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Consiglio di Stato, Sez. V, 9/10/2006 n. 6006
Sull'inefficacia delle dimissioni dei consiglieri comunali presentate da un soggetto privo di delega e non corredate dall'autenticazione delle firme.

Non possono ritenersi efficaci le dimissioni di otto dei nove consiglieri comunali, in quanto non essendo state presentate personalmente, non erano corredate da autenticazione della firma, e non erano state versate al protocollo da un soggetto munito di delega autenticata. Le dimissioni della maggioranza dei consiglieri comunali, infatti, producono automaticamente un effetto di obiettiva gravità nella vita politica della comunità locale, e per tale ragione sono sottoposte a formalità (forma scritta, contestualità o contemporaneità, assunzione al protocollo dell'ente, destinatario determinato) le quali già esprimono una deroga, non contestata, al principio della libertà delle forme che ben si accorda con l'imposizione dell'autenticazione e della delega autenticata.

Materia: enti locali / consiglieri comunali

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE Sezione Quinta           ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso n. 2413 del 2004, proposto dal Comune di Carapelle, rappresentato e difeso dall’avv. Pasquale Medina, con il quale elettivamente domiciliato presso l’avv. Franco Gaetano Scoca  in Roma, Via Paisiello 55

 

contro

i signori Alfonso Maria Palomba, Stefano Giovanni Tarantino, Nicola Gallo, Sebastiano Di Corato, Francesco Faregna, rappresentati e difesi  dall’avv. Antonio Mescia ed  con il quale sono elettivamente domiciliati  presso l’avv. Franco Gaetano Scoca in Roma, Via Paisiello 55,

la Presidenza del Consiglio, il Ministero dell’interno e la Prefettura di Foggia rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato nei cui uffici domiciliano per legge in Roma, Via dei Portoghesi 12,

e i signori Luigi Lopes, Giuseppe Tanzi, Gerardo Cinquepalmi e Luigi Mennuni, non costituiti in giudizio

 

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Prima ter 23 febbraio 2004, n. 1690, resa tra le parti.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio degli appellati;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 1° giugno 2004 il consigliere Marzio Branca,  e uditi, altresì, gli avvocati Medina e Mescia come da verbale di udienza.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

FATTO

Con la sentenza in epigrafe è stato accolto il  ricorso proposto dai signori Gerardo Cinquepalmi, Alfonso Maria Palomba, Stefano Giovanni Tarantino, Nicola Gallo, Sebastiano Di Corato, Francesco Faregna e Luigi Mennuni per l’annullamento della nota 6 agosto 2003 con la quale l’Ufficio Territoriale del Governo di Foggia ha negato lo scioglimento del Consiglio Comunale di Carapelle per dimissioni contestuali della metà più uno dei consiglieri assegnati.

Il TAR ha ritenuto che le dimissioni di nove consiglieri, sebbene non autenticate e presentate da un consigliere sprovvisto di delega, erano idonee a produrre l’effetto automatico dello scioglimento del Consiglio comunale, e di ciò l’autorità governativa doveva prendere atto.

Il Comune di Carapelle ha proposto appello avverso la sentenza sostenendone l’erroneità e chiedendone la riforma, previa sospensione dell’efficacia.

Gli appellati si sono costituiti in giudizio per resistere al gravame.

Con ordinanza 20 aprile 2004 n. 1724 la Sezione ha sospeso l’efficacia della sentenza appellata.

Alla pubblica udienza del 1° giugno 2004 la causa veniva trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

Oggetto della controversia è il provvedimento con il quale l’Ufficio Territoriale del Governo di Foggia ha negato la sussistenza dei presupposti per procedere allo scioglimento del Consiglio comunale di Carapelle, ai sensi dell’art. 141, comma 1, lett. b) n.3, del d.lgs n. 267 del 2000, ritenendo, sulla base del parere richiesto in proposito al Ministero dell’interno, che le dimissioni presentate da otto dei nove consiglieri formalmente dimissionari non potevano considerarsi efficaci,  posto che, non essendo state presentate personalmente, non erano corredate da autenticazione della firma, e non erano state versate al protocollo  da un soggetto munito di delega autenticata.

Il ricorso di primo grado contro il provvedimento dell’Ufficio Territoriale del Governo, presentato da sette dei consiglieri di minoranza dimissionari, menzionati in epigrafe, è stato accolto, sulla scorta di una decisione di questa  Sezione (30 maggio 2003 n. 2975), con la quale si è affermato che il mancato rispetto di determinate formalità relative alle dimissioni non presentate personalmente (autenticazione dell’atto, delega autenticata alla presentazione), non poteva produrre l’inefficacia delle dimissioni contestuali o comunque presentate contemporaneamente, in quanto si tratta di  modalità non prescritte dalla legge, ma soltanto da circolari ministeriali sulla base di orientamenti del Consiglio di Stato in sede consultiva e giurisdizionale.

Ritiene tuttavia il Collegio che la giurisprudenza ora richiamata meriti di essere riconsiderata sembrando non tenere conto di alcuni principi imprescindibili, i quali, seppure non presidiati da precetti formalmente esplicitati nella normativa in esame, non possono essere obliterati se non al prezzo di una interpretazione priva di logica e di razionalità.

Non si concorda, in primo luogo, con l’affermazione che si legge a pagina 7 della sentenza sopra citata, secondo cui la fattispecie di scioglimento di cui alla lett. b), n. 3 dell’art. 141, “prescinde del tutto nel testo normativo  dall'accertamento dell'effettiva volontà dei consiglieri dimissionari essendo invece caratterizzata da garanzie attinenti alla forma delle dimissioni e alla fase procedimentale della loro acquisizione”. Appare invece chiaro che il legislatore ha inteso preminentemente garantire, come del resto afferma altrove la stessa sentenza, che l’atto di dimissioni, destinato a produrre lo scioglimento, sia sorretto effettivamente da una volontà tipica, quella, appunto, di pervenire alla dissoluzione dell’organo rappresentativo, e, a tal fine ha imposto l’obbligo della contestualità se le dimissioni sono raccolte in un documento unico, o della contemporaneità, se sono stati redatti più documenti.

In coerenza con il precetto della contestualità, ed anzi a garanzia essenziale che tale volontà tipica effettivamente sussista, non può non porsi l’esigenza che l’atto di dimissioni innanzi tutto provenga realmente dal dichiarante, poiché non avrebbe senso logico pretendere, imponendo la contestualità, la prova che il consigliere dimissionario intenda pervenire allo scioglimento e poi considerare irrilevante la certezza che le dimissioni, non presentate personalmente, siano state sottoscritte effettivamente dal loro autore.

Ne consegue che la prescrizione della autenticazione della firma, voluta dalle circolari ministeriali, dai pareri del Consiglio di Stato, e ora prescritta dall’art. 38 come modificato dal d.l. 29 marzo 2004 n. 80, convertito nella legge 28 maggio 2004 n. 140, non poteva considerarsi, come si legge nella sentenza che non si condivide, “inammissibile intervento di supplenza giudiziaria volto a colmare presunte lacune della disciplina”. Non si tratta infatti di un illegittimo di aggravamento della procedura mediante inserimento di un precetto che altrimenti non ci sarebbe stato, bensì di mera esplicitazione di una regola già presente implicitamente, perché necessariamente presupposta, nella disciplina in esame, caratterizzata, si badi, dall’automaticità dell’effetto dissolutorio delle dimissioni della maggioranza.

Può persino aggiungersi che se una legge abrogasse l’obbligo dell’autenticazione della firma delle dimissioni presentate da un terzo (ma il discorso vale anche per l’obbligo della delega autenticata), la norma sarebbe fortemente sospetta di incostituzionalità per eccesso di potere legislativo sotto il profilo dell’irragionevolezza e dell’illogicità. E’ evidente infatti che mancando l’obbligo dell’autenticazione l’esercizio di una facoltà costituzionalmente garantita ed insista nel principio democratico sarebbe esposto a facili strumentalizzazioni per finalità estranee ed incompatibili con il corretto dispiegarsi della dialettica politica.

L’orientamento che il Collegio ritiene preferibile quindi appare anche osservante del principio comunemente accolto che si debba  seguire l’interpretazione della legge conforme a Costituzione.

Si concorda inoltre con il rilievo già espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva (parere della Sezione prima 11 dicembre 2002 n. 4269) secondo cui non può nella specie invocarsi il principio della libertà delle forme dell’attività giuridica. Le dimissioni della maggioranza dei consiglieri, infatti, producono automaticamente un effetto di obiettiva gravità nella vita politica della comunità locale, e per tale ragione sono sottoposte a formalità (forma scritta, contestualità o contemporaneità, assunzione al protocollo dell’ente, destinatario determinato) le quali già esprimono una deroga, non contestata, al principio della libertà delle forme che ben si accorda con l’imposizione dell’autenticazione e della delega autenticata.

Neppure  sono condivisibili, d’altra parte,  le affermazioni della sentenza n. 2975/03 secondo cui l'onere formale dell'autentica della firma, individuato quale strumento necessario per garantire la veridicità delle dichiarazioni di dimissioni, risulta al tempo stesso superfluo ed insufficiente.

Quanto alla superfluità, che si avrebbe quando la sottoscrizione non viene disconosciuta, può osservarsi che il disconoscimento risulta scoraggiato, in armonia con la serietà della procedura, dalla difficoltà di smentire l’autenticazione.

Quanto alla insufficienza, dipendente dal fatto che l’autenticazione non accerta la volontà del dimissionario ma solo la sottoscrizione in presenza del pubblico ufficiale, va detto che tale ulteriore accertamento non occorre poiché la volontà utile è quella che risulta dalla dichiarazione, essendo irrilevanti tutte le possibili forme di riserva mentale.

In conclusione il provvedimento impugnato in prime cure è esente dalle censure proposte. Ne consegue l’accoglimento dell’appello restando assorbita ogni altra questione.

Le spese vanno poste a carico della parte soccombente nella misura indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello in epigrafe, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata respinge il ricorso di primo grado;

condanna in solido i signori Gerardo Cinquepalmi, Alfonso Maria Palomba, Stefano Giovanni Tarantino, Nicola Gallo, Sebastiano Di Corato, Francesco Faregna e Luigi Mennuni al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 5000, in favore, in parti eguali, del Ministero dell’interno e del Comune di Carapelle;

ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella  camera di consiglio del 1° giugno 2004 con l'intervento dei magistrati:

Raffaele Iannotta                                                   Presidente

Raffaele Carboni                                                    Consigliere

Corrado Allegretta                                                Consigliere

Marzio Branca                                                       Consigliere est.

Aniello Cerreto                                                      Consigliere

 

L'ESTENSORE                                  IL PRESIDENTE

F.to Marzio Branca                             F.to Raffaele Iannotta

 

IL SEGRETARIO

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il 9 ottobre 2006

(Art. 55 L. 27/4/1982, n. 186)

 

IL DIRIGENTE

f.to Antonio Natale

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