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Consiglio di Stato, Sez. IV, 26/1/2009 n. 447
Sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.

Lo scioglimento degli organi elettivi degli Enti locali ex art. 143 del d. l.vo 18 agosto 2000, nr. 267, rappresenta la risultante di una valutazione il cui asse portante è costituito, da un lato, dall'accertata e notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata, dall'altro dalle precarie condizioni di funzionalità dell'ente in uno o più settori, sensibili agli interessi della criminalità organizzata, ovvero da una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica; entro questi estremi è compresa l'estesa potestà di apprezzamento dell'amministrazione. Esiste, dunque, la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata.
All'ampliamento della sfera di discrezionalità dell'amministrazione corrisponde una limitazione del sindacato del giudice amministrativo, il quale può indagare il merito amministrativo solo nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge. In particolare, il decreto di scioglimento è sindacabile "solo in presenza di vizi che denotino con sufficiente concludenza la deviazione del procedimento dal suo fine istituzionale"; pertanto, obbligo del giudice è soltanto verificare l'attendibilità complessiva degli elementi che a giudizio della p.a. denotano i collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata e la logicità dell'apprezzamento delle conseguenze negative che ne deriverebbero in termini di compromissione della libera determinazione dell'organo elettivo

Gli elementi indicativi dei condizionamenti criminali vanno considerati nel loro insieme, sotto il profilo non tanto della loro specifica gravità e concludenza, quanto della loro idoneità a disvelare una distorsione dell'azione amministrativa.


Materia: enti locali / ordinamento

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

     sul ricorso in appello n. 5335 del 2008, proposto da F. P., P. B., LS. N., D. D., R. V. e F. V., rappresentati e difesi dagli avv.ti prof. Giuseppe Abbamonte e Maria Grazia Pianura, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’avv. Massimo Vannini, via Paolo Emilio, 59,

 

contro

     - la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore,

     - il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

     - la PREFETTURA DI VIBO VALENTIA, in persona del Prefetto pro tempore,

     tutti rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12;

     - la PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA, in persona del Presidente pro tempore, non costituito;

 

e nei confronti di

     COMUNE DI SAN GREGORIO D’IPPONA, in persona dei componenti la Commissione straordinaria, legali rappresentanti pro tempore, non costituito,

 

per l’annullamento

     della sentenza nr. 4463/2008 resa dal Tribunale Amministrativo del Lazio – sede di Roma – sez. I, nel giudizio nr. 5960/07 promosso dai ricorrenti, come in epigrafe individuati, avverso e nei confronti degli appellati per l’annullamento: 1) del decreto del Presidente della Repubblica del 24 aprile 2007, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nr. 116 del 21 maggio 2007, avente ad oggetto l’affidamento ad una commissione straordinaria della gestione del Comune di San Gregorio d’Ippona – già sciolto per dimissioni di nr. 7 consiglieri con d.P.R. del 25 gennaio 2007 – a norma dell’art. 143 del d.lgs. 18 agosto 2000, nr. 267; 2) la deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 24 aprile 2007 per l’affidamento ad una commissione straordinaria del Comune di San Gregorio d’Ippona ai sensi e per gli effetti dell’art. 143 d.lgs. nr. 267 del 2000; 3) della proposta di affidamento per la durata di 18 mesi del Comune di San Gregorio d’Ippona ad una commissione straordinaria indirizzata al Presidente della Repubblica e sottoscritta dal Ministro dell’Interno, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nr. 116 del 21 maggio 2007 in calce al decreto di scioglimento del Presidente della Repubblica come sopra indicato; 4) del provvedimento disposto in data 4 ottobre 2006 dal prefetto di Vibo Valentia per l’accesso di una commissione ai sensi dell’art. 1, comma IV, del decreto legge 6 settembre 1982, nr. 682, convertito in legge 12 ottobre 1982, nr. 726, e s.m.i.; 5) della circolare esplicativa nr. 7102 M/6 del 25 giugno 1991 del Ministero dell’Interno; 6) della relazione nr. 24/2 di prot. “R” del 20 agosto 2006 dei Carabinieri del Comando Provinciale di Vibo Valentia sulla situazione politico-amministrativa del Comune di San Gregorio d’Ippona che proponeva la richiesta della delega ad esercitare i poteri di accesso e accertamento di cui all’art. 1, comma IV, d.l. nr. 629 del 1982 e s.m.i., indirizzata alla Prefettura di Vibo Valentia; 7) della relazione della Commissione d’accesso al Comune di San Gregorio d’Ippona composta dai sigg.ri dott. Giovanni Cirillo, dott. Francesco Silvio Campolo, dott. Giovanni Gigliotti, ten. Marco Montemagno, cap. Antonio Scozzese e avv. Massimo Siano; 8) della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 24 aprile 2007; 9) della nota prot. 109/2-2/06/R/SDS della Prefettura di Vibo Valentia indirizzata al Ministero dell’Interno e al Gabinetto dell’on. Ministro del 25 gennaio 2007; 10) di ogni altro atto ad essi presupposto e/o prodromico e/o connesso e/o consequenziale e comunque lesivo dei diritti dei ricorrenti, ivi compresi i verbali e le relazioni della commissione d’accesso.

      Visto il ricorso con i relativi allegati;

      Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Vibo Valentia;

      Viste le memorie prodotte dall’Amministrazione in date 26 luglio 2008 e 26 novembre 2008 a sostegno delle proprie difese;

      Visto il dispositivo di decisione nr. 728 del 2 dicembre 2008;

      Visti gli atti tutti della causa;

      Relatore, all’udienza pubblica del 25 novembre 2008, il Consigliere Raffaele Greco;

      Uditi gli avv.ti Abbamonte e Pianura per gli appellanti e l’avv. dello Stato Spina per l’Amministrazione;

      Ritenuto e considerato quanto segue:

 

FATTO

     I sigg.ri P. F., B. P., N. LS., D. D., V. R. e V. F., già rispettivamente Sindaco (il primo) e consiglieri di maggioranza (gli altri) del Comune di San Gregorio d’Ippona, hanno impugnato, chiedendone l’annullamento, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso da essi proposto avverso gli atti relativi alla nomina di una commissione straordinaria per la gestione del predetto Comune, ai sensi dell’art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267.

     A sostegno dell’appello, hanno dedotto: manifesta illogicità, carenza di motivazione, violazione e falsa applicazione degli artt. 652 e 654 c.p.p., violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d.lgs. nr. 267/2000, violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2729 c.c., eccesso di potere, falsa applicazione della realtà dei fatti (in relazione all’erronea valutazione da parte del primo giudice degli indizi e delle circostanze di fatto addotte a sostegno del commissariamento del Comune, nonché delle controdeduzioni e delle prove fornite dagli odierni appellanti, tali da dimostrare la mancanza di alcun collegamento tra il Comune e la criminalità organizzata; alla palese inadeguatezza dell’istruttoria espletata in ordine all’affettività dei condizionamenti criminali sull’attività amministrativa; alla nullità e/o annullabilità degli atti impugnati, stante la mancanza di un formale decreto di scioglimento del Consiglio Comunale prima dell’affidamento della gestione a una Commissione straordinaria).

     Con successiva istanza, gli appellanti hanno altresì chiesto anche la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.

     Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Vibo Valentia, opponendosi argomentatamente all’accoglimento dell’appello e chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

     Alla camera di consiglio del 29 luglio 2008, sull’accordo delle parti, l’esame della domanda cautelare è stato differito, per essere abbinato alla trattazione del merito.

     All’udienza del 2 dicembre 2008, la causa è stata ritenuta per la decisione.

 

DIRITTO

     1. L’appello è infondato e va conseguentemente respinto.

     2. Per un più corretto inquadramento della vicenda per cui è processo, giova premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento e dei principali orientamenti giurisprudenziali al riguardo formatisi.

     2.1. L’art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267 (rubricato “Scioglimento dei Consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso”) disciplina le fattispecie nelle quali possono essere sciolti gli organi consiliari degli Enti locali in ulteriori ipotesi rispetto a quelle già previste dal precedente art. 141 (a seguito del compimento di atti contrari alla Costituzione, in conseguenza di gravi e persistenti violazioni di legge, ovvero per gravi motivi di ordine pubblico; nelle ipotesi in cui non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi: per l’impedimento permanente, la rimozione, la decadenza od il decesso del Sindaco e del Presidente della Provincia, per le dimissioni del Sindaco o del Presidente della Provincia; per la cessazione dalla carica - a seguito di dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente - della metà più uno dei membri assegnati, per l’intervenuta riduzione dei membri dell’organo consiliare, stante l’impossibilità di surrogare almeno la metà dei componenti del medesimo organo collegiale; nelle ipotesi in cui non sia approvato - nei termini prefissati dalla vigente normativa - il bilancio, annuale e pluriennale, di previsione).

 

     L’enunciazione di cui all’art. 143, comma I, è indeterminata e particolarmente ampia, dal momento che lo scioglimento dei Consigli Comunali e Provinciali può essere disposto a fronte della palese sussistenza (la norma, letteralmente, utilizza il verbo “emergono”) di:

 

     a) elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata;

 

     b) elementi su forme di condizionamento degli amministratori stessi.

 

     La ratio della disposizione coincide, pertanto, con la necessità di preservare l’indipendenza degli amministratori locali unitamente al buon andamento delle relative amministrazioni: l’accento è posto non tanto sulle possibili forme assunte dai rapporti tra amministratori ad esponenti della criminalità organizzata (la lettera della disposizione risultando sul punto piuttosto sfuggente e riferendosi a meri “collegamenti diretti o indiretti” ed a “forme di condizionamento”), quanto piuttosto sugli effetti determinati dall’influenza malavitosa sugli Enti locali o - ribaltando l’angolo di visuale - dalla “permeabilità” delle amministrazioni comunali e provinciali rispetto a tali condizionamenti.

 

     La legittimità dello scioglimento, così come delineato dall’art. 143, è pertanto ancorata alle conseguenze della vicinanza tra potere politico e contesto criminale, conseguenze che la disposizione identifica nei condizionamenti a danno della autonomia degli organi elettivi, nella compromissione del buon andamento delle stesse amministrazioni comunali e provinciali, nel funzionamento non regolare di servizi a queste affidati (tutte evenienze in atto) ma anche nel “grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica” (evenienza conseguente ad una valutazione di pericolosità).

 

     La Corte costituzionale, già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. nr. 267 del 2000, ha precisato (sent. 19 marzo 1993, nr. 103) come sia necessaria una “stringente consequenzialità” tra i lineamenti assunti dai rapporti tra amministratori ed esponenti della criminalità organizzata (collegamenti diretti, collegamenti indiretti, forme di condizionamento) e le evenienze citate.

 

     2.2. Con riguardo ai primi, è dato assolutamente pacifico in dottrina e in giurisprudenza che la norma faccia riferimento a circostanze che presentano un grado di significatività e concludenza inferiore a quelle che legittimano l'avvio dell’azione penale o l’adozione delle misure di sicurezza nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o analogo (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 2007, nr. 5226; Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 2005, nr. 5878; id. 18 marzo 2004, nr. 1425).

 

     In tal senso, l’inquinamento delle interferenze criminali non si verifica solo quando si determinano vincoli consapevoli di complicità, ma anche in casi di connivenza o contiguità quando essa coinvolga l’esercizio di un munus publicum, il che si rivela alquanto insidioso nella misura in cui il fenomeno si manifesta nelle forme atipiche dell’ingerenza e dell’assoggettamento o in legami e connessioni trasversali.

 

     È in tal modo che entrano nel procedimento situazioni intrinsecamente non riconducibili in addebiti personali ma tali da rendere ragionevole, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una “permeabilità” o di una soggezione degli amministratori all’influenza della criminalità organizzata.

 

     Tanto premesso in via generale, emerge pacificamente in giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. V, 2 ottobre 2000, n. 5225; id. 23 giugno 1999, n. 719) che lo scioglimento degli organi elettivi degli Enti locali rappresenta la risultante di una valutazione il cui asse portante è costituito, da un lato, dall’accertata e notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata, dall’altro dalle precarie condizioni di funzionalità dell’ente in uno o più settori, sensibili agli interessi della criminalità organizzata, ovvero da una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica; entro questi estremi è compresa l’estesa potestà di apprezzamento dell’amministrazione.

     Esiste, dunque, la possibilità di dare peso anche a situazioni, come già precedentemente sottolineato, non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata.

 

     2.3. All’ampliamento della sfera di discrezionalità dell’amministrazione corrisponde una limitazione del sindacato del giudice amministrativo, il quale può indagare il merito amministrativo solo nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge. Si è di volta in volta affermato che l’ambito del sindacato giurisdizionale risulta limitato ai profili dell’assoluta inesistenza del presupposto di fatto o della macroscopica violazione dei precetti di logica e imparzialità, oppure che il sindacato del giudice della legittimità può concernere esclusivamente la verifica della sussistenza delle circostanze di fatto riportate nella motivazione, nonché la valutazione sotto il profilo della logicità del significato a queste attribuito e dell’iter seguito per giungere a certe conclusioni (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, nr. 2583; Cons. Stato, sez. VI, 13 marzo 2007, nr. 1222; id. 16 febbraio 2007, nr. 665) .

     In particolare, questo Consiglio di Stato ha affermato la sindacabilità del decreto di scioglimento “solo in presenza di vizi che denotino con sufficiente concludenza la deviazione del procedimento dal suo fine istituzionale”, desumendosene che obbligo del giudice è soltanto verificare l’attendibilità complessiva degli elementi che a giudizio della pubblica amministrazione denotano i collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata e la logicità dell’apprezzamento delle conseguenze negative che ne deriverebbero in termini di compromissione della libera determinazione dell’organo elettivo (cfr. Cons. Stato, sez. V, nr. 719/99, cit.).

     Le infiltrazioni o il condizionamento di tipo mafioso sono, di per sé considerati, “neutri”, nel senso che non sono da soli sufficienti all’instaurazione del procedimento volto all’emanazione del decreto di scioglimento; essi, infatti, devono necessariamente aver compromesso la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati o, in alternativa, devono risultare tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. In ogni caso deve ricorrere un’effettiva limitazione della sfera di libera determinazione degli amministratori di modo che il cattivo andamento degli uffici ed il pregiudizio per la sicurezza pubblica appaiano diretta conseguenza del condizionamento attuato.

 

     Va da sé che la riduzione della sfera di sostanziale autonomia dell’Ente può derivare da pressioni esercitate ab aexterno non meno che dalla presenza all’interno del collegio dei soggetti malavitosi.

 

     La dizione normativa è volta ad una restrizione dell’ambito di applicazione della misura in quanto, se il concetto di infiltrazioni mafiose è comunque piuttosto vago, esso viene meglio definito, e in qualche modo “qualificato”, dagli effetti che si devono produrre all’interno dell’amministrazione della cosa pubblica.

 

     Dai principi testé enunciati discende anche un altro importante corollario, anch’esso più volte ribadito dalla giurisprudenza: quello secondo cui, trattandosi in questo caso di ricostruire un “contesto” piuttosto che di accertare responsabilità individuali, gli elementi indicativi dei condizionamenti criminali vanno considerati nel loro insieme, sotto il profilo non tanto della loro specifica gravità e concludenza, quanto della loro idoneità a disvelare una distorsione dell’azione amministrativa nei sensi più sopra precisati (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, 26 novembre 2007, nr. 6040; Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 2007, nr. 1004; Cons. Stato, sez. VI, 5 ottobre 2006, nr. 5948; Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2005, nr. 1573; id. 4 febbraio 2003, nr. 562; Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2000, nr. 585).

 

     3. Venendo ora all’esame della vicenda che occupa, la Sezione è dell’avviso che in essa l’Amministrazione abbia fatto corretta applicazione dei principi innanzi enunciati, e che il decreto di scioglimento cui si è pervenuti nei riguardi del Consiglio Comunale di San Gregorio d’Ippona sia immune da quei vizi di manifesta illogicità ed erroneità che, per quanto si è fin qui detto, soli legittimerebbero un annullamento giurisdizionale.

 

     3.1. Innanzi tutto, può darsi per non contestato inter partes un primo presupposto applicativo dell’art. 143 d.lgs. nr. 267 del 2000, e cioè la forte presenza della criminalità organizzata sul territorio del Comune interessato.

     Ed invero, dalla documentazione versata in atti (e, in particolare, dalla relazione redatta dalla Commissione d’accesso nominata ai sensi dell’art. 1, comma IV, del decreto legge 6 settembre 1982, nr. 629, e dalla documentazione allegata) emerge la generale situazione di degrado sociale che caratterizza il Comune di San Gregorio d’Ippona, anche in relazione al contesto, già di per sé non florido, del territorio della Provincia di Vibo Valentia in cui ricade (valga per tutti il dato del tasso di disoccupazione, inspiegabilmente molto più alto di quello, pur elevato, della maggior parte dei Comuni limitrofi).

     Più specificamente, la presenza sul territorio comunale di una diffusa criminalità mafiosa risulta da una concorde pluralità di atti giudiziari e investigativi noti alla Commissione d’accesso e da questa richiamati, con particolare riferimento al sodalizio denominato “cosca Fi.”, operante da anni nella zona.

     Sul punto, la Commissione richiama quanto si legge in un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.i.p. del Tribunale di Catanzaro nell’ambito di un’indagine svolta dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia: più che soffermarsi sulle singole fattispecie delittuose in quella sede ipotizzate e sulle posizioni delle singole persone sottoposte ad indagine (su cui pure, nei limiti in cui possono rilevare in questa sede, si tornerà appresso), appare significativo il passaggio in cui si evidenzia come la predetta organizzazione malavitosa “…avvalendosi dello strumento intimidatorio (…) è stata in grado, con il passare del tempo, di ottenere e conservare il controllo di attività economiche private o pubbliche, determinando una situazione di pericolo, oltre che per l’ordine pubblico in generale, anche per l’ordine economico, nonché compromettendo il principio di legalità democratica” /cfr. pag. 17 della relazione citata).

     Insomma, un contesto criminale che non esaurisce la propria attività nella commissione di reati “comuni”, ma bensì tende ad estendere il proprio controllo sull’economia e la stessa amministrazione, come è uso delle più pericolose e pervasive associazioni mafiose; un quadro che non sembra seriamente smentito dagli argomenti addotti dagli odierni appellanti (per lo più tesi, per vero, a sottolineare l’estraneità a tale contesto degli amministratori, sia uti singuli che considerati dal punto di vista istituzionale).

     3.2. Con riguardo, poi, alla sussistenza di “collegamenti” tra gli amministratori comunali e l’organizzazione criminale suddetta, è significativo, in primo luogo, lo stesso modo in cui il caso del Comune di San Gregorio d’Ippona è giunto all’attenzione dell’Amministrazione statale, in occasione della “crisi” che ha investito la Giunta guidata dall’attuale appellante P. F..

     Sul punto, l’Amministrazione oggi appellata ha condiviso la ricostruzione, emersa nel corso dell’indagine giudiziaria più sopra richiamata, secondo cui è stato possibile agli inquirenti acquisire maggiori elementi sulle contiguità tra l’amministrazione comunale e le cosche dopo che il Farfaglia, recentemente eletto Sindaco con ribaltamento dei precedenti equilibri politici, era stato aspramente criticato dall’opposizione (e, in primis, dal suo predecessore, F. R.) per essersi “discostato” da ipotizzati accordi preelettorali per l’assunzione di iniziative gradite ai clan, compiendo scelte opposte rispetto a quelle pattuite.

     Trattasi di un elemento la cui significatività si sostanzia nel disvelare come l’ipotizzata influenza delle cosche criminali sull’attività amministrativa fosse idonea a sopravvivere anche ai cambi di maggioranza politica alla guida del Comune, evidentemente grazie a una forte e “trasversale” capacità di condizionamento delle scelte gestionali; col che risulta ridimensionato anche l’argomento, su cui particolarmente insiste parte appellante, secondo cui le disfunzioni individuate dalla Commissione d’accesso, ove anche provate, sarebbero state da attribuire alla precedente consiliatura, e destinate a essere superate dalla “gestione F.”.

     E, del resto, la Sezione ha avuto modo di affermare che l’infiltrazione e il condizionamento della criminalità mafiosa sull’attività di un Comune ben può dipendere anche da contiguità e collegamenti con amministratori appartenenti all’opposizione, e non solo alla maggioranza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 2006, nr. 3612).

     Va aggiunto, in relazione alle emergenze investigative su cui si fondano le scelte dell’Amministrazione oggi censurate, che inconferente si appalesa l’ulteriore obiezione di parte appellante, incentrata sulla sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Catanzaro in relazione alle imputazioni di associazione mafiosa elevate a carico dei “consiglieri di minoranza”: al riguardo, è sufficiente richiamare, nulla occorrendo aggiungervi, quanto più sopra evidenziato in ordine alla ben diversa natura e consistenza che deve connotare gli elementi idonei a denotare i collegamenti e condizionamenti ex art. 143 d.lgs. nr. 267/2000, rispetto al quadro indiziario e probatorio che può fondare una sentenza di condanna a carico di singoli soggetti per specifici reati.

     Sotto tale profilo, la documentazione versata in atti offre una congerie di elementi univocamente idonei a soddisfare i criteri di probabilità e ragionevolezza che si sono individuati come gli unici parametri su cui il sindacato giurisdizionale, nei limiti della sua ammissibilità, può esercitarsi.

     In particolare, possono richiamarsi:

i documentati e assidui rapporti fra molti esponenti dell’Amministrazione comunale (ivi compreso, e anzi sopra tutti, il Sindaco F., odierno appellante) e soggetti inseriti nell’organizzazione mafiosa de qua o ad essa legati (cfr. le pagine 24-56 della relazione già citata della Commissione d’accesso, ove si rinviene una sintesi analitica dei rapporti ed intrecci interpersonali);

la circostanza che tali rapporti non si esaurissero in generici legami familiari o di amicizia (ciò che è in una certa misura fisiologico, in un paese di poco più di 2000 abitanti), ma investissero anche i profili inerenti all’attività istituzionale svolta dai soggetti investiti da responsabilità pubbliche, come documentato dalla presenza del Sindaco F., in veste ufficiale, in più di occasione alle esequie di noti esponenti del sodalizio criminale, nonché dal comprovato interessamento di consiglieri comunali per l’assunzione presso il Comune di parenti ed amici di persone a vario titolo legate al sodalizio medesimo;

l’ulteriore avallo a tali conclusioni che si ricava dalle intercettazioni telefoniche e ambientali eseguite nel corso dell’indagine giudiziaria più volte richiamata (cfr. 57 segg. relazione cit.): intercettazioni le quali, ancorché in ipotesi irrilevanti sul piano della responsabilità penale dei soggetti imputati, gettano comunque una luce inquietante sulla diffusa capacità di esercitare “pressioni” sugli amministratori per la definizione in un senso piuttosto che in altri di vicende d’interesse della cosca (per tutte, quella relativa all’approvazione dello strumento urbanistico comunale).

     3.3. Quanto poi all’ulteriore presupposto consistente nell’alterazione del funzionamento dell’amministrazione, è appena il caso di precisare, sviluppando i rilievi generali in precedenza svolti, che non è necessario sia provata la sussistenza di un nesso causale tra i “collegamenti” accertati tra amministratori e criminalità e le carenze e disfunzioni amministrative (o, in altri termini, che le eventuali “pressioni” esercitate sugli amministratori dell’Ente siano state effettivamente accolte), essendo sufficiente che tali carenze e disfunzioni oggettivamente vi siano, e che esse investano settori dell’amministrazione astrattamente sensibili all’influenza del crimine organizzato.

     Con riguardo al caso che occupa, non può seriamente dubitarsi, alla stregua della documentazione in atti e delle motivate conclusioni della Commissione d’accesso, che il presupposto in oggetto certamente sussista.

     In particolare, sono state rilevate criticità:

     - nel settore degli appalti di servizi e forniture, caratterizzato da un frequentissimo aggiramento dell’obbligo di indire procedure selettive attraverso un ricorso spregiudicato e disinvolto agli strumenti della somma urgenza e della trattativa privata, ciò che ha fatto sì che gli affidamenti andassero a beneficio sempre delle stesse imprese (alcune delle quali appartenenti o legate a soggetti inseriti o contigui alle cosche criminali);

     - nella materia urbanistica, laddove si sono già evidenziate le accertate pressioni di ambienti riconducibili al sodalizio mafioso nelle scelte operate in sede di pianificazione del territorio;

     - nel settore delle licenze per attività imprenditoriali e commerciali, laddove da un lato è stata accertata l’omissione di ogni controllo, in sede istruttoria, da parte degli organi preposti al rilascio dei provvedimenti abilitativi, dall’altro risultano documentate attività volte a favorire esercizi riconducibili a soggetti organici alla cosca o comunque pregiudicati, anche impedendo o ritardando l’applicazione di misure sanzionatorie adottate da altre autorità (emblematica, al riguardo, la vicenda del bar gestito da tal R., che proprio a tal fine vide l’intervento in prima persona del Sindaco F.: cfr. pagg. 202 e segg. relazione cit.);

     - in materia di abusivismo edilizio, laddove risulta per tabulas che nessuna autonoma attività di contrasto al fenomeno, all’infuori di quelle sollecitate da Polizia e Carabinieri, risulta svolta per anni dalla Polizia Municipale, situazione che per un verso può spiegarsi con l’insufficiente dotazione di personale (un solo Vigile Urbano in servizio), ma che in ogni caso non può far obliterare l’assoluta inesistenza di direttive o comunque di provvedimenti idonei a denotare un qualsivoglia interesse in materia da parte degli amministratori comunali;

     - nel settore finanziario, in cui parimenti si è registrata un’omissione di ogni attività volta a combattere o scoraggiare la diffusa evasione dei tributi comunali e del canone dell’acqua;

     - a livello più modesto, in materia di ordine pubblico e governo della circolazione stradale, essendo emerso – per espressa ammissione dell’unico Vigile Urbano in servizio, personaggio su cui peraltro parecchie riserve sono espresse dalla Commissione d’accesso – che per lungo tempo nessuna contravvenzione è stata elevata, con sostanziale abdicazione di ogni forma di controllo sul territorio.

     3.4. Il complesso degli elementi testé richiamati, ad avviso della Sezione, sono fortemente indicativi di una complessiva situazione di degrado e di illegalità, nell’ordinario svolgimento dell’attività amministrativa, che unitamente ai segnalati e innegabili intrecci tra le persone della maggior parte degli amministratori pubblici in carica e ambienti della criminalità organizzata, appaiono più che sufficienti a fondare le valutazioni dell’Amministrazione odierna appellata, sfociate nella determinazione di commissariare il Comune ai sensi dell’art. 143 d.lgs. nr. 267/2000.

 

     4. Resta da esaminare la subcensura con la quale si deduce la nullità e/o annullabilità dell’impugnato decreto presidenziale di nomina della Commissione straordinaria, per non essere stato lo stesso preceduto da un formale scioglimento del Consiglio Comunale, ciò che a dire di parte appellante sarebbe stato necessario a norma del ripetuto art. 143 d.lgs. nr. 267 del 2000.

     L’assunto non può trovare condivisione.

     A sostegno di esso, gli appellanti invocano la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che, sulla base del disposto del comma 6 del ridetto art. 143 (“…Si fa luogo comunque allo scioglimento degli organi a norma del presente articolo quando sussistono le condizioni indicate nel comma 1, ancorché ricorrano le situazioni previste dall’articolo 141”), ha affermato la prevalenza dell’ipotesi di scioglimento ex art. 143 su quelle “comuni” di cui all’art. 141, in caso di contestuale sussistenza dei presupposti di entrambe.

     Ben diversa, però, era la situazione nel caso di specie, laddove il Consiglio Comunale di San Gregorio d’Ippona risultava già formalmente sciolto ai sensi dell’art. 141, giusta decreto del Presidente della Repubblica del 25 gennaio 2007, conseguente alle dimissioni di 7 consiglieri; sicché, non si era in presenza di una semplice compresenza di condizioni astrattamente suscettibili di determinare due diverse tipologie di scioglimento, ma addirittura di scioglimento già avvenuto, con la conseguenza che del tutto superfluo sarebbe stato un secondo decreto presidenziale di scioglimento.

     5. In conclusione, e sulla base dei rilievi fin qui svolti, s’impone una pronuncia di reiezione dell’appello, con l’integrale conferma della sentenza impugnata.

     6. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

 

P.Q.M.

     il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione IV, respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

     Compensa tra le parti le spese di giudizio.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 dicembre 2008 con l’intervento dei signori:

     Gaetano TROTTA    - Presidente

     Giuseppe ROMEO   - Consigliere

     Goffredo ZACCARDI   - Consigliere

     Sergio DE FELICE   - Consigliere

     Raffaele GRECO    - Consigliere, est.

     L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE

     Raffaele Greco               Gaetano Trotta

 

IL SEGRETARIO

 

Giuseppe Testa

 

Depositata in Segreteria

Il 26/01/2009

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