REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1545 del 2001, proposto da:
Fasciotti Gambaro Maria Sofia, rappresentata e difesa dagli avv. Maria Teresa Fanzini, Riccardo Ludogoroff, con domicilio eletto presso il secondo in Torino, corso Montevecchio, 50;
contro
Comune Torino, rappresentato e difeso dall'avv. Elisabetta Boursier, con domicilio eletto presso Maria Antonietta Caldo in Torino, Comune Torino - via Corte D'Appello, 16;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
per l'accertamento
del diritto al risarcimento dei danni subiti per il comportamento colposo dell'Amministrazione in relazione all'esclusione dell'inserimento nel PPA dell'intervento edilizio presentato dalla ricorrente, e per la conseguente condanna del Comune.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune Torino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'Udienza pubblica del giorno 4 giugno 2010 il Referendario Avv. Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con il gravame in epigrafe la ricorrente adisce il Tribunale per domandare il risarcimento dei danni a lei asseritamente causati dall’esclusione del terreno di sua proprietà della superficie di circa 83.000 mq. dalla seconda integrazione del secondo P.P.A. del PRG di Torino.
Il Comune approvava tale integrazione con delibera 2750/1989 che escludeva dal piano l’intervento proposto dalla deducente, ritenendolo compromissivo del territorio comunale caratterizzato da notevoli valenze paesaggistiche, ambientali e irrealizzabile anche per una diffusa carenza di opere infrastrutturali.
Il CoReCo annullava parzialmente tale deliberazione relativamente a talune aree, tra cui quella della ricorrente, rilevando una carente motivazione sia sotto l’aspetto giuridico che finanziario nonché l‘inammissibilità del richiamo a futuri strumenti urbanistici invece che a quello vigente.
La ricorrente, dopo nove mesi dalla scadenza del p.p.a., solo il 13.4.1990 notificava una diffida al Comune, esortandolo a provvedere sulla sua istanza di inserimento dell’intervento proposto nel piano ma l’Ente rimaneva inerte e la deducente impugnava il silenzio rifiuto con ricorso accolto dal Tribunale con sentenza n. 330/1997 la quale sanciva il diritto dell’esponente di ricevere riscontro alla sua istanza.
La decisione rimaneva senza seguito e la ricorrente promuoveva giudizio di ottemperanza, accolto con sentenza n. 253/2000 che ordinava al Comune di eseguire la precedente sentenza del 1997 entro 60 giorni, pena la nomina del commissario ad acta.
2.1. Il Comune di Torino, all’espresso fine di evitare la nomina del predetto ausiliario del Giudice, ottemperava alla sentenza assumendo la delibera di Giunta n. 4753/2000 con la quale, ricostruita capillarmente la vicenda, ribadiva l’esclusione dell’intervento della ricorrente dal piano attuativo, rimarcando, inoltre, anche la circostanza che l’iniziativa sollecitatoria della stessa sopravveniva ad oltre nove mesi dalla scadenza dello strumento attuativo, la quale ostava all’espressione di un ulteriore potere di intervento dell’Ente rispetto ad un piano ormai scaduto.
Detta delibera non veniva impugnata dalla ricorrente, la quale incardinava, invece, il ricorso all’esame, di tipo meramente risarcitorio, con il quale domandava il riconoscimento del suo diritto e la conseguente condanna del Comune al ristoro dei danni patiti a seguito dell’inerzia del Comune a fronte della determinazione tutoria di parziale annullamento.
Inerzia che ha determinato la sostanziale vanificazione del suo ius aedificandi, poiché nel frattempo l’area in questione ha ricevuto destinazione urbanistica a verde privato con preesistenze edilizie ed indice fondiario ari a 0,001 mc/mq.
2.2. Si costituiva la Città con memoria del 26.3.2010.La ricorrente depositava ulteriori due memorie in vista della pubblica Udienza di merito, nella quale, udita la discussione dei patroni delle parti a la Relazione del Referendario Avv. Alfonso Graziano il ricorso veniva trattenuto a sentenza.
DIRITTO
1.1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità per ne bis in idem svolta dal Comune nella memoria suindicata sul rilievo che la domanda risarcitoria è stata già dal Tribunale rigettata con il ricorso per l’ottemperanza esitato con la sentenza n. 253/2000 per difetto di principio di prova..
Osta alla tesi della sostanziale identità delle azioni da un lato la circostanza che nel ricorso oggi in decisione, e in disparte ogni notazione sulla fondatezza o meno della domanda, la ricorrente fornisce un principio di prova in ordine al lamentato danno, avendo prodotto l’allegata perizia tecnica.
Dall’altro lato appare anche risolutivo considerare che le fattispecie concrete retrostanti le due domande oggetto dei due distinti gravami differiscono tra loro se non altro per l’emersione di profili di contestazione nuovi e diversi rispetto a quelli articolati con il precedente ricorso ed originati se non altro dal successivo svolgersi degli eventi.
Non erano tra l’altro le due rispettive azioni affatto sovrapponibili e della seconda, attualmente in scrutinio, la deducente necessitava, quanto meno per l’assorbente rilievo che, come la giurisprudenza graniticamente insegna, è inammissibile la domanda risarcitoria introdotta in seno al giudizio di ottemperanza al giudicato(Consiglio di Stato, Sez.V, 4.3.2008, n.489; T.A.R. Lazio – Roma, Sez. II, n. 5850/2009).
1.2. Va del pari respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per l’intervenuta acquiescenza scaturente dall’omessa impugnazione della delibera di Giunta n. 4753/2000 che ha confermato l’esclusione dell’intervento edilizio della ricorrente dal programma di attuazione.
E’ noto, infatti, che a seguito dell’arresto delle Sezioni Unite del 23.12.2008 l’azione di annullamento del provvedimento non costituisce più un presupposto processuale dell’azione di risarcimento dei danni sofferti a causa del provvedimento illegittimo e il ricorrente può limitare la sua iniziativa contenziosa alla domanda di accertamento del suo diritto al risarcimento del danno, e relativa condanna, senza necessariamente dover impugnare il provvedimento che ne è la fonte.
Ragion per cui non può più propriamente e tecnicamente parlarsi di pregiudizialità dell’azione demolitoria rispetto a quella meramente risarcitoria.
1.3. E’ peraltro ugualmente noto che la giurisprudenza del Giudice amministrativo ha recuperato spazi sostanziali all’affermazione della rilevanza della previa impugnazione del provvedimento lesivo, ai fini della somministrazione della tutela aquiliana.
E’ stato, cioè, elaborato dal Consiglio di Stato il principio in ossequio al quale ancorché non possa predicarsi una formale pregiudizialità dell’azione di annullamento, ridondante al livello processuale, rispetto alla domanda risarcitoria, tuttavia l’omessa contestazione nella competente sede di legittimità della determinazione amministrativa causativa di danno patrimoniale, determina il rigetto della domanda di risarcimento del danno per via dell’impossibilità di sostenere che il danno è sorto per effetto di un comportamento assunto non iure dall’amministrazione.
L’inoppugnabilità del provvedimento produce dunque l’insussistenza del fondamentale presupposto del paradigma che innerva la responsabilità aquiliana, costituito dall’ingiustizia del danno.
Il principio giuridico processualistico che sottende, poi, siffatta acquisizione teorica è costituito dalla notazione che il sistema processuale amministrativo non consente al Giudice di compiere un accertamento meramente incidentale e senza efficacia di giudicato, dell’illegittimità del provvedimento amministrativo, che se non oppugnato nella ordinaria sede demolitoria di legittimità, non può essere conosciuto e sindacato incidenter tantum ai fini della pronuncia sulla domanda risarcitoria.
2.1. È stato così affermato (Consiglio di Stato, Sez. VI,3 febbraio 2009, n. 578) che l'irricevibilità dell'azione di annullamento conduce alla reiezione della domanda di risarcimento del danno, ritenendosi che l'applicazione del principio della pregiudiziale non comporta una preclusione di ordine processuale all'esame nel merito della domanda risarcitoria, ma determina un esito negativo nel merito dell'azione di risarcimento (Cons. Stato, VI, 19 giugno 2008 n. 3059) in quanto l’inoppugnabilità del provvedimento impedisce che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione in esecuzione dell’atto inoppugnato.
In adesione alla giurisprudenza del Consiglio di Stato deve ritenersi dunque che l'applicazione del principio della pregiudiziale non comporta una preclusione di ordine processuale all'esame nel merito della domanda risarcitoria, ma determina un esito negativo nel merito dell'azione di risarcimento (Cons. Stato, VI, 19 giugno 2008 n. 3059).
2.2.Ne consegue che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato o tardivamente impugnato o superato da un nuovo provvedimento sostitutivo del precedente non impugnato è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata definizione in termini di annullamento dell'atto fonte del danno impedisce che lo stesso possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta conseguente dell'Amministrazione che ne ha curato l'esecuzione.
Come testé ricordato, ha chiarito la recentissima rimessione all'Adunanza plenaria :"Il principio della pregiudiziale non si fonda, quindi, sull'impossibilità per il giudice amministrativo di esercitare il potere di disapplicazione, ma sull'impossibilità per qualunque giudice di accertare in via incidentale e senza efficacia di giudicato l'illegittimità dell'atto, quale elemento costitutivo della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ.; in sostanza, ove l'accertamento in via principale sia precluso nel giudizio risarcitorio in quanto l'interessato non sperimenta, o non può sperimentare (a seguito di giudicato, decadenza, ecc.), i rimedi specifici previsti dalla legge per contestare la conformità a legge della situazione medesima, la domanda risarcitoria deve essere respinta nel merito perché il fatto produttivo del danno non è suscettibile di essere qualificato illecito (Consiglio di Stato, Sez. VI, 17.4.2009 n. 2436; Cass. Civ., II, 27 marzo 2003 n. 4538)."
3.3. Né valga opporre, come precisato dalla difesa della ricorrente nella discussione di pubblica Udienza, che la delibera di Giunta del 2000, confermativa dell’esclusione dell’intervento de quo dal p.p.a., ha natura meramente confermativa o ricognitiva.
Osta, infatti, a simile conclusione, l’ampiezza argomentativa che regge il deliberato del 2000, il quale oltre a ribadire l’avviso per cui l’iniziativa edificatoria in contesa vulnera valori ambientali e paesaggistici ed è ostacolato dalla carenza di opere infrastrutturali, introduce nella determinazione negativa anche una considerazione del tutto nuova, ossia il rilievo che il programma di attuazione era già abbondantemente scaduto al momento della stessa notifica da parte della ricorrente, della diffida del 13.4.2000, atteso che a tale data il programma era spirato da ben nove mesi.
Ora, se la ricorrente avesse avuto argomenti per contrastare siffatto assunto avrebbe dovuto specificamente impugnare la delibera in questione, la quale all’evidenza non può essere qualificata come meramente riproduttiva o confermativa della precedente, stante, quanto meno, il cennato elemento motivazionale nuovo.
4.1. Ma un ulteriore profilo di merito e di sostanza che si oppone al’accoglimento della domanda risarcitoria all’esame risiede nella natura squisitamente discrezionale dell’attività amministrativa residuante alla decisione di annullamento del CoReCo e nella correlativa natura tipicamente formale dell’annullamento da esso disposto.
Non va, invero, obliterato che l’organo tutorio annullava la determinazione del Comune per mera carenza di motivazione, lasciando aperto lo scenario delle possibili successive determinazioni che l’Ente locale avrebbe potuto assumere e a fronte delle quali, dunque, evanescente si configura all’orizzonte il conseguimento da parte della ricorrente del bene della vita che sostanzia e fonda la di lei pretesa risarcitoria.
Del resto è la stessa deducente a rendersi conto della delineata natura dell’attività amministrativa rinnovatoria, la dove in ricorso lealmente ammette che “secondo i coretti principi di buon andamento dell’azione amministrativa, il Comune di Torino avrebbe dovuto, alla luce dei rilievi dell’organo di controllo, riesaminare tempestivamente la questione, e comunque nuovamente formulare giustificazioni in merito”..Prosegue poi, quanto alla natura delle valutazioni amministrative successive, notando come “non si ignora certamente che il comune gode di ampia discrezionalità nel pianificare la graduazione cronologica degli interventi sul proprio territorio; il che non significa, tuttavia, che tale discrezionalità possa tradursi in attività arbitraria” (ricorso, pag. 6).
Al riguardo, osserva il Collegio come tra l’arbitrio – che condivisibilmente non può guidare l’agire successivo del Comune – e la concreta soddisfazione della pretesa della ricorrente, si insinua una vasta gamma di possibili alternative legittime alla futura decisione amministrativa, la quale rende aleatorio e di non sicura realizzazione il conseguimento del bene della vita cui la deducente aspirava.
E ciò soprattutto in virtù della natura meramente formale dell’annullamento disposto dal CoReCo, puntualizzato sul solo difetto di motivazione.
4.2. Rammenta in proposito il Collegio come la giurisprudenza abbia da tempo attinto il principio secondo il quale in materia di interessi pretensivi o di diritti in attesa di espansione, per usare la definizione sandulliana, ove all’annullamento del provvedimento illegittimo generatore di danno, consegua l’esercizio di un’attività rinnovatoria di tipo discrezionale, il cui dispiegarsi configuri in termini di mera eventualità l’accoglimento dell’istanza del privato, non vi è spazio per l’erogazione della tutela risarcitoria, dal momento che non è certo per il ricorrente il conseguimento del bene della vita, ovverosia l’accoglimento della sua istanza (Consiglio di Stato, Sez. IV,12.5.2009, n. 2894; T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III, 19.2.2009, n. 279; T.A.R. Liguria, Sez. II, 14.2.2008, n. 249).
La rammentata ermeneusi origina dall’accento posto dalle Sezioni Unite della Cassazione, nella storica sentenza n. 500/1999, alla necessità che il riconoscimento della pretesa risarcitoria transiti per il tramite dell’espressione di un giudizio prognostico sulla fondatezza dell’istanza.
Orbene, nella vicenda all’esame della Sezione, non è dato apprezzare profili di vincolatività nell’agire dell’Amministrazione successivo alla decisione demolitoria del COReCo, o l’emersione di elementi di valutazione tali da costringere in binari molto precisi l’attività successiva dell’Ente locale.
4.3. Che anzi, l’assenza di opere infrastrutturali di urbanizzazione nell’area interessata all’iniziativa edilizia in controversia, assenza pacificamente non contestata dalla ricorrente, costituisce forte indizio che muove nel senso che la successiva determinazione del Comune non avrebbe comunque incluso l’area della deducente nel programma di attuazione.
4.4. La medesima attitudine ostativa va poi riconosciuta a due ulteriori elementi, che militano in senso contrario alla ricorrente.
4.5. Uno è rappresentato dal rilievo, attentamente lumeggiato dalla difesa del Comune, secondo il quale la stessa Relazione tecnica al P.P.A. evidenziava che ai fini del rilascio delle concessioni edilizie relative ai singoli interventi necessitavano ulteriori valutazioni da parte degli Uffici comunali, incentrate sul rispetto nei relativi progetti delle norme in materia di sicurezza, tutela ambientale, delle norme di attuazione al P.R.G., dei limiti di densità fondiaria fabbricativa tenendo conto delle volumetrie già utilizzate per costruzioni esistenti ancorché non rilevate in sede di P.P.A. a causa di precedenti frazionamenti.
Dal rilievo di siffatte successive valutazioni discende che l’effettiva possibilità di edificazione per la ricorrente restava inesorabilmente subordinata al rilascio della concessione edilizia, conseguendone che l’inserimento della sua area nel p.p.a., assurgeva solo ad una delle condizioni del dispiegarsi dell’iniziativa edificatoria.
4.6. Ulteriore ragione ostativa all’accoglimento della domanda risarcitoria in scrutinio in virtù dell’esito negativo del giudizio prognostico in punto alla spettanza del bene della vita retrostante e alla effettiva possibilità di realizzare l’iniziativa edificatoria è costituita dal dato che dai docc. 9 e 10 di produzione comunale emerge che l’area in controversia ricade in classe di pericolosità geomorfologica e di idoneità all’utilizzazione urbanistica III a (C) connotata da ridottissime se non inesistenti possibilità edificatorie.
In definitiva, alla luce delle argomentazioni finora svolte, la domanda risarcitoria si prospetta non fondata e va conseguentemente respinta, il che consente di prescindere dalla disamina dell’eccezione di prescrizione.
La delicatezza delle questioni di diritto affrontate suffraga la decisione di compensare le spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – Prima Sezione – definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo respinge.
Compensa integralmente le spese di lite tra le costituite parti.
Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella Camera di Consiglio del giorno 4 giugno 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Richard Goso, Presidente FF
Alfonso Graziano, Referendario, Estensore
Paola Malanetto, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/06/2010, n. 2753
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