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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 986 del 2008, proposto da:
Actalis Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Cardarelli, Alessandra Carozzo e Filippo Lattanzi, con domicilio eletto presso l’avv. Alessandra Carozzo in Torino, via Amedeo Avogadro, 26;
contro
Csi -Piemonte -Consorzio Per il Sistema Informativo-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Casavecchia, Luigi Giorni ed Emilio Jona, con domicilio eletto presso l’avv. Marco Casavecchia in Torino, via Paolo Sacchi, 44;
nei confronti di
Infocert Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Claudio Piacentini e Antonia Mussa, con domicilio eletto presso l’avv. Claudio Piacentini in Torino, corso Duca degli Abruzzi, 15;
Infocamere Scpa;
per l'annullamento
della nota del 18 giugno 2008 (prot. n. 15304 Bg/Ig), con la quale CSI-Piemonte ha comunicato ad Actalis SpA, l'aggiudicazione definitiva in favore della Infocert SpA (deliberata dal CdA il giorno 17 giugno, ma della quale non si conosce il contenuto) della gara avente ad oggetto il servizio per il rilascio di certificati digitali e forniture accessorie destinato agli Atenei piemontesi;
della nota del 12 maggio 2008 (prot. n. 15304 BG/Ig), con la quale CSI-Piemonte non ha ritenuto operante il divieto ex art. 13 del d.lgs. n. 223/2006 nei confronti di Infocert SpA, in quanto l'attività svolta non riveste carattere strumentale rispetto all'attività degli Enti che la partecipano;
di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ancorché non conosciuto.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Csi -Piemonte -Consorzio Per il Sistema Informativo-;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Infocert Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 02/07/2009 il Primo Referendario dott. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con il ricorso in oggetto parte ricorrente espone che il CSI-Piemonte, società consortile operante nel settore dei servizi informatici e telematici per l’innovazione nella pubblica amministrazione della Regione Piemonte, con lettera di invito 1° febbraio 2008 avviava una procedura negoziata ex art. 57, comma 2, lett. b), del d. lgs. 163/2006, per l’affidamento in appalto del servizio di rilascio dei certificati digitali e forniture accessorie destinato agli atenei piemontesi; il criterio prescelto per l’aggiudicazione della gara era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa; alla suddetta gara erano stati invitati e presentavano la relativa offerta cinque operatori, tra cui IT Telecom Srl, Actalis SpA, Aruba SpA, lnfocert SpA e Postecom SpA.
Con nota del 18 giugno 2008, la stazione appaltante comunicava ad Actalis che, con delibera del Consiglio di Amministrazione del 17 giugno 2008, era stata approvata l’aggiudicazione definitiva, divenuta efficace ai sensi dell’art. 11, comma 8, del D.lgs. 163/2006, della procedura negoziata per il servizio di rilascio di certificati digitali e forniture accessorie destinato agli Atenei piemontesi a favore della società Infocert SpA., controinteressata, mentre la ricorrente era risultata seconda classificata.
Secondo parte ricorrente, i provvedimenti in epigrafe indicati sarebbero illegittimi, per i seguenti motivi:
- Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.l. 223 del 2006. Eccesso di potere per difetto di presupposto, motivazione insufficiente, illogicità manifesta. Eccesso di potere per sviamento. In subordine: violazione e falsa applicazione della lettera di invito. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti; ciò in quanto l’aggiudicataria della gara, non avrebbe potuto parteciparvi, stante l’operatività nei suoi confronti del divieto di cui all’art. 13, comma 1, del d.l. 223/2006. In sintesi, parte ricorrente osserva che Infocamere scpa non può assumere attività a favore di soggetti diversi dalle Camere di commercio o loro unioni o associazioni che la costituiscono, in quanto gli enti pubblici danti causa rientrano senza ombra di dubbio nell’alveo degli enti locali, ed in quanto le attività prestate da Infocamere hanno carattere di piena strumentalità verso le Camere di commercio, cioè destinate alla produzione di beni o alla erogazione di servizi di cui gli enti pubblici si avvalgono; Infocamere scpa non svolge attività di servizio pubblico locale, né eroga servizi al pubblico; Infocamere scpa non può partecipare al capitale sociale di altre società o enti, poiché vi sarebbe un sistema chiaramente e manifestamente elusivo del divieto; il divieto di cui all’art. 13 del decreto Bersani si applica anche alle società partecipate in via indiretta dagli enti pubblici locali, divieto violato attraverso la partecipazione e la successiva aggiudicazione dalla procedura di gara da parte di una società controllata totalitariamente da Infocamere stessa.
Si costituivano l’Amministrazione intimata e il controinteressato chiedendo il rigetto del ricorso.
Con ordinanza cautelare di questa sezione n. 986 del 23 luglio 2008, veniva respinta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato.
Con ordinanza del Consiglio di Stato n. 5656 dell’11 novembre 2008, veniva respinto l’interposto appello cautelare.
Alla pubblica udienza del 2 luglio 2009, il ricorso veniva posto in decisione.
DIRITTO
Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato.
Come è noto, l’art. 13 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (in Gazz. Uff., 4 luglio, n. 153), Decreto convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, recante le disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale, articolo sostituito dall'articolo 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248, in sede di conversione (la disposizione è dedicata alle norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e locali e a tutela della concorrenza), stabilisce che, al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali e dei servizi di committenza o delle centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti. Le società che svolgono l'attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti (la norma è stata modificata, per quest’ultima parte dall'articolo 1, comma 720, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dall'articolo 18, comma 4-septies, del D.L. 29 novembre 2008 n. 185).
Il comma 2 stabilisce che le società di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al comma 1.
Per il 3° comma, al fine di assicurare l'effettività delle precedenti disposizioni, le società di cui al comma 1 cessano entro quarantadue mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attività non consentite. A tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società. I contratti relativi alle attività non cedute o scorporate ai sensi del periodo precedente perdono efficacia alla scadenza del termine indicato nel primo periodo del presente comma (il comma è stato modificato dall'articolo 4, comma 7, del D.L. 3 giugno 2008, n. 97 e dall'articolo 20, comma 1-bis, del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207).
Per il quinto comma i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli. Restano validi, fatte salve le prescrizioni di cui al comma 3, i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione bandite prima della predetta data (Comma modificato dall'articolo 1, comma 720, della legge 27 dicembre 2006, n. 296).
In applicazione di tale norma, il Collegio osserva che, sotto il profilo soggettivo, il riferimento alle amministrazioni locali è stato interpretato in chiave estensiva includendovi anche gli enti locali non territoriali, in particolare le camere di commercio nel presupposto esplicito che il modello della società mista sia eccezionale e dunque generale il divieto stabilito dall’art. 13 cit. (cfr. Cons. Stato, sez. III, 25 settembre 2007, n. 322/07); sotto il profilo oggettivo, dal punto di vista della fattispecie al concreto esame, si osserva che, secondo l’art. 8 dello Statuto di Infocamere (doc. 12 ricorrente), “la Società può attendere altresì a realizzare servizi informatici per altre Amministrazioni Pubbliche” e che, nella relazione sulla gestione allegata al bilancio 2006 della società Infocamere (doc. 13 ricorrente) si afferma chiaramente che “il decreto Bersani che detta norme più restrittive sull’attività delle società di servizi “in house” di proprietà degli enti locali ha indotto gli amministratori di Infocamere a predisporre una profonda riorganizzazione della società capogruppo che porterà la separazione delle attività più propriamente consortili da quelle rivolte al mercato dei servizi in libera concorrenza. La manovra, che dovrebbe concludersi entro il primo semestre 2007, porterà alla cessione del predetto ramo di attività alla controllata IC Solution, che ha assunto la nuova denominazione Infocert s.p.a.”.
Pertanto, la Infocert s.p.a. aggiudicataria, non è ente strumentale e, per tale motivo, non opera il divieto di cui all’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 (cd. “Bersani uno”).
Infatti, il terzo comma del predetto articolo stabilisce, come detto, che al fine di assicurare l'effettività delle precedenti disposizioni, “le società di cui al comma 1 possono cedere, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società”, il che è avvenuto nel caso di specie, con la scorporazione in una separata società (Infocert s.p.a.) da Infocamere scpa, che è, invece, sicuramente società strumentale.
In via generale, infatti, l'obiettivo delle disposizioni in oggetto è quello di evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali: la disciplina delle società con partecipazione pubblica è rivolta ad impedire che dette società costituiscano fattori di distorsione della concorrenza e sono volte, nel contempo, a definire i confini tra l'attività amministrativa e l'attività d'impresa, soggetta alle regole del mercato.
Come è stato autorevolmente osservato (Corte Costituzionale 1° agosto 2008, n. 326), le norme di cui all’art. 13 del cd. Decreto Bersani uno, in primo luogo, impediscono alle società in questione di operare per soggetti diversi dagli enti territoriali soci o affidanti, imponendo di fatto una separazione societaria, e obbligandole ad avere un oggetto sociale esclusivo. Esse mirano ad assicurare la parità nella competizione, che potrebbe essere alterata dall'accesso di soggetti con posizioni di privilegio in determinati mercati.
In secondo luogo, il divieto di detenere partecipazioni in altre società o enti è complementare rispetto alle altre disposizioni considerate, in quanto volto ad evitare che le società in questione svolgano indirettamente, attraverso proprie partecipazioni o articolazioni, le attività loro precluse; infatti, la disposizione in esame non vieta di detenere qualsiasi partecipazione o di aderire a qualsiasi ente, ma solo di detenere partecipazioni in società o enti che operino in settori preclusi alle società stesse.
In particolare, le disposizioni in esame definiscono il proprio ambito di applicazione non secondo il titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in relazione all'oggetto sociale di queste ultime e sono fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica e attività d'impresa di enti pubblici. L'una e l'altra possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza.
Le disposizioni impugnate mirano a separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso tempo attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto Pubblica Amministrazione.
Non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza (cfr. ancora Corte costituzionale 1° agosto 2008, n. 326).
Nel caso di specie come detto, tali condizioni sono state rispettate, atteso che, come si evince nella relazione sulla gestione allegata al bilancio 2006 della società Infocamere (doc. 13 ricorrente) si è sancita la separazione delle attività più propriamente consortili da quelle rivolte al mercato dei servizi in libera concorrenza: ciò ha portato alla cessione del predetto ramo di attività alla controllata IC Solution, che ha assunto la nuova denominazione Infocert s.p.a.”.
Pertanto, la Infocert s.p.a. aggiudicataria, non è ente strumentale e, per tale motivo, non opera il divieto di cui all’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 (cd. “Bersani uno”).
Di conseguenza, Infocert non è neanche ente strumentale della Camera di Commercio, né ente strumentale di Infocamere, essendo costituito per operare sul mercato in piene condizioni di concorrenza senza il privilegio di operare anche quale ente strumentale, il che costituisce come detto, un evento distorsivo della concorrenza.
Negare la possibilità di tale società di agire sul mercato e, quindi, di partecipare a pubbliche gare, significa negare una capacità di diritto privato che, salvo norme specifiche, da intendersi restrittivamente, rimane piena, nella scorta dei tradizionali orientamenti relativi alla capacità di agire, limitandole dalla legge, ma espressamente.
D’altra parte la giurisprudenza ha precisato che l'art. 13, d.l. 4 luglio 2006, n. 223 convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, secondo cui le società a capitale interamente pubblico o misto non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto, né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti, ha inteso contrastare il fenomeno dell'acquisizione di commesse pubbliche da parte di enti diversi da quelli che abbiano costituito l'organismo societario, per la più efficace tutela della libera concorrenza e della trasparenza del mercato.
La ricorrenza di un partenariato pubblico non è, quindi, sufficiente alla individuazione del regime applicabile, atteso che il vincolo dell'art. 13 del d.l. 223 del 2006 non ha portata generale ma si rivolge solo ad alcune delle società a partecipazione pubblica locale e cioè a quelle che si configurano quali enti strumentali delle Amministrazioni socie, sicché si deve verificare, per l'applicazione dei vincoli di azione, la reale natura di enti strumentali ovvero di soggetti consegnati al mercato (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 6 febbraio 2009, n. 209).
Nel caso di specie, come detto, alla luce dello Statuto sociale di Infocert è radicalmente escluso che tale società sia ente strumentale della Camera di Commercio, neanche indirettamente, non essendo nemmeno ente strumentale di Infocamere.
Infatti, la mera detenzione, anche totalitaria del capitale azionario da parte di altra società, non implica la realizzazione di un vincolo di strumentalità.
Come è noto, nel diverso, ma attiguo fenomeno dell’in house, la partecipazione totalitaria è soltanto una delle due condizioni di legittimità del fenomeno, essendo il secondo proprio la strumentalità dell’attività rispetto all’ente affidante.
Peraltro, come è noto, per i più recenti arresti della giurisprudenza comunitaria e nazionale (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1), anche la sola partecipazione totalitaria non è neppure sufficiente a realizzare la prima delle due condizioni legittimanti l’istituto.
Questo approdo tiene conto in modo palese delle recenti tendenze legislative nazionali ed in particolare del ricordato art. 13 d.l. n. 223 del 2006, le cui norme stabiliscono, come detto, a carico delle società pubbliche che producono beni o servizi strumentali al funzionamento delle Amministrazioni regionali e locali (non le società di gestione dei servizi pubblici locali), un vero e proprio vincolo di esclusività e non di semplice prevalenza, attraverso il rigido divieto di svolgere prestazioni a favore di soggetti pubblici e privati diversi dagli enti costituenti ed affidanti e l’obbligo di cessare le attività non più consentite.
Si è sottolineato il rischio che si creino particolari situazioni di privilegio per alcune imprese, quando queste ultime usufruiscano, sostanzialmente, di un aiuto di Stato, vale a dire di una provvidenza economica pubblica atta a diminuirne o coprirne i costi.
Il privilegio economico non necessariamente si concretizza nel contributo o sussidio diretto o nell’agevolazione fiscale o contributiva, ma anche garantendo una posizione di mercato avvantaggiata rispetto alle altre imprese.
Anche in questo senso, il privilegio non necessariamente si realizza introducendo limiti e condizioni alla partecipazione delle imprese concorrenti, ma anche, ed in maniera più sofisticata, garantendo all’impresa una partecipazione certa al mercato cui appartiene, garantendo, in sostanza, l’acquisizione sicura di contratti il cui provento sia in grado di coprire, se non tutte, la maggior parte delle spese generali; in sintesi: un minimo garantito (ecco il senso delle limitazioni ad operare sul mercato di imprese strumentali agli enti costituenti).
Non è necessario che ciò determini profitto, purché l’impresa derivi da tali contratti quanto è sufficiente a garantire e mantenere l’apparato aziendale.
In una tale situazione, è fin troppo evidente che ogni ulteriore acquisizione contrattuale potrà avvenire offrendo sul mercato condizioni concorrenziali, poiché l’impresa non deve imputare al nuovo contratto anche la parte di costi generali già coperta, ma solo il costo diretto di produzione. Gli ulteriori contratti, sostanzialmente, diventano più che marginali e permettono o la realizzazione di un profitto maggiore rispetto all’ordinaria economia aziendale del settore, ovvero di offrire sul mercato prezzi innaturalmente più bassi, perché non gravati dall’ammortamento delle spese generali.
Nell’uno o nell’altro caso, il meccanismo del minimo garantito altera la par condicio delle imprese in maniera ancora più grave perché con riflessi anche sul mercato dei contratti privati. L’impresa beneficiaria di questa sorta di minimo garantito, infatti, è competitiva non solo nelle gare pubbliche, ma anche rispetto ai committenti privati, sicché, in definitiva, un tale sistema diviene in sé assai più pericoloso e distorcente di una semplice elusione del sistema delle gare.
Potenzialmente ciò induce ed incoraggia il capitalismo di Stato e conduce alla espulsione delle imprese private marginali.
In effetti, negli ultimi anni si è assistito alla progressiva costituzione di società a partecipazione totalitaria, maggioritaria od anche minoritaria di enti pubblici, i quali hanno affidato alle stesse l’effettuazione di alcune attività di loro pertinenza, ovvero la gestione di servizi pubblici, l’effettuazione di lavori pubblici o, più semplicemente, lo svolgimento di attività di interesse delle comunità locali.
Conseguentemente, si tratta di un dato di fatto ormai acquisito che la partecipazione dei Comuni a società di capitali costituisce una modalità di organizzazione degli interventi dell’ente in settori che presentino un particolare interesse per gli enti locali, come è riconosciuto dallo stesso legislatore che non solo ha individuato nelle società a capitale misto una delle modalità tipiche di organizzazione della gestione dei servizi pubblici locali, ma ha anche preso in considerazione la possibilità che società a capitale interamente pubblico o misto possano svolgere funzioni amministrative di competenza degli enti costitutori.
Che si tratti di un fenomeno radicato e meritevole di attenzione è dimostrato poi dalle norme contenute nella legge finanziaria per l’anno 2007 che hanno indicato alcune regole gestionali in ordine ai compensi ed al numero massimo degli amministratori che possono essere designati dagli enti pubblici.
Le caratteristiche che, in linea generale, debbono contraddistinguere le società partecipate dagli enti pubblici e le finalità che devono contraddistinguere la loro azione sono state poste in luce ed analizzate sia dalla giurisprudenza amministrativa che contabile (Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia 3 aprile 2008, n. 23, pareri) e ha delineato alcuni principi che gli amministratori degli enti territoriali devono osservare in relazione alla costituzione ed al funzionamento delle società che vedano la partecipazione di un ente territoriale nel capitale sociale.
La necessità che il fenomeno sia circoscritto a reali necessità ed esigenze degli enti territoriali, anche al fine di evitare che questo strumento di intervento venga utilizzato per eludere le normative pubblicistiche in tema di finanza pubblica o di attività contrattuale che disciplinano l’attività dell’Amministrazione pubblica, ha indotto il legislatore a precisare, recentemente, i limiti che devono caratterizzare l’utilizzo dello strumento societario da parte di tutti gli enti pubblici e, in particolare, di quelli territoriali.
Con la legge finanziaria per il 2008 il legislatore ha previsto, infatti, che le Amministrazioni pubbliche non possano procedere alla costituzione di nuove società che abbiano “per oggetto la produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”, con la precisazione che è sempre ammessa “la costituzione di società che producono servizi di interesse generale”. L’accertamento della predetta finalità è espressamente demandato all’ente che deve effettuare questa verifica prima di decidere di procedere alla costituzione della società.
Con questa disposizione il legislatore, riprendendo precedenti interventi legislativi, ha inteso porre una stretta correlazione fra finalità proprie dell’ente pubblico e utilizzo dello strumento societario, legittimando, quindi, ulteriormente il ricorso alla modalità societaria per lo svolgimento di attività di competenza dell’ente.
La possibilità di ricorrere allo strumento societario dipende, quindi, dalle finalità che l’ente si propone di raggiungere con la partecipazione azionaria, in relazione ai compiti che l’ordinamento riserva a ciascun ente.
Tutto ciò, naturalmente, per le sole società strumentali, poiché il legislatore non ha fatto alcun divieto di costituzione di società da parte di enti pubblici, imponendo soltanto, a tutela della concorrenza che le stesse non svolgessero alcuna attività strumentale per non beneficiare dell’effetto di vantaggio, anti-concorrenziale, che si è sopra evidenziato.
E’ pur vero che, recentemente, la giurisprudenza amministrativa e l’Authority di settore (Consiglio di Stato, sez. V, 25 agosto 2008, n. 4080, TAR Veneto, sez. I, ordinanza 7 maggio 2008, n. 305, Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici parere n. 213 del 31 luglio 2008 e deliberazione 9 maggio 2007, n. 135) hanno affermato che a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 13 del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito dalla L. 4 agosto 2006 n. 248, novellato dall’art. 1, comma 720, della L. 27 dicembre 2006 n. 296 (in vigore dal 1° gennaio 2007), le società miste costituite da enti locali per la gestione di servizi pubblici all’interno del territorio di riferimento non possono più partecipare a gare di appalto indette da altre Amministrazioni; è pertanto illegittima l’aggiudicazione della gara in favore di una società mista costituita da diverso Comune, stante la vigenza del divieto in questione.
E’ stato, infatti, posto in luce come l’attività extra moenia delle società partecipate da enti locali, la cui attività è stata limitata al fine di porre un freno all’incidenza che la loro composizione può comportare sull’assetto del mercato, minando quindi la libera concorrenza, in ragione del fatto che detti soggetti godono sovente di asimmetrie informative di notevoli dimensioni, sia in grado di alterare la par condicio con gli altri operatori agenti nello stesso mercato e di eludere sostanzialmente, a mezzo l’apporta di risorse pubbliche, il rischio d’impresa.
In particolare, l’Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici, nel predetto parere n. 213 del 31 luglio 2008, ha esteso il divieto dì svolgere attività extra moenia anche alle ipotesi in cui la partecipazione nell’ente locale alla società sia indiretta, ai fine di evitare che l’applicazione del divieto alle sole partecipazioni dirette rappresenti un facile strumento di elusione della norma, mediante meccanismi di partecipazioni societarie mediate.
Infatti, nelle società cd. di terzo grado, ovvero quelle società che non sono state costituite da Amministrazioni pubbliche e non sono state costituite per soddisfare esigenze strumentali alle Amministrazioni pubbliche medesime, poiché l’assunzione del rischio avviene con una quota di capitale pubblico, possono integrarsi meccanismi potenzialmente in contrasto con il principio della par condicio.
Tuttavia, tale orientamento dell’Autorità, successivamente confermato da taluni giudici amministrativi (T.A.R. Veneto, sez. 1, 31 marzo 2008, n. 788) appare al Collegio eccessivo e privo di sufficiente sostrato normativo.
Non è sufficiente, infatti, affermare astrattamente che le disposizioni limitative di cui si tratta sono applicabili anche alle società indirettamente partecipate da enti pubblici, trovando il proprio fondamento nell’intento di tutelare l’interesse pubblico e, allo stesso tempo, rafforzare e garantire il libero gioco della concorrenza, assicurando, così, una effettiva parità tra tutti gli operatori economici, poiché tale tesi non prende in considerazione le diverse realtà societarie, in alcune delle quali la società di terzo grado non è uno schermo per disattendere, e quindi abusare, della disciplina vincolistica di stampo pubblicistico, ma semplicemente uno strumento per arricchire il mercato di nuovi operatori, innalzando il livello della concorrenza, ove si accerti, come nella specie, che la società di terzo grado non svolga alcuna attività strumentale, né nei confronti della società madre che l’ha costituita, né nei confronti dell’ente pubblico di origine.
Tanto più che, nella specie, l’oggetto sociale della società di terzo grado risulta dallo scorporo voluto dall’art. 13 del Bersani, scorporo cui non fa seguito la dismissione della partecipazione, come invece disponeva il Bersani stesso prima della sua conversione in legge (“separata società da collocare sul mercato, secondo le procedure del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474”).
Se non è più obbligatoria la collocazione sul mercato, e quindi la sua dismissione, che significato avrebbe imporre soltanto lo scorporo? Si finirebbe per costituire, mediante uno scorporo, soltanto una società che, in quanto non più strumentale, non avrebbe nessuna capacità operativa, il che è contrastante con ogni logica giuridica ed economica.
Pertanto, occorrerebbe semmai una positiva dimostrazione, anche indiziaria, dell’abuso perpetrato dall’Amministrazione in oggetto (Unioncamere) per aggirare le disposizioni pubblicistiche, abuso dello schermo della persona giuridica che, nel caso di specie, non trova alcun riscontro ed è anzi sconfessato dagli atti e documenti di Infocamere di cui si è precedentemente detto
Alla luce di tali considerazioni, è ancor più significativo l’esame dell’art. 3, comma 27 della Finanziaria per il 2008 (l. 244 del 2007), che stabilisce che al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società.
Tale norma, come è noto, è stata modificata dall'articolo 18, comma 4-octies, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 e successivamente dall'articolo 71, comma 1, lettera b), della legge 18 giugno 2009, n. 69, (modificato ancora dal d.l. 78/2009, benchè l’efficacia della l. 69/09 sia successiva, con problemi di successione cronologica, fortunatamente non rilevanti per il caso di specie) che ha soppresso, significativamente, il riferimento alla partecipazione indiretta, sconfessando l’assunto della rilevanza del divieto del Bersani nell’ambito delle società di terzo grado.
Partecipazione che, in ogni caso, non significa ancora, come evidenziato, vincolo di strumentalità, atteso che, inoltre, il divieto di cui alla norma citata si riferisce alle sole Amministrazioni e non alle società partecipanti alla gara.
Sull’argomento, si può arricchire il dibattito citando tre sentenze del TAR Lazio, recentemente intervenute (TAR Lazio, sez. III, 21 marzo 2008, n. 2514; 14 aprile 2008, n. 3109 e 14 maggio 2008, n. 4064), che offrono una equilibrata risposta al tema prospettato, perché non applicano indiscriminatamente i limiti in discorso a qualsivoglia società a partecipazione pubblica.
Le conclusioni cui è pervenuto il giudice amministrativo possono essere sintetizzate come segue.
Nelle gare per appalti pubblici, le società seppure partecipate dagli enti territoriali, ma operanti per la gestione dei servizi pubblici locali e in mercati completamente liberalizzati, in concorrenza con molteplici imprese, non ricadono nelle preclusioni stabilite dall'art. 13 del decreto-legge n. 223 del 2006 sopra riportato; infatti, queste società rendono le prestazioni ovunque esse siano richieste, con conseguente normalità della loro azione su qualunque territorio, anche differente da quello dei soci pubblici.
La rilevanza dell'essere la società a partecipazione pubblica un soggetto che espleta servizi pubblici consiste nella circostanza che le relative prestazioni possono essere da chiunque richieste, con la conseguenza di rendere ingiustificati i limiti dettati dall'art. 13 del decreto-legge n. 223 del 2006 per differenti tipologie di società; infatti, non ci si trova di fronte ad organismi essenzialmente dedicati alla Pubblica Amministrazione (e non al pubblico).
Nella partecipazione a gare da parte di società controllate dagli enti locali ma quotate in borsa e dotate di uno statuto che ne prevede l'azione in concorrenza con altre imprese, nei settori rientranti nell'oggetto sociale non sussistono limiti funzionali all'azione delle società, perché la loro dimensione nazionale e la forte attenuazione del legame strumentale con l'ente territoriale di riferimento determinano una caratteristica imprenditoriale delle società stesse.
Pertanto, le commissioni di gara non devono valutare la compatibilità dell'appalto, al quale tali società concorrono, con gli impegni di servizio pubblico nei confronti della collettività del territorio di origine, secondo un orientamento giurisprudenziale che era stato però formulato con riferimento ai modelli organizzativi di gestione diretta dei servizi pubblici.
Invece, le società strumentali o funzionali partecipate dalle Amministrazioni pubbliche sono riconducibili alle organizzazioni di cui all’art. 97 Cost., piuttosto che all’iniziativa economica pubblica di cui all’art. 41 Cost.
Come aveva a suo tempo affermato il Consiglio di Stato (sez. V, 23 aprile 1998, n. 477), l’autoproduzione della Pubblica Amministrazione, attraverso organismi dedicati, ed il ricorso al mercato, attraverso procedure concorrenziali, costituiscono sistemi distinti tra i quali non debbono esistere commistioni o interferenze: il ricorso alla produzione privata, disciplinato da regole di salvaguardia della concorrenza, e l'esercizio del potere di organizzazione, sottratto ai vincoli concorsuali o concorrenziali validi per il ricorso al mercato, costituiscono due schemi distinti che vanno preservati da ogni equivoca commistione.
Questa distinzione tipologica e concettuale si deve applicare anche al fenomeno della partecipazione delle Amministrazioni pubbliche a società.
Infatti, se è vero che il Codice civile non conosce l’esistenza di due tipi di società, quelle del tutto in mano privata e quelle con partecipazione pubblica, la legislazione amministrativa, per converso, tipizza alcune ipotesi di partecipazione degli enti pubblici alle società.
Ciò comporta necessariamente che vengono a prospettarsi due grandi ipotesi di partecipazioni pubbliche; quella interamente regolata dal diritto civile comune e quella in cui, assieme alle regole codicistiche, convivono regole amministrative, che debbono necessariamente essere seguite affinché le società costituite o partecipate possano ottenere direttamente, o tramite gara, affidamenti dalle Amministrazioni pubbliche: in caso di inosservanza di tali regole amministrative le società, pur se partecipate, non possono aspirare ad alcun affidamento diretto o tramite gara (dopo il Bersani uno).
Solo questo secondo tipo di società può essere ascritto all'esercizio del potere di organizzazione pubblico con conseguente pertinenza strumentale o funzionale, così che solo questa tipologia deve rimanere estranea al mercato.
Invero, la stessa legislazione di settore distingue tra vari tipi di società partecipate dalle Pubbliche Amministrazioni ascrivendole a regimi giuridici diversificati. Pertanto, nel momento in cui si deve discutere della capacità e della legittimazione di società con partecipazione pubblica, non si può dimenticare l'esistenza di siffatti regimi giuridici diversificati; l'esistenza di tali situazioni dimostra che le varie società non appartengono alla stessa specie.
Dunque, l'esatta considerazione del regime giuridico delle varie società a partecipazione pubblica costituisce il presupposto necessario per fornire una risposta alla questione della esistenza di limiti funzionali o di capacità per le società con partecipazione dello Stato e degli altri enti pubblici.
Il regime giuridico diversificato deve essere inquadrato nella sua ratio, verificando cioè quale sia il fondamento di esso. In altre parole, verificando perché il legislatore abbia consentito una certa modalità di azione ovvero, in altri casi, abbia disposto determinate limitazioni del tipo di quelle che sono oggetto di queste note.
Pertanto, appaiono non appaganti le citate prese di posizione di cui alle pronunce del TAR Veneto e dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
Le normali società in mano pubblica non incontrano i limiti di cui all'art. 13 del decreto-legge n. 223 del 2006, perché nel sistema sono presenti le ragioni che, invece, giustificano siffatti limiti per altre tipologie di società a partecipazione pubblica (vincolo di strumentalità).
Si tratta di una conclusione necessaria anche in relazione all'art. 3 Cost. perché altrimenti l'articolo di legge qui considerato stabilirebbe (ingiustificatamente) un identico trattamento per situazioni tra loro differenti.
Il regime giuridico diversificato, cui si sta facendo riferimento, si spiega con il dato dell'appartenenza delle varie società (che rientrano in questo o in quel regime) a fenomeni tra loro differenti.
In alcuni casi la partecipazione pubblica è dovuta a ragioni organizzative; rappresenta cioè un modo di organizzare, seppure attraverso società, azioni proprie della Pubblica Amministrazione.
In altri casi, la partecipazione non è collegata strumentalmente alle funzioni dell'Amministrazione, e riguarda, invece, società che non si muovono in modo dissimile da società del tutto private, come nel caso di specie, nel libero mercato commerciale, senza vantaggi competitivi.
Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, il ricorso deve essere respinto, in quanto infondato.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte - I sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo respinge.
Compensa le spese di lite tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 02/07/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Franco Bianchi, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Primo Referendario, Estensore
Alfonso Graziano, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/07/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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