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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso 7159-2007 proposto da:
Z.G. elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CERBARA 64, presso lo studio dell'avvocato CASTIELLO
FRANCESCO, rappresentato e difeso dall'avvocato FEOLA MARCELLO G.,
giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
COMUNE DI SIANO;
- intimato -
avverso la sentenza n. 118/2006 della CORTE D'APPELLO di SALERNO, depositata il 03/02/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/02/2009 dal Consigliere Dott. ALFREDO MENSITIERI;
udito l'Avvocato Michela REGGIO D'ACI per delega dell'avvocato Marcello FEOLA;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. NARDI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso e, in accoglimento del secondo, per il dichiararsi la giurisdizione dell'ago, in ordine alla controversia in esame.
Fatto
Con atto di citazione notificato il 20 giugno 2000 Z. G. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Salerno - Sezione distaccata di Mercato San Severino, il Comune di Siano per sentirlo condannare al pagamento della differenza ancora dovuta sul compenso spettantegli quale Tesoriere di quell'Ente per l'anno 1988, nella misura di L. 24.103.892, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 10 luglio 1991 al soddisfo, in quanto, a seguito della procedura di dissesto della L. n. 144 del 1989, ex art. 25 ed a fronte del riconoscimento, con Delib. 10 luglio 1991, n. 17, del complessivo debito di L. 48.000.000, gli era stata corrisposta la sola somma di L. 23.896.108.
Il Comune si costituiva in giudizio deducendo che legittimata passiva era la Commissione straordinaria di liquidazione, che aveva riconosciuto il credito dello Z. nella minore entità poi effettivamente corrisposta; inoltre eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e contestava l'interpretazione offerta dall'attore per quantificare il corrispettivo, concludendo per il rigetto della domanda,con vittoria di spese.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 62/04, ritenuta la propria "competenza", condannava il convenuto al pagamento della somma indicata dall'attore. Proponeva appello il Comune di Siano insistendo nell'eccezione di difetto di giurisdizione e, in linea gradata, contestando l'esattezza dell'interpretazione dell'art. 18 del contratto di tesoreria, concernente la base di calcolo del corrispettivo.
Si costituiva in giudizio lo Z. contestando la fondatezza del gravame.
La Corte d'appello di Salerno, con sentenza del 3 febbraio 2006, in accoglimento dell'impugnazione ed in totale riforma della gravata pronuncia, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, compensando tra le parti le spese del doppio grado.
Per quanto qui interessa la Corte territoriale, dopo aver sintetizzato l'orientamento di questa Sezioni unite in tema di controversie relative a rapporti di concessione espresso anteriormente alla disciplina stabilita dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33 ed affermato la sua perdurante validità anche dopo l'innovazione realizzata da detta norma, osservava che la controversia involgeva la contestazione dei presupposti per il calcolo del corrispettivo, sussistendo tuttavia un contrasto tra le parti in ordine alla "interpretazione del contratto di concessione o affidamento del servizio di tesoreria".
L'attore aveva infatti chiesto lo svolgimento di indagini e l'emissione di pronunce "sull'estensione e sulla disciplina della concessione o del servizio, secondo i provvedimenti emessi dal Comune concedente ed i connessi accordi "inter partes", cioè il contratto di affidamento o di concessione del servizio di tesoreria, nel caso di specie stipulato il (OMISSIS), ma basato su delibera di Giunta e successiva del Consiglio". Pertanto,secondo la sentenza,non sussisteva "una mera controversia sull'indennità o corrispettivo" e poichè la stessa concerneva la "interpretazione dell'ambito della disciplina del servizio di tesoreria",la stessa spettava alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso Z. G., affidato a due motivi. Non ha svolto attività difensiva il Comune di Siano.
Diritto
Con i due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, si denunzia, in riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 1, falsa applicazione della L. n. 1034 del 1971, art. 5 del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33 della L. n. 205 del 2000, art. 7.
Premessa la riconducibilità del servizio di tesoreria tra gli appalti pubblici di servizi e non tra le concessioni di servizi pubblici, osserva il ricorrente che anche la qualificazione del rapporto "de quo" come concessione di pubblico servizio comporterebbe nel caso di specie l'inapplicabilità sia del citato art. 33, nel testo originario, in quanto dichiarato costituzionalmente illegittimo (sentenza della Corte Costituzionale n. 292 del 2000), sia del citato art. 7, in quanto entrato in vigore dopo la instaurazione della presente controversia.
Pertanto, nella fattispecie in discorso, la giurisdizione andrebbe accertata in base alla L. n. 1034 del 1971, art. 5 con la conseguenza che, siccome non è in contestazione la validità ed operatività delle clausole della concessione, bensì l'interpretazione di una di esse, la controversia avrebbe esclusivamente ad oggetto "pretese patrimoniali volte al pagamento di corrispettivi" e cioè questioni di contenuto meramente patrimoniale, da ritenersi attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario. Il ricorso è fondato e va pertanto accolto per le ragioni che qui di seguito vanno ad esporsi.
Va innanzi tutto premesso che, come reiteratamente affermato da queste Sezioni Unite (sentenze n. 13453/91, n. 874/99, n. 9648/2001) il contratto di tesoreria "de quo" va qualificato in termini di rapporto concessorio e non di appalto di servizi come ipotizzato dal ricorrente, avendo ad oggetto la gestione del servizio di tesoreria comunale implicante, ai sensi del T.U. della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 325 il conferimento di funzioni pubblicistiche quali il maneggio del denaro pubblico e il controllo sulla regolarità dei mandati e prospetti di pagamento nonchè sul rispetto dei limiti degli stanziamenti in bilancio. Tanto chiarito, occorre ora affrontare il tema della giurisdizione, comunque prospettato dallo Z. in favore della giurisdizione del giudice ordinario anche nella ipotesi, come sopra ritenuta sussistente, della qualificazione del rapporto "de quo" come concessione di pubblico servizio. Orbene è stato affermato in fattispecie del tutto analoga nella recente sentenza di queste Sezioni Unite n. 12640 del 2008,che stante la parziale illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, come modificato dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, dichiarata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004 (rilevante, anche nella specie, per la naturale retroattività delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale), le controversie relative a concessioni di pubblici servizi sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva, eccezion fatta però per quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, secondo un criterio di riparto della giurisdizione già presente nella L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, prima delle modifiche apportate con il suddetto art. 33 (in tal senso, tra le altre, Sez. un. 6 luglio 2005, n. 14198). Tal che una vertenza avente ad oggetto il corrispettivo spettante ad un'impresa concessionaria del servizio di accertamento e riscossione di imposte comunali (o, come nel caso di specie, all'affidatario del servizio di tesoreria comunale), certamente esula dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e ricade in quella del giudice ordinario.
E' bensì vero, secondo la richiamata sentenza di queste S.U., che la controversia sui rapporti di dare e di avere fra il Comune e una società concessionaria del servizio di accertamento e riscossione di tributi ad altre entrate pubbliche, quando implichi indagini e statuizioni sulla validità ed operatività dei provvedimenti e di clausole del rapporto concessorio, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche ai sensi della citata L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 1 (così Sez. un. 7 febbraio 2002, n. 1734), non diversamente dalla controversia, più attinente alla fattispecie che ne occupa, tra l'esattore tesoriere di un Comune e il Comune stesso che abbia ad oggetto non la mera debenza e la misura del corrispettivo ma il momento genetico del rapporto di concessione del servizio di tesoreria (Sez. un. 16 luglio 2001, n. 9648). Ma, perchè ciò sia,si è puntualizzato, è necessario che la controversia richieda, "in via principale e non meramente incidentale o delibativa, una decisione sul contenuto e sulla disciplina del rapporto di concessione" (così, testualmente, Sez. un. n. 1734, cit.).
Nel caso in esame, viceversa, non è in questione la portata della concessione, nè la validità delle sue clausole in rapporto al modo in cui l'ente pubblico è tenuto ad operare e ad esercitare i propri poteri concessori, bensì esclusivamente la misura del corrispettivo contrattualmente spettante al concessionario e, nel caso di specie, al tesoriere comunale. Si discute,come rilevasi alle pagine 6 e 7 dell'impugnata sentenza, se, alla luce di quanto stabilito dall'art. 18 del contratto di concessione, detto corrispettivo debba esser calcolato, secondo quanto sostenuto dallo Z., sulle "entrate ed uscite effettivamente riscosse e pagate" comprendendosi in tale espressione tutte le operazioni contabili relative alla riscossione delle entrate ed al pagamento delle spese registrate dal tesoriere nel conto consuntivo finale, cioè tutti i movimenti di cassa effettivamente registrati, ovvero, come sostenuto dal Comune,intendendo quella espressione del contratto come riferita soltanto alle entrate ed uscite correnti, ovvero alle entrate effettive riscosse ("primi tre titoli del bilancio") ed alle spese effettive pagate.
E' ovvio che, per poter decidere una siffatta questione, occorre procedere all'interpretazione della clausola contenuta nel menzionato articolo contrattuale e, perciò stesso, definirne la portata applicativa, ma è altrettanto evidente che questo non implica alcun accertamento ("in via principale e non meramente incidentale o delibativa") del contenuto e della disciplina del rapporto di concessione, nè tanto meno si risolve in una valutazione sul modo in cui la pubblica amministrazione si è avvalsa della facoltà di adottare strumenti negoziali in sostituzione dell'esercizio diretto del proprio potere autoritativo.
La fattispecie, pertanto, ricade pienamente in quell'ambito che il legislatore ha riservato alla giurisdizione ordinaria con riguardo alle controversie aventi ad oggetto la debenza e la misura del corrispettivo dovuto al concessionario del pubblico servizio.
Ne consegue che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, detta controversia non era per sua natura sottratta alla giurisdizione del giudice ordinario.
L'impugnata sentenza deve perciò essere cassata, con conseguente rinvio della causa alla Corte d'appello di Salerno, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a sezioni unite, accoglie il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d'appello di Salerno.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2009.
Depositata in cancelleria il 3 aprile 2009
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