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Consiglio di Stato, Sez. V, 8/5/2007 n. 2110
Sulla legittimità per un comune di costituire per lo svolgimento del servizio farmaceutico società con soggetti non farmacisti.

Il testo unico 18 agosto 2000 n. 267 ha regolato l'intera materia delle forme giuridiche di prestazione dei servizi pubblici locali, determinando l'abrogazione delle leggi anteriori che regolavano le forme di prestazione di singoli servizi, come l'art. 9, c. 1, della l. n. 475 del 1968 (art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al cod. civ.), secondo cui le farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite ...nelle seguenti forme: … d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità. In particolare l'art. 12, c. 1, l. 23 dicembre 1992 n. 498, dispose che l'organizzazione secondo la tipologia societaria del servizio farmaceutico comunale potesse essere attuata anche in deroga al citato art. 9, c. 1, l. n. 475. L'art. 12 risulta trasfuso nell'art. 116 del testo unico n. 267, che elimina i vincoli derivanti da disposizioni di leggi speciali ( c.f. d.l. 27 dicembre 2000 n. 392 conv. nella l. 28 febbraio 2001 n.26). L'art. 17, commi 51 e 57, l. 15 maggio 1997 n. 127 dispose che le aziende municipalizzate possono essere trasformate, con atto unilaterale, in società per azioni, con la conseguente alienabilità del pacchetto azionario. Tale norma risulta trasfusa nell'art. 115 del testo unico più volte citato. Sarebbe contraddittorio ammettere la costituzione di società senza i vincoli derivanti da leggi speciali e prospettare gli stessi vincoli con riferimento alla alienazione del pacchetto azionario.

Materia: servizio farmaceutico / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA  

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione

ha pronunciato la seguente

 

decisione

sul ricorso in appello proposto:

- dall’associazione FEDERFARMA – FEDERAZIONE NAZIONALE UNITARIA DEI TITOLARI DI FARMACIA ITALIANI (sede non indicata), in persona del presidente, dottor Giorgio Siri,

- dall’associazione UNIONE REGIONALE TOSCANA FARMACISTI TITOLARI – U.R.TO. FAR. (sede non indicata), in persona del presidente, dottor Fabio Franceschini,

- dall’ASSOCIAZIONE SINDACALE TITOLARI DI FARMACIA DELLA PROVINCIA DI AREZZO (sede non indicata), in persona del presidente, dottor Luca Cesari,

difese dagli avvocati Agostino Gambino e Massimo Luciani e domiciliati presso il primo in Roma, via dei Tre Orologi 14/a;

 

contro

- il comune di SAN GIOVANNI VALDARNO, costituitosi in giudizio in persona del sindaco Mauro Tarchi, difeso dall’avvocato Marco Manneschi e domiciliato in Roma, via della Conciliazione 44; presso lo studio dell’avv. M. Brizzolari

- la società per azioni ADMENTA ITALIA (già GEHE ITALIA), con sede in Bologna, costituitasi in giudizio con gli avvocati Costantino Tessarolo, Renzo Costi e Nicola Alessandri e domiciliata presso il primo in Roma, via Cola di Rienzo 271;

 

e nei confronti

della società per azioni FAR.CO.SAN., con sede in San Giovanni Valdarno, non costituita in giudizio;

 

per la riforma

della sentenza 21 giugno 2005 n. 3035, con la quale il tribunale amministrativo ha dichiarato improcedibile il ricorso contro le deliberazioni del Consiglio comunale di San Giovanni Valdarno 25 maggio 2001 n. 23 e n. 24 e irricevibile il ricorso contro il bando d’indizione di gara per l’alienazione dell’ottanta per cento delle azioni della predetta società.

Visto il ricorso in appello, notificato il e depositato il 19 dicembre 2005;

visto il controricorso della società Admenta Italia, depositato il 24 gennaio 2006;

visto il controricorso del comune di San Giovanni Valdarno, depositato il 10 febbraio 2006;

viste le ulteriori memorie presentate dalle parti;

visti gli atti tutti della causa;

relatore, all’udienza del 6 giugno 2006, il consigliere Raffaele Carboni, e uditi altresì gli avvocati Manneschi e Alessandri;

ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

FATTO

Il comune di San Giovanni Valdarno con deliberazione del Consiglio comunale 21 marzo 2000 n. 23 aveva trasformato l’azienda speciale farmaceutica, per la gestione delle farmacie comunali, nella società per azioni FAR.CO.SAN. (d’ora in poi: Farcosan), e aveva approvato lo schema del contratto di servizio da stipulare con essa; con deliberazione del Consiglio 25 maggio 2001 n. 24 aveva poi deciso di alienare, mediante procedura di evidenza pubblica, l’ottanta per cento del capitale della società. Il bando di gara, emanato con provvedimento 5 settembre 2001 n. 1412 del competente ufficio comunale, prevedeva che potessero partecipare, tra gli altri, le società di capitali con un patrimonio o un capitale interamente versato non inferiore a cinque miliardi di lire operanti nel settore della distribuzione farmaceutica, e farmacisti che avessero costituito o s’impegnassero a costituire una società di capitali con patrimonio o capitale del suddetto importo.

Le associazioni di farmacisti indicate in epigrafe con ricorso al tribunale amministrativo regionale per la Toscana notificato il 24 settembre 2001 (procedimento di primo grado 1971/2001) hanno impugnato le due deliberazioni e il successivo bando di gara deducendo come motivo che il comune, per lo svolgimento del servizio farmaceutico, può costituire società di capitali solo con farmacisti dipendenti del comune stesso.

In via subordinata ha dedotti i motivi che, omettendo la citazione degli atti normativi di cui i ricorrenti hanno sostenuto la violazione, si possono riassumere come segue,

2) Il comune non può trasferire l’intero complesso aziendale delle farmacie comunali;

3) Il bando, favorendo l’acquisto delle quote da parte di società di grande distribuzione dei farmaci, crea un conflitto tra l’interesse alla promozione dei propri prodotti e quello all’imparziale distribuzione di tutti i farmaci.

4) È illegittima la cessione della titolarità delle farmacie a imprese di distribuzione dei farmaci, perché la titolarità di farmacie è incompatibile con la suddetta attività.

5) Le norme sulle farmacie comunali, ove fossero interpretate in senso diverso da quello sostenuto dai ricorrenti, sarebbero costituzionalmente illegittime, perché il comune sarebbe libero di disporre delle proprie farmacie, mentre i farmacisti dipendenti comunali (che hanno un diritto di prelazione in caso di alienazione della farmacia) e quelli privati incontrano limiti nel trasferimento delle farmacie; l’iniziativa economica dei farmacisti privati sarebbe compressa a vantaggio di quella degli enti locali e questi ultimi avrebbero una posizione di mercato dominante e un vantaggio concorrenziale.

Nel corso delle cause è intervenuta la sentenza della corte costituzionale 24 luglio 2003 n. 375, pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 30 luglio 2003, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 8, comma 1 lettera “a”, della legge 8 novembre 1991 n. 362 nella parte in cui non prevede che la partecipazione a società di gestione di farmacie comunali è incompatibile con qualsiasi altra attività nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco.

I ricorrenti con un secondo ricorso, notificato il 17 novembre 2003 anche alla società Gehe Italia alla quale nel frattempo era stata aggiudicata la gara (procedimento di primo grado 2132/2003), hanno censurato il bando di gara e l’aggiudicazione per violazione del citato articolo 8 (nel tenore normativo risultante dalla sentenza della corte costituzionale).

Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe ha riunito i due giudizi, ha dichiarato irricevibile il ricorso 2132/2003, con la precisazione che le sentenze dichiarative d’illegittimità costituzionale non valgono a riaprire i termini per le impugnazioni dei provvedimenti amministrativi; ha poi giudicato inammissibili le impugnazioni della deliberazione n. 1971 del 1999, per non essere stata impugnata la deliberazione n. 776 del 2000, e del bando, stante, sembra l’inoppugnabilità dell’aggiudicazione (sul punto la motivazione non è perspicua).

Appellano gli originari ricorrenti, censurando tutte le dichiarazioni d’inammissibilità contenute nella motivazione della sentenza e riproponendo i motivi del ricorso di primo grado.

 

DIRITTO

Il Collegio ritiene di dover prescindere dall’esame della legittimazione delle associazioni ad agire in giudizio in nome della generalità degli associati, essendo infondati i motivi di ricorso, riproposti in appello.

Con il primo motivo del ricorso di primo grado, riproposto, i ricorrenti sostengono che il comune, per lo svolgimento del servizio farmaceutico, può costituire società di capitali solo con farmacisti dipendenti del comune stesso. La norma che essi invocano è l’articolo 9, primo comma, della legge 2 aprile 1968 n. 475 sul servizio farmaceutico, secondo cui « Le farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite ...nelle seguenti forme: … d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità. All’atto della costituzione della società cessa di diritto il rapporto di lavoro dipendente tra il comune e gli anzidetti farmacisti». L’articolo 12, comma 1, della legge 23 dicembre 1992 n. 498 ha poi disposto che i comuni potessero esercitare i servizi pubblici di loro competenza costituendo apposite società per azioni «anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 9, primo comma, lettera d) della legge 2 aprile 1968 n. 475»; infine il nuovo testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, emanato con decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, che disciplina le forme di erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, prevedendo negli articoli da 112 a 116 anche apposite società per azioni da costituire secondo determinate regole nonché la trasformazione delle aziende speciali in società per azioni, nell’articolo 274, contenente abrogazione di disposizioni di legge, ha abrogato tra l’altro l’articolo 12, comma 1, della legge 23 dicembre 1992 n. 498. Sostengono gli appellanti che tale ultima abrogazione ha ripristinato la vigenza dell’articolo 9, primo comma, alinea “d” della legge n. 475 del 1968 nel testo stabilito dall’art. 10 1-8 novembre 1991 n. 362, consentendo, per l’esercizio di farmacie, solo società di capitali aventi come soci comuni ed ex farmacisti comunali. Il motivo è infondato: il testo unico 18 agosto 2000 n. 267 ha regolato l’intera materia delle forme giuridiche di prestazione dei servizi pubblici locali, determinando l’abrogazione delle leggi anteriori che regolavano le forme di prestazione di singoli servizi, come appunto l’articolo 9, primo comma, della legge n. 475 del 1968 (articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al codice civile).

In particolare l’art. 12, comma 1, l. 23 dicembre 1992 n. 498, anteriore alla deliberazione impugnata in primo grado, dispose che l’organizzazione secondo la tipologia societaria del servizio farmaceutico comunale potesse essere attuata anche in deroga all’art. 9, comma 1, l. n. 475, già citata.

L’art. 12 risulta trasfuso nell’art. 116 del testo unico n. 267, indicato sopra, che elimina i vincoli derivanti da disposizioni di leggi speciali ( c.f. d.l. 27 dicembre 2000 n. 392 conv. nella l. 28 febbraio 2001 n.26)

L’art. 17, commi 51 e 57, l. 15 maggio 1997 n. 127 dispose che le aziende municipalizzate possono essere trasformate, con atto unilaterale, in società per azioni, con la conseguente alienabilità del pacchetto azionario.

Tale norma risulta trasfusa nell’art. 115 del testo unico più volte citato.

Sarebbe contraddittorio ammettere la costituzione di società senza i vincoli derivanti da leggi speciali e prospettare gli stessi vincoli con riferimento alla alienazione del pacchetto azionario.

Nessun argomento contrario alle sue esposte conclusioni potrebbe essere dedotto dalla circolare 2 aprile 2001 n. 2 / U.R.A.L. ( Ministero Interno ), dall’ordine del giorno formulato in sede parlamentare e citato nella stessa circolare.

Infatti, a parte qualsiasi altra considerazione, né la circolare né l’ordine del giorno assurgono a fonti del diritto.

Sono infondati anche il secondo e terzo motivo del ricorso di primo grado, pure riproposti: la legge, come si è detto, regola le forme giuridiche con le quali gli enti locali prestano i servizi pubblici di loro competenza, sicché il secondo motivo, con cui i ricorrenti criticano la costituzione di una società per la gestione delle farmacie comunali perché essa svuoterebbe la titolarità comunale delle medesime, si risolve in una critica della legge. Quanto al terzo motivo, con cui si eccepisce l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che regolano in modo diverso il trasferimento delle farmacie comunali (consentendo al comune di costituire società con soggetti non farmacisti), e delle farmacie private (che possono essere trasferite solo ad altri farmacisti), l’eccezione d’illegittimità costituzionale, in disparte la sua genericità, è manifestamente infondata, perché pone a confronto due fatti che nulla hanno in comune, cioè il trasferimento di una farmacia privata da uno ad altro farmacista e le forme giuridiche con cui il comune esercita le farmacie di cui si è, a norma di legge, riservata la titolarità.

Va poi confermata la pronuncia d’inammissibilità del secondo ricorso (procedimento di primo grado 2132/2003), proposto dopo la sentenza della corte costituzionale n. 375 del 2003, e recante la censura di violazione dell’articolo 8, comma 1 lettera “a”, della legge 8 novembre 1991 n. 362, che ben sarebbe potuta esser proposta già con il primo ricorso, quanto meno come eccezione d’illegittimità costituzionale della disposizione. L’effetto delle sentenze dichiarative d’illegittimità costituzionale di disposizioni di legge è infatti quello di far perdere efficacia alle disposizioni dichiarate incostituzionali (articolo 136 della Costituzione), nel senso che, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza, nessuna pubblica autorità può più fare applicazione delle disposizioni dichiarati incostituzionali. La dichiarazione d’illegittimità costituzionale non vale invece a riaprire preclusioni verificatesi, non già in forza delle norme dichiarate costituzionalmente illegittime, bensì in forza di ordinarie regole procedurali (nella specie, del termine per impugnare gli atti amministrativi).

L’appello, in conclusione, è infondato e va respinto. La complessità e novità delle questioni costituisce peraltro giusto motivo per compensare integralmente le spese di giudizio.

Per questi motivi

respinge l’appello indicato in epigrafe e compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 6 giugno e del 14 novembre 2006, dal collegio costituito dai signori:

Raffaele Iannotta          presidente

Raffaele Carboni          componente, estensore

Paolo Buonvino           componente

Cesare Lamberti          componente

Aniello Cerreto            componente

 

L'ESTENSORE                                              IL PRESIDENTE

F.to Raffaele Carboni                                      F.to Raffaele Iannotta

IL SEGRETARIO

F.to Cinzia Giglio

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

l’ 8 maggio 2007

(Art. 55. L. 27/4/1982, n. 186)

IL  DIRIGENTE

F.to Antonio Natale

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