiori a quelli previsti dalla legge - pone il problema dei limiti ravvisabili in capo a tale potere.
Detto potere discrezionale, invero, lungi dall’essere espressione di mero arbitrio dell’amministrazione aggiudicatrice, costituisce in realtà precipua attuazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, predicati dall’articolo 97 della Costituzione, e si sostanzia nel potere – dovere assegnato all’amministrazione di apprestare (proprio attraverso la specifica individuazione degli specifici requisiti di ammissione e di partecipazione ad una gara) gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell’interesse pubblico concreto, oggetto dell’appalto da affidare. L’esercizio di detto potere, tuttavia, non deve tradursi in un’indebita limitazione dell’accesso delle imprese interessate presenti sul mercato, a garanzia a presidio di un accesso ragionevolmente ampio alla procedura concorsuale.
Orbene, le scelte che costituiscono espressione di tale potere sono ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell’azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che si rivelino ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie, sproporzionate, illogiche e contraddittorie (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 giugno 2001, n. 2973; Cons. Stato, sez. V, 31 dicembre 2003, n. 9305; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 2002, n. 5442, nonché Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2000, n. 801). Trattasi, infatti, di limiti “esterni” alla discrezionalità amministrativa il cui accertamento rifiuta, in linea di principio, un sindacato giurisdizionale penetrante (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 ottobre 2004, n. 6972).
Alla luce delle superiori considerazioni, pertanto, si configura infondato il motivo di ricorso con il quale si censura la previsione del bando di gara sopra riportata.
Invero, avuto riguardo alla tipologia del servizio di cui trattasi, non appare irragionevole ai fini della verifica del livello di idoneità economica e finanziaria il collegamento al fatturato globale (di quell’importo), e ciò anche in relazione all’assetto organizzativo ed aziendale delle imprese che ordinariamente offrono il servizio in questione. Infatti, la richiesta del possesso in capo alle imprese di quello specifico requisito economico – finanziario è evidentemente finalizzata alla scelta del concorrente che dia prova di adeguata affidabilità all’espletamento del servizio da affidare, così che la relativa scelta è del tutto coerente, logica ed adeguata in relazione allo specifico oggetto della gara di appalto.
La legittimità di tale scelta esclude la fondatezza di qualsiasi censura, circa l’eventuale indebita restrizione dell’accesso alla gara in questione in contrasto con i principi di concorrenzialità e di ampia partecipazione cui devono uniformarsi i pubblici incanti.
Alla luce delle esposte considerazioni il ricorso in appello deve essere respinto con conseguente conferma della sentenza gravata.
Si ravvisano giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 21 giugno 2005, con l'intervento dei sigg.ri:
Raffaele Iannotta presidente,
Giuseppe Farina consigliere,
Corrado Allegretta consigliere,
Claudio Marchitiello consigliere.
Michele Corradino consigliere estensore,
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Michele Corradino f.to Raffaele Iannotta
IL SEGRETARIO
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
IL 31 GENNAIO 2006
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale
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