REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 311 del 2007, proposto da:
Cafc Spa, rappresentata e difesa dall'avv. Luca Ponti, con domicilio eletto presso Segreteria Generale T.A.R. in Trieste, p.zza Unita' D'Italia 7;
contro
Comune di Fagagna, rappresentato e difeso dall'avv. Claudio Mussato, con domicilio eletto presso Segreteria Generale T.A.R. in Trieste, p.zza Unita' D'Italia 7;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
della delibera del Consiglio Comunale del Comune di Fagagna n. 29 dd. 17 aprile 2007, con la quale disponevasi il recesso del Comune di Fagagna da CAFC S.p.A.; nonchè per la nota prot. 5738 dd. 18 aprile 2007 del Sindaco del Comune di Fagagna; nonchè per l'insussistenza dei presupposti per poter legittimamente disporre da parte del Comune intimato il recesso da CAFC S.p.A., in assenza di contestuale individuazione di un nuovo gestore e/o delle modalità per poter regolare nelle more i rapporti con la ricorrente..
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Fagagna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20/02/2008 il dott. Vincenzo Farina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame, rubricato al n. 311/07, la società per azioni denominata “CAFC s.p.a.” ha chiesto:
1) l'annullamento:
a) della deliberazione del Consiglio Comunale del Comune di Fagagna (UD) n. 29 del 17 aprile 2007, con la quale disponevasi il recesso del Comune di Fagagna dalla società CAFC S.p.A;
b) di tutti gli atti comunque connessi, presupposti e conseguenti;
2) l'annullamento e/o la declaratoria di nullità della nota prot. 5738 del 18 aprile 2007 del Sindaco del Comune di Fagagna;
3) l'accertamento della insussistenza dei presupposti per poter legittimamente disporre da parte del Comune di Fagagna il recesso dalla società CAFC S.p.a., in assenza di contestuale individuazione di un nuovo gestore e/o delle modalità per poter regolare nelle more i rapporti con la ricorrente.
La ricorrente CAFC S.p.A. premette di operare nell'ambito dei servizi pubblici locali: già costituita nella forma di consorzio tra enti locali, si è successivamente trasformata in azienda speciale consortile e quindi, a far tempo da 1° gennaio 2001, in società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, ai sensi dell'art. 22, comma 3, lett. e) della legge n. 142 del 1990 (atto di trasformazione del 28 dicembre 2000).
II Comune di Fagagna – ricorda l’istante - ne è stato socio fino ad ora, con una partecipazione di 11.150 azioni ordinarie.
A seguito di due pronunce di questo Tribunale (sentenze 12 dicembre 2005, n. 986 e 30 agosto 2006, n. 576), nelle quali erano stati indicati alcuni profili ostativi alla possibilità di attribuzione diretta di pubblici servizi alla società CAFC S.p.A. in relazione alla sua organizzazione ed ai suoi rapporti con gli Enti locali proprietari (non ritenuti coerenti dal Tribunale con la giurisprudenza interna e comunitaria e con gli indirizzi da quest'ultima indicati), la ricorrente assume di aver intrapreso la strada del completo adeguamento ai dicta del T.A.R. mediante modifiche statutarie e nei rapporti tra i soci: il progetto di adeguamento, finalizzato a garantire la possibilità di conferimento di servizi mediante attribuzione diretta (in house) è stato perciò predisposto, sottoposto all'esame degli Enti locali titolari di partecipazioni azionarie nella società CAFC S.p.A. ed infine da questi ultimi accettato, con singole deliberazioni del Consiglio Comunale (71 soci su 72); solamente il Comune di Fagagna, con deliberazione di Consiglio Comunale n. 17 del 12 febbraio 2007, ha ritenuto - unico di 72 soci - di dover respingere l'anzidetto percorso.
A questo punto, la società CAFC S.p.A. ha provveduto in data 29 marzo 2007 a notificare una diffida al Comune di Fagagna, invitandolo a sottoscrivere la bozza di convenzione predisposta, al fine di consentire ai Comuni soci di poter esercitare sulla società il «controllo analogo» prefigurato dal T.A.R., ovvero a recedere dalla società, alla luce delle intervenute modifiche all'oggetto sociale ed alla circolazione delle azioni.
Con successiva nota prot. 5738 del 18 aprile 2007 il Comune in parola (nella persona del suo Sindaco pro tempore) ha provveduto alla formalizzazione del diritto di recesso «per tutte le 11.150 azioni di proprietà del Comune stesso», dichiarando di andare ad effettuarlo «a seguito della deliberazione assunta dall’assemblea dei soci CAFC S.p.A. il 20.03.2007 e iscritta nel registro delle imprese il 04.04.2007, ai sensi dell'art. 2431, comma 1, lettere a) e comma 2, lettera b) del c.c.».
In sostanza – prosegue la deducente - il Sindaco di Fagagna ha dichiarato la volontà dell'Ente di uscire dalla società a fronte della intervenuta modifica della clausola dell'oggetto sociale, che avrebbe determinato un cambiamento significativo dell'attività della società (art. 2437, c. 1, lett. a) cod. civ.) ed a fronte della introduzione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari (art. 2437, c. 2, lett. b) cod. civ.): tali profili, secondo quanto sancito dal codice civile, sarebbero tali da consentire il recesso da una società, con la conseguenza per cui CAFC S.p.A. - che aveva evocato tale ipotesi nella diffida sopra menzionata – non poteva che prenderne atto.
Solo successivamente la ricorrente CAFC S.p.A. ha appreso che il recesso aveva avuto ben altra ragione e ben altro fondamento: la deliberazione n. 29 del 17 aprile 2007 del Consiglio Comunale, mai notificata alla ricorrente ad acquisita per copia dopo la sua avvenuta pubblicazione all'albo pretorio (dal 23 aprile alI' 8 maggio 2007), nella quale l'organo comunale si era espresso sul recesso, non conteneva infatti alcun pregnante riferimento alle ragioni esposte dal Sindaco nella nota del 18 aprile 2007 (ed evocate da CAFC S.p.A. nella diffida), ma evidenziava invece come il recesso fosse avvenuto per ragioni di tutt'altro genere:
«Le S.pA. non sono affatto il modello migliore per gestire i servizi pubblici, come è possibile constatare anche in recenti eclatanti casi nazionali. Avere una rete che perde circa il 50% dell'acqua pompata e rivolgere le attenzioni non a ridurre le perdite, ma alla costruzione di una sede di oltre 20 milioni di euro, non rappresenta una scelta coerente con ciò che l’Amministrazione ritiene essere la finalità e gli obiettivi per cui il Consorzio era nato e si era sviluppato. Il ricorso a società per progettazione esterne, la diversificazione dei servizi, sono scelte strategiche che non possono collimare con gli interessi delle Amministrazioni Comunali».
E ancora: «lI recesso diventa così conseguente e vuole essere anche un segnale agli altri Comuni soci di C.A.F.C. S.p.A. perché sia rivista la politica societaria».
Nulla di nulla in ordine alle modifiche intercorse all'oggetto sociale, nulla di nulla – si duole l’istante - in ordine alle limitazioni alla circolazione delle azioni: solamente una critica di tipo politico alla conduzione della società, quale fondamento per procedere al recesso.
Si aggiungeva altresì, molto significativamente:
«L'assenza in Assemblea è stata decisa solo perché da un punto di vista tecnica era maggiormente funzionale all'esercizio del diritto di recesso».
L'intervenuta modifica dell'oggetto sociale ed i profili afferenti la circolazione delle azioni venivano menzionati in un’altra parte dell'atto, ma senza che da ciò si comprendesse – continua la deducente - come esse fossero l'effettivo ed assorbente elemento che aveva determinato la decisione dell'Ente; viceversa, si faceva menzione, criticandolo, del nuovo assetto in house, rimarcando come <<non corrisponda all'interesse di questa Amministrazione continuare a far parte della Società così come configurata in base alle decisioni assunte dall’Assemblea dei Soci d.d. 20.03.2007... stante il fatto che nella Società così come sarà strutturata non vi sia affatto la garanzia per il Comune di un controllo sulla società analogo a quello esercitato sui propri servizi>>.
La deliberazione dava quindi mandato al Sindaco di eseguirla, provvedendo anche alla contestazione del valore delle azioni, così come a suo tempo determinato dalla società CAFC S.p.A.
Ciò posto – sostiene la ricorrente - appare evidente come il recesso subito dalla società CAFC S.p.A. non radichi affatto il suo fondamento nelle ragioni esplicate dal Sindaco, ma in quelle - di carattere tutto diverso - sulle quali si è diffuso il Consiglio Comunale: la società CAFC S.p.A., che di per sé non contesta il potere di quest’ultimo, essendo ovviamente libero il socio di una S.p.A. di determinarsi come meglio crede, ritiene però che il tutto debba avvenire nell'ambito delle vigenti disposizioni applicabili in subjecta materia (sia in generale, sia in relazione ad un Ente Pubblico socio di S.p.A.) e secondo quanto da queste ultime previsto: il recesso, così come posto in essere dal Comune, è avvenuto – denuncia conclusivamente la deducente - con atto palesemente sviato nel fine ed ha inoltre lasciato sul campo gravissime lacune in relazione al servizio, di fatto non revocato, ed in ordine al quale (prosecuzione compresa) nulla è stato in concreto disposto.
A sostegno del gravame sono stati dedotti quattro mezzi, con i quali gli atti impugnati sono stati ritenuti viziati sotto molteplici profili.
Si è costituito in giudizio l’intimato Comune, chiedendo il rigetto del gravame.
Quest’ultimo è stato introitato dal Collegio ed è passato in decisione nella pubblica udienza del 20.2.2008.
In rito, va esaminata prioritariamente la eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal resistente Comune, sull’assunto che la causa riguarda in buona sostanza il diritto di recesso di un socio da una compagine societaria, e pertanto, afferendo a diritti soggettivi e non ad interessi legittimi, va ricondotta alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario.
L’eccezione merita condivisione.
Il Collegio osserva che – in teoria - la presente controversia, vertendo in materia di pubblico servizio, dovrebbe essere attratta nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 33, comma 1 e 2, lett. e), del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nel testo novellato dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205.
A rideterminare i confini di tale giurisdizione è sopravvenuta, tuttavia, la sentenza n. 204 del 6 luglio 2004 della Corte Costituzionale, con la declaratoria di incostituzionalità, in parte qua, degli artt. 33, commi 1 e 2 e 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituiti dall'art. 7 lettere a) e b) della legge 21 luglio 2000, n. 205.
Queste disposizioni stabiliscono che:
“1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481.
2. Tali controversie sono, in particolare, quelle:
a) concernenti la istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le aziende speciali, le istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione urbana;
b) tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi;
[…..]”
La Corte costituzionale, con la citata sentenza 5-6 luglio 2004, n. 204, ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità del comma 1, nella parte in cui prevede che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli» anziché «le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché».
Ora – ricorda il Collegio - il principio enunciato dall'art. 5 Cod. proc. civ., in forza del quale la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, non opera quando la norma che detta i criteri determinativi della giurisdizione è stata successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima, in quanto l'efficacia retroattiva che assiste tale tipo di pronunce della Corte costituzionale preclude che la norma dichiarata illegittima possa essere assunta a canone di valutazione di situazioni o di rapporti anteriori alla pubblicazione della pronuncia di incostituzionalità, ma non ancora esauriti al momento della pubblicazione della sentenza.
Per quello che qui rileva, la Corte costituzionale, con la richiamata sentenza n. 204 del 2004, ha avvertito che "la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo": con ciò assumendo, quale criterio di verifica della giurisdizione amministrativa esclusiva in questa materia il fatto che nella controversia la pubblica amministrazione abbia veste di autorità ovvero, in altre parole, che il giudizio verta sull'esercizio da parte dell'amministrazione del potere di cui è titolare e, dunque, sullo svolgimento della pubblica funzione.
Il pregresso riparto giurisdizionale in materia di pubblici servizi risulta, pertanto, mutato, di tal chè attualmente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non comprende più le controversie, riguardanti diritti soggettivi perfetti, nelle quali la pubblica amministrazione non sia coinvolta come autorità, ancorché scaturenti da rapporti di tipo concessorio.
Nel presente giudizio l'azione esperita dalla società ricorrente è, in realtà, volta a dimostrare l’illegittimità degli atti di recesso del Comune dalla società CAFC S.p.a. e, di conseguenza, la permanente validità della adesione comunale alla società: l’azione è, quindi, diretta a tutelare il diritto soggettivo perfetto all'esecuzione della partecipazione comunale ed alle controprestazioni conseguenti.
Il reale oggetto del giudizio, dunque, non è l'esercizio di una pubblica funzione da parte dell'Amministrazione, ma soltanto il rapporto convenzionale intercorrente tra le parti e le relative e reciproche posizioni di diritto soggettivo e di obbligo (Cfr. Cons. St., V, 13 luglio 2006, n. 4440).
La controversia, pertanto – come esattamente eccepito dal Comune resistente - esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo alla cognizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria.
Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio possono venire compensate, sussistendone le giuste ragioni.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo
dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20/02/2008 con l'intervento dei Magistrati:
Vincenzo Antonio Borea, Presidente
Vincenzo Farina, Consigliere, Estensore
Rita De Piero, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/04/2008
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