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Consiglio di Stato, Sez. IV, 21/5/2007 n. 2583
Non è sufficiente per lo scioglimento di un consiglio comunale la circostanza che nel territorio operino organizzazioni criminali.

L'art. 143 del d.lvo. n. 267/00 non consente lo scioglimento dei consigli comunali sol perché nel territorio operano le organizzazioni criminali: così si precluderebbe l'esercizio delle funzioni da parte degli organi eletti, in attesa che vengano meno le piaghe delinquenziali. E neppure rileva l'accertamento della avvenuta emanazione di alcuni atti illegittimi (che rientra nell'id quod plerumque accidit dell'azione amministrativa). Per lo scioglimento del consiglio comunale, occorrono elementi univoci sulla sussistenza del collegamento tra gli amministratori e la criminalità organizzata, ovvero del condizionamento che questa ha sugli amministratori: non bastano isolate manifestazioni di illegalità che, anche se disdicevoli, non costituiscono il presupposto preso in considerazione dal citato art. 143 del testo unico.

Materia: enti locali / consiglieri comunali

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 8342 del 2006, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell’Interno, dalla Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, e dal Commissario Straordinario presso il Comune di Torre del Greco, in persona del rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

 

contro

il signor Valerio Ciavolino, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Angelone e Lorenzo Lentini, con domicilio eletto in Roma, Via Marianna Dionigi n. 57, presso la signora Claudia De Curtis;

 

e nei confronti

del Comune di Torre del Greco, in persona del sindaco pro tempore, non costituitosi nella presente fase del giudizio;

 

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania - Napoli - Sez. V, n. 3727 del 2006 (che ha annullato il d.P.R. di scioglimento del consiglio comunale di Torre del Greco), e per il rigetto del ricorso di primo grado;

Visto l’atto di appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor Valerio Ciavolino;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta , alla pubblica udienza del 3 aprile 2007, la relazione del Consigliere di Stato Bruno Mollica;

Uditi altresì l’avvocato dello Stato Fedeli per le Amministrazioni appellanti e l’avvocato Enrico Angelone per l’appellato;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto:

 

Premesso in fatto

1. Con la sentenza n. 3727 del 2006, il TAR per la Campania ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato, già sindaco del Comune di Torre del Greco, avverso i provvedimenti concernenti lo scioglimento del consiglio comunale, ai sensi dell’art. 143 D.Lgs. n. 267 del 2000.

Con il gravame in epigrafe, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli e il Commissario straordinario del Comune hanno chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto.

L’atto di appello ha dettagliatamente censurato l’impianto complessivo e l’iter logico della sentenza del TAR, rilevandone la erroneità anche nell’assunto che essa avrebbe affermato principi contrastanti con quelli enunciati in materia da questo Consiglio, in violazione dell’art. 143 del d. lg. n. 267 del 2000; ha esaminato i singoli fatti emersi dalla relazione della Commissione di accesso (e posti a fondamento degli atti impugnati in primo grado), per contestarne la lettura asseritamente “minimizzante e riduttiva” del TAR e riaffermarne la gravità e concludenza in base ad una valutazione globale e complessiva degli elementi emersi.

Con successive memorie difensive, le Amministrazioni appellanti hanno ulteriormente illustrato le deduzioni contenute nell’atto di appello, anche alla luce delle ulteriori vicende processuali concernenti individui già considerati dagli accertamenti della medesima Commissione di accesso.

L’appellato si è costituito in giudizio e, nei suoi scritti difensivi, ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso in appello e l’inammissibilità delle deduzioni volte ad integrare nel corso del giudizio la motivazione degli atti impugnati in primo grado, ovvero di produrre atti aventi un contenuto innovativo.

Egli ha inoltre chiesto che l’appello sia respinto perché infondato, in quanto non sussisterebbero gli episodi indicativi della avvenuta compromissione della libertà di determinazione degli organi elettivi del Comune, e ciò anche in un contesto di globale valutazione dei fatti.

All’udienza del 3 aprile 2007 la causa è stata trattenuta per la decisione ed è stato depositato il dispositivo della decisione (cui segue il deposito della sentenza per esteso, ai sensi dell’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971).

 

Considerato in diritto

1. Con il decreto del Presidente della Repubblica impugnato in primo grado (emesso su conforme delibera del Consiglio dei Ministri), è stato disposto lo scioglimento, per diciotto mesi, del consiglio comunale di Torre del Greco ai sensi dell’art. 143, comma 1, del testo unico approvato col d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, per il quale “i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

Il TAR per la Campania, con la sentenza gravata, ha annullato il d.P.R., nonché la previa delibera del Consiglio dei Ministri.

Col gravame in esame, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno hanno chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia respinto.

2. Per l’esame delle censure delle appellanti, va premesso che il decreto di scioglimento del consiglio comunale (che mira alla salvaguardia dell’ordine pubblico e dei valori espressi dall’art. 97 Cost., lesi dalla presenza di “collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata” o di “condizionamento degli amministratori stessi”) può essere emanato in presenza di gravi situazioni, perché va ad incidere sullo svolgimento delle funzioni di organi democraticamente eletti.

L’art. 143 del testo unico attribuisce rilievo alla sussistenza di rapporti di qualsiasi natura fra gli amministratori e la criminalità organizzata, che possono emergere da circostanze che presentano un grado di significatività e di concludenza anche minore rispetto a quelle che giustificano l’esercizio dell’azione penale per i delitti ex art. 416 bis cod. pen. (o di favoreggiamento commesso in relazione ad essi), ovvero l’adozione di misure di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o analoghe.

Il Governo è titolare di un amplissima sfera di discrezionalità, per apprezzare gli “elementi su collegamenti diretti o indiretti … o su forme di condizionamento” ed evitare il consolidarsi del condizionamento della criminalità organizzata sulla attività amministrativa dell’ente locale.

Mentre il “collegamento” indica la condivisione dei comportamenti della organizzazione criminale da parte degli organi eletti dell’ente locale, il “condizionamento degli amministratori” può consistere anche nel comportamento di chi eserciti illegalmente i propri poteri, ovvero non li eserciti.

Gli “elementi” possono riguardare anche situazioni estranee all’ambito di applicazione di sanzioni penali o di misure di prevenzione (in assenza di specifici addebiti di responsabilità nei confronti degli amministratori dell’ente locale) e possono consistere in comportamenti sia attivi che omissivi.

Da essi, deve ragionevolmente risultare l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata (per vincoli di parentela o di affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni, omertà, paura, scarso impegno civile o ‘quieto vivere’), anche in assenza di prove sull’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata (e dunque anche in assenza dei presupposti per l’esercizio di una azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione).

Egualmente ampio risulta il margine di apprezzamento del Governo  in ordine agli effetti derivanti dai collegamenti o dalle forme di condizionamento, in termini di compromissione della libera determinazione degli organi elettivi, del buon andamento della Amministrazione, del regolare funzionamento dei servizi, ovvero in termini di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica.

2.2. Non basta, dunque, che sul territorio comunale sia diffusa la criminalità organizzata.

Infatti, è ben possibile che – malgrado tale diffusione – gli organi elettivi dell’ente locale continuino a svolgere le loro funzioni senza inquinamenti e condizionamenti della criminalità organizzata, riuscendo ad amministrare ispirandosi ai valori dell’art. 97 Cost., malgrado il degrado della realtà sociale e lo scarso senso di legalità di una parte della popolazione locale.

Del resto, proprio la presenza di organizzazioni criminali può comportare un sussulto di orgoglio della collettività locale, che può orientarsi nella scelta di propri rappresentanti che – nei fatti – ispirino la loro condotta al principio di legalità

Ed è quindi ben possibile - ed auspicabile – anche che gli organi elettivi dell’ente locale abbiano meritoriamente assunto la missione di combattere la criminalità organizzata, mediante una concreta attività – che va valutata dal Governo nell’esercizio dei suoi poteri - volta al ripristino della legalità (ad esempio con la piena collaborazione con le altre istituzioni, la promozione di iniziative volte ad infondere un senso civico, la prevenzione degli abusi con la massima valorizzazione della trasparenza, anche informatica, delle procedure e – soprattutto - con la lotta incondizionata all’abusivismo nei settori dell’edilizia e del commercio e alle illegalità nel settore dello smaltimento dei rifiuti, e con il costante monitoraggio della legalità delle gare di appalto e delle altre attività rimesse alla loro competenza).

Per sciogliere il consiglio comunale non basta neppure rilevare che gli organi comunali abbiano emesso un certo numero di atti illegittimi (ciò che rientra nell’id quod plerumque accidit e che può dare luogo a tutti i rimedi previsti dal sistema, in sede amministrativa o penale, ovvero innanzi al giudice amministrativo o alla Corte dei Conti).

Occorre un quid pluris, e cioè o una condotta attiva condizionata dalla criminalità, ovvero – anche in una limitata area del territorio - una condotta omissiva, di mera ‘accettazione’ dei comportamenti illegali (potendo essere considerato sussistente il “condizionamento degli amministratori” per il solo fatto che vi sia stata tale “accettazione”).

Sotto tale aspetto, la previsione normativa dello scioglimento del consiglio – e non di misure volte esclusivamente nei confronti del sindaco e dei componenti della giunta – evidenzia il rilievo attribuito dal testo unico al rapporto necessariamente fiduciario che sussiste tra i dirigenti e la giunta, da un lato, e tra il sindaco, la giunta e il consiglio, dall’altro.

Infatti, se in una parte del territorio comunale vi è una illegalità più o meno diffusa (con impuniti abusi nel settore dell’edilizia, del commercio, degli appalti, dello smaltimento dei rifiuti o in altro settore nel quale sussistono i poteri degli amministratori locali), è ravvisabile non solo una specifica responsabilità dei funzionari che omettono gli atti del loro ufficio (o, peggio, che rilasciano atti per finalità diverse da quelle consentite dalla legge), ma anche – ai fini dell’applicazione dell’art. 143 - quella ‘istituzionale’ dell’assessore che non si attiva per il ripristino della legalità, e di conseguenza del sindaco e della giunta nel suo complesso, nonché quella del consiglio comunale i cui componenti assistano inerti ai fenomeni di illegalità, favorendone la ripetizione.

Perché possa disporre lo scioglimento del consiglio comunale, dunque, il Governo non può soltanto constatare come nella realtà locale sia radicata una organizzazione criminale, ma deve altresì verificare se l’attività di tale organizzazione abbia comportato un effettivo condizionamento dell’esercizio delle funzioni pubbliche o dello svolgimento di un servizio pubblico, anche con la tolleranza dei comportamenti illegali (pur se conseguente ad omertà, paura, scarso impegno civile o ‘quieto vivere’).

2.3. Rilevato che il “condizionamento degli amministratori” può risultare da azioni od omissioni in contrasto col principio di legalità, si deve verificare quale rilievo abbia la comprovata partecipazione di un consigliere comunale ad una organizzazione criminale.

Di per sé, tale partecipazione consente l’emanazione delle misure amministrative ad personam, previste dall’art. 142 del testo unico, sulla rimozione o sospensione degli amministratori locali.

Non si può però presumere che sussista il “condizionamento degli amministratori” quando la criminalità organizzata sia riuscita a coinvolgere un componente del consiglio comunale o della giunta.

Infatti, da un lato rileva il dato letterale della norma (che si riferisce agli “amministratori”, così escludendo dall’ambito di applicazione della norma il caso in cui risulti un ‘isolato’ condizionamento), dall’altro rileva la considerazione che lo scioglimento del consiglio nel suo complesso – agli occhi dell’opinione pubblica e dell’elettorato – acquista la natura di un atto lato sensu sanzionatorio, come incapacità degli amministratori di svolgere le proprie funzioni in assenza di condizionamenti.

Anche se per lo scioglimento del consiglio non occorre che la maggior parte o un numero consistente dei suoi componenti abbia avuto “collegamenti” ovvero subisca il “condizionamento”, deve però risultare che l’esercizio delle funzioni pubbliche o lo svolgimento del servizio pubblico sia anche potenzialmente alterato (non occorrendo la prova che tale alterazione vi sia stata), in base ad elementi precisi e concordanti, da cui anche emerga la passività o l’indifferenza del consiglio o di un apprezzabile numero dei suoi componenti, in presenza di diffuse illegalità ovvero di specifici episodi delittuosi in cui sia stato coinvolto un consigliere ovvero un componente della giunta (potendo il Governo valutare anche il comportamento del sindaco e la mancata pronta rimozione dalla giunta dell’assessore che abbia subito i condizionamenti).

2.4. Il Governo è dunque titolare del più ampio potere di accertare e valutare la sussistenza di tali “collegamenti” ovvero dei “condizionamenti”, mediante provvedimenti che sono sindacabili in sede di legittimità – non sussistendo in materia una giurisdizione di merito - nei limiti consueti riguardanti i profili di eccesso di potere per manifesta irragionevolezza, insussistenza dei presupposti o per altri sintomi da cui risulti, con sufficiente concludenza, la deviazione del provvedimento dal suo fine istituzionale.

Vanno pertanto così ribaditi i principi già affermati dalla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., per tutte, IV Sez., 6 aprile 2005, n. 1573, 4 febbraio 2003, n. 562 e 22 giugno 2004, n. 4467; V Sez., 14 maggio 2003, n. 2590 e 23 giugno 1999, n. 713).

2.5. Le stesse Amministrazioni appellanti hanno rilevato come il potere di scioglimento – previsto dall’art. 143 del testo unico - consista in un “potere assolutamente straordinario, da esercitare in presenza di gravi emergenze eversive della legalità repubblicana e basato, oltre che sul fatto dei collegamenti diretti o indiretti con dette organizzazioni criminali, su una previsione di pericolo, ossia sui condizionamenti che queste ultime sono in grado di esercitare sugli amministratori locali”.

Il collegio, in linea di principio, condivide pienamente tale affermazione.

Infatti, lo scioglimento si inquadra nel sistema preventivo del controllo generale riservato allo Stato in ordine a fatti che, per la loro consistenza ed effettività, si reputano idonei a determinare – oltre al turbamento dell’ordine pubblico - uno sviamento dell’interesse pubblico che necessariamente deve essere perseguito dall’ente esponenziale degli interessi della collettività locale.

Per essere immune da vizi, tuttavia, il decreto di scioglimento deve basarsi su una idonea motivazione (anche per relationem) da cui si evincano le specifiche circostanze che abbiano condotto alla sua emanazione, in quanto va ad incidere su organi scelti dall’elettorato e, dunque, sull’esercizio di libertà democratiche  costituzionalmente protette.

Anche per la giurisprudenza costituzionale, la particolare latitudine degli apprezzamenti discrezionali non può essere disancorata da “situazioni di fatto, suffragate da obiettive risultanze, che rendano attendibili le ipotesi di collusione anche soltanto indiretta degli organi elettivi con la criminalità organizzata, sì da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi della comunità locale il permanere degli organi elettivi alla guida degli Enti esponenziali della comunità medesima”, potendo il giudice amministrativo verificare la “sussistenza delle circostanze di fatto riportate in motivazione e la valutazione, sotto il profilo della logicità, del significato a queste attribuito e dell’iter seguito” (Corte Cost., 19 marzo 1993, n. 103).

3. Così precisati i principi cui si deve attenere il Collegio, si può passare all’esame dei motivi d’appello, secondo cui le indagini svolte in sede amministrativa avrebbero evidenziato:

- numerosissime illegittimità amministrative e procedurali addebitabili agli organi disciolti;

- “riguardo alla posizione degli amministratori, legami diretti ed indiretti dei medesimi con la criminalità organizzata di stampo camorristico facente capo al clan Fa.”.

Ad avviso delle Amministrazioni appellanti, da una lettura complessiva ed unitaria degli elementi riscontrati, emergerebbe “una situazione di concreto pericolo di sviamento dell’attività comunale dal perseguimento degli interessi dell’intera collettività”.

Inoltre, “l’inosservanza del principio di legalità nella gestione dell’Ente e l’uso distorto delle pubbliche funzioni comporta quindi il concreto rischio che vengano compromesse le legittime aspettative della popolazione ad essere garantita nella fruizione dei diritti fondamentali, minando la fiducia dei cittadini nella legge e nelle istituzioni”.

4. Così riassunte le articolate e argomentate deduzioni delle Amministrazioni appellanti, rileva il collegio che elementi favorevoli all’accoglimento dell’appello non possano trarsi dalla preoccupata osservazione, secondo cui il rigetto del gravame comporterebbe la “delegittimazione dell’attività investigativa svolta dagli Organi di Polizia”.

In primo luogo, nello Stato di diritto che mira alla tutela delle posizioni giuridiche soggettive in un’ottica di legalità, non può essere ragionevolmente sostenuto che una sentenza del giudice amministrativo possa ‘delegittimare’ le autorità che hanno contribuito ad emanare il provvedimento, di cui sia ravvisata l’illegittimità.

In secondo luogo, quanto paventato nell’atto di appello non tiene conto dell’apprezzabile scrupolo e della assoluta serietà professionale con cui - in concreto - i funzionari amministrativi hanno trattato la questione nel corso del procedimento (sicché nessuna loro delegittimazione può ragionevolmente ipotizzarsi).

Il collegio è ben consapevole delle estreme difficoltà che caratterizzano l’attività degli organi dello Stato nelle aree ove vi è la presenza della criminalità organizzata e, in particolare, della complessità dell’attività svolta nella specie dalla Commissione d’accesso.

Lo scrupolo e la serietà professionale dei suoi componenti è fuori discussione, così come è fuori discussione il pregevole lavoro di ricostruzione che la Commissione ha effettuato per accertare i casi in cui siano stati emessi atti illegittimi da parte di organi comunali.

Tuttavia, nella sede giurisdizionale ove è data tutela agli interessi legittimi, non contano soltanto tale scrupolo e la serietà professionale, ma rileva il contenuto obiettivo del provvedimento impugnato, per verificare se sussistano o meno profili di eccessi di potere.

Neppure può avere rilievo nel presente giudizio l’ulteriore osservazione delle Amministrazioni appellanti, riguardante la circostanza dell’arresto dell’assessore comunale ai lavori pubblici, perché esso ha riguardato reati ‘comuni’, posti in essere nell’esercizio della sua attività professionale privata.

5. Ciò posto, occorre passare all’esame della correttezza della statuizione di annullamento del TAR, valutando la relazione della Commissione di accesso e gli elementi da essa individuati per ravvisare la collusione, anche soltanto indiretta, degli organi elettivi con la criminalità organizzata.

5.1. La relazione si è soffermata diffusamente sulla situazione della criminalità organizzata e sulla capillare infiltrazione della stessa nelle molteplici attività economico-produttive della città.

            Si espone fra l’altro che, in data 5 luglio 2004, il GIP del Tribunale di Napoli ha emesso una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 24 soggetti ritenuti, a vario titolo, responsabili del delitto di cui all’art. 416 bis c.p., “per aver partecipato .. ad un’associazione di tipo mafioso denominata, promossa, organizzata e diretta da Fa. Gi.”; tra essi, vi sono Es. An., consigliere di maggioranza presso il comune di Torre del Greco e segretario di uno studio legale, e Pa. Vi., dipendente comunale presso il Centro Elaborazione Dati del Comune medesimo.

Dalla lettura dell’ordinanza, emergono gli aspetti di collegamento tra gli esponenti del clan Fa. ed i due soggetti arrestati e si rileva che il Pa. Vi. avrebbe avuto la possibilità materiale di accedere, nella sua qualità di dipendente comunale, ad una serie di informazioni in materia di appalti indetti dall’Amministrazione comunale e di trasferire tali notizie ai clan.

Ad avviso della Sezione, la relazione della Commissione non contiene alcun riferimento specifico ad illegalità riferibili al dipendente comunale Pa.Vi.

Essa ha indicato la sua possibilità di fornire al clan “informazioni circa l’importo degli appalti” e di “seguire particolarmente da vicino anche la vicenda del sequestro di un manufatto abusivo operato ai danni della famiglia Fa.”, nonché una intercettazione telefonica avente per oggetto l’esito di una gara d’appalto, aggiudicata ad una impresa in ragione dell’offerta con un maggiore ribasso.

Al riguardo, del tutto correttamente la sentenza impugnata non ha attribuito un particolare rilievo a tali circostanze, poiché:

- circa le informazioni sull’importo degli appalti, i relativi dati possono essere acquisiti dalla visione degli atti del procedimento presso l’ufficio;

. circa l’interessamento per l’abuso edilizio, rileva l’episodicità e l’incontestata modestia dell’abuso dell’aumento di superficie utile di 35 mq senza aumento della volumetria dell’edificio (v. pp. 69-70 della relazione), che non è tale da evidenziare un effettivo condizionamento dell’ufficio;

- circa l’oggetto della intercettazione telefonica, non sono emersi, né sono stati ipotizzati, elementi tali da far ritenere anomala l’aggiudicazione alla impresa che aveva offerto il margine maggiore di ribasso.

Più delicato è l’esame del rilievo della posizione del consigliere comunale Es. An.

Dall’ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli, emerge che, in forza della sua ‘visibilità e credibilità’ in ragione della sua carica e quale segretario di uno studio legale, “accede a informazioni che sono di specifica importanza per gli esponenti del sodalizio criminale” ed emerge altresì un ’interessamento concreto (ed illecito) ai fini del dissequestro di immobile di proprietà di Ca. An. (coniuge del capo clan).

Orbene, il Collegio rileva che – dalla documentazione acquisita – in questa sede non può essere posta in dubbio la conclusione della relazione, sulla sussistenza di un rapporto di strettissima contiguità tra Es. An. e Pa.Vi., nonché  tra essi e gli elementi di vertice del clan Fa.

Peraltro, occorre procedere nella ulteriore disamina della relazione della Commissione, poiché, per le ragioni già esposte, lo scioglimento del consiglio comunale – composto nella specie da quaranta consiglieri - non può derivare dalla presenza al suo interno di un consigliere colluso con la mafia e di un dipendente su 790 (peraltro, non assunto nel periodo di svolgimento delle funzioni del consiglio comunale e del sindaco, colpiti con l’atto impugnato in primo grado).

5.2. Agli amministratori e alla struttura burocratica la relazione dedica un intero capitolo, elaborato sulla base di scrupolosi accertamenti, eseguiti nei confronti degli amministratori e sui loro congiunti.

Dalla relazione, si evince che non risultano da essi commessi reati associativi di stampo mafioso (ad eccezione dei due soggetti di cui al precedente punto 5.1.).

Circa i dipendenti comunali, 110 hanno precedenti penali di varia natura, “con esclusione di reati associativi di stampo mafioso” (eccettuati il già citato Pa. Vi. e tale Gr. Ci., condannato anche per associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti ed evasione dagli arresti domiciliari).

La relazione espone altresì, quale “doveroso atto di corretta informazione”, che nel Comune presta servizio da tempo, con compiti esecutivi e con la qualifica di operatore dell’ufficio Sport, Fa. Ra. (fratello di un capo clan locale e gravato di numerosi precedenti penali, anche di natura associativa di stampo camorristico), anche se non ha indicato elementi tali da incidere sulla valutazione di scioglimento del consiglio.

Quanto all’assetto ordinamentale degli uffici e dei servizi dell’Ente, la relazione ha constatato l’assenza di modifiche dell’organigramma in precedenza deliberato dal Commissario straordinario (con l’atto n. 186 del 30.4.2002), tranne la successiva introduzione del Servizio di protezione civile (che non ha avuto alcuna valutazione negativa).

La relazione – per il tramite del segretario generale del Comune – ha escluso che Es. An. abbia partecipato alle iniziative del sindaco o della giunta.

Essa ha però attribuito un rilievo significativo alla circostanza che non è stata istituita una commissione d’inchiesta, dopo che l’ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli aveva evidenziato l’illegittimo rilascio della concessione edilizia in sanatoria in favore della Ca. An., coniuge del capo clan.

Sul punto, l’appellato ha osservato che non erano state poste a conoscenza della giunta le ragioni dell’arresto, né a cura dell’Ufficio territoriale del Governo, né a cura della autorità giudiziaria (e su ciò non vi è stata una specifica contestazione delle appellanti).

Tuttavia, osserva ancora al riguardo il Collegio che l’abuso riguarda l’aumento della superficie utile di 35 mq (senza aumento della volumetria dell’edificio di per sé non abusivo), circostanza certo rilevante e tale da comportare il ripristino della legalità (in presenza dei relativi presupposti), ma non tale da far affermare che l’ufficio comunale fosse condizionato dal clan.

Per ravvisare tale condizionamento, deve risultare la mancata repressione di abusi attinenti a uno o a più edifici abusivi (realizzati sine titulo o in esecuzione di un titolo illegittimo, non seguito dall’atto di autotutela), questa sì in grado di giustificare lo scioglimento del consiglio comunale, per il ‘condizionamento’ evidenziato dal mancato esercizio dei poteri di vigilanza e di quelli sanzionatori (in un sistema in cui anche ciascun consigliere – titolare del diritto d’accesso – è direttamente coinvolto nella vigilanza e può esercitare le sue funzioni sollecitando l’apparato amministrativo a reprimere gli abusi senza indugio).

5.3. Passando all’esame della relazione nella parte riguardante gli appalti pubblici (settore altamente sensibile e “notoriamente oggetto d’interesse della locale criminalità organizzata”, come rilevato dalle Amministrazioni appellanti), la Commissione ha accertato che l’indirizzo politico - programmatico impartito dal sindaco è stato tuttora seguito dalla dirigenza, per quanto concerne il conseguente iter procedurale, per tutte le gare rientranti nel protocollo di legalità stipulato dallo stesso sindaco con la Prefettura in data 24 ottobre 2003.

Quanto agli atti di esclusione delle ditte segnalate dalla Prefettura, la Commissione – sul presupposto che essi debbano essere emessi dal sindaco - censura che questi abbia trasmesso al dirigente le note inviategli dal Prefetto, per l’adozione del provvedimento.

            Da ciò la Commissione ha osservato che “un siffatto comportamento non può che denotare la mancanza di un effettivo e reale convincimento da parte del citato Amministratore ad operare concretamente sul piano della prevenzione o repressione della criminalità, dimostrando di aver assolto solo sul piano formale la sottoscrizione dell’impegno assunto con la Prefettura”.

.           Per rafforzare tale conclusione, la Commissione:

- ha richiamato le richieste di chiarimenti e di indicazioni “sul seguito a praticarsi” da parte del dirigente, che celerebbero “una palese incapacità dell’Amministrazione ad assumere, in merito, decisioni d’imperio, anche mediante ricorso ai propri competenti funzionari”;

- ha osservato che - “quantunque le gare in parola non siano state ancora aggiudicate” e, di conseguenza, non siano ravvisabili comportamenti “di favore” nei confronti delle imprese - il “sopradescritto ingiustificato comportamento dilatorio assunto dall’Amministrazione e che non trova sul piano normativo alcun tipo di ostacolo per l’individuazione delle soluzioni…… non può non costituire una chiara manifestazione indiziaria di una possibile e probabile difficoltà psicologica, impeditiva dell’assunzione dei conseguenti provvedimenti di esclusione delle ditte segnalate”.

            Al riguardo, il Collegio – nel condividere la valutazione della sentenza gravata – ritiene che tale deduzione non abbia tenuto conto della complessità della normativa di settore e risulti in contrasto con i dati concreti, emergenti dalla contestuale verifica effettuata per accertare se vi siano stati affidamenti di appalti pubblici a società “in odore di camorra”.

            Gli accertamenti sono stati eseguiti su un numero di circa 350 imprese aggiudicatarie o affidatarie di lavori e forniture (su un totale di 600 circa) e “non hanno evidenziato alcuna notizia di controindicazione antimafia o di contiguità degli stessi alla criminalità organizzata”.

Solo per due società (Ge. e Gi.), per due appalti espletati prima della stipula del protocollo di legalità (e di importo a base d’asta inferiore alla soglia comunitaria), la stessa relazione ha constatato che esse “ben potevano partecipare previa esibizione del certificato della Camera di Commercio, recante la dicitura di nulla osta antimafia”, giungendo alla conclusione che “nessuna censura è possibile muovere all’Amministrazione procedente” sotto il profilo delle cautele antimafia.

5.4.- Nella rassegna delle procedure di gara, la Commissione ha considerato “insolito” che 36 concorrenti su 44 (in un appalto di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade e fognature cittadine: lett. A, pag. 36) abbiano presentato un’offerta di ribasso articolata sul 33%, differenziandosi tra di loro solo per la parte decimale: la circostanza sarebbe indicativa di possibili accordi tra le imprese e di un ‘controllo esterno’ nei loro confronti.

Anche per un altro appalto (per l’adeguamento dello stadio comunale) la relazione ha evidenziato che le offerte economiche si sono concentrate “nella fascia a ridosso dell’offerta aggiudicataria” (lett. C, pagg. 51-52), come per un altro appalto (lett. pagg. 53-54), al quale si riferiscono le “informazioni” al Clan Fa. da parte di Es. An. e di Pa, Vi..

Per tale secondo appalto, l’ipotesi di una turbativa sarebbe supportata dal fatto che le partecipanti hanno ottenuto le polizze fideiussorie, in gran parte, da tre compagnie assicuratrici, nonché da alcuni numeri consecutivi delle polizze e da alcuni numeri consecutivi di posta celere per le offerte.

Per questo appalto, la relazione osserva che il Comune aveva il potere di non procedere all’aggiudicazione in forza di ragioni di pubblico interesse.

Analoghi elementi sono stati individuati per l’appalto di cui alla lett. E, aggiudicato alla società Gi. (ed espletato in epoca precedente alla stipulazione del protocollo di legalità).

Per gli appalti di cui alle lettere D) ed E), la relazione ha altresì rilevato irregolarità nella contabilizzazione dei lavori.

A parte tale ultimo rilievo sulla irregolarità contabile, osserva il Collegio che ben può essere definito “insolito” l’attestarsi di una certa parte delle offerte su valori percentuali contigui: tale evenienza può essere certamente indicativa di un collegamento tra imprese, ma appare, ex se, di ben limitato spessore ai fini della configurazione di una turbativa d’asta sulla base di un controllo esterno riferibile alla criminalità organizzata.

Non si intende, beninteso, escludere in assoluto tale eventualità; ma non può parimenti escludersi che tale comportamento delle imprese concorrenti possa essere riferito a strategie concorrenziali assolutamente avulse da ogni correlazione con l’associazione mafiosa.

Del resto, le conclusioni della relazione non trovano supporto sostanziale negli accertamenti compiuti su un ben ampio campione di imprese (350 su 600), che non hanno evidenziato alcuna notizia di controindicazioni antimafia o di contiguità delle ditte partecipanti alla criminalità organizzata.

Ed è proprio su un piano generale che va verificata la presenza di infiltrazioni criminali nell’apparato amministrativo.

5.5.- Circa i lavori di restauro del Palazzo di città (lett. B), la relazione ha rilevato l’illegittimità di una variante comportante un maggiore importo dei lavori (riferibile al direttore dei lavori e all’ing. Ma. Po., nominato responsabile del procedimento il 16 dicembre 2002 a seguito della incompatibilità del precedente responsabile).

L’ingegnere Ma. Po. risulta indagato per reati riguardanti il conseguimento illegale di erogazione di fondi pubblici ed è stato sorpreso, nella serata del 22 ottobre 2003, da un controllo delle Forze dell’ordine, nell’abitazione del capo clan Fa. Gi., unitamente ad un “pericoloso pregiudicato”.

Dalla relazione, emerge tale presenza (non è stato precisato se abitudinaria o meno) dell’ingegnere in tale abitazione, nonché la partecipazione ad una cooperativa, tra i cui soci figura un pregiudicato che si accompagna a personaggi di vertice della criminalità locale.

Sul piano formale, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ha contestato la commissione del reato di abuso d’ufficio, per l’elaborazione e l’approvazione di una variante in corso d’opera, in difetto dei prescritti presupposti.

Circa la contiguità del medesimo ingegnere con l’associazione mafiosa, per quanto rileva nel giudizio la relazione presenta elementi prevalentemente indiziari, mentre per quanto riguarda la variante in corso d’opera è stata riscontrata una illegittimità, senza ulteriori implicazioni.

5.6. La relazione si è occupata anche della proroga ‘di fatto’ dell’affidamento della gestione del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani alla società Ig., (a parziale partecipazione pubblica), che già svolgeva il servizio in virtù di proroghe, ed a cui sono state irrogate sanzioni pecuniarie.

In particolare, la relazione ha osservato che:

- l’affidamento alla società era stato disposto dalla struttura commissariale con l’ordinanza n. 28 del 2003 (per cui “nessuna eventuale irregolarità connessa a tale procedura fa carico all’Amministrazione comunale …che anzi, già con deliberazione n. 104 del 15 ottobre 2002, si era attivata ai fini dell’indizione di una gara d’appalto per l’esecuzione del servizio”);

- la struttura commissariale, dopo solleciti del Comune, il 20 aprile 2004 riscontrava i solleciti e il 18 giugno 2004 consentiva la proroga del servizio per ulteriori sei mesi (poi disposta dalla giunta fino al 31 dicembre 2004);

- la giunta ha indetto la gara in data 30.12.2004.

La relazione contesta alla giunta di aver lasciato decorrere infruttuosamente il periodo dal 20 aprile 2004 al 30 dicembre 2004.

Con riferimento alla medesima società, i suoi dipendenti per la metà sono risultati con precedenti penali, di cui il 10% per reati associativi, una parte ha precedenti per associazione di stampo mafioso, mentre un dirigente ed una ventina di dipendenti risultano comunque legati a vario titolo ai clan camorristici della zona.

Osserva il Collegio che il censurato ritardo ha fatto seguito alla dilatazione dei tempi già riferibili alla commissione straordinaria, per le presumibili notevoli difficoltà di pervenire in tempi utili a soluzioni diverse, difficoltà che non possono essere valutate in modo divergente per l’attività della giunta.

Peraltro, come ha evidenziato la sentenza impugnata, il decorso dei mesi – oggetto delle critiche della Commissione – non costituisce una evenienza assolutamente patologica e ingiustificabile (anche se evidenzia elementi di irregolarità gestionale), ove si consideri la particolare situazione di emergenza, che nella Regione Campania caratterizza il servizio di raccolta e di trasporto dei rifiuti.

Circa la posizione dei dipendenti della società, le risultanze evidenziate dalla relazione rappresentano una situazione di per sé grave, espressiva di una drammatica situazione di degrado sociale sulle quali tutte le istituzioni devono riflettere.

Tuttavia, tali risultanze non possono essere poste di per sé a carico degli amministratori del Comune.

Se fosse emerso l’interessamento di alcuni amministratori comunali (e non ad personam, ma per la ‘qualità’ stessa del segnalato), nella indifferenza o nella connivenza di altri amministratori, senz’altro la commissione avrebbe potuto trarre gravi, precisi e concordanti elementi per ritenere sussistente un condizionamento delle organizzazioni mafiose.

Non è però questo il caso.

E’ pacificamente risultato, infatti, che il personale in questione era già in servizio presso il precedente affidatario del servizio e, come tale, è stato assunto dal successivo affidatario, in esecuzione del contratto collettivo di settore (la cui sostanziale giustizia non può essere valutata in questa sede, spettando ad altre autorità).

5.7. In relazione al rilascio dell’autorizzazione edilizia in sanatoria alla moglie del capo clan (per la quale emerge dagli atti giudiziari che era stato richiesto l’interessamento di Es. An. e di Pa. Vi. per una favorevole definizione dell’istanza), come già si è osservato in precedenza, da un lato rileva l’entità dell’abuso, risultante dalla stessa relazione della Commissione, dall’altro risulta del tutto ragionevole la statuizione con cui la sentenza gravata ha escluso che la definizione di una singola pratica edilizia sia tale da evidenziare un condizionamento mafioso.

Come si è in precedenza evidenziato al § 2.2., il condizionamento mafioso può essere ragionevolmente tratto quando il territorio sia stato oggetto di una illegalità più o meno diffusa (anche in una limitata area), rispetto alla quale siano stati inerti gli organi comunali (nell’emanazione o nell’esecuzione di atti di ripristino della legalità), ma l’illegittimo rilascio di una autorizzazione in sanatoria non è di per sé tale da far risultare il condizionamento dell’ufficio che l’ha emessa.

5.8.- La relazione si è occupata anche del settore commerciale, accertando l’elusione delle norme poste a tutela della trasparenza nel rilascio delle autorizzazioni, perché il Comune non ha comunicato alla Questura i nominativi dei titolari delle attività commerciali autorizzate, per conto del Comune, dallo sportello unico per le attività produttive.

Osserva al riguardo il Collegio che – dall’esame della documentazione – si evince che l’inosservanza di tale obbligo di comunicazione risulta la conseguenza di un ‘conflitto di competenza’, sorto tra il responsabile dello sportello unico e i dirigenti dei servizi attività produttive dei quattro Comuni convenzionati (Portici, Ercolano, San Giorgio a Cremano, Torre del Greco).

Non emerge pertanto la “sistematica” o “reiterata” elusione di norme del settore.

Del resto, poiché non è stato rilevato il rilascio di autorizzazioni commerciali a vantaggio di soggetti collusi con clan camorristici, tale mancata trasmissione – pur potendo dar luogo a provvedimenti disciplinari nei confronti dei responsabili – non risulta riferibile ad alcun condizionamento mafioso.

5.9.- Circa la concessione di contributi assistenziali, la Commissione ha esaminato 18 pratiche, scelte a campione, relativamente agli anni dal 2003 al 2005, ed ha rilevato “numerose irregolarità amministrative” e, in due casi, una duplicità di erogazione, in favore dello stesso soggetto (sebbene per motivazioni di carattere diverso) e dello stesso nucleo familiare (peraltro, per situazioni di particolare gravità, oggetto di indagini da parte della autorità giudiziaria), constatando anche profili di incompetenza.

Circa l’incompetenza, in assenza di ulteriori e più specifiche deduzioni, non risulta anomala l’attribuzione alla competenza dirigenziale.

Inoltre, le irregolarità riscontrate – in quanto di numero limitato e in assenza di elementi ulteriori di qualsiasi tipo – non sono tali da far ritenere ragionevolmente sussistente un condizionamento mafioso.

5.10. Sul piano dei controlli sulla gestione economico-finanziaria, la relazione della Commissione ha rilevato che le indicazioni propositive formulate dall’organo di revisione “non sono state, al momento, del tutto seguite dall’Amministrazione; in materia di gestione dei beni, alla assunzione di iniziative propositive non hanno comunque mai fatto seguito, da parte dei revisori, formali rilievi negativi”.

E’ stata censurata la inadeguatezza dei controlli sull’attività gestionale dei dirigenti da parte degli organi elettivi.

Al riguardo, con la delibera n. 580 del 4 dicembre 2003 la giunta ha ricostituito il nucleo di valutazione, approvando anche uno “scarno” disciplinare dei controlli interni, volto a supportare l’attività di programmazione e di indirizzo politico-amministrativo, per verificare l’effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive e negli altri atti di indirizzo politico.

Il Nucleo si è limitato a rilevare genericamente il raggiungimento degli obiettivi, ma non ha evidenziato i misuratori e le analisi delle attività espletate in rapporto a quanto definito dai rispettivi programmi esecutivi di gestione assegnati ai dirigenti.

Ad avviso della relazione, ciò sarebbe dovuto all’inerzia della giunta nell’assumere determinazioni finalizzate a regolamentare in maniera compiuta le funzioni del Nucleo di valutazione, quantunque tale necessità sia stata espressa dalla stessa giunta, in via di principio, con la delibera n. 580 del 2003.

Ad avviso del collegio, da tali circostanze non emergono rilevanti disfunzioni o “precarie condizioni di funzionalità dell’ente” e, anzi, risulta l’intento – anche se abbozzato – di raggiungere l’obiettivo della funzionalità (di per sé tale da rendere gli uffici del Comune ‘non permeabili’ alle organizzazioni malavitose).

5.11. Non risultano invece valutabili in questa sede le circostanze indicate a pagg. 118 e segg. dell’atto di appello, con cui è stata dedotta la rilevanza di fatti ed elementi che non sono stati posti a base provvedimento impugnato in primo grado.

6. Occorre quindi trarre le conclusioni da quanto in precedenza esposto, in un contesto di considerazione globale, ai fini indicati, degli elementi sopra esaminati.

In un quadro valutativo d’assieme, per escludere il profilo di eccesso di potere per inadeguata valutazione delle circostanze, deve risultare “l’attendibilità” della ipotesi di collusione (anche solo indiretta) e la “concretezza” della situazione di pericolo di sviamento dell’attività comunale dal perseguimento degli interessi della collettività (perché vi è una situazione di fatto in cui il procedimento di formazione della volontà degli amministratori è alterata da fattori esterni al quadro degli interessi locali e riconducibili alla criminalità organizzata).

Nella specie, tale situazione di fatto non emerge dalle risultanze poste a base del decreto.

Anche se dalla relazione della Commissione di accesso risulta che nel territorio del Comune di Torre del Greco operano pericolose organizzazioni criminali e che gli organi comunali hanno emesso alcuni atti illegittimi, non per questo va sciolto il consiglio comunale.

Come si è osservato al § 2.2., l’art. 143 del testo unico non consente lo scioglimento dei consigli comunali sol perché nel territorio operano le organizzazioni criminali: così si precluderebbe l’esercizio delle funzioni da parte degli organi eletti, in attesa che vengano meno le piaghe delinquenziali.

E neppure rileva l’accertamento della avvenuta emanazione di alcuni atti illegittimi (che rientra nell’id quod plerumque accidit dell’azione amministrativa).

Per lo scioglimento del consiglio comunale, occorrono elementi univoci  sulla sussistenza del collegamento tra gli amministratori e la criminalità organizzata, ovvero del condizionamento che questa ha sugli amministratori: non bastano isolate manifestazioni di illegalità che, anche se disdicevoli, non costituiscono il presupposto preso in considerazione dall’art. 143 del testo unico.

A avviso del collegio, l’indagine della Commissione sulla gestione economico-finanziaria e sull’attività gestionale dei dirigenti ha dato luogo a rilievi che non disegnano assolutamente un quadro di rilevante disfunzione ovvero di precarie condizioni di funzionalità dell’ente: anzi, risulta che sia stato avviato un percorso volto ad una migliore funzionalità organizzativa, in continuità con le determinazioni adottate dal Commissario straordinario nel 2002.

Sul piano degli appalti pubblici, la Commissione ha rilevato le iniziative volte alla verifica della legalità, con la definizione dell’indirizzo politico-programmatico (seguito dalla dirigenza) per le fasi rientranti nel protocollo di legalità 2003, mentre dagli accertamenti eseguiti non sono  emersi elementi di contiguità, tanto che - ad avviso della medesima Commissione - “nessuna censura è possibile muovere all’Amministrazione sotto il profilo delle cautele antimafia”.

Le illegalità in materia commerciale e in quella assistenziale non sono risultate tali da far ritenere sussistenti condizionamenti, neppure segnalati in singoli casi, mentre non è riferibile alla Amministrazione la selezione dei dipendenti della società affidataria del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani.

La rilevanza “non sintomatica” della autorizzazione in sanatoria rilasciata alla Ca. An. dipende dalla entità limitata dell’abuso e dalla assenza di altri riscontri di illegalità, mentre per l’ing. Po. è stata rilevata la commissione di reati comuni.

Inoltre, è risultato che nessuno dei componenti della giunta e dei relativi congiunti è indiziato di reati di tipo associativo di stampo mafioso.

Neppure rileva la presenza di un consigliere comunale (su 40) colluso con la mafia e di un dipendente (su 790) anch’esso colluso, perché tali circostanze non sono tali da giustificare lo scioglimento di un intero consiglio comunale, espressione della volontà popolare.

Del resto, neppure emerge che altri esponenti delle istituzioni – né a livello dirigenziale, né in seno alla giunta o al consiglio - abbiano avuto comportamenti di collusione con il medesimo consigliere comunale o con il dipendente risultati collusi.

In questo quadro complessivo, come ha correttamente evidenziato la sentenza gravata, dalla documentazione acquisita non risulta sussistente un condizionamento mafioso e tale da sviare l’attività del Comune dal perseguimento degli interessi della collettività, e nemmeno un “sistema” di interferenze o di connivenze.

Pertanto, va confermata la statuizione con cui la sentenza impugnata ha annullato per eccesso di potere il decreto di scioglimento del consiglio comunale.

9. Per le ragioni che precedono, l’appello nel suo complesso va respinto.

Pertanto, non rileva esaminare la fondatezza delle eccezioni formulate dall’appellato.

Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese del secondo grado di giudizio fra le parti.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede gurisdizionale, Sezione Quarta, rigetta l’appello (nrg. 8342/2006).

Compensa tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 3 aprile 2007, con l’intervento dei signori:

Luigi Maruotti                          Presidente, f.f.

Vito Poli                                              Consigliere

Anna Leoni                                         Consigliere

Bruno Mollica                                     Consigliere, est.

Salvatore Cacace                                Consigliere

L'ESTENSORE                                  IL PRESIDENTE f.f.

Bruno Mollica                                     Luigi Maruotti

 

IL SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci

 

Depositata in Segreteria

Il 21/05/2007

(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)

Il Dirigente

Dott. Antonio Serrao

 

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