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TAR Lazio, sez. II, 23/8/2006 n. 7373
Sulla natura di servizi a rilevanza economica dei restauri e della valorizzazione e promozione dei beni culturali e sul fatto che in tale settore l'affidamento in house può concernere soltanto il servizio relativo alla valorizzazione.

Il settore dei restauri e quello della valorizzazione e promozione dei beni culturali costituiscono servizi a rilevanza economica, secondo la regola evincibile dalle norme comunitarie e nazionali.
La differenza tra servizi a rilevanza economica e quelli che ne sono privi si può rinvenire nel fatto che un servizio ha rilevanza economica quando s'innesta in un settore in cui esiste, perlomeno in potenza, una redditività e, quindi, una competizione sul libero mercato, indipendentemente da forme di finanziamento pubblico, più o meno cospicuo, dell'attività in questione.

Il provvedimento con cui è disposto l' affidamento diretto del Comune, mercé un contratto di servizio, ad una società in house dei servizi di progettazione, conservazione, manutenzione, documentazione e catalogazione dei beni culturali aggira le regole dell'evidenza pubblica di cui agli artt. 1 e 7 del Dlg 30/2004, forzando le norme ex artt. 6, 101 e 117 del Dlg 42/2004.
L'art. 113, c. 5, lett. c) del Dlg 267/2000 consente sì l'erogazione del servizio pubblico con l'affidamento in house, ma nel rispetto delle normative di settore che, dunque, dettano il contenuto ed i limiti del servizio da erogare in tal modo. Dal canto suo, l'art. 115, c. 3, lett. a) del Dlg 42/2004 riguarda non tutte le possibili competenze in tema di beni culturali, ma solo le attività di valorizzazione degli stessi, secondo le regole, per vero assai generali e programmatiche, di cui ai precedenti artt. 6 e 112.
L'affidamento diretto non può dunque che concernere il servizio relativo alla valorizzazione, non anche, in difetto di specifiche ed inequivocabili norme derogatrici, le attività di progettazione, conservazione e manutenzione. Ove tali attività non siano sicuramente ascrivibili alla valorizzazione, il concetto di quest'ultima, essenzialmente rivolta alla promozione ed al sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale, non può esser dilatato in via di mera interpretazione fino a comprendere istituti di altre normative inderogabili. In particolare, è da escludere che, in difetto di fissazione dei livelli essenziali sulla qualità della valorizzazione, quest'ultima copra, sotto la generica dizione della conservazione, tutte le attività di progettazione e di restauro dei beni culturali, ossia di istituti che riguardano appalti pubblici di lavori.

Materia: beni culturali / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO, SEZ. II

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso n. 1117/2006, proposto dalla ARA s.n.c., Tecnicon S.r.l., Ditta Carlo Usai, R.O.M.A. Consorzio, Studio C.R.C. di Paolo Pastorello, Cooperativa C.B.C. S.r.l., Ditta Antonio Forcellino, Arke' Consorzio, Carla Tomasi & C S.a.s., Erre Consorzio, Consorzio Cb Art, Ditta Sergio Salvati, Ditta Anna de Riso Paparo, correnti in Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Luca DI RAIMONDO ed elettivamente domiciliati in Roma, via della Consulta n. 50,

 

CONTRO

- il COMUNE DI ROMA, in persona del sig. Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Cristina MONTANARO ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via del Tempio di Giove n. 21 e

- l’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in persona del Presidente pro tempore, non costituita nel presente giudizio

 

E NEI CONFRONTI

della ZETEMA PROGETTO CULTURA s.r.l., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, controinteressata, rappresentata e difesa dal prof. Stefano VINTI e dall’avv. Elia BARBIERI ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Emilia n. 88,

 

PER L’ANNULLAMENTO

A) – della deliberazione n. 286 del 3 novembre 2005, pubblicata all’Albo pretorio dall’8 al 22 novembre 2005, con cui il Consiglio comunale di Roma ha acquisito l’intero capitale sociale della controinteressata e ha ap-provato il nuovo statuto sociale; B) – della deliberazione n. 663 del 30 novembre 2005, pubblicata all’Albo pretorio dal 9 al 23 dicembre 2005, con cui la Giunta comunale di Roma ha approvato il contratto di servizio tra il Comune e la controinteressata, relativamente alla fornitura dei servizi di progettazione, conservazione, manutenzione, documentazione e catalogazione dei beni culturali (mobili ed immobili) del Comune stesso; C) – dell’eventuale atto d’approvazione di tali deliberazioni; D) – dell'eventuale contratto stipulato tra il Comune e la controinteressata.

 Visto il ricorso con i relativi allegati;

 Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti intimate ;

 Visti gli atti tutti della causa;

 Relatore all’udienza pubblica del 28 giugno 2006 il Cons. dott. Silvestro Maria RUSSO e uditi altresì, per le parti, gli avvocati DI RAIMONDO, MONTANARO e BARBIERI;

 Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO

 La ARA s.n.c., corrente in Roma e consorti assumono d’esser tutte imprese operanti nel settore del restauro di beni culturali, nonché d’aver acquisito al riguardo ampia esperienza in ordine al restauro ed alla conservazione di detti beni e, alcuni, anche all’attività di progettazione e direzione lavori di opere pubbliche.

 La ARA s.n.c. e consorti dichiarano altresì che il Comune di Roma, fin dal 2000, ha in varia guisa affidato alla Zetema Progetto Cultura s.r.l., corrente in Roma o a suoi danti causa un complesso di lavori e servizi, di mole tale da aver rarefatto il mercato del restauro e della gestione dei beni culturali. A loro dire, infatti, l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, con nota prot. n. 27146 del 29 agosto 2005, ha evidenziato tale nocivo fenomeno e ha invitato il Comune di Roma ad adottare iniziative acconce «…a rimettere in concorrenza le attività di manutenzione ordinaria e di restauro dei beni culturali, anche mediante una procedura ad evidenza pubblica…».

 Sennonché già il Comune aveva statuito d’affidare alla predetta Società, con atti gravati in separata sede, i servizi di valorizzazione del Sistema Musei civici di Roma con numerose attribuzione. Da ultimo, con deliberazione n. 286 del 3 novembre 2005, pubblicata all’Albo pretorio dall’8 al 22 novembre 2005, il Consiglio comunale di Roma ha acquisito l’intero capitale sociale della Zetema Progetto Cultura s.r.l., acquistandone la quota, pari al 25%, ancora detenuta dalla Civita Servizi s.r.l. ed approvandone il nuovo statuto sociale. Con successiva deliberazione n. 663 del 30 novembre 2005, pubblicata all’Albo pretorio dal 9 al 23 dicembre 2005, la Giunta comunale di Roma ha approvato il contratto di servizio tra il Comune e la predetta Società, relativamente alla fornitura dei servizi di progettazione, conservazione, manutenzione, documentazione e catalogazione dei beni culturali (mobili ed immobili) del Comune stesso.

 Avverso tali provvedimenti, nonché l’eventuale loro atto d'approvazione e l'eventuale contratto stipulato tra il Comune e la predetta Società, la ARA s.n.c. e consorti si gravano allora, con il ricorso in epigrafe, innanzi a questo Giudice. Al riguardo, i ricorrenti, che chiedono pure il risarcimento del danno a’sensi dell’art. 7, III c. della l. 6 dicembre 1971 n. 1034, deducono in punto di diritto: A) – la violazione e falsa applicazione della l. 11 febbraio 1994 n. 109, del Dlg 22 gennaio 2004 n. 30, della dir. n. 92/ 50/CEE e del Dlg 17 marzo 1995 n. 157, del Dlg 1° dicembre 1997 n. 468 e dei principi in materia di regolarità del procedimento amministrativo e d’ imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, nonché l'eccesso di potere sotto vari profili; B) – la violazione dei principi comunitari e nazionali in tema d’evidenza pubblica e di libera concorrenza, del Dlg 22 gennaio 2004 n. 42 e delle citate norme (sotto altro profilo), nonché l'eccesso di potere per erroneità dei presupposti, irragionevolezza, contraddittorietà, illogicità ed ingiustizia manifeste e sviamento. Resiste in giudizio il Comune intimato, che eccepisce l’inammissibilità del ricorso in epigrafe per difetto dell’interesse azionato verso una formula organizzatoria del servizio di valorizzazione dei beni culturali comunali (interesse già escluso dalla Sezione con la sentenza n. 1385 del 24 febbraio 2006) e per violazione del principio «ne bis in idem» e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea. Anche la controinteressata Zetema Progetto Cultura s.r.l. s’è costituita nel presente giudizio, eccependo l’inammissibilità dell'illegittimità derivata da provvedimenti poi ritenuti legittimi da questo Giudice, il difetto dell’interesse azionato verso la stabilizzazione dei lavoratori di pubblica utilità posti alle dipendenze di detta Società e, nel merito, l'infondatezza della pretesa attorea.

 Alla pubblica udienza del 28 giugno 2006, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

 

DIRITTO

 1. – Viene all’odierno esame del Collegio l’impugnazione spiegata dalla ARA s.n.c., corrente in Roma e consorti —tutte imprese operanti nel settore del restauro e della conservazione di beni culturali, nonché, alcune, anche nel campo della progettazione e della direzione lavori di opere pubbliche—, avverso alcuni provvedimenti con cui il Comune di Roma ha riorganizzato il servizio di valorizzazione dei propri beni culturali.

 In particolare, forma anzitutto oggetto dell’impugnazione de qua, in una con gli atti consequenziali, la deliberazione n. 286 del 3 novembre 2005, pubblicata all’Albo pretorio dall’8 al 22 novembre 2005, con cui il Consiglio comunale di Roma ha acquisito l’intero capitale sociale della Zetema Progetto Cultura s.r.l., acquistandone la quota, pari al 25%, ancora detenuta dalla Civita Servizi s.r.l. ed approvandone il nuovo statuto sociale. È impugnata pure la successiva deliberazione n. 663 del 30 novembre 2005, pubblicata all’Albo pretorio dal 9 al 23 dicembre 2005, con cui la Giunta comunale di Roma ha approvato il contratto di servizio tra il Comune e la predetta Società, relativamente alla fornitura dei servizi di progettazione, conservazione, manutenzione, documentazione e catalogazione dei beni culturali (mobili ed immobili) del Comune stesso.

 2. – Va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso in epigrafe, formulata dal Comune resistente in ordine ai precedenti contenziosi inter partes e, in particolare, al tentativo dei ricorrenti di rimettere in discussione l’assetto che la P.A. ha inteso imprimere, con gli stretti rapporti con la controinteressata fin dal 2000 nell’organizzazione del servizio per la salvaguardia e la valorizzazione dei predetti beni.

 Osserva al riguardo il Collegio che gli atti oggidì impugnati non sono stati presi in considerazione dalla Sezione nella sentenza n. 1385 del 24 febbraio 2006, posto che son stati ritenuti estranei all’oggetto di quella controversia, ancorché instaurata tra le stesse parti odierne. La ragione di ciò è evidente: ad una serena lettura del preambolo d’entrambe le deliberazioni, evincesi appunto la totale riorganizzazione del sistema dei servizi di valorizzazione, progettazione e conservazione dei beni culturali attraverso la formula dell’affidamento in house providing. Si tratta d’un affidamento diretto a soggetto sì distinto dal Comune di Roma, ma nella forma di società di capitali interamente di proprietà pubblica e nei cui riguardi l’ ente titolare, a’sensi dell’art. 113, c. 5, lett. c) del Dlg 18 agosto 2000 n. 267, esercita un controllo analogo a quello esercitato sui suoi servizi e sempreché la società realizzi la parte più importante della propria attività con il Comune controllante.

 Tale vicenda è di per sé idonea a creare una soluzione di continuità giuridico-organizzativa rispetto a tutto ciò che era accaduto dal 2000 in poi tra il Comune e la controinteressata. Invero, s’è verificata la creazione d’una nuova forma dell'affidamento, nonché l’assegnazione di nuovi e più ampi poteri alla Società affidataria attraverso l’estensione della positiva esperienza maturata nella pregressa gestione dei Musei capitolini e di altre strutture museali, oltre che dell’informazione turistica a nuovi obiettivi, soprattutto l’integrazione al sistema museale con le funzioni svolte dai punti informativi turistici e con i servizi di supporto didattico e documentale alle Soprintendenze. Né va sottaciuta, perché ciò costituisce un elemento coessenziale della scelta operata dal Comune intimato, la stabilizzazione del rapporto di lavoro con i lavoratori LPU reclutati presso la Zetema Progetti Culturali s.r.l. Sicché l’impugnata deliberazione consiliare n. 286/2005, pur dando contezza di tutti i precedenti rapporti e collocandosi quale punto terminale d’un lungo processo di progressiva formazione della gestione del servizio per i beni culturali comunali, in realtà pone ex novo quella struttura gestionale ritenuta più acconcia per garantire l’unità e l’integrazione delle attività afferenti al servizio e dapprima non esistente.

 La novazione soggettiva e funzionale del rapporto tra Comune e controinteressata esclude, quindi, non solo qualsivoglia inammissibilità della presente impugnazione o la violazione del principio «ne bis in idem», ma soprattutto il difetto, in capo ai ricorrenti, dell’interesse, qui azionato, a contestare il nuovo assetto del servizio, ove preordinato o rivolto a limitare o ad escludere la concorrenza in soggetta materia.

 La questione della concorrenza, sul punto, non è affatto priva di significato, se si tien conto che pure il settore dei restauri e quello della valorizzazione e promozione dei beni culturali costituiscono servizi a rilevanza economica, secondo la regola evincibile dalle norme comunitarie e nazionali. Già di per sé gli atti di costituzione d’una società mista da parte di un ente locale o quelli d’acquisizione d’una partecipazione per lo svolgimento di un servizio pubblico sono provvedimenti concretamente idonei a sottrarre dal mercato di riferimento la possibilità d’accesso alla contrattazione con la P.A. che abbia optato per quella forma di gestione diretta del servizio (cfr. Cons. St., V, 30 agosto 2005 n. 4428). In secondo luogo, che vi sia una forte differenza, di tra servizi a rilevanza economica e quelli che ne sono privi non v’è dubbio e, anzi, anche il Comune intimato ne è edotto, ancorché essa sia in continuo divenire e non consenta di fissare a priori un elenco di servizi pubblici comunque non rilevanti. Tuttavia, anche in base agli arresti della giurisprudenza comunitaria e nazionale, tal differenza si può rinvenire nel fatto che un servizio ha rilevanza economica quando s’innesta in un settore in cui esiste, perlomeno in potenza, una redditività e, quindi, una competizione sul libero mercato, indipendentemente da forme di finanziamento pubblico, più o meno cospicuo, dell’attività in questione. Ebbene, pur se a suo tempo i ricorrenti non abbiano avuto interesse a contestare il precedente assetto o ne fossero decaduti dall’impugnazione, su quello nuovo, alla luce dei dati testé evidenziati e soprattutto in base ai presupposti legittimanti l’affidamento in house, essi han titolo a farne constare l'illegittimità ove questo serva a violare le regole della concorrenza e dell'evidenza pubblica.

 3. – Resta così assorbita l’eccezione d’inammissibilità del ricorso in epigrafe, formulata anche dalla controinteressata circa l’impugnazione attorea dell’affidamento in house del servizio a’sensi dell’art. 113, c. 5 del Dlg 267/2000.

 Viceversa, è da accogliere l’eccezione sul difetto d’interesse ad impugnare la stabilizzazione dell’occupazione dei lavoratori LPU, in disparte la tardività della relativa doglianza, che i ricorrenti avrebbero dovuto tempestivamente porre non ora, ma contro la deliberazione giuntale n. 1164 del 27 ottobre 2000. Infatti, i ricorrenti non hanno di che dolersi della sistemazione di lavoratori in condizione di precarietà lavorativa, per l'evidente ragione che essi non hanno uno status assimilabile a questi ultimi, non versano nella situazione indicata in parte qua nell’impugnata delibera e non vantano pretese poziori verso il Comune sullo stesso oggetto.

 Parimenti fondata è l’eccezione d’inammissibilità di tutte le doglianze d’illegittimità derivata dai precedenti provvedimenti inter partes, per la duplice considerazione che tali atti non ineriscono alla presente causa e che su essi la Sezione s’è già pronunciata, con la citata sentenza n. 1385/ 2006, in senso sfavorevole alla tesi attorea.

 4. – Passando al merito della controversia e per la parte in cui non è inammissibile, il ricorso in epigrafe è sì meritevole d’accoglimento, ma solo nei limiti e per le considerazioni qui di seguito indicati.

 Per ciò che riguarda la deliberazione consiliare n. 286/2005, la pretesa attorea non convince.

 Osserva invero il Collegio che la scelta del Comune intimato, in ordine all’affidamento in house ex art. 113, c. 5, lett. c) del Dlg 267/2000 si manifesta di per sé né arbitraria, né ictu oculi irrazionale. È materialmente vero che un affidamento di tal fatta non determina quella vera distinzione soggettiva fra Amministrazione aggiudicatrice e società affidataria del servizio che costituisce l'indispensabile presupposto affinché tra di esse si possa concludere un contratto e, quindi, si applichi la normativa comunitaria in materia di appalti (arg. ex C. gius. CE, 18 novembre 1999 causa C-107/ 98 dd. Teckal). Tuttavia, la Sezione (cfr. TAR Lazio, II, 16 dicembre 2004 n. 16254) ha già avuto modo di chiarire, in soggetta materia ed a seguito della novella recata all’art. 113 dall'art. 14, c. 1 del DL 30 settembre 2003 n. 269 (convertito, con modificazioni, dalla l. 24 novembre 2003 n. 326), che la P.A. è sostanzialmente libera di scegliere, relativamente alla gestione dei servizi pubblici, tra l'affidamento mediante procedure d’evidenza pubblica e l'affidamento in house (s.p.a. a capitale interamente pubblico), fermo. Giova, però, precisare che, per quanto ampi siano i margini di discrezionalità tecnica sul punto, l'opzione per uno, piuttosto che per un altro modulo organizzativo e, in particolare, per la s.p.a. deve pur sempre avvenire non già in astratto, ma con riguardo ad un concreto progetto di gestione del servizio. Ebbene, nella specie il Comune di Roma ha scelto il modulo de quo non solo alla luce di esperienze pregresse ritenute favorevoli, ma soprattutto in vista d’un ampliamento dei metodi di valorizzazione dei beni culturali comunali.

 È appena da osservare che, trattandosi appunto di beni culturali, soccorre, dando contenuto e significato concreto all’art. 113, c. 5, lett. c) del Dlg 267/2000, il combinato disposto degli artt. 6 e 115, c. 3, lett. a) del Dlg 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali), nel testo ratione temporis vigente prima della novella recata dall’art. 2, c. 1, lett. hh) del Dlg 24 marzo 2006 n. 156. Infatti, le attività di valorizzazione di detti beni, consistente, tra l’altro, proprio in attività dirette ad assicurare le migliori condizioni d’uso e di fruizione pubblica del patrimonio culturale, può avvenire pure con il modulo organizzativo dell'affidamento in house. Sicché, assunto nella sua oggettività, siffatto modulo prescelto è immune dai vizi denunciati, né di per sé viola gli artt. 6 (progettazione delle opere e direzione lavori) e 7 (affidamento degli appalti) del Dlg 30 gennaio 2004 n. 30, in quanto, aldilà delle specifiche tecniche là stabilite in relazione alla natura delle opere, rimangono ferme le regole generali in tema di ll.pp. stabilite dall’art. 2, c. 2, lett.a) (i restauri sono lavori pubblici) e dall’art. 17 della l. 11 febbraio 1994 n. 109.

 5. – Appunto per tali ragioni, però, le censure dei ricorrenti colgono nel segno e sono condivisibili quando s’appuntano nei confronti della deliberazione giuntale n. 663/2005. Il provvedimento in parola concerne l’ affidamento diretto del Comune, mercé un contratto di servizio, alla controinteressata dei servizi di progettazione, conservazione, manutenzione, documentazione e catalogazione dei beni culturali.

 Ebbene, così il Comune aggira le regole dell'evidenza pubblica di cui agli artt. 1 e 7 del Dlg 30/2004, forzando le norme ex artt. 6, 101 e 117 del Dlg 42/2004, pure richiamati dall’impugnata deliberazione.

 L’art. 113, c. 5, lett. c) del Dlg 267/2000 consente sì l'erogazione del servizio pubblico con l’affidamento in house, ma nel rispetto delle normative di settore che, dunque, dettano il contenuto ed i limiti del servizio da erogare in tal modo. Dal canto suo, l’art. 115, c. 3, lett. a) del Dlg 42/2004 riguarda non tutte le possibili competenze in tema di beni culturali, ma solo le attività di valorizzazione degli stessi, secondo le regole, per vero assai generali e programmatiche, di cui ai precedenti artt. 6 e 112, tant’è che l’art. 114 rinvia all’accordo Stato-Regioni il contenuto e la definizione dei livelli essenziali di qualità della valorizzazione. In particolare, l’art. 112, c. 1 impone a Stato, Regioni e d altri enti pubblici territoriali d'assicurare la predetta valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi indicati all'art. 101, che consiste, a norma dell’art. 6, c. 1 (nel testo applicabile ratione temporis) nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni d’uso e fruizione pubblica del patrimonio, comprendendo anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale. Come si vede, il dato testuale non autorizza a concludere che l’affidamento in house, oltre alle attività espressamente normate (p. es., i servizi aggiuntivi ex art. 117, gestibili con i moduli organizzativi ex art. 115), copra anche quelle solo lato sensu ascrivibili alla valorizzazione e, in realtà, disciplinate da altre regole inderogabili, e, in particolare, dall’evidenza pubblica.

 Da condividere è allora l’assunto dei ricorrenti, laddove imputano all’ affidamento in house l’intento di gestire lavori pubblici, soggetti alle norme d’evidenza pubblica ex artt. 1, 7 e 9 del Dlg 30/2004, come se fossero servizi, mentre essenziale ne è la distinzione a’sensi dell’art. 3, commi 7 e 10 del Dlg 12 aprile 2006 n. 163. In parole più semplici, l’affidamento diretto non può concernere che il servizio relativo alla valorizzazione, non anche, in difetto di specifiche ed inequivocabili norme derogatrici, le attività di progettazione, conservazione e manutenzione di cui parla la deliberazione n. 663/2005. Ove tali attività non siano sicuramente ascrivibili alla valorizzazione, il concetto di quest’ultima, essenzialmente rivolta alla promozione ed al sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale, non può esser dilatato in via di mera interpretazione fino a comprendere istituti di altre normative inderogabili. In particolare, è da escludere che, in difetto di fissazione dei livelli essenziali sulla qualità della valorizzazione, quest’ultima copra, sotto la generica dizione della conservazione, tutte le attività di progettazione e di restauro dei beni culturali, ossia di istituti che riguardano appalti pubblici di lavori e restano disciplinati dalle relative norme, individuabili, al tempo in cui detta deliberazione fu emanata, nel corpo del Dlg 30/2004.

6. – Il ricorso in epigrafe va quindi accolto nei soli limiti fin qui esaminati, nulla disponendosi in ordine al lamentato danno, posto che i ricorrenti non forniscono serio principio di prova del pregiudizio subito in relazione ad un atto il cui annullamento impone alla P.A. l’espletamento d’ una gara, onde la presente sentenza restituisce loro, in forma specifica, quella chance che tale atto aveva eliso. La parziale soccombenza e giusti motivi suggeriscono tuttavia l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.

 

PQM

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. 2°, accoglie in parte il ricorso n. 1117/2006 in epigrafe e per l’effetto annulla, per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione, la deliberazione della Giunta comunale di Roma n. 663 del 2005, meglio indicata in premessa.

 Spese compensate.

 Ordina all'Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza.

 Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 28 giugno 2006, con l’intervento dei sigg. Magistrati:

Domenico LA MEDICA,        PRESIDENTE,

Silvestro Maria RUSSO,         CONSIGLIERE, ESTENSORE,

Giuseppe SAPONE,               CONSIGLIERE.

 

 IL PRESIDENTE       L’ESTENSORE

 

Depositata in segreteria il

23 agosto 2006

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