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Consiglio di Stato, Sez. VI, 1/6/2010 n. 3462
Sull'illegittimità del decreto di scioglimento di un Consiglio comunale, nell'ipotesi in cui non sussistano elementi chiari e concordanti in ordine ad asserite infiltrazioni mafiose.

E' illegittimo il decreto di scioglimento di un consiglio comunale per l'asserita sussistenza di collegamenti o condizionamenti dell'apparato amministrativo da parte della criminalità organizzata, ciò in quanto, ai sensi dell'art. 143, d.lgs. n. 267/00 (TUEL), l'esercizio di detto potere di scioglimento da parte dell'Amministrazione, avendo carattere straordinario, presuppone l'accertamento dell'esistenza di elementi di fatto, tali da rendere plausibile l'affermazione secondo cui gli organi in carica siano collegati o condizionati dalla malavita organizzata, tanto da rappresentare un attentato all'ordine e alla sicurezza pubblica. Inoltre, lo scioglimento di un Consiglio comunale, incidendo su organi scelti dall'elettorato e, quindi, sull'esercizio delle libertà democratiche costituzionalmente garantite, deve fondarsi su elementi chiari, univoci e concordanti, atti a dimostrare che l'Amministrazione locale, pur non avendo posto in essere attività illecite, presenti lacune ed inefficienze causalmente riconducibili al condizionamento/collegamento.

Materia: enti locali / consiglieri comunali

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

 

DECISIONE

1) sul ricorso numero di registro generale 9517 del 2009, proposto da Francesco Tonnara e Luciano Cappelli, rappresentati e difesi dagli avvocati Luigi Manzi e Andrea Reggio D'Aci, con domicilio eletto presso il secondo, in Roma, via F. Confalonieri, n. 5;

 

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'interno, Presidenza della Repubblica Italiana, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

Comune di Amantea;

2) sul ricorso numero di registro generale 9590 del 2009, proposto da Antonio Carratelli, Sante Mazzei, Pasquale Ruggiero, Sergio Tempo, Michele Vadacchino, rappresentati e difesi dall'avv. Giacomo Carbone, con domicilio eletto presso l’avv. Luigi Manzi in Roma, via F. Confalonieri, n. 5;

 

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'interno, Presidenza della Repubblica Italiana, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

Comune di Amantea;

 

per la riforma

quanto al ricorso n. 9517 del 2009, della sentenza del Tar Calabria – Catanzaro, sez. I, n. 1125/2009;

quanto al ricorso n. 9590 del 2009, della sentenza del Tar Calabria – Catanzaro, sez. I, n. 1124/2009;

entrambe concernenti scioglimento del consiglio comunale di Amantea (Cosenza) per la durata di diciotto mesi.

Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Presidenza della Repubblica Italiana;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2010 il consigliere Rosanna De Nictolis e uditi per le parti gli avvocati Luigi Manzi e Reggio d'Aci e l'avvocato dello Stato Urbani Neri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con d.P.R. 4 agosto 2008 (registrato dalla Corte dei conti il successivo 8 agosto pubblicato in G.U.R.I. 26 agosto 2008 e notificato il 27 agosto 2008), adottato dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’interno (31 luglio 2008), previa deliberazione del Consiglio dei ministri (1° agosto 2008), il Consiglio comunale di Amantea, eletto nel maggio del 2006, è stato sciolto per la durata di diciotto mesi ai sensi dell’art. 143, d.lgs. n. 267/2000.

Il provvedimento è stato adottato sulla base dell’istruttoria condotta dall'apposita commissione d’accesso (relazione finale in data 26 maggio 2008).

2. Contro tali provvedimenti sono stati proposti due distinti ricorsi giurisdizionali davanti al Tar della Calabria da parte dei componenti del disciolto consiglio comunale.

Il Tar, con le due sentenze specificate in rubrica, ha respinto i ricorsi.

3. I ricorrenti di primo grado hanno quindi proposto due separati appelli, criticando la sentenza e ripercorrendo le argomentazioni già svolte in primo grado.

Il Consiglio di Stato, con ordinanza 16 febbraio 2010 n. 63, ha riunito i due appelli e disposto adempimenti istruttori, che risultano eseguiti.

4. In sintesi, gli appellanti denunciano la violazione dall'art. 143, d.lgs. n. 267/2000, sotto diversi profili che convergono sull’argomentazione centrale secondo la quale la relazione redatta dalla commissione d’accesso non avrebbe evidenziato elementi attendibili, ragionevolmente univoci, in ordine all’esistenza degli indicati collegamenti o condizionamenti dell’apparato amministrativo e degli organi elettivi dell’ente da parte della criminalità organizzata.

In dettaglio, gli appellanti esaminano i singoli fatti indicati nel provvedimento impugnato e nella relazione della commissione di accesso, e forniscono elementi a confutazione.

5. Dispone l’art. 143, d.lgs. n. 267/2000, nel testo vigente all’epoca di adozione del provvedimento impugnato, che “ (…) i Consigli comunali e provinciali sono sciolti quando (…) emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati, ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.”

Si tratta di un potere straordinario il cui esercizio presuppone tuttavia l'accertamento dell’esistenza di elementi di fatto tali da rendere plausibile l’affermazione che gli organi attualmente in carica siano collegati o condizionati dalla malavita organizzata tanto da rappresentare un “ attentato all'ordine e alla sicurezza pubblica". Per quel che concerne la valutazione di tali elementi, questa è rimessa alla valutazione degli organi istituzionali di vertice dell'autorità amministrativa.

Il disposto letterale - che considera sufficiente la presenza di "elementi" non meglio specificati su "collegamenti" o "forme di condizionamento" - è indicativo del disegno legislativo di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalità organizzata sulla scorta di circostanze che presentano un grado di significatività e di concludenza inferiore rispetto a quelle che legittimano l'azione penale (delitti ex art. 416-bis cod. pen., delitti di favoreggiamento commessi in relazione ad esso) o l'adozione di misure di sicurezza nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o analoghe.

Mediante l'uso di una terminologia ampia e indeterminata («elementi») si evidenzia quindi l'intento del legislatore di riferirsi anche a situazioni estranee all'area propria dell'intervento penalistico o preventivo, ciò nell'evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie forme di connessione o di contiguità fra organizzazioni criminali e sfera pubblica e della necessità di evitare con immediatezza che l'Amministrazione dell'ente locale sia permeabile all'influenza della criminalità organizzata.

Per queste ragioni, lo scioglimento dell'organo elettivo rappresenta una «misura di carattere straordinario» per fronteggiare «una emergenza straordinaria» (cfr. in tal senso, Corte cost. 19 marzo 1993 n. 103, nell'escludere profili di incostituzionalità nel pregresso omologo art. 15-bis, l. n. 55/1990).

Trovano allora giustificazione i margini, particolarmente ampi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l'Amministrazione nel valutare gli «elementi su collegamenti diretti o indiretti ... o su forme di condizionamento»; trovano peso situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o di affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò, come già detto, pur quando il valore indiziario dei dati raccolti non sia sufficiente per l'avvio dell'azione penale o per l'adozione di misure individuali di prevenzione.

Egualmente ampio, secondo il modello legale posto dalla norma citata, risulta il margine per l'apprezzamento degli effetti derivanti dai collegamenti o dalle forme di condizionamento in termini di compromissione della libera determinazione degli organi elettivi, del buon andamento della Amministrazione, del regolare funzionamento dei servizi, ovvero in termini di grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, con conseguente idoneità anche di quelle situazioni che non rivelino né lascino presumere l'intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata (pena, in tal caso, l'intervento dei modelli penalistici o di prevenzione).

Da quanto precede emerge, in conclusione, che lo scioglimento del Consiglio comunale ai sensi dell'art. 143, d.lgs. n. 267/2000 rappresenta la risultante di una valutazione il cui asse portante è costituito, da un lato, dalla accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall'altro, dalle precarie condizioni di funzionalità dell'ente.

Entro questi estremi si muove la già evidenziata ampia discrezionalità dell'Amministrazione, assoggettata al sindacato del giudice di legittimità nei soli limiti della presenza di vizi che denotino, con sufficiente concludenza, la deviazione del procedimento dal suo fine istituzionale.

Sul piano dei principi, è nei sensi esposti la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., per tutte, IV sez., 6 aprile 2005 n. 1573; 4 febbraio 2003 n. 562 e 22 giugno 2004 n. 4467; V sez., 14 maggio 2003 n. 2590 e 23 giugno 1999 n. 713; 22 marzo 1999 n. 319; 3 febbraio 2000; n. 585, 2 ottobre 2000 n. 5225; Cons. giust. sic., 22 aprile 2002 n. 205); e non vi è ragione per discostarsi dalle acquisizioni in precedenza raggiunte.

Tuttavia, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 103/1993, ha avuto modo di chiarire come, su tale materia, il sindacato di legittimità affidato al giudice amministrativo si estende "sulla sussistenza dei presupposti di fatto e sulla ragionevolezza e coerenza, sotto il profilo logico, del significato attribuito agli elementi di fatto e delle conclusioni che se ne fanno derivare" che “[l]a norma esige, perciò, una stringente consequenzialità tra l’emersione, da un lato di una delle due situazioni suddette, “collegamenti” o”forme di condizionamento”, e, dall’altro, di una delle due evenienze, l’una in atto, quale la compromissione della libertà di determinazione e del buon andamento amministrativo nonché del regolare funzionamento dei servizi, l’altra conseguente ad una valutazione di pericolosità, espressa …con la formula…”tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

Inoltre, la circolare esplicativa del Ministero dell’interno 25 giugno 1991 n. 7102 indica che dagli elementi di valutazione debba emergere “chiaramente il determinarsi di uno stato di fatto nel quale il procedimento di formazione della volontà degli amministratori subisca alterazioni per effetto di fattori, esterni al quadro degli interessi locali, riconducibili alla criminalità organizzata”.

Si deve poi in diritto osservare che, fermo restando che il compito di individuare gli elementi di fatto significativi e di valutarne l’efficacia probatoria spetta alla discrezionalità dell'Amministrazione procedente e non può in ogni caso essere surrogata dal giudice amministrativo con un indagine autonoma, sta per certo che provvedimenti che incidono in maniera così radicale sulla volontà espressa dal corpo elettorale locale debbono necessariamente essere assistiti da una dimostrazione dell’esistenza dei presupposti voluti dalla legge coerente sotto il profilo logico giuridico (Cons. St., sez. VI, n. 6657/2009).

6. Tanto premesso in diritto, nel caso in esame gli elementi fondamentali su cui si basa la relazione della Commissione d’accesso e il provvedimento di scioglimento possono così sintetizzarsi:

a) l’asserita linea di continuità tra l’attuale Amministrazione comunale e quella precedente del Sindaco La Rupa, che sarebbe dimostrata dalla presenza nell’attuale consiglio comunale di un assessore della precedente Amministrazione, sottoposto a fermo giudiziario nel dicembre 2007 nel corso di indagini penali per reati in materia di criminalità organizzata;

b) l’asserita turbativa delle elezioni in danno di appartenenti a opposta forza politica;

c) la vicenda dell’affidamento della gestione del porto, in favore di società il cui amministratore è stato tratto in arresto nel corso di indagini penali per reati in materia di criminalità organizzata;

d) il mantenimento come dirigente dell’ufficio tecnico comunale di un architetto nominato dalla precedente Amministrazione, rinviato a giudizio nel giugno 2008 per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione e truffa aggravata.

7. Gli appellanti contestano tale ricostruzione osservando che il nuovo consiglio comunale, in carica da circa diciotto mesi quando è intervenuto il provvedimento di scioglimento, ha ereditato dalla precedente Amministrazione situazioni in relazione alle quali, non appena avuto contezza di sospetti di illiceità, avrebbe preso le debite distanze.

Così, quanto alla vicenda della gestione del porto, l’affidamento e la proroga della gestione è avvenuta da parte della precedente Amministrazione; non essendovi ancora un contratto stipulato, l’Amministrazione, al fine di valutare se stipulare il contratto o revocare la gestione, ha ritenuto di dover prima acquisire un parere legale pro veritate.

Dal certificato penale dell’amministratore della società che gestisce il porto, non emergerebbero reati di stampo mafioso, e solo quando l’amministratore è stato tratto in arresto per reati di stampo mafioso, l’Amministrazione ha provveduto a sospendere il contratto in corso.

D’altro canto, procedere a revoca dell’affidamento senza prima acquisire un parere legale, avrebbe esposto l’Amministrazione a contenzioso.

Quanto alla vicenda dell’arch. Schettini, si tratta di dirigente dell’ufficio tecnico nominato dalla precedente Amministrazione, che è stato mantenuto in servizio perché non sono emersi elementi a suo carico, e che è stato tempestivamente sospeso quando è stato tratto in arresto.

Quanto alla continuità di un assessore con il precedente consiglio comunale, quando esso è stato candidato, non emergevano sospetti a suo carico, trattandosi di soggetto incensurato. Né vi sarebbe prova che la sua presenza in consiglio comunale abbia comportato un collegamento o condizionamento mafioso.

Nessuna prova vi sarebbe che gli episodi di danneggiamento in danno di due esercizi commerciali durante la campagna elettorale siano imputabili ad una campagna mafiosa intimidatoria nei confronti di rivali politici dell’attuale consiglio comunale.

8. Ad avviso del Collegio, lo scioglimento di un organo elettivo, incidendo su organi scelti dall’elettorato e, dunque, sull’esercizio delle libertà democratiche costituzionalmente protette, deve fondarsi su elementi chiari e concordanti di collegamento o condizionamento mafioso (Cons. St., sez. IV, n. 2583/2007), atti a dimostrare che l’Amministrazione comunale, pur senza necessariamente commettere illeciti, comunque presenta lacune e inefficienze causalmente riconducibili al condizionamento/collegamento.

8.1. Nel caso di specie, gli elementi fondamentali su cui si basa la relazione della Commissione d’accesso e il provvedimento di scioglimento non sono ad avviso del Collegio univoci, determinanti, e tali da dimostrare il collegamento e/o il collegamento degli amministratori comunali con la criminalità organizzata.

La relazione della commissione d'accesso, anziché seguire un percorso lineare teso a dimostrare come da concreti elementi di fatto si potesse, in modo plausibile, giungere ad una diagnosi di condizionamento dell'attuale Amministrazione comunale da parte della criminalità organizzata, non ha comparato gli elementi raccolti, spesso risalenti nel tempo, con gli sforzi che l'attuale Amministrazione comunale sostiene di aver fatto per contrastare il fenomeno mafioso, in un contesto sociale, che come si è detto era fortemente inciso dalla presenza di una criminalità organizzata forte ed agguerrita.

In sintesi, l‘Amministrazione dell’interno ha operato in assenza di elementi univoci e convergenti, omettendo di identificare comportamenti e situazioni oggettivamente idonea a rappresentare, in capo all’Amministrazione disciolta, quei pericoli di infiltrazione e di condizionamento che avrebbero dovuto giustificare, sul piano degli obiettivi propostisi dal legislatore, la misura adottata.

8.2. In dettaglio:

a) quanto all’assessore asseritamente colluso con la mafia e collegato con la precedente Amministrazione comunale, costituisce elemento di fatto incontrovertibile che fosse penalmente incensurato, e che sia stato candidato dal nuovo Sindaco perché considerato politicamente forte, ma senza la consapevolezza, in capo al nuovo Sindaco, dei suoi collegamenti criminali;

b) sempre quanto a detto assessore, non vi è prova che la sua presenza in consiglio comunale abbia determinato un collegamento o condizionamento mafioso dell’intero consiglio comunale;

c) quanto al parere pro veritate che il consiglio comunale ha assunto sulla vicenda della gestione del porto, la circostanza che di tale parere si parli in una telefonata intercettata tra detto assessore e un soggetto asseritamente esponente criminale, è elemento che non prova che l’assessore abbia condizionato il consiglio comunale ad assumere tale parere, in quanto costituisce condotta che risponde ad una ordinaria diligenza e prudenza l’assunzione di un parere legale prima di adottare atti di autotutela su un contratto in corso di esecuzione; sicché, non vi è prova che l’assunzione del parere legale sia in nesso causale con un condizionamento mafioso, e che non si tratti invece di casuale coincidenza;

d) quanto alla vicenda della gestione del porto, non si può tralasciare che l’affidamento della gestione è avvenuto durante la precedente Amministrazione comunale, e che la nuova Amministrazione si è trovata a gestire un rapporto in corso, ignorando le pregresse vicende; quando sono emersi dubbi sulla vicenda, peraltro non determinati da sospetti circa il collegamento criminale della società affidataria, ma da inadempimenti contrattuali, il Comune ha tempestivamente avviato le necessarie iniziative di autotutela, facendole prudentemente precedere da un parere pro veritate che, peraltro, ha evidenziato l’inesistenza di precedenti penali di stampo mafioso in capo all’affidatario;

e) quanto alla situazione dell’architetto dirigente dell’ufficio tecnico, si tratta di un dirigente non nominato da questo consiglio comunale, ma dal precedente, e nei cui confronti non emergevano elementi che inducevano a sospettarne il collegamento o condizionamento criminale. Quando sono emerse negligenze della dirigente, il Consiglio si è tempestivamente attivato per la sua rimozione dall’incarico. Elemento essenziale da considerare è che il Consiglio comunale ha dapprima sospeso, e poi rimosso il dirigente in epoca non sospetta (il provvedimento di sospensione data 5 giugno 2007 e quello di rimozione data 31 ottobre 2007), cronologicamente anteriore al rinvio a giudizio del dirigente (avvenuto nel giugno 2008); inoltre il Comune si è diligentemente costituito in giudizio nella vertenza di lavoro promossa dalla Schettini davanti al giudice del lavoro;

f) quanto al danneggiamento di due locali commerciali nel corso della campagna elettorale, non è affatto chiaro che esso sia imputabile a un intento intimidatorio nei confronti di rivali degli esponenti politici che hanno vinto le elezioni.

8.3. Se, da un lato, gli elementi posti a fondamento del provvedimento non sono univoci e non dimostrano il collegamento o condizionamento mafioso, dall’altro lato non sono stati adeguatamente valutati gli atti posti in essere dalla nuova Amministrazione comunale:

a) sotto il profilo di azioni di dissociazione dalla pregressa amministrazione (avvio del procedimento di autotutela in relazione alla gestione del porto; rimozione dell’arch. Schettini);

b) sotto il profilo di azioni attive nell’interesse pubblico: recupero di tributi non riscossi; designazione di un assessore ai lavori pubblici lontano dagli interessi mafiosi; adesione alla stazione unica appaltante; riorganizzazione degli uffici e servizi comunali nel mese di ottobre 2007.

Né è emersa l’adozione di provvedimenti illegittimi o aventi a substrato situazioni di illecito, e neppure sono emerse colpevoli inerzie frutto di collegamento o condizionamento criminale.

8.4. In definitiva, non risulta comprovata una continuità e contiguità dell’attuale consiglio comunale con il precedente, atteso che:

a) il dirigente ereditato dalla precedente amministrazione è stato rimosso prima del suo coinvolgimento penale;

b) sono state tempestivamente avviate iniziative di autotutela in ordine al sospetto affidamento della gestione del porto, ereditato dalla precedente amministrazione;

c) gli uffici e servizi comunali sono stati riorganizzati;

d) sono state intraprese iniziative che segnano una soluzione di continuità con il passato: recupero tributi, adesione a stazione unica appaltante;

e) non risulta comprovato un coinvolgimento del partito politico vincitore delle elezioni negli episodi di danneggiamento verificatisi durante la campagna elettorale e neppure risulta provato che i danneggiamenti siano avvenuti a causa della campagna elettorale;

f) non risulta comprovato se e in che misura l’assessore Signorelli sia stato l’anello di collegamento o condizionamento mafioso nei confronti dell’intero consiglio comunale;

g) non risulta comprovata l’adozione di atti illegittimi o l’omissione di atti dovuti, né la sussistenza di colpevoli inerzie, che siano conseguenza immediata e diretta del collegamento o condizionamento criminale.

9. Per completezza il Collegio rileva che la relazione della competente commissione, ma non il provvedimento finale, enunciano alcuni dati relativi a legami di parentela o affinità tra componenti del Consiglio comunale e dipendenti dell’Amministrazione comunale medesima, ma si tratta di elementi di non univoco significato non evincendosi né che vi sarebbero state assunzioni di favore, o trattamenti di favore, né che vi sarebbero contiguità tra componenti del consiglio comunale e criminalità organizzata, né che vi sarebbero altre illegittimità, dovendosi per converso osservare che in un Comune di piccole dimensioni non è infrequente che vi siano legami di parentela o affinità tra i dipendenti pubblici di una medesima Amministrazione ovvero tra i dipendenti e i componenti degli organi di governo della medesima amministrazione.

10. Per quanto esposto, gli appelli vanno accolti e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, vanno annullati i provvedimenti impugnati in primo grado.

11. La complessità delle questioni giustifica la compensazione delle spese di lite in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe, già riuniti, li accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati in prime cure.

Compensa interamente tra le parti le spese e gli onorari di lite in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2010 con l'intervento dei Signori:

Giuseppe Barbagallo, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore

Roberto Garofoli, Consigliere

Giancarlo Montedoro, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

  

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 01/06/2010

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