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TAR Lazio, sez. II bis, 10/10/2006 n. 10239
Sull'inderogabilità del principio della pubblicità delle sedute di gara per la scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione.

Il principio della pubblicità delle sedute di gara per la scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è senz'altro inderogabile in ogni tipo di gara (compreso l'appalto concorso), almeno per quanto concerne la fase di verifica dell'integrità dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l'offerta economica e relativa apertura. Tuttavia, occorre, però, distinguere tra procedure di applicazione automatica (sulla base della disciplina di gara, che tiene conto unicamente dell'aspetto economico) e quelle che richiedono una valutazione tecnico-discrezionale per la scelta dell'offerta più vantaggiosa per l'Amministrazione sulla base di una pluralità di elementi tecnici ed economici": solo per le prime "la pubblicità delle sedute è generalmente totale per consentire il controllo delle varie fasi di svolgimento della gara da parte dei concorrenti, non sussistendo alcuna valutazione tecnico-discrezionale da effettuare." Si tratta di un adempimento (pubblicità delle sedute) posto a tutela non solo della parità di trattamento dei partecipanti alla gara ma anche dell'interesse pubblico alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi in mancanza di un riscontro immediato". Pertanto, la sussistenza di tale vizio procedurale non può che comportare l'invalidità derivata di tutti gli atti di gara ed il loro conseguente annullamento.

Materia: appalti / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO -SEZIONE II BIS-    

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso n. 3806/2003 proposto da GLOBECO S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Sarro e Leopoldo Di Bonito, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Piazza di Spagna n. 35;

 

contro

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato, per legge, presso i suoi uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento

del decreto del Direttore Generale del Dipartimento per le Risorse Umane – Direzione per la Difesa del Mare n. 627/04/02 del 18 dicembre 2002, recante aggiudicazione alla ditta Cantieri Navali Di Donna s.r.l., della gara indetta per l’acquisizione dei battelli per la raccolta di rifiuti solidi galleggianti;

della nota del Direttore Generale n. SDM/4/632 del 29/1/2003, recante comunicazione dell’esito della gara;

dei verbali di gara nn. 1, 2, 3, 4, 5 e 6;

di ogni altro atto preordinato, collegato, connesso e conseguente, ivi compresi il bando di gara e la lettera d’invito;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;

Vista la memoria prodotta dall’istante a sostegno della propria difesa;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, per la pubblica udienza del 18 maggio 2006,  il Consigliere Francesco GIORDANO;

Uditi gli avvocati come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto

segue:

 

FATTO

La società ricorrente ha partecipato alla gara indetta dal Ministero intimato, per l’acquisizione di 30 battelli per la raccolta di rifiuti solidi galleggianti, collocandosi al secondo posto della relativa graduatoria, dopo l’aggiudicataria s.r.l Cantieri Navali Di Donna.

Gli atti specificati in epigrafe vengono impugnati per i seguenti motivi:

1) Violazione del bando di gara. Eccesso di potere.

L’istante contesta, in via preliminare, l’invito alla gara della controinteressata, sotto il profilo della insufficiente dimostrazione della sua idoneità economico-finanziaria (ed anche tecnica).

2) Eccesso di potere. Difetto di motivazione. Erroneità dei presupposti.

Si formulano rilievi in ordine ai criteri di assegnazione dei punteggi relativi ai “termini di consegna”.

Quanto all’aspetto tecnico, si lamenta la mancanza di un criterio di valutazione e della motivazione, circa i diversi punteggi attribuiti per le voci “allestimento e dotazioni” e “tipologia dello scafo e apparato motore”.

3) Eccesso di potere. Violazione del giusto procedimento. Violazione della par condicio e dei principi generali in tema di gara della Pubblica Amministrazione.

Si rappresentano ulteriori vizi della procedura di gara, con riferimento sia ai criteri di valutazione tecnica dei progetti, sia all’applicazione del principio di pubblicità delle sedute di gara.

Conclude la ricorrente chiedendo l’annullamento dei censurati atti e, in via principale, l’aggiudicazione in suo favore dell’appalto.

In via subordinata, l’interessata chiede il risarcimento dei danni, da quantificarsi in via equitativa e, comunque, in misura non inferiore al 10 % del valore dell’appalto.

Entrambe le parti intimate hanno puntualmente controdedotto alle argomentazioni di parte ricorrente, concludendo per il rigetto dell’impugnativa con vittoria delle spese di lite.

Ha replicato l’istante ribadendo le censure prospettate in ricorso ed insistendo per l’accoglimento delle relative domande.

L’istanza cautelare è stata respinta con ordinanza della Sezione n. 2257 del 9 maggio 2003.

 

DIRITTO

L’odierno gravame ha per oggetto l’appalto concorso indetto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, con bando di gara pubblicato nella G.U. della Repubblica n. 232 del 3 ottobre 2002, ai fini dell’acquisizione di 30 battelli costieri per la raccolta di rifiuti solidi galleggianti, ed è volto ad ottenere l’annullamento del decreto direttoriale di aggiudicazione, emesso a favore della ditta controinteressata, nonché di tutti gli altri atti della procedura concorsuale.

Nel primo mezzo di censura l’istante premette che, ai sensi delle norme di espletamento della procedura in questione, le ditte interessate dovevano, in sede di pre-qualifica, produrre documentazione attestante il possesso dei requisiti tecnici ed economico-finanziari, e, in particolare, l’estratto dall’ultimo bilancio dell’impresa.

Rileva, quindi, parte ricorrente che dall’ultimo bilancio di esercizio risulterebbe che l’aggiudicataria ha raggiunto un valore della produzione pari a € 252.019,00, cifra assolutamente insufficiente a dimostrare l’idoneità economico-finanziaria (ed anche tecnica), in relazione ad un appalto per la realizzazione di imbarcazioni del valore di oltre 4.000.000 di euro.

Ad avviso, dunque, dell’interessata, tale ditta avrebbe dovuto essere esclusa dalla procedura di gara.

Le predette doglianze sono prive di pregio.

Invero, il bando di gara prescriveva che i soggetti interessati avrebbero dovuto fornire adeguate informazioni, oltre che sulla sussistenza di  eventuali cause di esclusione dalla gara, anche in ordine alla capacità finanziaria, mediante estratto dall’ultimo bilancio dell’impresa, ed alla capacità tecnica, con particolare riguardo alle forniture effettuate negli ultimi tre anni.

Null’altro stabilivano le norme di espletamento della procedura di gara e, quindi, non risultavano fissati i requisiti minimi che le imprese aspiranti avrebbero dovuto possedere ai fini della loro partecipazione all’appalto-concorso.

Ne consegue che la valutazione circa l’idoneità finanziaria e tecnica delle imprese, ai fini della loro  ammissibilità alla gara, rientrava nella sfera di discrezionalità tecnica riservata alla stazione appaltante e, perciò, sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvi naturalmente i casi –che, peraltro, qui non ricorrono- di manifesta irragionevolezza ed illogicità delle scelte effettuate.

D’altra parte, la pretesa incongruità della cifra relativa al valore della produzione raggiunto dalla ditta aggiudicataria, rispetto a quello previsto per la fornitura di gara, appare oggettivamente smentita non solo dall’atto di fidejussione prontamente offerto dalla Cantieri Navali a copertura di tutti gli adempimenti ed obblighi contrattuali connessi alla fornitura oggetto dell’appalto-concorso, ma anche dalla circostanza che la controinteressata è stata costantemente invitata a partecipare a gare pubbliche per forniture similari, di entità economica sostanzialmente corrispondente a quella  di cui trattasi (cfr. documenti allegati dalla Cantieri Navali).

Non va, infine, trascurato il principio che tende a privilegiare l’interesse pubblico alla più ampia platea compatibile di imprese partecipanti alle gare, non tanto (o non solo) allo scopo di contrastare il formarsi di “un sistema di oligopolio contrario agli indirizzi politico-economici del Governo e della Unione Europea”, come suggerisce l’Avvocatura dello Stato nella sua memoria del 30 aprile 2003 (pag. 3), quanto in vista della massima possibilità per la stazione appaltante di procedere alla scelta dell’impresa che offra le migliori garanzie di un’esatta esecuzione delle prestazioni richieste.

Col secondo punto di domanda si censurano i punteggi attribuiti all’aggiudicataria, rispetto a quelli assegnati alla ricorrente, per l’elemento “termini di consegna” nonché per le voci “capacità di stoccaggio” e “attrezzatura di raccolta”. Quanto alla voce “allestimento e dotazioni”, non vi sarebbe traccia nei verbali di gara del criterio di valutazione, né della motivazione del diverso punteggio attribuito alle contendenti.

Con riferimento, infine, alla voce “tipologia dello scafo e apparato motore”, si contesta il punteggio attribuito alla ricorrente -rispetto a quello assegnato alla controinteressata- in considerazione del fatto che il profilo dello scafo risulterebbe poco marino.

Ove, invero, alla ricorrente fosse stato attribuito il punteggio spettantele, essa sarebbe risultata aggiudicataria, visto lo scarto finale complessivo, pari a punti 6,3 (recte: 6,4).

Riguardo alla prima questione, si osserva che l’istante propone un criterio di calcolo del punteggio attribuibile alle singole offerte, per la voce “termini di consegna”, che non può essere condiviso in quanto è suscettibile di produrre un risultato non rispondente ai dati reali.

In effetti, una semplice differenza di soli nove giorni, rispetto al limite consentito di 365 giorni solari, fra il tempo di consegna offerto dalla ricorrente (350 gg.) e quello della controinteressata (359 gg.), non può condurre al risultato di attribuire 10 punti alla prima, vale a dire il massimo previsto, e soli 4 punti alla seconda -come vorrebbe l’interessata- in luogo dei punti 9,7 assegnatile dalla Commissione.

Un siffatto calcolo non sarebbe corretto, giacché si tradurrebbe in uno scarto finale, pari al 60 per cento, fra le due contendenti. Il che non rispecchierebbe certo la situazione effettiva venuta a determinarsi nella specifica circostanza.

Sembra, dunque, preferibile optare per il consueto criterio del calcolo inversamente proporzionale  -secondo la nota formula x:punt.max=off. min.:off.max- che invece consente di tener conto dei reali valori in campo e di assegnare il giusto punteggio senza sconfinare nella palese iniquità.

D’altra parte, è sufficiente applicare la suddetta formula ai dati relativi alle offerte presentate, per convincersi che effettivamente la Commissione ha operato nel senso dianzi indicato.

Circa le voci “capacità di stoccaggio” e “attrezzatura di raccolta”, l’istante si limita a riferire i punteggi attribuiti dalla Commissione, senza formulare al riguardo alcuna doglianza.

Non sembra, poi, al Collegio, con riguardo alla voce  “allestimento e dotazioni”, che un giudizio complessivo sulla valutazione comparativa dei progetti presentati, ancorché tradottosi nell’attribuzione di singoli punteggi ripartiti fra le varie voci esaminate, dovesse essere sorretto da un’analitica esposizione delle ragioni che, con riferimento ai singoli elementi presi in considerazione, avevano condotto alla votazione totale attribuita.

Deve, invece, ritenersi sufficiente che, a seguito dell’analisi tecnica eseguita, la Commissione si sia limitata ad assegnare i predeterminati punteggi numerici di dettaglio, dal momento che questi appaiono ex se perfettamente in grado di dare contezza della valutazione compiuta, assolvendo essi pienamente all’obbligo della motivazione dei giudizi espressi nella specifica fattispecie (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 16 gennaio 2002, n. 403; Cons. Stato, Sez. V, 28 dicembre 2001, n. 6459; T.A.R. Toscana, Sez. I, 9 marzo 1999, n. 142).

Le predette considerazioni valgano anche per la voce “tipologia dello scafo e apparato motore”, anche se non può dirsi che la Commissione abbia del tutto omesso di fornire indicazioni di ordine tecnico sul profilo dello scafo e sulla progettazione del complesso scafo-apparato motore risultanti dall’offerta della ricorrente, ove si tenga conto delle valutazioni formulate con riferimento ai progetti delle ditte Nautica Serena e Di Donna, espressamente  richiamate nella circostanza (cfr. verbali nn. 4 e 5).

Né ritiene il Collegio che, nella sua memoria, la difesa erariale abbia indebitamente integrato, in corso di giudizio, le valutazioni tecniche compiute dalla Commissione di gara, stante che, diversamente, l’Avvocatura ha semplicemente esplicitato, con maggior dovizia di particolari e di elementi tecnici di supporto, quanto già la Commissione stessa aveva sinteticamente evidenziato in sede di esame del progetto presentato

dalla ricorrente.

Deve aggiungersi, piuttosto, che, come precedentemente accennato, le valutazioni di natura tecnico-discrezionale di una Commissione di gara sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, ad eccezione ovviamente dei casi di manifesta illogicità, irrazionalità, incongruità e contraddittorietà degli apprezzamenti effettuati.

Nel terzo ed ultimo ordine di doglianze si rappresentano, in via del tutto subordinata, ulteriori vizi della procedura di gara che, ad avviso dell’istante, ne imporrebbero l’annullamento in toto.

In primo luogo, la Commissione avrebbe immotivatamente mutato i criteri di valutazione di alcuni elementi tecnici e ridimensionato il punteggio per ogni singolo item, assemblando in una sola voce “tipologia dello scafo” e “motorizzazione”.

Aggiungasi che, nel silenzio del bando e della lettera d’invito, una delle concorrenti aveva chiesto che l’apertura delle buste economiche avvenisse in seduta pubblica.

La Commissione, invece, dopo essersi riservata di decidere, nella seduta dell’11 dicembre 2002 fissava per il successivo giorno 16 la data dell’apertura, in seduta riservata, delle buste contenenti le offerte economiche, senza peraltro fornire alcuna giustificazione di tale decisione.

Circa il primo punto, il Collegio osserva che i cinque elementi individuati dalla Commissione di gara nella riunione di insediamento (28 novembre 2002), in quanto considerati rilevanti ai fini della valutazione tecnica dei progetti, non hanno subito alcuna sostanziale modifica allorché, nella successiva riunione del 3 dicembre 2002 (la seconda), si è proceduto all’assemblamento in una sola voce della “tipologia dello scafo” e della “motorizzazione”, con l’assegnazione di un massimo di 20 punti alla risultante categoria “caratteristiche tecniche del mezzo, con attenzione alle tipologie dello scafo e dell’apparato motore”.

Non si comprende, comunque, in quale modo tale accorpamento avrebbe leso la posizione soggettiva della ricorrente, dal momento che il criterio è stato uniformemente applicato ad ogni concorrente, senza alcuna alterazione del principio della par condicio dei candidati alla gara.

Quanto al secondo aspetto della contestazione rubricata nel terzo ed ultimo capo di domanda, il Collegio è dell’avviso che la doglianza relativa alla violazione del principio di pubblicità delle sedute di gara non sia destituita di fondamento giuridico.

Per tale via, dunque, il ricorso merita accoglimento. In proposito, la giurisprudenza della Sezione si è così espressa nella sentenza n. 52 del 9 gennaio 2004: “La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne, in via principale, l’applicazione del principio di pubblicità alle procedure di gara per l’affidamento, da parte di una pubblica amministrazione, di lavori e di servizi, con particolare riferimento all’individuazione del soggetto affidatario tramite appalto concorso.

A tale riguardo, il Collegio ritiene di doversi attenere al prevalente indirizzo giurisprudenziale, che pone la pubblicità delle operazioni –svolte dalla Commissione aggiudicatrice per verificare la regolarità delle offerte, nonché l’integrità dei plichi pervenuti- come principio basilare delle procedure concorsuali ad evidenza pubblica: quanto sopra trova deroga, in materia di appalto concorso, solo per quanto riguarda la fase di valutazione delle offerte sotto il profilo tecnico, ma non anche per il momento  dell’apertura dei plichi, contenenti le offerte e delle ulteriori buste, contenenti le offerte economiche (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St. sez.V, 27/2/2001, n. 1067; TAR Piemonte, 5/11/2001, n. 2031).”

Tale indirizzo giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ha validi motivi per discostarsi, è stato, poi, ribadito dalla Sezione V del Consiglio di Stato con la sentenza n. 1445 del 20 marzo 2006, in cui il massimo organo di giustizia amministrativa ha statuito di conformarsi all’orientamento della sezione, per la quale “il principio della pubblicità delle sedute di gara per la scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione è senz’altro inderogabile in ogni tipo di gara (compreso l’appalto concorso), almeno per quanto concerne la fase di verifica dell’integrità dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta economica e relativa apertura”.

A sostegno dell’assunto si citano le decisioni n. 388 dell’11 febbraio 2005, n. 1077 del 16 marzo 2005, n. 1427 del 18 marzo 2004, n. 4586 del 3 settembre 2001, n. 2884 del 7 maggio 2000 e n. 576 del 30 maggio 1997.

Prosegue, tuttavia, il Consiglio di Stato avvertendo che “occorre però distinguere tra procedure di applicazione automatica (sulla base della disciplina di gara, che tiene conto unicamente dell’aspetto economico) e quelle che richiedono una valutazione tecnico-discrezionale per la scelta dell’offerta più vantaggiosa per l’Amministrazione sulla base di una pluralità di elementi tecnici ed economici”, e concludendo che solo per le prime “la pubblicità delle sedute è generalmente totale per consentire il controllo delle varie fasi di svolgimento della gara da parte dei concorrenti, non sussistendo alcuna valutazione tecnico-discrezionale da effettuare.”

Osserva, infine, il massimo Consesso della Giustizia Amministrativa che non “può ritenersi che la mancata pubblicità delle sedute non rileverebbe di per sé come vizio della procedura, occorrendo un’effettiva lesione della trasparenza della gara e della par condicio tra i concorrenti, in quanto trattasi di un adempimento (pubblicità delle sedute) posto a tutela non solo della parità di trattamento dei partecipanti alla gara ma anche dell’interesse pubblico alla trasparenza ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, le cui conseguenze negative sono difficilmente apprezzabili ex post una volta rotti i sigilli ed aperti i plichi in mancanza di un riscontro immediato”.

Da quanto sopra discende la fondatezza della censura, relativa alla mancata pubblicità della seduta (16 dicembre 2002) in cui la Commissione di gara ha proceduto all’apertura delle offerte economiche.

“La sussistenza di tale vizio procedurale non può che comportare, quindi, l’invalidità derivata di tutti gli atti di gara” (cfr. C.S., V, n. 1445/2006, cit.) ed il loro conseguente annullamento.

Non resta, a questo punto, che definire la questione concernente la richiesta di risarcimento del danno, avanzata dalla società ricorrente in via equitativa e, comunque, in misura non inferiore al 10% del valore dell’appalto.

Al riguardo, il Collegio rileva che la ravvisata infondatezza delle altre censure prospettate in ricorso e la natura tecnico-discrezionale delle valutazioni demandate alla Commissione di gara, non rendono affatto certo che la ricorrente sarebbe divenuta aggiudicataria dell’appalto solo per il fatto che complessivamente lo scarto finale tra le due contendenti è risultato di 6,3 (recte: 6,4) punti (cfr. ricorso introduttivo, pag. 5).

Poiché, d’altra parte, non appare possibile ormai, a distanza di oltre tre anni dalla conclusione dell’appalto concorso, disporre la rinnovazione delle operazioni di gara, occorre comunque quantificare la misura del risarcimento spettante alla ricorrente per i danni effettivamente subiti in conseguenza della riscontrata illegittimità procedimentale.

Sul punto si osserva che, non essendo dimostrato che l’impresa ricorrente sarebbe stata sicuramente aggiudicataria della fornitura secondo le regole della gara, ma anzi palesandosi verosimilmente il contrario, non sembra congruo accordare alla stessa un risarcimento che tenga conto della perdita di chance o del suo mancato utile nell’espletamento dell’appalto.

Appare, invece, più rispondente alla reale situazione fattuale nonché alla natura ed all’entità dei danni effettivamente patiti, riconoscere la fondatezza della domanda risarcitoria nei limiti del c.d. interesse contrattuale negativo, consistente, secondo la costante giurisprudenza, nella diminuzione patrimoniale conseguente alla partecipazione alla gara.

Pertanto, ai sensi dell’art. 35, comma 2 del D.Lgs. 31.3.1998, n. 80, va assegnato al Ministero resistente il termine di novanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza per la formulazione di un’offerta di pagamento comminata alle spese affrontate dalla soc. ricorrente per la partecipazione alla procedura concorsuale.

Quanto alle spese di lite, si ritiene che le stesse debbano essere poste a carico del Ministero intimato e liquidate nella misura risultante dal dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Seconda bis, accoglie il ricorso meglio specificato in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Dispone il risarcimento dei danni nei termini precisati in motivazione.

Condanna il Ministero intimato a corrispondere alla ricorrente la somma di € 2.000,00 (euro duemila/00), a titolo di rifusione delle spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II bis, nella Camera di Consiglio del 18 maggio 2006, con l’intervento dei signori Giudici:

Patrizio GIULIA                      Presidente

Francesco GIORDANO         Consigliere rel. estensore

Solveig COGLIANI                Consigliere

 

IL PRESIDENTE                    IL CONSIGLIERE ESTENSORE

 

Depositata in segreteria

il 10/10/2006

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