REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CALABRIA, SEZIONE SECONDA
alla presenza dei Signori:
PIERINA BIANCOFIORE Presidente f.f. est.
GIUSEPPE CHINE’ Referendario
ROBERTA CICCHESE Referendario
ha pronunciato la seguente: N. 573
SENTENZA
sul ricorso n. 584/2005 proposto da P.&B. e ECO.M.A.B. in persona dei loro legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dagli Avvocati Gabriele CASERTANO, Francesco CASERTANO e Pietro Ottavio DI LEO ed elettivamente domiciliate presso lo studio dell’Avv. Marco MAZZUCA in Catanzaro alla Via DE RISO, n. 67,
contro
il Comune di Roseto Capo Spulico in persona del legale rappresentante rappresentato e difeso dall’Avv. Mario MASCARO ed elettivamente domiciliato in Catanzaro alla Via Turco, n. 71 presso lo studio dell’Avv. Mario GAROFALO
per l’annullamento previa sospensione
- della delibera C.C n. 11 del 22 marzo 2005 di annullamento e revoca dell’atto consiliare n. 13 del 28 marzo 2002 di “Costituzione di società multiservizi denominata GEAT s.r.l. e di tutti gli atti conseguenti, propedeutici e derivati”;
- della delibera di C.C. n. 12 del 22 marzo 2005 di annullamento della delibera CC n. 16 del 28 aprile 2004 di cessione di quota nella società mista al Comune di Villa Castelli;
- della delibera di G.C. n. 24 del 24 marzo 2005 di annullamento di delibera di G.C. n. 71 del 23 agosto 2002 recante “Costituzione di società multiservizi s.r.l. - Aggiudicazione di gara per la scelta del socio privato”;
- della determina 25 marzo 2005, n. 1305 a firma dei Responsabili del Servizio finanziario e Tributi e del Servizio Tecnico recante “Annullamento del provvedimento di affidamento dei servizi comunali prot. 13 del 2 gennaio 2003”
- nonché delle relazioni del responsabile del settore tributi n. 1148 del 15 marzo 2005 e del Segretario comunale n. 1168 del 16 marzo 2005;
- della delibera CC n. 2 del 20 gennaio 2005 recante l’avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241 del 7 agosto 1990 per l’annullamento e revoca dell’atto consiliare n. 13 del 28 marzo 2002,
nonché di ogni atto presupposto, prodromico e consequenziale;
nonché per la condanna
dell’intimata Amministrazione al risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica, ovvero per equivalente ai sensi del combinato disposto degli articoli 33 e 35 del D.Lgs n. 80 del 1998;
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTO l’atto di costituzione della resistente Amministrazione comunale;
VISTE le memorie tutte prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
VISTI gli atti tutti del ricorso;
Relatore alla pubblica udienza del 4 novembre 2005 la dr.ssa Pierina BIANCOFIORE;
Uditi altresì i difensori delle parti come da verbale di udienza;
RITENUTO in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato al Comune di Roseto Capo Spulico il 20 maggio 2005 e depositato il successivo 23 maggio le società ricorrenti espongono che con delibera n. 13 del 28 febbraio 2002 il Comune resistente ha stabilito di procedere alla costituzione di una società a responsabilità limitata a maggioranza pubblica avente ad oggetto la gestione delle entrate comunali, tributarie e patrimoniali, nonché dei servizi di igiene urbana, raccolta e smaltimento rifiuti, manutenzione idrica e fognaria, manutenzione viabilità e segnaletica e pubblica illuminazione. Ha indetto la procedura ad evidenza pubblica per l’individuazione dei soggetti ed alla fine è stata costituita la GEAT e sono stati individuati quali soci di minoranza il raggruppamento di imprese costituito da Publiconsult s.p.a. ECO.M.A.B. s.a.s e P. & B. s.r.l.. A tale società mista, con atto del 2 gennaio 2003, sono stati affidati il servizio di gestione delle entrate tributarie e patrimoniali alla prima, il servizio di nettezza urbana alla seconda e il servizio idrico integrato, il servizio manutenzione viabilità e segnaletica stradale ed il servizio di manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione alla terza.
Espongono, altresì, le ricorrenti che con determina n. 53 dell’11 dicembre 2003 il Comune ha comminato la decadenza della GEAT dall’espletamento del servizio di gestione delle entrate comunali che veniva impugnata dalla medesima e dalla Publiconsult s.p.a. - attuale San Giorgio s.p.a.- con ricorso n. 1733 del 2003 il quale, accolta la domanda cautelare con ordinanza n. 18 dell’8 gennaio 2004, veniva dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione con sentenza n. 2083 dell’11 novembre 2004, poi sospesa dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 740 del 15 febbraio 2005.
Nelle more con provvedimento del 12 novembre 2004, n. 52 il Comune dava incarico alla Giunta di avviare un procedimento per lo scioglimento, in via di autotutela della società GEAT, atto che veniva gravato con altro ricorso n. 107 del 2005, tuttora pendente.
Sono seguiti la delibera n. 66 del 4 novembre 2004 con la quale la Giunta ha preso atto dei pareri dei consulenti per l’adozione dei conseguenti provvedimenti, la delibera n. 74 del 27 dicembre 2004 con la quale la Giunta, preso atto del parere del responsabile tecnico n. 4903 del 23 dicembre 2004, ha incaricato quest’ultimo di adottare gli atti relativi alla decadenza dell’affidamento dei servizi idrico integrato, manutenzione della viabilità, della segnaletica stradale e degli impianti di illuminazione a carico della P. & B.; la determina n. 182 del 29 dicembre 2004 con la quale il responsabile tecnico ha eseguito detti deliberata. Riguardo a quest’ultimo, in data 17 gennaio 2005, la GEAT e la P.& B. hanno prodotto ricorso ex articolo 700 c.p.c. chiedendone la sospensione dell’efficacia al Tribunale civile di Castrovillari che tuttavia ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sulla questione. E’ seguito quindi il ricorso n. 583 del 2005 col quale la GEAT e la P. & B. hanno impugnato i detti provvedimenti dinanzi al giudice amministrativo, ricorso del quale si discute anche nella odierna udienza.
Le ricorrenti espongono altresì di aver prodotto argomentazioni a loro difesa in data 7 febbraio 2005 a seguito della delibera consiliare n. 2 del 20 gennaio 2005 di avvio del procedimento di rimozione, mediante annullamento o revoca, in via di autotutela esecutiva della deliberazione consiliare di costituzione della società mista, delibera pure quella impugnata col ricorso in esame.
Espongono poi che, nonostante le loro argomentazioni, con l’opposta delibera consiliare del 22 marzo 2005 n. 11 l’Amministrazione comunale ha provveduto ad annullare la delibera comunale n. 13 del 2002 di approvazione degli atti di costituzione della società mista, dando mandato a tutti gli organi comunali di adottare i provvedimenti conseguenti a detto annullamento. Sono dunque seguiti la delibera consiliare n. 12 del 22 marzo 2005 di annullamento della delibera di cessione di una quota della società mista al Comune di Villa Castelli, la delibera n. 24 del 24 marzo 2005 di annullamento della gara per la scelta del socio privato, la determina a prot. 1305 del 25 marzo 2005 di annullamento del provvedimento di affidamento dei servizi comunali.
Avverso tali atti GEAT e PUBLICONSULT hanno notificato autonomo ricorso al n. 399 del 2005 di cui si discute sempre all’odierna udienza.
Contro i provvedimenti indicati appena sopra le ricorrenti hanno dedotto quanto segue:
1. In particolare la delibera n. 2 del 2005 sarebbe affetta da illegittimità derivata da quelle da cui è affetta la delibera n. 52/2004 di scioglimento della società GEAT e che sono l’eccesso di potere per sviamento, l’incompetenza assoluta, il difetto assoluto dei presupposti, lo sviamento, nonché l’eccesso di potere per sviamento e difetto dei presupposti;
2. la delibera consiliare n. 11 del 2005 è viziata per eccesso di potere per sviamento, incompetenza assoluta carenza dei presupposti, eccesso di potere per assoluta perplessità in ordine al contenuto dispositivo del provvedimento ed eccesso di potere per sviamento sotto diverso profilo; eccesso di potere per difetto dei presupposti, illogicità, contraddittorietà, travisamento dei fatti e sviamento; eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria; contrasto in atti della stessa Amministrazione.
3. Con riguardo alla delibera consiliare n. 12 del 2005 hanno sostenuto che essa risulta affetta dagli stessi vizi che inficiano l’atto n. 11 del 2005, nonchè l’eccesso di potere per difetto dei presupposti, contraddittorietà e illogicità.
4. Anche riguardo agli altri atti impugnati hanno dedotto l’illegittimità derivata da quella della delibera n. 11 ed hanno quindi concluso per l’accoglimento del ricorso.
L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto più profili e ne ha chiesto la reiezione.
In data 16-17 giugno 2005 risultano depositati documenti da parte del Comune e delle ricorrenti. E’ poi seguito uno scambio di memorie tra le parti per le udienze di discussione della causa.
Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 4 novembre 2005.
DIRITTO
1. Col proposto gravame le società ricorrenti, socie di minoranza per lo svolgimento dei servizi di manutenzione degli impianti elettrici ed idrici e per la viabilità e segnaletica la P. & B. e per il servizio di nettezza urbana la ECO.MAB, hanno impugnato:
a. la delibera consiliare n. 11 del 2005 con la quale il Comune di Roseto Capo Spulico si è determinato ad annullare la precedente deliberazione n. 13 del 2002 di approvazione degli atti costitutivi di una società mista per la gestione delle entrate tributarie e patrimoniali, per la gestione del servizio di nettezza urbana, del servizio di manutenzione stradale, di illuminazione pubblica e del servizio idrico integrato;
b. la delibera consiliare n. 12 del 2005 di annullamento della delibera di cessione di una quota della società mista al Comune di Villa Castelli
c. della delibera n. 24 del 2005 di annullamento di precedente atto di aggiudicazione della gara per la scelta del socio privato;
d. della determina n. 1305 del 2005 di annullamento del provvedimento di affidamento dei servizi comunali;
e. le relazioni dei responsabili dei servizi;
f. la delibera n. 2 del 2005 di avvio del procedimento di annullamento ex art. 7 della L. n. 241 del 1990.
2. Occorre precisare che la delibera giuntale n. 2 del 2005 si pone come atto preliminare e propedeutico al successivo provvedimento di annullamento/revoca della società mista che verrà disposto con delibera consiliare n. 11 del 2005.
Esso di per sé non presenta una autonoma valenza lesiva, dal momento che la sua parte dispositiva stabiliva semplicemente di avviare il procedimento per la rimozione, mediante annullamento o revoca della deliberazione n. 13 del 28 marzo 2002 e di dare mandato agli uffici per adottare tutte le necessarie comunicazioni di avvio del procedimento alla società GEAT, ai soci di minoranza ed al socio pubblico Comune di Villa Castelli, nominando il segretario comunale responsabile del procedimento in esame.
Pertanto i vizi dedotti in giudizio e che tendono a colpire la corposa parte motiva della deliberazione n. 2/2005 rilevano soltanto nella misura in cui ridondano sul provvedimento principale che è dato dalla delibera di annullamento e revoca di quella di approvazione degli atti costitutivi e dei capitolati speciali per l’affidamento dei servizi alla società mista e verranno pertanto esaminati con quelli proposti avverso di esse, anche perché sostanzialmente analoghi.
Di conseguenza l’eccezione di tardività della sua impugnativa proposta dalla resistente Amministrazione comunale va respinta alla stregua delle osservazioni di cui sopra
3. Avverso gli altri atti gravati le ricorrenti hanno lamentato:
a. che la delibera n. 2 del 2005 di avvio del procedimento di annullamento è affetta da illegittimità derivata da quella che affligge la delibera n. 52 del 2004 di avvio del procedimento analogo impugnata col ricorso ancora pendente n. 107 del 2005: tali vizi in particolare sono l’incompetenza assoluta e l’eccesso di potere sotto i profili del difetto dei presupposti, dello sviamento e per mancanza dei presupposti per l’esercizio del potere di autotutela. Nessuna clausola contrattuale consente al Comune di risolvere unilateralmente il rapporto, avvalendosi di poteri pubblicistici, laddove anche il potere di autotutela incontra il limite di salvaguardare le posizioni dei soggetti privati che, confidando sulla legittimità del provvedimento, abbiano acquisito il consolidamento delle posizioni di vantaggio assentite dall’atto. Dai provvedimenti non è emerso alcun motivo di contestazione del comportamento della società, ma soltanto l’affermazione di una presunta non convenienza per il Comune della convenzione in atto. Mancano inoltre i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela cioè la valutazione dei vizi di legittimità che inficiano la deliberazione di costituzione della società e l’interesse pubblico ed attuale. In particolare la dedotta non convenienza dello strumento societario non può essere assunta a ragione di pubblico interesse per lo scioglimento del rapporto.
b. con riguardo alla delibera n. 11 del 2005 hanno lamentato la illegittimità per incompetenza assoluta in ordine allo strumento dell’autotutela per sciogliere una società. Al riguardo le ricorrenti soggiungono che l’Amministrazione comunale non può considerarsi autorizzata ad avvalersi dei propri poteri autoritativi per risolvere un contratto oramai perfetto ed esecutivo oppure che a tale scopo accampi un presunto ostruzionismo del socio privato nella nomina dei componenti del Consiglio di Amministrazione.
Col secondo motivo le ricorrenti approfondiscono quanto rilevato col primo e cioè che l’annullamento degli atti di costituzione e di affidamento alla società GEAT del relativo servizio comporta che, in realtà, la rimozione dell’atto costitutivo andrebbe esaminata alla luce del regime di invalidità dell’atto costitutivo delle società di capitali e cioè alla stregua degli articoli 2332 e 2463 c.c.. Questi sanciscono il principio di tassatività delle cause di invalidità dell’atto costitutivo, mentre l’illegittimità degli atti amministrativi preludenti alla costituzione della società non rientra tra le ipotesi previste dalla legge, onde deve escludersi che gli asseriti vizi prospettati con la delibera impugnata possano determinare l’invalidità dell’atto costitutivo di GEAT e la sua conseguente eliminazione.
Le esponenti lamentano, inoltre, che l’impugnata delibera non individua la tipologia del potere in concreto esercitato, dal momento che si esprime in termini sia di revoca sia di annullamento; e comunque qualunque sia stato l’atto in concreto voluto dal Comune esso è carente della valutazione sul pubblico interesse attuale, limitandosi a richiamare presunte irregolarità incentrate su postume valutazioni travolte dall’attuazione dei provvedimenti.
La delibera gravata fa riferimento erroneamente all’esercizio del controllo da parte del Comune sulla società cui sono affidati i servizi, mentre nel caso in esame la necessità del controllo non sussiste perché la società non è integralmente a capitale pubblico. Anche il riferimento al contratto di servizio è erroneo in quanto la costituzione della società mista esonera dall’affidamento del servizio con successivi atti concessivi o convenzionali.
Hanno poi contestato la parte della motivazione inerente delle presunte divergenze tra la dichiarazione richiesta dal bando e quella fornita da P. & B., sostenendo che l’impresa non era altro che il risultato della fusione di due imprese che avevano sempre lavorato per il Comune senza che sorgessero problemi di alcun tipo.
Hanno poi sostenuto che le relazioni del perito esterno nominato dall’Amministrazione e del Responsabile comunale dell’Ufficio di ragioneria su cui si basa la delibera per dimostrare l’antieconomicità dei servizi svolti in esternalizzazione in sostanza conducono ad affermazioni apodittiche e non provate. Riguardo agli aggi i due consulenti avrebbero errato in quanto nella delibera di conferimento del servizio si fa esplicito riferimento agli aggi di legge che sono stabiliti dal D.Lgs n. 112/1999 e per l’ICI dall’art. 10, comma 3 del D.Lvo n. 504 del 1992 pari all’1% dei corrispettivi previsti nei citati decreti;
c. con riguardo alla delibera consiliare n. 12 del 2005 di annullamento della delibera consiliare di cessione della quota della società mista al Comune di Villa Castelli hanno lamentato l’illegittimità derivata da quella che affligge la delibera n. 11 e la insussistenza della necessità di bandire la procedura ad evidenza pubblica per la selezione di un socio pubblico al quale cedere una minima quota nella società mista, necessità questa ritenuta per la sola scelta del socio privato.
d. tutti gli altri atti sono censurati per illegittimità derivata da quella riconosciuta nei precedenti.
4. Il ricorso è solo in parte coincidente con quello proposto al n. reg. 399/2005 da GEAT e PUBLICONSULT e discusso nella medesima udienza.
5. L’esame delle censure deve partire necessariamente da quella con cui le interessate hanno posto in rilievo che una volta costituita la società mista non può essere sciolta se non con gli strumenti messi all’uopo a disposizione dal Codice civile e per i motivi in particolare previsti dagli articoli 2332 e 2463 c.c.
La doglianza va respinta in primo luogo a seguito dell’ordinanza n. 740 del 15 febbraio 2005 che, come sopra accennato, ha sospeso l’efficacia della sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione pronunciata sulla decadenza della società GEAT adottata dal Comune di Roseto con la delibera n. 53 del 2003, ritenendo, invece, sussistente la giurisdizione del TAR e fondate le ragioni di merito che sostengono il ricorso. Ed in secondo luogo alla luce di una recente sentenza del Consiglio di Stato su analoga vicenda, come nel prosieguo verrà esaminato.
La soluzione delle questioni passa attraverso la qualificazione della natura del potere detenuto dal Comune in ordine alla vicenda che ne occupa e della natura dell’atto impugnato, la delibera n. 11 del 2005 avente per oggetto l’annullamento e/o revoca della precedente deliberazione approvativa dell'atto costitutivo della società mista e della sua compatibilità col sistema di norme in vigore per la disciplina delle società miste.
6. Riguardo alla prima questione è dato riscontrare una certa non univocità nella giurisprudenza per ciò che attiene le vicende inerenti le società miste multiservizi costituite ai sensi dell’art. 113, comma 5, lettera b) del D.Lgs n. 267 del 2000, soprattutto in ordine alla loro estinzione.
Secondo una prima linea di argomentazioni tutte le vicende che abbiano a verificarsi dopo la costituzione della società sono insuscettibili di modificazione ad opera di atti autoritativi ed a maggior ragione lo scioglimento della società non può essere operato attraverso atti aventi natura provvedimentale di secondo grado, quali la revoca o l’annullamento, attraverso i quali normalmente operano le pubbliche amministrazioni nell’esercizio di potestà pubbliche. (Consiglio di Stato, sezione V, 3 settembre 2001, n. 4586, sezione V, 20 ottobre 2004, n. 6867 e di recente Cassazione civile, Sezioni Unite, 31 marzo 2005, n. 6743 e 15 aprile 2005, n. 7799)
Questa linea è stata seguita dal TAR in una analoga circostanza, con la sentenza n. 2139 del 24 giugno 2003, nella quale la prima sezione ha rilevato che, una volta intervenuta la costituzione della compagine societaria, l’Amministrazione non può più sciogliersi dal vincolo sociale esercitando un potere di recesso unilaterale, anche se nelle forme di un atto di ritiro della precedente manifestazione di volontà di gestire il servizio pubblico mediante lo strumento societario. Dal momento della costituzione della società, e quindi dalla nascita di tale nuovo soggetto giuridico, quest’ultimo è assoggettato al particolare regime disciplinare che lo governa, ed in particolare alle norme di diritto comune, non potendosi più ammettere che l’ente locale intervenga autoritativamente ad incidere sull’esistenza dello stesso mediante un contrarius actus frutto dell’esercizio del potere di autotutela.
La decisione è stata confermata dalla quinta sezione del Consiglio di Stato (sentenza del 20 ottobre 2004, n. 6867) che ha, inoltre, specificato di avere in altre occasioni avuto modo di rilevare che il Comune mantiene un’amplia discrezionalità di revocare la propria precedente decisione di provvedere alla gestione di un servizio pubblico mediante costituzione di una società mista solo non avendo ancora dato seguito alla stessa determinazione (e cita l'altra pronuncia in termini: Consiglio di Stato, sezione V, 4 maggio 2004, n. 2714).
Alla stregua di tali decisioni si comprendono le argomentazioni di parte ricorrente, tendenti appunto a dimostrare che lo scioglimento della società mista multiservizi, una volta che questa, come nel caso in esame, sia stata costituita ed operante, non può essere effettuato con gli strumenti dell’autotutela e quindi revocando o annullando le delibere di approvazione dello Statuto, ma esclusivamente azionando uno degli strumenti previsti dagli articoli 2332 e 2463 c.c. che sanciscono il principio di tassatività delle cause di invalidità dell’atto costitutivo, derivante dall’esigenza di non pregiudicare posizioni giuridiche della società e particolarmente dei terzi, che, estranei alla fase formativa del contratto sociale, abbiano riposto affidamento nella validità dell’atto costitutivo e nella stabilità dei rapporti instaurati dalla società.
Tale posizione produce come conseguenza che, non potendo incidere sulla società costituita con atti di diritto pubblico, le questioni che sorgano intorno alle modalità di scioglimento del contratto societario debbono essere fatte valere dinanzi al giudice ordinario.
In tal senso è orientata la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 7799 del 15 aprile 2005) che rilevano come la società per azioni con partecipazione pubblica non muti la sua natura di soggetto di diritto privato solo perchè il Comune ne possegga, in tutto o in parte, le azioni: il rapporto tra società ed ente locale è di assoluta autonomia, al Comune non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società.
Viene fatta rientrare, dunque, nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente per oggetto la domanda di annullamento di provvedimenti comunali di non approvazione del bilancio e conseguente revoca degli amministratori di società per azioni di cui il Comune sia unico socio, costituendo gli atti impugnati espressione non di potestà amministrativa, ma dei poteri conferiti al Comune dagli articoli 2383, 2458 e 2459 c.c.(Cassazione civile, Sezioni Unite, ibidem).
7 Posto quanto sopra in generale, nella vicenda in esame, sta di fatto però che il giudice ordinario, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 che ha ridisegnato l’art. 33 del D.Lgs n. 80 del 1998, intervenendo sul ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto da P.& B. attuale ricorrente, unitamente alla GEAT, per evitare la propria decadenza dalla società mista, pronunciata dal Comune con la delibera n. 182 del 29 dicembre 2004, si è pronunciato, negando la propria giurisdizione con la seguente motivazione: “invero, in materia di servizi pubblici, la giurisdizione del Giudice amministrativo, che prescinde dal coinvolgimento in tali controversie di quel generico pubblico interesse naturaliter insito nel settore, si radica nel caso in cui la pubblica amministrazione agisca esercitando il suo potere autoritativo, ovvero, in ragione delle facoltà attribuitele dalla legge, attraverso l’adozione di strumenti negoziali sostitutivi del cennato potere (cfr. in questi termini Corte Cost. n. 204/2004). E concludeva che dalla documentazione offerta, dalle deduzioni presentate, oltre a emergere incontestabilmente la natura pubblica dei servizi affidati alle società ricorrenti, può ritenersi ravvisabile, sia nella fase di affidamento dei servizi, sia in quella successiva, l’esercizio da parte della pubblica amministrazione resistente, di poteri pubblicistici (tra cui quelli di vigilanza e di controllo) concernenti l’organizzazione dei servizi e l’espletamento degli stessi,…, citando a tal proposito la decisione del Consiglio di Stato n. 6489 del 2004. (Tribunale di Castrovillari ordinanza del 19 aprile 2005).
Nella decisione menzionata l’Alto Consesso ricostruisce il portato della sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A. dal D.Lgs. n. 80 del 1998, rilevando, in particolare, che “la Corte ha statuito che "la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo" (ovvero, attesa la facoltà, riconosciutale dalla legge, di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo, se si vale di tale facoltà, la quale, tuttavia, presuppone l'esistenza del potere autoritativo: art. 11 della legge n. 241 del 1990). Il parametro di verifica della giurisdizione introdotto dalla Corte investe, quindi, da un lato, l'inerenza della controversia alla "materia dei pubblici servizi"; dall'altro, e contestualmente, il coinvolgimento, nella materia, della "pubblica amministrazione-autorità" (id est, nell'esercizio di un potere autoritativo).”
Al riguardo, dunque, occorre concludere che, premesso che i ricorsi pervenuti alla presente udienza, unitamente a quello in esame e cioè il n. reg. 399 e 584 del 2005 sono dovuti alle pronunce del Tribunale di Castrovillari dell’aprile 2005 che in sostanza hanno orientato le ricorrenti verso la giurisdizione del G.A, sicchè queste si sono affrettate appunto a proporli dinanzi a questo giudice, la ricostruzione giurisprudenziale e giudiziaria della vicenda porterebbe a risolvere la questione della qualificazione dei poteri del Comune in termini di autoritatività degli stessi, con il conseguente incardinamento della giurisdizione in capo al giudice amministrativo, come appare concordemente ritenuto anche dalla sezione V con l’ordinanza n. 740 del 15 febbraio 2005, pronunciata per sospendere la sentenza negativa di giurisdizione pronunciata dal TAR sulla decadenza comminata dal Comune pure all’altra socia PUBLICONSULT, incaricata, all’interno della società mista, del servizio di gestione delle entrate tributarie e patrimoniali.
Sotto gli esaminati profili la censura di “incompetenza” va dunque respinta.
8. Acclarato che, per le pronunce intervenute nella vicenda, questa viene ricostruita in termini di esercizio da parte del Comune di poteri autoritativi estrinsecatisi nella vigilanza e controllo sulle modalità di gestione dei servizi pubblici assegnati alla società mista, secondo la tesi del giudice ordinario, va verificato, tuttavia, se tali poteri si estendano fino a comprendervi quello di autotutela, se esista nell’ordinamento una norma che ne consenta l’uso in una fattispecie come quella in esame, se ne ricorrano i presupposti ed in quale fase del procedimento esso sia destinato a produrre effetti e ciò per valutare la censura tendente a porre in rilievo l’erroneo uso del potere di autotutela da parte del Comune e quella tendente a porre in rilevo la mancata adozione in concreto del tipo di atto sua espressione.
La soluzione di tali questioni passa per l’individuazione della natura giuridica dell’atto impugnato.
Il Comune, anche in memoria di costituzione, ha esposto di avere utilizzato l’art. 1, comma 136 della Legge finanziaria 30 dicembre 2004, n. 311 stante il quale al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento anche se la relativa esecuzione sia perdurante.
In sostanza la norma, pure richiamata nella complessa motivazione del provvedimento impugnato, sembra consentire l’annullamento in sede di autotutela, anche per ragioni di economicità o di risparmio, di provvedimenti illegittimi, previo indennizzo del pregiudizio patrimoniale, quando si vada a incidere su rapporti contrattuali o convenzionali con privati.
La tesi è però avversata dalle ricorrenti, che invece rilevano che l’atto avrebbe natura di recesso, mentre lo Statuto non ne prevedeva alcuna forma.
Al riguardo occorre osservare che, anche se lo Statuto non prevedeva forme di recesso dalla società, tuttavia, all’art. 19 faceva espresso rinvio a tutte le norme del codice civile ed alle leggi speciali in materia per quanto da esso non previsto, con la conseguenza che tale atto ha fatto proprie, tra le altre anche la norma di cui all’art. 2437 c.c. che disciplina il diritto di recesso nel contratto societario, secondo la novella apportatavi dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, entrata in vigore dal 1° gennaio 2005. In applicazione, dunque, di tale novella e del rinvio dinamico ad essa effettuato dallo Statuto societario, i fenomeni che avvengano dopo questa data a carico della GEAT rientrerebbero nella disciplina del cd. nuovo diritto societario e l'atto adottato dal Comune avrebbe potuto anche qualificarsi come recesso.
Ma il fatto è che non è necessario ricorrere al recesso per legittimare il potere del Comune ad adottare l’atto in esame e comprenderne la natura.
Lo Statuto sopra richiamato, infatti opera il rinvio anche alle leggi vigenti in materia ed in particolare è da ritenere tale la disposizione di cui all’art. 1, comma 136 della Legge finanziaria 30 dicembre 2004, n. 311, sopra riportata.
A questo punto la questione diventa verificare se nella fattispecie sono presenti i requisiti di legge per la sua applicazione e cioè, chiarito che la delibera impugnata non configura un atto di recesso unilaterale dal contratto, ma è un atto di annullamento, va verificato se, nel caso in esame, l’atto che viene annullato con la delibera n. 11 del 2005 presentava vizi di legittimità coevi alla sua nascita, al punto tale da esserne consentito, per ragioni di economicità e di risparmio l’annullamento in sede di autotutela prefigurato da quella norma.
9. A tale proposito va osservato che la delibera n. 11 del 2005 è motivata sotto diversi profili:
a) parte dalla considerazione che la delibera n. 13 del 2002 di costituzione della società mista multiservizi non fosse adeguatamente sostenuta dalla valutazione dell’interesse pubblico alla sua costituzione;
b) nelle risposte dei soci privati non vi era alcuna valutazione sull’aggio praticato dalla Società per la riscossione delle entrate tributarie e patrimoniali pari al 20% ed al 15%, mentre il concessionario della riscossione dell’epoca E.T.R s.p.a. effettuava il 4%
c) non vi era stata nessuna argomentazione né elemento innovativo in ordine alla violazioni, riscontrate dal Consiglio comunale, delle disposizioni legislative specifiche della materia di cui agli articoli 113 e 113 bis del D.Lgs n. 267 del 2000 e dall’art. 52 comma 5, lett. b) del D.lgs. n. 446/1997 ai sensi dei quali gli enti locali possono costituire società miste cui affidare la gestione dei servizi a condizione che gli stessi titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e sempre purchè l’erogazione dei servizi affidati sia regolata da appositi contratti, allegati ai capitolati di gara, previa verifica della sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse;
d) non vi era stata alcuna risposta alle obiezioni del Consiglio Comunale né circa le violazioni dell'art. 52, comma 5 lett. b) del D.Lgs b. 446 del 1997, né circa le anomalie riscontrate nello Statuto nel quale non era prevista la maggioranza nel Consiglio di amministrazione della società del Comune di Roseto Capo Spulico benché esso fosse titolare della partecipazione di maggioranza. Tale decisione aveva precluso al Comune di gestire la società e di esercitare un effettivo controllo della gestione finanziaria. Anche nella formazione del collegio sindacale era stata assegnata la maggioranza al socio privato;
e) il socio P & B, incaricato dei tre servizi di manutenzione impianti di pubblica illuminazione – Idrico integrato – Viabilità e segnaletica, scelto a seguito di gara pubblica, nella dimostrazione della capacità tecnica ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs n. 157 del 1995 aveva presentato un elenco di lavori del tutto diversi e quindi non aveva la capacità tecnica per poter partecipare alla gara, laddove il socio, alle contestazioni comunali aveva risposto che in verità detta capacità era da riferire alle ditte individuali di cui P & B era la riunione;
f)la P. & B. e la Eco. MAB rilevano l’inconferenza delle note comunali circa impossibilità di funzionamento della GEAT per la mancata nomina dei rappresentanti di indicazione pubblica, mentre il contenzioso instaurato dimostra l’esatto contrario; anche la vendita delle quote sociali al Comune di Villa Castelli era avvenuta in modo difforme dalla normativa di cui all’art. 113, comma 12 del T.U. n. 267 del 2000 senza cioè la procedura ad evidenza pubblica da quella norma previsto;
g) per quanto concerne l’esistenza dell’interesse pubblico, attuale e concreto alla rimozione degli atti illegittimi, le società istanti rivendicano i risparmi che il Comune avrebbe ottenuto dalla esternalizzazione dei servizi nell’anno 2003, mentre il Comune respinge tali osservazioni sulla base della relazione del consulente di parte che si è basato sulla contabilità dell’Ente e sui rendiconti degli anni 2002 e 2003 che, per presupposto di legge, sono veri fino a querela di falso; la GEAT non avrebbe sconfessato quanto sostenuto nella relazione del consulente comunale che, cioè, guadagnerebbe il compenso pari a Euro 382.441,00 contro quello dichiarato nelle risposte pari a 119.876,00; le società istanti rivendicano i risparmi che il Comune avrebbe ottenuto dalla esternalizzazione dei servizi nell’anno 2003, mentre tali risparmi non sarebbero reali perché in sede di redazione del bilancio sarebbero stati dichiarati solo i ricavi conseguiti nell’anno secondo il criterio della cassa, escludendo invece quelli di competenza ancora da riscuotere;
h) le società istanti non avrebbero risposto neanche alla contestazione relativa alla voce di costo della depurazione che hanno sostenuto come non esistente, mentre risultava regolarmente contenuto nel conto consuntivo del 2002, sicchè anziché un saldo positivo per l’Ente pari a E.32.987,50 risulta un saldo negativo pari a E.59.975,50 se si tiene conto del predetto costo della depurazione pari ad euro 92.963,00; sarebbero anche stati utilizzati l’autocompattatore e l’autoscala di proprietà comunale senza corrisponderne l’importo dovuto per l’uso, pur essendosi impegnati i soci privati P&B e ECOMAB all’uso di mezzi propri e quindi Eco.MAB e P. & B. dovrebbero rispettivamente la prima Euro 10.075,00 e la seconda Euro 2.582,30;
i), l), m) n) riguardo alla gestione delle entrate le affermazioni circa il recupero dell’evasione svolta mediante l’emissione di 1900 avvisi di accertamento con maggiori incassi per il Comune nel 2003 pari E.144.000 non sarebbero supportate da alcun rendiconto contabile specifico; la GEAT anzi avrebbe versato nelle casse comunali meno di quanto ha incassato; ha utilizzato la banca dati predisposta dal Comune, beneficiando del lavoro già svolto dall’Ufficio Tributi; sarebbero stati indicati come “debiti fuori bilancio” le “sopravvenienze passive” dovute per 300.000 euro di mancato introito TARSU degli anni 2000 e 2001, poste che non coincidono affatto tra loro, facendo riferimento ad istituti contabili governati da norme diverse e quindi non sovrapponibili contabilmente.
La delibera conclude, quindi, rilevando che la gestione dei servizi comunali affidata alla società mista denominata GEAT avrebbe prodotto maggiori costi per il Comune di Roseto pari ad E. 157.760,16 al punto da rendere necessario l’annullamento della delibera di costituzione della società mista multiservizi in ossequio all’art. 1, comma 136 della L. Finanziaria per il 2005, che consente tale possibilità per gli Enti allo scopo di conseguire risparmi o minori oneri finanziari, avendo rilevato la non convenienza per mancanza di economicità, di efficienza economica e di efficacia dell’esternalizzazione dei servizi comunali alla società mista.
10. Nell’ambito della complessa motivazione che sorregge il provvedimento impugnato, contrariamente alle tesi delle ricorrenti, i motivi che consentono di ritenere correttamente applicato alla fattispecie l’art. 1, comma 136 della L. finanziaria del 2005 sono quelli volti a porre in evidenza nella delibera n. 13 del 2002 gli elementi di illegittimità coevi alla sua adozione, per come si esprime la norma, che letteralmente dispone la possibilità di annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso.
Le argomentazioni delle ricorrenti a tale proposito mirano, invece, a contestare che la scelta del modello societario per la gestione dei servizi pubblici viene dal Comune negata in base a considerazioni non tecniche, semplicemente di senso contrario a quelle poste a fondamento delle prime e che farebbero propendere per inquadrare la natura dell’atto quale una sorta di revoca basata su sopraggiunte ragioni di opportunità, rendendo altresì evidente lo sviamento di potere, come dimostrato dalla volontà del Comune di liberarsi anticipatamente del vincolo sociale, sol perché costituito per venti anni.
Tali tesi non possono essere condivise e comunque anche se si potesse concordarvi non porterebbero ad una conclusione diversa da quella propugnata dalla sezione, atteso che anche in caso di revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse o per mutamento della situazione di fatto o per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, l'art. 21 quinquies della L. n. 241 del 1990, ha previsto l'obbligo dell'indennizzo a favore di chi ha fatto affidamento sulla legittimità del provvedimento annullato, alla stessa stregua dell’art. 1, comma 136 della L. n. 311 del 2004, di cui si ritiene corretta l’applicazione alla fattispecie in esame per la presenza nella delibera n. 13 del 2002 di approvazione degli atti costitutivi della società mista di vizi ad essa coevi.
In sostanza il Comune ha rilevato, e lo poteva fare, che, prima di addivenire alla costituzione di una società mista multiservizi non si era correttamente valutato l’interesse pubblico alla adozione di tale modulo gestionale unificato dei servizi locali e che la delibera n. 13 del 2002, in verità molto stringata, non era stata adottata previa una seria e preliminare istruttoria, consistente in uno studio di fattibilità ed una analisi tecnico contabile dei costi/utilità per la valutazione dei vantaggi economici e di efficienza che sarebbero derivati al Comune dalla esternalizzazione dei servizi, fino ad allora gestiti direttamente dall’Ente.
10.1 L’altro elemento fondamentale della motivazione pure coevo con la delibera di costituzione della società mista e che viene colpito dall’atto ora esaminato e che viene contestato dalle società esponenti, pone in evidenza come all’epoca della costituzione della società l’Ente avesse mancato di valutare che l’esistenza di tre rappresentanti dei partner privati nel Consiglio di Amministrazione, rispetto ai due soli rappresentanti espressione dell’azionista di maggioranza, (art. 6 dell’Atto costitutivo del 12 settembre 2002) le impediva un reale controllo della società, dal momento che le deliberazioni sono prese a maggioranza assoluta. (art 12 dello Statuto allegato alla delibera n. 13 del 2002 annullata).
Le ricorrenti hanno sostenuto che in tale previsione dello Statuto non vi sarebbe alcuna illegittimità, dal momento che sarebbe sufficiente che lo Statuto preveda, come in effetti è, il Presidente di nomina pubblica e l’amministratore delegato di nomina privata.
Al riguardo tuttavia la posizione non appare proprio corretta, sicchè va respinto il gruppo di doglianze tendenti a porla in risalto evidenziando nella delibera n. 11 l’eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, illogicità, contraddittorietà e travisamento dei fatti, nonché sviamento.
In verità ai sensi dell’art. 2388 c.c. previgente vi era la possibilità che l’atto costitutivo potesse stabilire una diversa maggioranza di adozione delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, laddove la stesura vigente introdotta dalla riforma del diritto societario stabilisce espressamente che le deliberazioni del consiglio di amministrazione sono prese a maggioranza assoluta dei presenti, ma il non avere preso in considerazione la circostanza che con due soli rappresentanti nel consiglio di amministrazione vi sarebbero state difficoltà di gestione della società, era di per sé una ragione sufficiente a suffragare il difetto di istruttoria rilevato nell’adozione della delibera di costituzione della società e, per questa parte, rende immune l’atto gravato da quella mancanza di presupposti normativi idonei a sorreggerlo dedotta dalle ricorrenti con la doglianza principale. A tale riguardo peraltro le società interessate in ricorso non spendono una parola per confutare la posizione del Comune, alla luce del quadro normativo in vigore all'epoca dell'adozione della delibera di costituzione della società, laddove, invece, la impossibilità di funzionamento del consiglio di amministrazione risulta in maniera eclatante dalla deliberazione consiliare n. 52 del 12 novembre 2004 dove veniva posto in evidenza un comportamento ostruzionistico del socio di minoranza (detentore di tre rappresentanti) nell’impedire alla parte pubblica la designazione dei propri componenti, fomentando anche un contrasto tra il Comune di Villa Castelli, e quello di Roseto capo Spulico il cui Sindaco aveva posto in rilievo che il protocollo di intesa tra il precedente primo cittadino ed il Comune brindisino era stato sottoscritto senza mandato preventivo del Consiglio Comunale.
10.2 Va anche respinta la censura secondo cui la delibera n. 11 del 2005 sarebbe anche viziata per eccesso di potere per difetto dei presupposti e sviamento, laddove ha sostenuto la nullità dell’affidamento dei servizi, in quanto era mancata la stipula dei contratti di servizio con la GEAT.
Secondo la tesi delle ricorrenti, infatti, tale posizione non è sostenibile come si evince dalla nota a prot. 14 del 2 gennaio 2003 con la quale il Comune di Roseto C.S. ha giustamente restituito le convenzioni predisposte dalla GEAT, in quanto “la loro sottoscrizione è stata superata dall’art. 4 dell’atto costitutivo della società”, con conseguente affidamento del servizio mediante la semplice trasmissione a GEAT dei Capitolati speciali che li disciplinano. E sostengono pure che in tale affidamento non vi è da riscontrare alcuna illegittimità, atteso che il richiamo all’art. 4 dell’Atto Costitutivo, il quale stabilisce quale è l’oggetto sociale della neoistituita società mista indicando con esso espressamente i servizi di gestione delle entrate tributarie e patrimoniali, di gestione della nettezza urbana, il servizio idrico integrato, di manutenzione viabilità e segnaletica stradale e di manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione, impedisce che si possa equivocare su quali devono essere le competenze gestionali dei soci minoritari della GEAT.
Al riguardo, tuttavia, il Comune obietta che, a mente dell’art. 113, commi 7 ed 11 del D.Lgs n. 267 del 2000, come modificati dal dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, la gara per la scelta del socio privato deve essere indetta nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi ed ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente Autorità di settore. La gara è aggiudicata sulla base di una serie di elementi indicati nello stesso comma 7 e che “fanno parte integrante del contratto di servizio”, da tale espressione inferendosi dunque la necessità della stipula del detto contratto di servizio, che nel caso in esame è mancata. Ed inoltre il comma 11 prevede proprio espressamente che i rapporti degli enti locali con le società di erogazione del servizio e con le società di gestione delle reti e degli impianti sono regolati da contratti di servizio, allegati ai capitolati di gara, che dovranno prevedere i livelli dei servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli previsti.
La tesi del Comune va condivisa, in quanto le procedure di individuazione del socio privato della società mista si sono svolte a seguito di determina n. 111 del 24 maggio 2002, dopo le modifiche apportate all’art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000 dall’art. 35 della Legge finanziaria 28 dicembre 2001, n. 448, che ha previsto i commi 7 ed in particolare 11 i quali facevano un chiaro riferimento al contratto di servizi per disciplinare i rapporti tra l’ente locale e la società erogatrice del servizio o con le società di gestione delle reti e degli impianti.
Ne risulta pertanto che, trattandosi nel caso in esame di società, quali sono le ricorrenti, cui è stata affidata la gestione di impianti oltre che erogatrici del servizio, era necessario, come preteso dal Comune la stipulazione dei contratti di servizio, invece mancata, con la conseguenza che il punto della motivazione della delibera n. 11 va esente dalla censura dedotta.
E non può opporsi al riguardo che il comma 16 dell’art. 35 della L. 28 dicembre 2001, n. 448 di modifica dell’intero art. 113 del D.Lgs. n. 267 ha previsto che con regolamento da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 1 della L. n. 400 del 1988 il Governo adotta le disposizioni necessarie per l’esecuzione e l’attuazione dello stesso articolo 113 e che tale Regolamento sia ritenuto prodromico alla stipulazione dei contratti di servizio.
Infatti sull’argomento si è pronunciato il Consiglio di Stato che con una decisione in cui ha ricostruito la problematica in esame (sezione V, 23 marzo 2004, n. 1543) ha richiamato una propria precedente sentenza (n. 2380 del 6 maggio 2003) in cui si osservava che l’omessa emanazione del regolamento non impedisce l’applicazione della nuova disciplina, (…), in quanto la disposizione previgente è stata interamente sostituita dalla nuova e che, come già osservato, il regime transitorio risulta circoscritto alle sole concessioni in essere, con la conseguenza che, se si negasse l’immediata applicabilità delle nuove disposizioni, gli affidamenti dei servizi pubblici locali successivi all’1 gennaio 2002 resterebbero privi di disciplina di riferimento, non potendosi più applicare quella vecchia in quanto definitivamente sostituita dalla nuova (e, quindi, non più in vigore), con le inammissibili conseguenze di un incolmabile vuoto normativo e di una netta cesura temporale nella regolazione di quelle situazioni. Ed ha posto l’accento sulla circostanza che la portata immediatamente precettiva del nuovo art. 113 t.u.e.l. risulta anche imposta dal rilievo comunitario degli interessi ad essa sottesi che, attenendo ad una più pregante tutela della concorrenza nell’accesso al mercato della gestione dei servizi pubblici locali, esigono una soddisfazione sollecita e contestuale all’entrata in vigore del nuovo regime.
Con la conseguenza che, nel caso in esame, non essendovi concessioni in atto per l’affidamento del servizio, né contratti in corso, la disciplina speciale introdotta dalla modifica apportata all’art. 113 del D.Lgs. n. 267 dalla Legge finanziaria per il 2002 doveva trovare applicazione.
Non può essere condivisa l’altra argomentazione del Comune secondo il quale il Regolamento delle norme sulla costituzione di società miste in materia di servizi pubblici degli enti territoriali dettato dal D.P.R. 16 settembre 1996, n. 533 all’art. 5 prevede che i rapporti tra l’ente locale e la società mista devono essere regolati da apposite convenzioni, in modo da assicurare il corretto svolgimento del servizio nonché la permanente verifica della conformità dell’assetto societario all’interesse pubblico. L’argomentazione che, oltre tutto, non è corretta perché testualmente la norma citata consentiva, invece, che i rapporti tra l’Ente e i soci privati fossero regolati all’atto della costituzione della società “o” con apposite convenzioni, laddove la disgiuntiva non lascia adito a dubbi che siano rimesse alla libera scelta dell’Ente la possibilità di disciplinare detti rapporti al momento della costituzione della società oppure con convenzioni, è da ritenersi superata sul piano normativo dalla previsione del nuovo regolamento che dovrà essere adottato ai sensi dell’art. 35, comma 16 della L. n. 448 del 2001.
Anche tale aspetto della censura va dunque respinto.
11. Con altri gruppi di censure articolate intorno all’eccesso di potere (difetto dei presupposti, di istruttoria, contrasto tra atti) le ricorrenti pongono in evidenza come l’Amministrazione abbia respinto in maniera del tutto apodittica le argomentazioni da loro offerte a seguito dell’avviso di avvio del procedimento di autotutela autorizzato con la delibera n. 2 del 2005 ed aggrediscono il punto della motivazione del provvedimento che più strettamente le riguarda.
In esso l’Amministrazione comunale pone in rilievo che le società istanti non avrebbero risposto neanche alla contestazione relativa alla voce di costo della depurazione che hanno sostenuto come non esistente, mentre risultava regolarmente contenuto nel conto consuntivo del 2002, sicchè anziché un saldo positivo per l’Ente pari a E.32.987,50 risulta un saldo negativo pari a E.59.975,50 se si tiene conto del predetto costo della depurazione pari ad euro 92.963,00; sarebbero anche stati utilizzati l’autocompattatore e l’autoscala di proprietà comunale senza corrisponderne l’importo dovuto per l’uso, pur essendosi impegnati i soci privati P&B e ECOMAB all’uso di mezzi propri e quindi dovrebbero rispettivamente la prima Euro 10.075,00 e la seconda Euro 2.582,30.
Riguardo a tali precise contestazioni contenute nel provvedimento le ricorrenti non obiettano nulla in ricorso limitandosi ad affermare, con una sorta di inversione dell’onere della prova, che il Comune non avrebbe dimostrato gli sbilanci rilevati nei servizi da loro svolti di raccolta RSU, Pubblica Illuminazione, Idrico Integrato e Viabilità e segnaletica, preoccupandosi, inoltre, di sindacare le parti della delibera n. 11 riguardanti però un servizio da loro non svolto e cioè quello tributario e finanziario.
La censura appare dunque scarsamente provata ed è inammissibile.
12. Una parte della motivazione della delibera n. 11 del 2005 riguarda direttamente la P. & B.- In essa il Comune ha sostenuto che la società ricorrente, a seguito della richiesta dell’amministrazione di dimostrazione della propria capacità tecnica, ha presentato un elenco di lavori del tutto diversi da quelli richiesti dal bando di gara, poiché alcuni di essi ancorché formalmente aggiudicati erano stati affidati con contratto in data successiva all’espletamento della gara d’appalto per la scelta del socio avvenuta in data 16 luglio 2002. Il bando di gara, invece, prevedeva che nel dimostrare il requisito della capacità tecnica le ditte fornissero la dichiarazione attestante di aver assunto, con Enti Pubblici, negli anni 2000-2001 o di avere in corso di esecuzione nel corrente anno contratti per servizi o prestazioni analoghe non inferiori a complessivi Euro 100.000 e la P & B aveva presentato, in sede di gara una dichiarazione attestante, in modo del tutto generico, contratti in corso di esecuzione per Euro 160.000, senza specificare quali e che tipo di contratti fossero stati assunti per servizi o prestazioni analoghe, richiesti per la legittima partecipazione all’appalto.
Avverso questa parte della motivazione della delibera in esame la ricorrente ha sostenuto l’assoluta pretestuosità delle osservazioni del Comune, atteso che essa è il risultato della fusione di due imprese individuali che da lunghi anni lavoravano per il Comune, il quale non si era mai lamentato del servizio svolto.
La censura inficerebbe anche come illegittimità derivata la delibera n. 24 del 2005 di annullamento dell’aggiudicazione e degli atti di gara per la scelta del socio privato, pure impugnata col ricorso in esame.
In particolare da quest’ultima si evince che, oltre alla contestazione mossa alla ricorrente P. & B. relativamente ad una presunta mancanza del requisito della capacità tecnica, avendo quest’ultima dichiarato un lavoro aggiudicato in data successiva a quella di espletamento della gara per l’individuazione del socio minoritario, era accaduto che, procedendo l’amministrazione comunale ad attivare la procedura di verifica prevista dall’art. 16 del D.Lgs 17 marzo 1995, n. 157, le imprese partecipanti non avevano dimostrato il possesso dei requisiti di capacità tecnico finanziaria con idonee certificazioni, sicchè la gara avrebbe dovuto essere annullata sin dalla aggiudicazione.
Comunque al riguardo parte ricorrente non fornisce nessuna dimostrazione dell’erroneità o dell’inesattezza dell’assunto del Comune, limitandosi a sostenere che l’art. 14 del D.Lgs. n. 157 del 1995, relativo alla dimostrazione della capacità tecnica, costituisce una indicazione di massima per le amministrazioni, laddove il bando prevedeva, invece, tassativamente la dimostrazione della capacità con una dichiarazione di avere assunto, con Enti pubblici, negli anni 2000 – 2001 o di avere in corso di esecuzione nel corrente anno contratti per servizi o prestazioni analoghe non inferiori a complessivi Euro 100.000. A tal proposito del tutto correttamente il Comune ha contestato che il lavoro di costruzione di una palestra ben difficilmente poteva essere considerato analogo al servizio richiesto (manutenzione impianti elettrici, viabilità e segnaletica, servizio idrico) e che, quindi, dovendolo eliminare dall’elenco dei servizi analoghi, la ricorrente P. & B. non raggiungeva la quota minima di Euro 100.000,00 prevista dal bando per la dimostrazione della capacità tecnica.
Le tesi di parte ricorrente rimangono, quindi, del tutto non provate, atteso che l’interessata non fornisce la documentazione di gara, sicchè esse vanno in toto respinte.
13. La reiezione delle censure che inficerebbero gli atti precedentemente esaminati conduce a rigettare, conseguentemente, la doglianza di illegittimità derivata che colpirebbe anche la determina del 25 marzo 2005 con la quale i responsabili dei vari servizi hanno unitariamente annullato il provvedimento a prot. n. 13 del 2 gennaio 2003 di affidamento a GEAT della gestione dei servizi mediante consegna dei capitolati relativi.
14. Avverso la delibera n. 12 del 2005 di annullamento della cessione della quota del 5% della parte pubblica al Comune di Villa Castelli parte ricorrente deduce la illegittimità derivata dall’atto ora esaminato e deduce il difetto dei presupposti posto a base della motivazione che la sostiene, in ordine alla rilevata necessità della gara pubblica anche per la cessione di una parte della quota pubblica, ai sensi dell’art. 113, comma 12 dela D.Lgs. n. 267 del 2000.
Al riguardo il Comune ha del tutto correttamente eccepito la totale carenza di interesse delle due ricorrenti alla eliminazione dell’atto gravato che non le riguarda direttamente ed è quindi insuscettibile di arrecare loro una lesione concreta ed attuale.
L’eccezione va accolta con conseguente inammissibilità della domanda che concerne l’atto in scrutinio.
15. In ultima analisi gli atti esaminati vanno ritenuti scevri dei vizi che sono stati loro attribuiti, avendo il Comune il potere di attivarsi per la rimozione della deliberazione di costituire una società mista multiservizi, alla luce del particolare disposto dell’art. 1, comma 136 della Legge finanziaria 2004.
16. Le ricorrenti hanno chiesto il risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica con ripristino dell’affidamento del servizio in favore di GEAT ovvero ai sensi degli articoli 33 e 35 del D.Lgs n. 80 del 1998 e s.m.i.
Decade anche tale domanda, in quanto per giurisprudenza oramai costante la richiesta di risarcimento del danno presuppone pregiudizialmente l’accoglimento di quella di annullamento del provvedimento amministrativo.
17. Piuttosto va ritenuta la spettanza dell’indennizzo previsto dall’art. 1, comma 136 della L. 311 del 2004 il quale prevede che l’annullamento di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione di essi sia ancora in corso, qualora incidano su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dell’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, laddove le ricorrenti lamentano, nelle memorie di udienza successive a quella di costituzione, che il Comune pur ritenendo la legittimità del proprio atto di ritiro non starebbe procedendo alla liquidazione dell’indennizzo anzidetto.
Al riguardo occorre precisare che il Comune, nella memoria di costituzione, insiste e ribadisce che l’adozione degli atti esaminati è stata dettata proprio dall’esigenza di rimuoverne la illegittimità in sede di autotutela ed in applicazione dell’art. 1, comma 136 della L. n. 311 del 2004, ma non porta il ragionamento alle sue conseguenze che consistono appunto, nel caso in cui il giudice confermi la correttezza dell’operato dell’Amministrazione, nella necessità della liquidazione dell’indennizzo a favore del privato contraente sul cui rapporto contrattuale vada ad incidere la ritenuta illegittimità di atti sui quali aveva fatto affidamento.
Deve essere precisato che l’indennizzo di cui è questione è sottoposto dalla norma a tre condizioni che, cioè l’annullamento sia disposto al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari, dal momento che il secondo periodo dell’art. 1, comma 136 si riferisce testualmente all’annullamento di cui al primo periodo che appunto prevede il conseguimento di risparmi, che incida su rapporti contrattuali o convenzionali e che non sia adottato oltre i tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento.
Quanto al primo presupposto è da osservare che il provvedimento di annullamento di cui alla delibera n. 11 del 2005 è basato sulla circostanza che il Comune ha ricevuto un aggravio contabile notevole dall’affidamento della gestione unitaria dei servizi alla società mista, laddove si aspettava di conseguire maggiori risparmi rispetto alla gestione diretta mediante impiegati comunali e ciò, per quanto possano obiettare le ricorrenti, si ricava dal raffronto dei dati contabili operato dal consulente esterno dr. Aurelio che si è basato sui Rendiconti 2002 e 2003 dell’Ente. In particolare mentre l’Amministrazione comunale produce lo studio del consulente di parte basato su atti contabili aventi certezza di fede pubblica e dai quali risultano gli aggravi di bilancio dovuti alla gestione dei vari servizi affidati alle ricorrenti, queste ultime si limitano a contestarli genericamente, subendo le sorti della GEAT nei confronti della quale il Comune lamenta il difetto di rendicontazione che in effetti la società non ha mai prodotto neppure in giudizio, circostanza questa che, invece, le avrebbe consentito funditus di contestare tutti gli addebiti da parte dell’Ente resistente. Sotto questo profilo dunque è da ritenersi presente il presupposto per l’applicazione della norma di che trattasi.
Per quanto riguarda il secondo presupposto e cioè l’influenza su rapporti contrattuali o convenzionali col privato, è da rilevare che la norma di cui al secondo periodo dell’art. 1, comma 136/L. n. 311 non prevede che i provvedimenti di annullamento di cui tratta necessariamente si debbano risolvere in una influenza terminativa dei rapporti contrattuali o convenzionali con i privati, ma ne prevede semplicemente una “incidenza”, lasciando aperte tutte le evenienze possibili anche solo modificative dello status quo ante che riguardino detti rapporti.
E dunque, fermo restando che per l’eventuale scioglimento della società il Comune dovrà seguire le regole civilistiche all’uopo predisposte, come dimostra di essere consapevole laddove in memoria di costituzione dichiara di volersi avvalere “dell’art. 2484 c.c. davanti al giudice competente”, anche se attualmente il Comune appare orientato decisamente verso tale esito, pur non essendo nel prosieguo impossibile che possa decidere diversamente, modificando lo Statuto o cambiando partners, va, comunque, riconosciuto il diritto delle ricorrenti ad ottenere l’indennizzo in parola, stante la lata previsione normativa secondo la quale basta che l’atto di annullamento sia destinato ad incidere sul rapporto contrattuale o convenzionale con i privati.
Ad una pronuncia in merito non si oppone neppure la circostanza che sarebbero passati più di tre anni dalla costituzione della società mista, in quanto essa è stata costituita appunto per atto a Notar Giulio Grilli del 12 settembre 2002, ha cominciato ad operare a seguito del contestato affidamento del servizio con la determina dei responsabili dei servizi comunali n. 13 del 2 gennaio 2003, sicchè, nel momento in cui la delibera di annullamento di quella costitutiva della società mista è stata adottata e cioè il 22 marzo 2005, il triennio richiesto dalla norma per l’esercizio del potere di autotutela da esso previsto non è ancora scaduto.
Per la quantificazione dell’indennizzo occorre far riferimento ad una pronuncia del TAR Umbria che, seppure antecedente alla sentenza n. 500 del 1999, è da ritenersi valida in quanto elaborata per l’ipotesi di indennizzo in caso di recesso dall’accordo ex art. 11 della L. n. 241 del 1990. Il principio di base sostenuto dalla sentenza e del tutto condivisibile sostiene che il diritto all’indennizzo per la controparte privata scaturisce proprio a seguito del giudizio che abbia riconosciuto la legittimità dell’atto impugnato, laddove, invece, qualora l'esito del giudizio sia nel senso dell'illegittimità del provvedimento, all'annullamento di quest'ultimo farà seguito il risarcimento del danno. (TAR Umbria, n. 218 del 1999).La sentenza mutuava lo strumento per la liquidazione dell’indennizzo ex art. 11, comma 4 della L. n. 241, dall’art. 35, comma 2 del D.Lgs 31 marzo 1998, n. 80 che consente una condanna generica con indicazione dei criteri da parte del giudice.
A tale scopo dunque il Comune nella liquidazione dell’indennizzo dovrà tenere conto dei prezzi spuntati in sede di appalto per il servizio di RSU di cui è affidataria la ECO.M.A.B. s.r.l. e per i servizi di manutenzione degli impianti di illuminazione pubblica e di manutenzione degli impianti di viabilità e segnaletica e S.I.I. di cui è affidataria la P. & B., come risultano dagli atti di gara e secondo il capitolato consegnato in data 2 gennaio 2003 e a decorrere da questa data e fino alla data della delibera n. 11 del 22 marzo 2005, detraendo per lo stesso periodo tutte le spese sostenute dal Comune per le eventuali inefficienze rilevate nei servizi espletati dalle ricorrenti. e detraendo tutte le perdite sopportate dall’Ente, entrambe le due ultime voci come risultanti da atti contabili aventi certezza di fede pubblica. Il Comune di Roseto dovrà proporre a ECO.M.A.B. e P. & B. la somma dovuta a titolo di indennizzo entro il 31 dicembre 2006 a norma dell’art. 35, comma 2 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come modificato dalla L. n. 205 del 2000.
18. Il ricorso va, pertanto, accolto nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto va riconosciuto a favore della ECO.M.A.B. e P. & B. il diritto all’indennizzo di cui all’art. 1, comma 136 della L. 30 dicembre 2004, n. 311, secondo le modalità sopra precisate e per il resto va respinto.
19. Data la novità delle questioni trattate sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Sezione Seconda definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto riconosce a favore della ECO.M.A.B. e P. & B. il diritto all’indennizzo di cui all’art. 1, comma 136 della L. 30 dicembre 2004, n. 311 secondo le modalità pure in motivazione precisate e per il resto lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella Camera di Consiglio del 4 novembre 2005.
IL PRESIDENTE f.f. est.
Depositata in Segreteria
il 24 maggio 2006 |