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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, nelle persone dei magistrati:
Vincenzo Borea – Presidente, est.
Enzo Di Sciascio – Consigliere, relatore
Oria Settesoldi - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 203/06, proposto dalla Copra Ristorazione e Servizi Coop., in persona della legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti Adolfo Mario Balestrieri e Alessandro Tudor, con domicilio eletto presso l’ultimo in Trieste, Galleria Protti 1, come da mandato in calce al ricorso;
contro
il Comune di Trieste, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Maria Serena Giraldi e Oreste Danese, con domicilio eletto presso l’Avvocatura comunale in Trieste, via Genova 2, come da deliberazione giuntale n. 196 dd. 20.6.2006 e da mandato a margine dell’atto di costituzione;
il Direttore pro tempore dell’Area Affari generali ed istituzionali in proprio, non costituito in giudizio;
per l’annullamento
del bando di gara dd. 27.2.2006, con cui il Comune intimato ha indetto un pubblico incanto per l’affidamento, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, del servizio di mensa scolastica;
del relativo Capitolato speciale d’appalto, nella parte impugnata;
del relativo disciplinare di gara, nella parte impugnata;
e per il risarcimento
dei danni derivanti dai provvedimenti impugnati;
Visto il ricorso, notificato il 13.4.2006 e depositato il 20.4.2006 presso la Segreteria generale, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;
Viste le memorie esposte dalle parti;
Visti i motivi aggiunti di gravame, ritualmente notificati e depositati
contro
il Comune di Trieste, come sopra rappresentato e difeso;
e nei confronti
di Euroristorazione srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale capogruppo mandataria del RTI con Adecco Italia spa, rappresentata e difesa dagli avv. ti Mario Calgaro e Mario Paolo Sardos Albertini, con domicilio eletto presso il secondo in Trieste, via Filzi 15, come da mandato a margine dell’atto di costituzione;
per l’annullamento
degli stessi atti oggetti del ricorso originario e, in via di illegittimità derivata, del verbale di aggiudicazione del Direttore dell’Area affari generali ed istituzionali prot. n. 24/5-2/2006 dd. 3.5.2006, con cui l’appalto è stato aggiudicato al R.T.I. controinteressato;
Visti gli atti tutti di causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 27 settembre 2006 la relazione del consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi altresì i difensori delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Con l’atto introduttivo del ricorso in esame la Copra Ristorazione e Servizi impugna in via immediata il bando di gara di cui in epigrafe relativo ad una (rinnovata, e si vedrà poi per quale ragione) procedura di affidamento da parte Comune di Trieste del servizio di mensa scolastica per il periodo 1 luglio 2006-31 agosto 2010, denunciandone l’illegittimità per errata applicazione e sostanziale vanificazione delle regole proprie del metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, metodo specificamente voluto dalla legge in tema di ristorazione scolastica (art. 59 L. n. 488/99), per elusione del giudicato, e, infine, per violazione del principio di adeguata remuneratività.
In conclusione viene altresì azionata una domanda di risarcimento danni.
Con motivi aggiunti notificati in corso di causa, poi, al sopravvenire degli esiti della procedura (alla quale la ricorrente aveva nel frattempo richiesto formalmente di partecipare), si ribadiscono, arricchite di ulteriori argomentazioni, le doglianze sopra riassunte, inferendone in via derivata l’illegittimità anche della disposta aggiudicazione a favore della società controinteressata, e reiterandosi altresì l’istanza di risarcimento danni.
Va a questo punto ricordato, ai fini di una compiuta comprensione della singolarità della fattispecie, che l’attuale ricorrente allo stato svolge, in via di fatto, il servizio di ristorazione scolastica del quale si discute, in forza del mantenimento temporaneo (in attesa cioè dell’espletamento di una nuova, doverosa procedura qual è appunto, come si è poc’anzi accennato, quella di cui ora si discute), assicuratole per presumibili, evidenti ragioni di pubblico interesse, dell’affidamento a suo favore a suo tempo (aprile 2003) disposto in quanto risultata aggiudicataria a conclusione di una precedente procedura di gara, peraltro annullata da questo Tribunale con sentenza n. 412/04 confermata in appello con sent. n. 6002/05 della V Sez. del Consiglio di Stato: annullamento disposto sulla base di motivazioni che si vedranno nell’esame delle doglianze ora mosse (oltre che nell’esame della domanda risarcitoria).
Ciò premesso si può passare all’esame del merito del ricorso, potendosi prescindere dall’esame delle numerose, articolate e agguerrite eccezioni di inammissibilità opposte dalle controparti nei confronti della parte impugnatoria di cui all’atto introduttivo e ai motivi aggiunti (della domanda di risarcimento si dirà poi), per essere le dedotte censure di legittimità prive di fondamento.
Non ha pregio in primo luogo sostenere che la P.A. avrebbe violato o comunque aggirato le regole su cui si fonda il metodo (o criterio, che dir si voglia) di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa previsto dall’art. 23, comma 1, lett. b) del DL.vo n. 157/95.
Va chiarito in fatto che l’art. 55 del capitolato speciale d’appalto prevede la suddivisione dei rituali 100 punti assegnandone 35 all’elemento prezzo e, per quanto qui particolarmente interessa, 62 all’offerta di prodotti biologici in più rispetto a quelli previsti nello stesso capitolato come obbligati (art. 6 e allegato D), richiedendosi il conseguimento di un minimo di 39 punti a pena d’inammissibilità (pag. 11 del disciplinare di gara), alla previsione di 2,5 punti in ragione della proporzione fissa di un addetto alla distribuzione ogni 25 bambini e, infine, alla previsione di 0,5 punti in ragione della tenuta di corsi di educazione alimentare per genitori ed insegnanti.
Ciò posto, per evidenziare l’infondatezza di un primo profilo di doglianza con il quale si denuncia come eccessivo il peso assegnato alla qualità dei prodotti alimentari, appare sufficiente ricordare da un lato, in via generale, che la norma invocata (“… a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, valutabile in base ad elementi diversi, variabili secondo il contratto in questione, quali, ad esempio, il merito tecnico, la qualità, le caratteristiche estetiche e funzionali, il servizio successivo alla vendita, l’assistenza tecnica, il termine di consegna o esecuzione, il prezzo”) consente un potere discrezionale di incensurabile latitudine, salvo il riscontro di vizi logici di palmare evidenza, nella scelta e nel bilanciamento degli elementi di valutazione dell’offerta (l’unico che non può mai mancare ed avere una consistenza concreta è, ovviamente, l’elemento prezzo), potere discrezionale che naturalmente va valutato e commisurato in relazione alle specifiche esigenze di ciascun appalto (cfr., tra le tante, C.d.S., IV, 5714/02).
Da un altro lato, poi, in via particolare, determinante nella specie è considerare che l’art. 59, comma 4, della l. n. 488/99 (disposizione sulla quale si dovrà poi tornare) ha imposto negli appalti pubblici relativi alla ristorazione l’aggiudicazione con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa precisando che deve essere attribuito valore preminente “all’elemento relativo alla qualità dei prodotti agricoli offerti”: e così, del tutto correttamente, ha appunto operato nella specie la P.A., ponendo, nei termini che si sono detti, la valutazione della qualità dei prodotti come criterio di valutazione preponderante (insieme al prezzo).
Quanto poi all’ulteriore rilievo secondo il quale si sarebbe dovuto dare adeguato peso alle caratteristiche di progettualità dell’offerta, con tale espressione intendendosi l’organizzazione del servizio, le metodologie tecnico-operative, le politiche di approvvigionamento degli alimenti, e, soprattutto, a quel che è dato comprendere dalle argomentazioni svolte nei motivi aggiunti, la predisposizione di misure atte a prevenire aggressioni di agenti esterni cui sono particolarmente soggetti i prodotti biologici, giustamente si obietta ex adverso che negli artt. 11 e ss. del capitolato e nel relativo allegato D, contenente l’elencazione dei gruppi merceologici dei prodotti da fornire, sono contenute le prescrizioni da seguire per garantire l’integrità dei prodotti stessi, prescrizioni sul cui rispetto la P.A. appaltante naturalmente si riserva di effettuare gli opportuni controlli (conservazione in dispense e frigoriferi, etichettatura, termini di scadenza, divieto di doppia surgelazione, ecc.).
Si vuol dire, si precisa, che la previsione di strumenti di garanzia della piena e salubre commestibilità dei prodotti alimentari viene nella specie ineccepibilmente configurata non già, al contrario di quanto si vorrebbe, come elemento più o meno variabile delle offerte con conseguente attribuzione di punteggi altrettanto variabili, bensì come soglia vincolante (si vedano le analitiche descrizioni delle caratteristiche che devono avere i singoli prodotti contenute nel ricordato allegato D) rigidamente imposta a monte, risultando in conseguenza la suddetta previsione come tale inidonea a tradursi in livelli differenziati di efficacia liberamente disponibili da parte degli offerenti.
Con la precisazione che non può in questa sede avere valore apprezzabile il fatto che la controinteressata in un diverso appalto avrebbe somministrato cibi biologici non idonei, sia perché, da un lato, è credibile che il relativo rischio sia immanente con tali tipi di alimenti, proprio perché sforniti di conservanti, con conseguente spostamento del problema a livello di metodologie di conservazione e di controlli (misure nella specie, come si è visto, debitamente previste dal capitolato), e sia perché, come si osserva, l’episodio denunciato non ha comunque impedito il proseguimento del servizio, evidentemente perché le giustificazioni addotte erano state ritenute esaurienti.
Neppure il secondo, radicale profilo di doglianza con il quale si denuncia la sostanziale vanificazione da parte della P.A. del precetto normativo contenuto nelle sopra ricordate disposizioni di cui all’art. 23 D.L.vo n. 157/95 e all’art. 59 L. n. 488/99, che impone per i servizi di ristorazione l’utilizzo del metodo dell’offerta più vantaggiosa, può trovare accoglimento.
Sostiene in sostanza parte ricorrente che i tre elementi di valutazione previsti, in aggiunta al prezzo, e cioè, come sopra già ricordato, l’offerta di prodotti biologici in più rispetto a quelli vincolatamene imposti nel capitolato (fino a 62 punti), la previsione di un addetto ogni 25 bambini (fino a 2,5 punti), e la tenuta di corsi di educazione alimentare (fino a 0,5 punti) solo apparentemente adeguerebbero la gara alle caratteristiche proprie del voluto metodo di scelta del contraente, dato che in sostanza i medesimi sarebbero strutturati in modo tale da comportare offerte di uguale valore con il risultato che l’elemento determinante risulterebbe in definitiva il valore del prezzo offerto, finendosi con il dar vita in sostanza una gara con il metodo del prezzo più basso in violazione o vanificazione, che dir si voglia, si ripete, della ratio legis. Con l’aggravante, si aggiunge, articolandosi così un ulteriore, formalmente distinto profilo di doglianza, che in tal modo la stazione appaltante si porrebbe altresì in contrasto con il precedente giudicato di cui si è fatto cenno all’inizio, giudicato di cui era risultata vittima la stessa attuale ricorrente posto che l’aggiudicazione a suo favore allora disposta era stata annullata (anche) proprio perché la gara era stata tenuta con il metodo dell’offerta più bassa.
Ciò posto, premesso che, come già in precedenza accennato, non può ritenersi censurabile l’importanza assolutamente prevalente attribuita all’elemento qualitativo in favore dei prodotti biologici (essendo questa la ratio legis sottesa alla disposizione di cui all’art. 59 L. n. 488/99) deve osservarsi che, se pur possa apparire verosimile che gli altri due ulteriori elementi di valutazione non sembrino in via prognostica prestarsi agevolmente ad offerte diversificate ponendosi quindi come destinatarie di punteggi diversi, non altrettanto può dirsi, e la considerazione appare determinante al fine di escludere la rigidità dell’elemento di valutazione previsto e con questo della asserita impossibilità di realizzazione concreta del meccanismo proprio dell’applicazione del metodo dell’offerta più vantaggiosa (e cioè la premiazione del miglior rapporto qualità-prezzo) per ciò che riguarda l’incentivo ad offrire ulteriori prodotti biologici rispetto a quelli imposti dal capitolato.
L’affermazione infatti secondo la quale gli offerenti, per poter sperare di vincere la gara, sarebbero indotti, per tutte le 11 diverse categorie di prodotti previsti, ciascuna delle quali con un proprio punteggio, ad appiattirsi sui quantitativi massimi di prodotti biologici previsti per ciascuna delle categorie stesse (con ciò andando tutti fatalmente a guadagnarsi, si assume, il medesimo, massimo punteggio di 62 punti), non è credibile.
E’ sufficiente infatti considerare che, ovviamente, il miglioramento qualitativo dell’offerta incentivato dall’elemento di valutazione in esame comporta un corrispondente incremento del costo dell’offerta stessa, essendo fatto notorio e non bisognoso di dimostrazione che i prodotti biologici costano di più dei prodotti corrispondenti che biologici non sono. Ne deriva che, contrariamente a quanto si assume, ciascun offerente dovrà necessariamente, prima di modulare la propria offerta di prodotti biologici aggiuntivi, stabilire un punto ottimale di equilibrio qualità-prezzo, punto ottimale che ragionevolmente non potrà non variare in relazione alle diverse, particolari e soggettive condizioni in cui si trova ciascun imprenditore, e, soprattutto, che ben difficilmente, pare agevole presumere, potrà premiare integralmente il valore qualità a scapito del valore prezzo (che naturalmente verrà numerizzato in via inversamente proporzionale), dato che in tal modo, è intuitivo, si rischierebbe di squilibrare troppo l’offerta e quindi di compromettere l’esito della gara a causa del necessariamente (troppo) elevato importo del prezzo.
Ciò che in effetti risulta poi essere nella specie avvenuto, dato che, come giustamente evidenziato dalle controparti, delle tre offerte presentate, nessuna si è spinta ad offrire l’integralità dei prodotti biologici fino a raggiungere il massimo punteggio previsto, avendo conseguito la controinteressata p. 44, altra partecipante p. 40 e la stessa ricorrente, in sostanza clamorosamente smentendo se stessa, p. 39 (rispetto ad un massimo, si ricorda, di p. 62).
Del pari infondata è poi l’ultima doglianza mossa, a tenore della quale il prezzo complessivo posto a base d’asta (€. 15.689.093) sarebbe ingiustificatamente inferiore a quello dovuto per garantire una adeguata remuneratività del servizio.
Gli elementi di asserita prova di quanto affermato si desumono dal confronto con la gara precedente (la cui base d’asta era fissata in €.19.873.660) e vengono così sintetizzati:
a) riduzione del numero dei pasti di circa il 15%;
b) diminuzione del numero di dipendenti comunali con qualifica di cuoca;
c) aumento della richiesta di prodotti biologici.
Premesso che la procedura precedente prevedeva una durata del servizio di 54 mesi (1 marzo 2004-31 agosto 2008), mentre quella attuale si limita a 50 mesi (1 luglio 2006- 31 agosto 20010), ritiene il collegio, contrariamente a quanto si assume, che le argomentazioni svolte nelle difese delle controparti valgano a giustificare ragionevolmente il minor costo complessivamente previsto per la procedura in esame rispetto a quella precedente.
Si ribatte infatti che:
1) l’aumento dei prodotti biologici consentirà di beneficiare di appositi contributi regionali (art. 2 L.R. n. 15/00 e art. 55 capitolato);
2) le integrazioni e sostituzioni degli arredi, già a carico dell’appaltatore, sono ora a carico del Comune (art. 18 precedente capitolato e art. 18 dell’attuale);
3) la sostituzione delle cuoche comunali, diminuite a seguito di collocamenti a riposo da 17 a 8, in caso di assenza o impedimento, in precedenza a spese dell’appaltatore, ora è invece a carico del comune (art. 2, punto 4 e art. 32 di entrambi i capitolati);
4) infine, ed è questa la più rilevante delle ragioni che giustificano il minor costo (con la precisazione che non è dato comprendere come, al contrario, da parte ricorrente si sostenga sul punto che la circostanza costituirebbe un aggravio di oneri), viene prevista l’erogazione di un numero di pasti proporzionalmente inferiore nella misura del 15%: e ciò in quanto, mentre nel capitolato della gara precedente la dimensione dell’utenza ( e cioè il numero dei pasti da erogare nel periodo considerato) era stata calcolata in via presuntiva e meramente indicativa sulla base del numero degli iscritti nel 2003 (art. 3), nella procedura attuale, muovendo sempre dal numero degli iscritti, si è più realisticamente tenuto conto della percentuale media di assenze accertate nell’ultimo triennio (30% per gli asili nido, 20% per la scuola materna e 10% per gli altri ordini di scuola): ciò che di per sé ha comportato, rispetto alla precedente procedura, un minor costo a preventivo di quasi 3 milioni di euro.
Non vale opporre a), che i costi delle integrazioni e sostituzioni degli arredi costituiscono oggetto di un diverso contenzioso tra le parti, essendo evidente l’irrilevanza di un eventuale addossamento ex post, quale potrà derivare dall’esito del suddetto contenzioso, di eventuali maggiori oneri a carico della stazione appaltante con riguardo ai criteri a suo tempo seguiti nel calcolare il costo del servizio; b) che la diminuzione del numero delle cuoche a carico del comune non potrebbe costituire agevolazione alcuna per l’appaltatore, dato che la denegata agevolazione deriva da tutt’altra ragione, e cioè dall’addossamento al comune delle spese per l’eventuale sostituzione delle suddette cuoche in caso di assenza; c), infine, che l’asserita diminuzione del 15% dell’utenza calcolata su base statistica sarebbe irrilevante, precisandosi in entrambi i capitolati che comunque (com’è ovvio) il comune è tenuto a pagare soltanto i pasti effettivamente forniti: ma questo prova semmai soltanto che il budget del precedente appalto era errato per eccesso, e non già che quello dell’attuale procedura è eccessivamente restrittivo, per essere invece questo, semplicemente, come già accennato, soltanto più realistico (in base all’esperienza in precedenza fatta).
Infine, per concludere, a conferma della non dimostrata insufficienza ed inadeguatezza della somma posta a base di gara, può infine precisarsi che il costo unitario medio di un pasto tipo da assumere a fondamento del costo complessivo da porre a base della gara è stato calcolato dalla P.A. in €. 4,01, sulla base di una specifica e ponderata analisi dei costi rilevati in analoghi servizi di vari comuni d’Italia (cfr. doc. n. 20 del Comune resistente, recante la data del 23 gennaio 2006).
Esaurito così l’esame delle censure dedotte, il ricorso deve dunque (nella sua parte impugnatoria) essere respinto.
Occorre peraltro a questo punto dare conto anche della ulteriore domanda azionata dalla ricorrente, e cioè della domanda di risarcimento dei danni subiti.
La domanda non può essere sbrigativamente liquidata, in ragione dell’accertata legittimità degli atti impugnati, cui consegue la mancanza di quell’annullamento che -di regola- costituisce presupposto essenziale per poter legittimare il ricorrente o ottenere un risarcimento danni, sia questo nella via della reintegrazione in forma specifica ove possibile, (ad es., mediante aggiudicazione dell’appalto in ipotesi nelle more del giudizio “congelato” da un provvedimento cautelare del giudice amministrativo), ovvero per equivalente (come per lo più avviene).
Ed invero accade nella fattispecie che l’azione risarcitoria proposta trovi la sua ragion d’essere e quindi logica giustificazione proprio nel rigetto del ricorso, il cui effetto sta nel precludere definitivamente alla ricorrente la possibilità di proseguire nella gestione di quel medesimo servizio ora oggetto di ricorso che a suo tempo le era stato affidato (con decorrenza dal 1 marzo 2004 e sino al 31 agosto 2008) e che comunque, come si è accennato in precedenza, aveva continuato a gestire di fatto –e che a tutt’oggi gestisce, a quanto risulta- anche dopo l’impugnazione da parte di un terzo dell’aggiudicazione poi conclusasi, come si è visto, con l’annullamento giurisdizionale che a sua volta ha dato vita alla nuova procedura.
Vero è infatti che il pregiudizio lamentato non nasce tanto dall’esito dell’attuale giudizio, quanto di quello precedente, che aveva imposto alla P.A. di procedere anzi tempo ad una nuova gara in ragione dell’illegittimità della procedura a suo tempo posta in essere, sicchè può dirsi che l’esito del giudizio attuale vale solo a far venir meno ogni dubbio sul permanere attuale del pregiudizio economico subito in forza dell’incombente venir meno della gestione del servizio in data necessariamente anteriore rispetto alla scadenza originariamente prevista (31 agosto 2008).
Venir meno della gestione, con conseguente pregiudizio economico, si aggiunge da parte ricorrente, da imputarsi a responsabilità colposa della P.A. nella conduzione della procedura poi annullata.
Chiarito così il presupposto di fatto su cui poggia l’azionata domanda risarcitoria, e precisato altresì, su di un piano puramente fattuale, che non pare possibile mettere in dubbio che il ricorrente nella vicenda sopra descritta abbia tratto un pregiudizio d’ordine economico, quantificabile nel mancato profitto della gestione del servizio per il periodo mancante rispetto al termine originariamente previsto di durata del servizio stesso, si tratta ora di vedere se detta domanda sia, innanzi tutto, ammissibile in questa sede, e in caso positivo, se fondata, in quali limiti.
Si dubita ex adverso in primo luogo della giurisdizione di questo giudice a conoscere della domanda azionata, e, in subordine, della proponibilità, comunque, della medesima congiuntamente all’impugnazione della nuova procedura, anziché con ricorso autonomo (correlato all’annullamento giurisdizionale della procedura precedente).
La duplice eccezione posta dalla P.A. resistente (senza eccessiva convinzione, peraltro, come dimostra il fatto che nella memoria conclusiva e nel corso della discussione orale la medesima P.A. si è difesa soltanto contestando nel merito l’esistenza di validi presupposti a fondamento del merito della domanda, senza più contestarne l’ammissibilità: il tutto a seguito della pubblicazione, , in data 5 settembre 2005, si deve ritenere, della pronuncia n. 6 dell’Ad. Plen del C.d.S..sulla quale si dovrà poi tornare) non merita accoglimento.
Si è accennato al fatto che, di regola, il risarcimento dei danni conoscibile dal giudice amministrativo consegue all’accoglimento del ricorso e quindi all’annullamento dell’atto lesivo contro il quale il ricorrente si è pregiudizialmente e vittoriosamente mosso, qualificando la norma di cui all’art. 7, comma 3 L. n. 1034/71, nel testo introdotto dapprima dall’art. 35 D.L.vo n. 80/98 e poi dall’art. 7 L. n. 205/00, la relativa pretesa come consequenziale (configurata come diritto, dalla sent. delle SS.UU. n. 500/99, ma non dalla Corte Cost., la quale nella sent. n. 204/04, e ancora nella recentissima sent. n. 191/06, ha ritenuto la garanzia risarcitoria una estensione, un completamento della tutela garantita all’interesse legittimo dall’art. 24 Cost).
La suddetta impostazione (e limitazione) appare di certo corrispondente al normale sindacato di legittimità degli atti amministrativi svolto dal giudice amministrativo, ma la questione posta con il ricorso in esame non può, a giudizio di questo Tribunale, essere su tale base sbrigativamente risolta in termini negativi solo perché la domanda risarcitoria azionata muove anziché da una pronuncia di accoglimento, con conseguente annullamento dell’atto impugnato, da un accertamento di piena legittimità dell’atto in questione.
Pare infatti opportuno osservare (anche a prescindere da ogni indagine, nella fattispecie non necessaria, ed indubbiamente non agevole sul piano concettuale ed interpretativo della disciplina vigente, in ordine alla possibile configurabilità di interessi legittimi risarcibili anche senza previo annullamento di atti illegittimi, ma soltanto, come nel caso, pregiudicati comunque da un esercizio di attività amministrativa comunque illegittimo) che nei casi di giurisdizione esclusiva, poiché il giudice amministrativo conosce anche di diritti oltre che interessi legittimi, la natura consequenziale, e quindi subordinata o condizionata che dir si voglia (rispetto all’annullamento di un provvedimento) dell’azione risarcitoria non costituisce necessariamente presupposto indispensabile per l’esame della relativa domanda, occorrendo preventivamente accertare la natura della situazione giuridica della cui lesione si chiede ristoro: con la conseguenza che il presupposto della consequenzialità (rispetto all’annullamento) avrà ragion d’essere semmai soltanto se la suddetta situazione soggettiva è un interesse legittimo, e non già invece se si tratta di un diritto.
Ed è questo appunto il caso che qui ricorre, dato che la controversia ha ad oggetto una procedura relativa ad un appalto di servizi, ed è appena il caso ricordare che in materia di procedure relative agli appalti di lavori, servizi e forniture il g.a. dispone di giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 6 L. n. 205/00, giurisdizione dal cui ambito si sottraggono soltanto le controversie attinenti all’esecuzione del contratto che segue all’aggiudicazione, ma non anche quelle, aventi ad oggetto una domanda risarcitoria, che, come nella specie, collocano a monte la causa del pregiudizio subito, imputandolo cioè alla emanazione di un provvedimento inizialmente di segno favorevole e quindi produttivo di utilità ma destinato a rivelarsi illegittimo e quindi ad essere annullato, con conseguente venir meno, totale o parziale, della predetta utilità.
La questione non è nuova, dato che il giudice amministrativo ha avuto modo di occuparsi più volte di fattispecie analoghe, valutando come ammissibile la domanda risarcitoria ed esaminandola quindi nel merito, fattispecie cui unica differenza rispetto a quella ora in esame è data dal fatto che, nei precedenti rinvenuti, la domanda risarcitoria risulta azionata a seguito di annullamento dell’atto originariamente favorevole non già, come nel caso in esame, per opera del giudice, bensì in via di autotutela da parte della stessa P.A.: autotutela il cui legittimo esercizio è stato naturalmente accertato in via giurisdizionale.
Differenza che non rileva, posto che in questo come in quei casi rimane intatta la singolarità per cui la ragione della domanda risarcitoria nasce da un accertamento di illegittimità dell’atto remoto di segno favorevole e poi caducato.
Si richiamano in proposito TAR Pescara, 609/01, Cons. Stato, IV, 1457/03, TAR Palermo, 1050/03 e CGA 957/05 (quest’ultima di riforma della surrichiamata pronuncia palermitana, ma con riguardo al merito della questione posta, e non già alla giurisdizione), e infine, Ad. Plen. N. 6/05, di conferma di TAR Lazio I bis n. 5991/03: orbene, in tutte queste pronunce, caratterizzate appunto da un previo rigetto di ricorsi avverso annullamenti o revoche in via di autotutela di aggiudicazioni o affidamenti in procedure ad evidenza pubblica, si è dato ingresso all’esame delle domande risarcitorie in ragione della giurisdizione esclusiva di cui al ricordato art. 6 L. n. 205/00 e si è individuata la disciplina di riferimento negli artt. 1337 e 1338 del codice civile, nel presupposto che, pur nell’incertezza teorico-concettuale se sia possibile o meno configurare in capo alla P.A. una vera e propria responsabilità precontrattuale nel corso della procedura che porta poi all’aggiudicazione o all’affidamento ad un privato di un appalto, (preferendosi da altri parlare di una più specifica responsabilità da “contatto amministrativo” qualificato) si debba ritenere che anche le pubbliche amministrazioni, nei loro rapporti con i privati, siano comunque tenute a comportarsi secondo canoni di correttezza e buona fede, nel rispetto dell’affidamento (senza colpa) del privato nell’operato delle pubbliche amministrazioni stesse (cfr., altresì, sul punto, tra le altre, C.d.S., IV, 478/05).
Chiarito quindi che risultando la domanda risarcitoria in esame, come del resto verificatosi anche nelle fattispecie poc’anzi richiamate, fondata su di una illegittima e asseritamente colpevole conduzione da parte della P.A. di una procedura ad evidenza pubblica, non si ritiene sussistano ostacoli all’esame nel merito della domanda stessa, una volta accertata la giurisdizione esclusiva di cui dispone il g.a. nella materia de qua, senza che possa essere seguita la difesa della P.A. intimata ove questa, richiamando la già ricordata pronuncia n. 204/04 della Corte Costituzionale, osserva che il giudizio verte su di un “comportamento” come tale comunque sottratto alla giurisdizione del g.a.
Si deve infatti ricordare che, come la stessa Corte Cost. ha precisato nella successiva pronuncia n. 191/06, ugualmente sopra ricordata, “…nelle ipotesi in cui i "comportamenti" causativi di danno ingiusto… siano riconducibili all'esercizio del pubblico potere dell'amministrazione, la norma (nella specie l’art. 53 del T.U. espropriazioni) si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali "comportamenti" esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione”: e non pare sussistere dubbio, nella specie, che il denunciato “comportamento” della P.A., in quanto essenzialmente identificabile nell’adozione di atti autoritativi quali sono un bando di gara ed una aggiudicazione (atti poi rivelatisi illegittimi ed annullati) costituisca esercizio di una funzione pubblica della P.A.
Va chiarito ulteriormente che, come pacifico in giurisprudenza (cfr., oltre a quelle già ricordate, TAR Bari, 1761/01) ove la pretesa risarcitoria faccia perno sulla responsabilità precontrattuale o da contatto amministrativo qualificato il risarcimento eventualmente spettante resta confinato nei limiti del cosiddetto interesse negativo, quantificandosi cioè nelle spese sostenute per partecipare alla procedura concorsuale.
Resta da esaminare la seconda subordinata eccezione, secondo la quale, anche ammessa la giurisdizione, si osserva che comunque la domanda azionata, in quanto connessa all’esito di un diverso giudizio, avrebbe dovuto essere proposta in via autonoma o, semmai, nel corso del diverso giudizio di cui sopra.
La tesi appare formalmente elegante, ma, mentre va ricordato che, come già in precedenza accennato, l’interesse concreto all’azione nasce in sostanza dal rigetto della parte impugnatoria del ricorso in esame, in quanto preclusivo (salva, naturalmente, eventuale sospensiva o riforma in appello della pronuncia che si va a rendere) della continuazione dello svolgimento servizio di ristorazione di fatto tuttora affidato alla ricorrente, appare determinante osservare che, in forza di un generale principio di economia giuridica, non vi sono ragioni concrete per dichiarare, in forza di considerazioni d’ordine puramente formale, l’inammissibilità della domanda proposta.
La quale peraltro nel merito non merita accoglimento.
Anche se infatti non par lecito dubitare, come già in precedenza anticipato, che un evento dannoso vi sia stato, in forza di provvedimenti appurati poi come illegittimi della P.A., così come altrettanto indubbiamente si deve ritenere che il danno subito sia ingiusto, in quanto appunto da imputare a provvedimenti illegittimi, il Tribunale esprime l’avviso che un attento esame della fattispecie porti ad escludere che il pregiudizio lamentato possa essere ascritto a “comportamento” colpevole della P.A. e quindi ad essa imputabile.
Giustamente fa rilevare la difesa del Comune che entrambi i motivi di diritto che a suo tempo avevano portato all’annullamento giurisdizionale della procedura di segno favorevole all’attuale ricorrente presentavano profili di incertezza interpretativa tali da rendere scusabile gli errori commessi dalla P.A nella stesura del bando di gara.
Errori consistenti a), nella mancata sottoscrizione del bando da parte del Segretario Generale, b), nella violazione dell’art. 59 L. n. 488/99 (già ampiamente ricordata nella prima parte della presente pronuncia) per essere stata la gara predisposta con il metodo dell’offerta al prezzo più basso anziché dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Quanto al primo punto, si osserva che, se pur l’art. 38 dell’allora vigente regolamento dei contratti prevedeva la controfirma del Segretario Generale, la P.A. era stata indotta in errore ritenendo la suddetta disposizione non irragionevolmente superata dalla sopravvenuta disciplina legislativa introdotta dal TUEL n. 267/00, nel quale la figura del Segretario Generale viene tratteggiata essenzialmente come un coordinatore dell’attività dei dirigenti (art. 97, comma 4), ferma restando in capo ai singoli dirigenti l’assunzione diretta delle responsabilità gestionali, ivi compresa espressamente quella relativa alle procedure d’appalto e di concorso (art. 107 comma 3 lett. b).
Quanto poi al secondo punto, e cioè alla mancata applicazione del metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, alla scusabilità dell’errore commesso si perviene, da parte della P.A. intimata, attraverso una persuasiva argomentazione ripresa da una pronuncia del Cons.Stato (V, n. 1697/02) nella quale da un lato si è escluso l’obbligo tassativo di ricorrere necessariamente al metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa nel caso di appalti concernenti anche altre prestazioni oltre a quella relativa alla ristorazione, e, da un altro lato, soprattutto, si è affermato che la tutela dell’interesse pubblico posto a base di un certo tipo di procedura può essere ugualmente perseguito e raggiunto nella sostanza anche con procedura diversa: è agevole pertanto da parte della P.A. sottolineare a), che l’appalto in questione oltre alla ristorazione comprendeva anche la gestione delle cucine e delle sale mensa, e, b), che nel capitolato speciale l’Amministrazione aveva fissato una serie di requisiti limite vincolanti per gli offerenti atti a garantire un livello ottimale di qualità dei prodotti destinati al servizio ristorazione (con particolare riguardo, vale la pena di osservare, per i prodotti biologici: cfr. art. 6 del capitolato speciale d’appalto) con ciò, in sostanza, raggiungendo il medesimo risultato perseguito con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa (fondato, come si è visto, sull’equilibrio del rapporto qualità-prezzo), e cioè inducendo le ditte partecipanti ad offrire un prezzo (pur formalmente unico criterio di aggiudicazione) tendenzialmente atto a porsi in un punto numerico di equilibrio tra la necessità di garantire da un lato il livello di qualità dovuto (a pena di esclusione) e dall’altro di non rischiare comunque di perdere la gara con un prezzo troppo alto.
Con la specificazione, a conferma ulteriore della piena scusabilità degli errori commessi e quindi della mancanza del necessario requisito della colpa, che il giudice d’appello, sia pur soltanto in sede cautelare (salvo cioè il ripensamento operato poi confermando nel merito l’annullamento della procedura disposto da questo Tribunale) aveva affermato da un lato che le procedure di scelta dei contraenti delle amministrazioni pubbliche rientrano nell’ambito dei compiti propri dei dirigenti (errore sub a), e, dall’altro, che la scelta di adottare quale criterio di aggiudicazione quello incentrato sull’offerta al prezzo più basso “non appare priva di giustificazione, in vista della esigenza di contenere i costi dei servizi, sul presupposto della definizione precisa dei bisogni dell’amministrazione, così come definiti nel capitolato speciale d’appalto” ( errore sub b), cfr. ord,za 27 febbraio 2004, in atti).
Può poi aggiungersi, a completamento delle considerazioni sopra esposte che portano alla reiezione della domanda risarcitoria proposta, che ove anche in ipotesi astratta volesse ammettersi l’evidenza e quindi la non scusabilità degli errori commessi dalla P.A e in definitiva la colpa di quest’ultima, dalla medesima colpa non andrebbe a ben vedere esente la stessa ricorrente, la quale, in quanto professionalmente operante nel settore degli appalti pubblici di servizi di ristorazione, era anch’essa ben tenuta ad esercitare la propria doverosa diligenza e quindi a conoscere la disciplina normativa della materia, con ciò risultando escluso che la medesima possa ora invocare quella buona fede che sola consente, ai sensi dell’art. 1338 c.c. il diritto al risarcimento del danno provocato da una causa di invalidità (od inefficacia) del contratto (per accertata illegittimità, nella specie, dell’atto presupposto di aggiudicazione).
n definitiva, esaurito l’esame delle doglianze e domande avanzate, il ricorso in esame deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, lo rigetta, nei termini di cui in motivazione.
Condanna la ricorrente al rimborso delle spese e competenze giudiziali nei confronti delle parti intimate, che liquida in complessivi € 6.000 (seimila) da suddividersi tra loro in parti eguali.
Resta a carico della ricorrente il contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa;
Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 27 settembre 2006.
f.to Vincenzo Borea Presidente Estensore
Depositato nella Segreteria del Tribunale
il giorno 25 ottobre 2006
f.to Antonino Maria Fortuna. |