REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA SEZIONE DI BRESCIA
nelle persone dei Signori:
FRANCESCO MARIUZZO Presidente
GIANLUCA MORRI Giudice, relatore
MAURO PEDRON Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella camera di consiglio del 24 marzo 2006
Visto il ricorso 745/2003 proposto da:
CATTANEO EZIO, AUSTONI GIANCARLO, CERIBELLI GIOVANNA rappresentati e difesi da: BECHERI GIANFRANCO,AUSTONI NICOLETTA con domicilio eletto in BRESCIA VIA SOLFERINO, 28 presso BECHERI GIANFRANCO
contro
COMUNE DI CAPRINO BERGAMASCO rappresentato e difeso da: BINI MARIA UGHETTA, BASSANI MARIO, ROBALDO ENZO, FERRARIS PIETRO con domicilio eletto in BRESCIA VIA FERRAMOLA, 14 presso BINI MARIA UGHETTA
e nei confronti di
INVERNIZZI OSVALDO, ROTA DARIO, MARTINELLI DANIELA non costituitisi in giudizio
per
l'annullamento della delibera del Consiglio Comunale del 15.5.2003 n. 11 relativa a decadenza dei consiglieri comunali non intervenuti alle sedute consiliari,
e per
il consequenziale risarcimento dei danni.
Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Visti tutti gli atti di causa;
Udito il relatore Dott. Gianluca Morri e uditi, altresì, i difensori delle parti;
Ritenuto quanto segue in,
FATTO E DIRITTO
I ricorrenti, nella loro qualità di consiglieri comunali, propongono ricorso avverso la deliberazione rubricata in epigrafe, con la quale il Consiglio comunale di Caprino Bergamasco dichiarava gli stessi decaduti dalla carica, ai sensi dell’art. 12 comma 5 dello Statuto comunale, per non aver partecipato consecutivamente alle sedute consiliari del 16.1.2003, 29.11.2002 e 26.9.2002 nonché ad altre precedenti.
La predetta decadenza venne disposta sul presupposto che le rilevate assenze fossero da ritenersi ingiustificate.
Al riguardo i ricorrenti deducono le seguenti censure:
1. Nullità per omessa indicazione del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere;
2. Violazione dell’art. 12 comma 5 dello Statuto comunale, dell’art. 43 comma 4 del D.Lgs. n. 267 del 2000, nonché eccesso di potere per sviamento, erronea valutazione dei presupposti, ingiustizia, disparità di trattamento e difetto di motivazione, in quanto l’assenza dalle sedute consiliari costituirebbe, in realtà, un deliberato e preannunciato astensionismo dovuto a ragioni di natura politica e di opposizione nei confronti della maggioranza consiliare;
3. Violazione di legge per illegittima declaratoria di immediata eseguibilità della deliberazione impugnata;
4. Violazione dell’art. 20 dello Statuto comunale per illegittima applicazione dello scrutinio segreto.
I ricorrenti rivolgono, altresì, istanza per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti a causa dell’atto impugnato.
Si è costituito in giudizio il Comune di Caprino Bergamasco per contestare, nel merito, le deduzioni di parte ricorrente, chiedendone la reiezione poiché ritenute infondate.
A seguito della discussione in pubblica udienza del 24.3.2006, la causa è stata trattenuta in decisione.
Con la prima censura i ricorrenti deducono la nullità della deliberazione in oggetto per omessa indicazione del termine e dell’autorità cui è possibile ricorrere.
La doglianza è infondata.
Al riguardo è sufficiente richiamare il consolidato principio, condiviso dalla Sezione, secondo cui la mancata indicazione di tali elementi estrinseci comporta una mera irregolarità e non incide né sulla validità né sull'efficacia dell'atto, ma impedisce solo la decorrenza del termine di impugnazione e può, pertanto, dare luogo alla remissione in termini per errore scusabile (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, 6.9.2004 n. 1013).
La doglianza è comunque parzialmente destituita di fondamento anche in punto di fatto, poiché al terzo paragrafo del dispositivo sono contenute le indicazioni quantomeno con riferimento alle autorità cui è possibile ricorrere.
Deve invece essere condiviso il secondo ordine di censure, attraverso cui si deduce violazione dell’art. 12 comma 5 dello Statuto comunale, dell’art. 43 comma 4 del D.Lgs. n. 267 del 2000, nonché eccesso di potere per sviamento, erronea valutazione dei presupposti, ingiustizia, disparità di trattamento e difetto di motivazione, in quanto l’assenza dalle sedute consiliari costituirebbe, in realtà, un deliberato e preannunciato astensionismo dovuto a ragioni di natura politica e di opposizione nei confronti della maggioranza consiliare.
Prima di entrare nel merito della questione giuridica sottoposta all’esame del Collegio è opportuno rilevare:
- che la dialettica politica tra le forze di maggioranza e di opposizione all’interno del Consiglio comunale di Caprino Bergamasco è caratterizzata da una accesa conflittualità (iniziata negli anni 1998-1999), come emerge dalla relazione predisposta dal Ministero dell’interno in data 17.7.2003 per rispondere ad una interrogazione in corso presso il Senato della Repubblica;
- che iniziavano così le prime dichiarazioni di astensione dalla partecipazione alle sedute consiliari da parte dei consiglieri di minoranza (cfr. dichiarazione di voto per la seduta del 22.1.1999; delibera di Consiglio comunale 17.2.2001 n. 5);
- che tale astensione veniva giustificata, da parte delle minoranze, a fronte della rilevata chiusura delle forze consiliari di maggioranza ad ogni dialogo e confronto politico effettivo sulle decisioni del Consiglio comunale;
- che, come si legge nella citata relazione del Ministero dell’interno in data 17.7.2003, “ad alimentare il clima non certo sereno all’interno del Consiglio comunale, è giunta la decisione, adottata il 18.6.2002, di modificare il regolamento del Consiglio stesso, ai sensi dell’art. 43 del Decreto legislativo 267/2000, con l’introduzione di una nuova disposizione relativa alla decadenza dalla carica di consigliere al verificarsi di almeno tre assenze ingiustificate”.
Secondo la difesa comunale, ciascun consigliere ha il dovere di partecipare alle sedute in attuazione del mandato ricevuto dagli elettori, per cui l’omessa partecipazione costituisce un tipico caso di decadenza sanzionatoria che l’amministrazione può comminare ogni qualvolta ricorre il duplice requisito dell’assenza consecutiva per almeno tre sedute e della insussistenza di accettabili giustificazioni (che tali, non sarebbero, secondo il Comune, l’astensionismo deliberato per ragioni di opposizione politica).
La linea difesiva dell’Amministrazione non può essere condivisa.
Si può solo concordare sulla circostanza che l’astensionismo ingiustificato di un consigliere comunale costituisca legittima causa di decadenza sul presupposto del disinteresse e della negligenza che l’amministratore mostra nell’adempiere il proprio mandato, con ciò generando non solo difficoltà di funzionamento dell’organo collegiale cui appartiene, ma violando l’impegno assunto con il corpo elettorale che lo ha eletto e che ripone in lui la dovuta fiducia politico-amministrativa.
Nel caso in esame non ricorrono, tuttavia, tali presupposti.
Certamente non si può affermare che i ricorrenti abbiano mostrato disinteresse alle attività politico-amministrative del Consiglio comunale, così come emerge chiaramente dal clima turbolento che caratterizza la dialettica tra maggioranza e opposizione. Altrettanto dicasi per la diligenza con cui gli stessi adempiono il mandato, atteso che rientra nel diritto del consigliere comunale l’impiego di tutti gli strumenti giuridici offerti dall’ordinamento per opporsi a decisioni non condivise (quali, ad esempio, l’espressione di voto contrario, l’astensione dal voto o l’omessa partecipazione alla seduta al fine di impedire il formarsi del quorum strutturale).
Occorre inoltre osservare che le prerogative del consigliere comunale non si esauriscono nella partecipazione alle sedute dell’organo cui appartiene, ma contemplano lo svolgimento di tutta una serie di attività individuali di carattere propulsivo, conoscitivo e di controllo.
L’astensionismo deliberato e preannunciato, ancorché superiore al periodo previsto ai fini della decadenza, deve quindi considerarsi uno strumento di lotta politico-amministrativa a disposizione delle forze di opposizione per far valere il proprio dissenso a fronte di atteggiamenti ritenuti non partecipativi, dialettici e democratici delle forze di maggioranza.
In tal caso lo strumento sanzionatorio non può certo essere quello della rimozione (per decadenza) di consiglieri di opposizione che potrebbero apparire “scomodi” per la vivace protesta posta in essere, bensì quello di un eventuale scioglimento dello stesso consiglio comunale quando il clima altamente conflittuale venutosi a creare per atteggiamenti poco costruttivi di entrambi gli schieramenti dia luogo a turbamenti di ordine pubblico, i quali non giovano certo al buon andamento dell’azione amministrativa.
Nei termini sopra indicati deve quindi ritenersi giustificata la mancata partecipazione ad alcune sedute consiliari e, di conseguenza, illegittima la conseguente pronuncia di decadenza, così come del resto già affermato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Napoli, Sez. I, 4.12.1992 n. 436), di cui pare opportuno riportare i seguenti passi:
“L'interesse perseguito in concreto dal Consiglio comunale era ben diverso dall'interesse pubblico al buon funzionamento dei lavori consiliari ma atteneva propriamente a logiche interne di carattere politico.
In tali termini la vicenda in esame è paradigmaticamente assimilabile a tutta quella casistica che ha portato da tempo la giurisprudenza ad attenuare la portata dell'istituto, che, originariamente destinato ad assicurare l'assolvimento degli incarichi pubblici, spesso finisce nella pratica per essere esclusivamente un mezzo di lotta politica.
Ed è per tale fondamentale ragione che il giudice amministrativo, anche nell'ordinamento previgente al T.U. del 1915, ha applicato prudentemente le relative norme; e questo fin agli albori del secolo. La decadenza dalla carica appartiene infatti alla categoria di quelle limitazioni all'esercizio di un diritto al munus publicum che devono essere interpretate restrittivamente (Cons. Stato, Sez. unite 30 aprile 1908, Cons. Stato, IV Sez., 14 agosto 1915).
In sostanza, la decadenza non può certamente riguardare il deliberato astensionismo di un gruppo politico, che rientra nel novero delle facoltà ordinariamente a disposizione delle forze di opposizione...”.
In relazione a quanto sopra appare anche significativa, ancorché non risolutiva, la circostanza che le disposizioni statutarie vennero appositamente modificate con deliberazione del 18.6.2002, introducendo, appunto, la norma sulla decadenza dalla carica di consigliere al verificarsi di almeno tre assenze ingiustificate (a fronte di rapporti altamente conflittuali sorti già da tempo come sopra ricordato).
Il motivo all’esame va quindi accolto.
La terza doglianza, relativa alla dedotta violazione di legge per illegittima declaratoria di immediata eseguibilità della deliberazione impugnata, risulta essere priva del necessario interesse ad agire, poiché tale preteso vizio non inficerebbe comunque il merito della deliberazione, ed inoltre perché alla data di proposizione del ricorso i termini di pubblicazione risultavano ampiamente ultimati anche ai fini dell’esecutività ordinaria.
Con l’ultima doglianza i ricorrenti deducono violazione dell’art. 20 dello Statuto comunale per illegittima applicazione dello scrutinio segreto.
La censura è infondata.
L’art. 20 comma 2 dello Statuto sottopone allo scrutinio segreto le deliberazioni concernenti persone, quando venga esercitata una facoltà discrezionale fondata sull’apprezzamento delle qualità soggettive di una persona o sulla valutazione dell’azione da questi svolta.
Nel caso in esame, pur non dovendo svolgere un giudizio di tipo qualitativo-personale, i consiglieri venivano comunque chiamati alla valutazione di atteggiamenti e comportamenti posti in essere dai ricorrenti (azione da questi svolta), da cui trarre un giudizio di natura discrezionale circa la giustificazione o meno degli stessi ai fini della pronuncia di decadenza.
In conclusione il ricorso deve essere accolto per quanto concerne l’istanza di annullamento della deliberazione impugnata.
I ricorrenti avanzano, altresì, istanza di risarcimento dei danni, evidenziando che nel periodo tra l’adozione del provvedimento impugnato (15.5.2003) e l’ordinanza di accoglimento della misura cautelare (24.7.2003), gli stessi sarebbero stati esclusi da ogni tipo di attività amministrativa, con particolare riferimento alle vicende attinenti Radio Milano International, Antenna Lisimm Leasing Immobiliare spa, Vendita ex asilo di San Antonio. Viene dedotto, altresì, un preteso danno all’immagine subito in conseguenza del provvedimento adottato (al riguardo viene evidenziato che nelle elezioni del 2004 le liste cui appartengono i ricorrenti registrarono un calo di voti).
La misura del pregiudizio viene quantificata nella somma di € 45.000 per ciascuno dei ricorrenti, ovvero nella diversa somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia.
Sotto il profilo della pretesa impossibilità di partecipare ad alcune decisioni consiliari importanti, osserva il Collegio che il danno non può emergere automaticamente per effetto di tale circostanza, né può scaturire dal generico impedimento all’esercizio delle funzioni di controllo politico-amministrativo di spettanza dei singoli consiglieri comunali. Del resto con riferimento alle tre decisioni importanti sopra evidenziate, vengono dedotti solo possibili pregiudizi per il Comune che, secondo i ricorrenti, si sarebbero potuti evitare attraverso l’esercizio delle relative funzioni consiliari. Tuttavia il Collegio osserva che detti eventuali pregiudizi per l’Ente locale potrebbero comunque essere denunciati attraverso le opportune segnalazioni alla competente Corte dei conti ovvero, in caso di rilevanza penale, alla competente Autorità giudiziaria ordinaria.
In relazione alla pretesa lesione all’immagine, va rilevato che la flessione elettorale registrata dalle liste dei ricorrenti nelle elezioni del 2004 può essere dipesa da circostanza variegate e non necessariamente dalla mancata partecipazione alle attività consiliari nel periodo a cavallo tra la primavera e l’estate 2003 (circa due mesi e mezzo). Sotto tale profilo difetta quindi la prova del necessario nesso di causalità.
L’istanza risarcitoria non può, di conseguenza, trovare accoglimento.
Le spese possono essere compensate anche tenendo conto della parziale reciproca soccombenza.
P.Q.M.
il T.A.R. per la Lombardia – Sezione staccata di Brescia – definitivamente pronunciato, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Respinge l’istanza di risarcimento dei danni.
Spese compensate.
La presente sentenza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
BRESCIA, 24 marzo 2006
DATA PUBBLICAZIONE
10 APRILE 2006
|