REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 5308 del 1998, proposto da:
Colapaolo Maria Antonia, rappresentata e difesa dall'avv. Silvio Ferrara, con domicilio eletto presso Giancarlo Parente in Roma, via degli Scipioni, 52;
contro
Comune di Morcone in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Roberto Prozzo, con domicilio eletto presso Giuliano Bologna in Roma, via Merulana 234;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE V n. 00970/1997, resa tra le parti, concernente CESSAZIONE RAPPORTO DI LAVORO
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Morcone;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2010 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Ferrara e Prozzo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente, assunta presso il Comune di Morcone, esponeva di avere svolto ininterrottamente attività connesse alle funzioni pubbliche proprie dell’ente in rapporto di subordinazione e con l’osservanza di un orario intero di lavoro percependo altresì una retribuzione predeterminata su base annuale.
Il Consiglio Comunale con la delibera 14.6.1995 n.9, del tutto ignorando la sua reale posizione, in sede di rideterminazione della pianta organica, ha considerato il rapporto di lavoro come precario e pertanto soggetto a risoluzione.
Il Coreco di Benevento chiedeva chiarimenti con decisione n.115 del 4.7.1995 (verbale n.48 prot. 26) in ordine al licenziamento del personale precario o non di ruolo.
Il Comune, con delibera di C.C. n.13 del 26.7.1995, pur fornendo i chiarimenti richiesti ed apportando delle integrazioni, riconfermava l’atto deliberativo di cui sopra n.9 del 1995.
Con ricorso notificato il 9.11.1995 la ricorrente ha impugnato dinanzi al Tar Campania, Napoli, la suddette deliberazioni nonché la nota sindacale di comunicazione chiedendone l’annullamento. Successivamente ha depositato motivi aggiunti . La Quinta Sezione del Tar decideva il ricorso rigettandolo.
Con il primo motivo di appello la ricorrente reitera un motivo già dedotto in primo grado, di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento e carenza di istruttoria come conseguenza della mancata partecipazione del soggetto nei cui confronti doveva produrre effetti il provvedimento finale.
Con il secondo motivo la ricorrente assume la erroneità della sentenza reiterando la censura respinta dal Tar, di eccesso di potere per incompetenza relativa per materia.
Unico organo competente sarebbe la Giunta Comunale giacchè il Consiglio Comunale poteva solo deliberare sulla disciplina dello stato giuridico e sulle assunzioni del personale, piante organiche e relative variazioni, ma le conseguenti assunzioni o licenziamenti o risoluzioni andavano disposti dalla Giunta Municipale.
Con il terzo motivo parte ricorrente assume che non sarebbe possibile rilevare, dalla delibera di C.C. del 14.6.1995 n.9, i criteri e le ragioni in base alle quali il Comune ha rideterminato la pianta organica previgente. Oltre al generico richiamo all’art. 119 c.3 del d.lg.vo 77 del 1995 per la determinazione del tetto del personale, non sarebbe dato cogliere il ragionamento in base al quale la vecchia composizione numerica e qualitativa di personale per ogni servizio è stata rideterminata, in base a quale criterio i servizi sono stati modificati, dotati di funzioni e muniti di personale. Mancherebbe la ricognizione quantitativa e qualitativa delle esigenze della comunità amministrativa ed ogni riferimento, nella rideterminazione della nuova pianta organica, a queste esigenze reali, ai contenuti programmatici dell’amministrazione ed agli obiettivi e finalità prioritarie contenute nello statuto.
Con il quarto motivo parte ricorrente assume di avere svolto effettivamente funzioni proprie ed istituzionali dell’ente prestando continuativamente servizio su direttive, controlli ed ordini del Comune nei locali e con mezzi messi a disposizione dall’ente locale e che il comune ha regolarizzato la posizione Inps.
L’incarico de quo rivestiva quindi natura e contenuto effettivi di un rapporto di pubblico impiego sicchè è irrilevante la qualificazione attribuita dalla amministrazione.
Con il quinto motivo di appello la ricorrente assume la erroneità della sentenza del primo giudice là dove rileva che “Le ricorrenti ….non contestano che le retribuzioni loro corrisposte per i periodi di lavoro prestato, siano state conformi a quelle tabellari né contestano che gli adempimenti previdenziali sono stati quelli dovuti sulle retribuzioni corrisposte”.
Si tratterebbe di un errore del giudice di primo grado in quanto la ricorrente chiedeva anche il trattamento economico previdenziale ed assistenziale corrispondente all’attività effettivamente svolta ad integrazione di quanto già ricevuto, con rivalutazione ed interessi. Il Tar ha quindi omesso di pronunziarsi su un punto essenziale della controversia.
Infine la ricorrente chiede che venga riconosciuto l’obbligo di cui all’art.2 del dpr 276 del 1971 di corrispondere una indennità di licenziamento in misura pari ad un dodicesimo di una mensilità dello stipendio in godimento all’atto del licenziamento per ogni mese di servizio o frazione di mese superiore a 15 gg..
Si è costituito il Comune di Morcone chiedendo, con dovizia di argomentazioni, il rigetto dell’appello.
In vista dell’udienza di trattazione la ricorrente ha depositato una ulteriore memoria difensiva insistendo, in particolare, per l’accoglimento del quinto motivo dedotto.
La causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione all’udienza del 27 aprile 2010.
DIRITTO
1.L’appello non merita accoglimento.
1.1.Va premesso che il Comune di Morcone, con delibera consiliare n.20 del 2.9.1994, ha dichiarato lo stato di dissesto finanziario; dalla dichiarazione del dissesto è scaturito l’obbligo di eliminare o di ridurre congruamente i servizi che non rientravano tra quelli “da assicurare secondo le precisazioni di legge alla comunità “ (art. 25 della legge n.144 del 1989).
Conseguentemente, con delibera consiliare n.9 del 14.6.1995, il Comune ha rideterminato e contratto la pianta organica rispettando i parametri di cui all’art. 119 del d.lvo n.77 del 1995 riducendo i propri dipendenti da 94 a 63 unità e dichiarando la risoluzione del rapporto di lavoro con 20 unità tra cui la ricorrente, assunta a titolo precario ed a orario ridotto. Il Comune ha fornito i chiarimenti richiesti dal Co.re.co. di Benevento e quindi, con la nota sindacale, ha comunicato agli interessati la cessazione del rapporto di lavoro.
2. Con il primo motivo di ricorso reiterato in appello parte appellante lamenta la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, la mancata designazione del relativo responsabile ed il difetto di istruttoria come conseguenza della mancata partecipazione del soggetto in capo al quale il provvedimento finale era destinato a produrre effetti.
Come messo in luce dalla sentenza del primo giudice, dalla dichiarazione di dissesto e dalle conseguenti delibere di eliminazioni dei servizi scolastici a carico del Comune è scaturita una situazione che non consentiva la prosecuzione o rinnovazione del rapporto di lavoro della ricorrente.
Quel che è stato esattamente chiarito dal primo giudice è che la deliberazione del Consiglio Comunale ha avuto ad oggetto, in conseguenza della dichiarazione di dissesto, la riduzione delle spese e la riorganizzazione complessiva del Comune con conseguente contrazione dei servizi scolastici e non ha investito singole situazioni personali relative al personale precario. Solo in via indiretta e mediata, dalla riorganizzazione amministrativa del Comune, che costituiva un prius logico della deliberazione, si è determinata in via indiretta e riflessa la esigenza di non rinnovare con carattere di generalità i rapporti di lavoro con personale precario che non risultavano titolari di un regolare rapporto di impiego e che erano assunti ad orario ridotto.
Da tale ricostruzione fattuale emerge che non sussisteva un obbligo per l'amministrazione di dare comunicazione dell'avvio del procedimento finalizzato alla riduzione delle spese instaurando una fase istruttoria in contraddittorio con gli interessati trattandosi, all’evidenza, di atto programmatorio a contenuto generale, da adottare nella più completa autonomia decisionale, per il quale l'art. 13, legge 7 agosto 1990 n. 241, esclude la partecipazione degli interessati al relativo procedimento.
3. Con il secondo motivo dedotto la ricorrente assume la incompetenza relativa del Sindaco e del Consiglio Comunale atteso che unico organo competente a disporre la cessazione del rapporto di lavoro sarebbe stato la Giunta Municipale in virtù degli artt. 32 e 35 ex lege n.142 del 1990 .
L’assunto è infondato in quanto è proprio il Consiglio Comunale in virtù dell’art. 32 co. 1 ad avere competenza in materia di attività programmatoria (lett. b) e di disciplina dello stato giuridico e delle assunzioni del personale, di piante organiche e di relative variazioni (lett.c) mentre il Sindaco, come rilevato dal primo giudice, si è limitato alla semplice comunicazione della volontà del Comune di recedere dal rapporto intercorrente con la interessata.
4. Con il terzo motivo si duole l’appellante che nella delibera n. 9 del 1995 mancherebbe la ricognizione delle esigenze del personale di servizio e della rideterminazione della pianta organica in quanto relative ai presupposti ed alle condizioni per la coeva dichiarazione di cessazione del rapporto di lavoro.
Senonchè la natura di atto programmatorio del provvedimento di revisione della pianta organica e l'ampio potere discrezionale che contraddistingue l'esercizio della relativa azione amministrativa connesso alla situazione di dissesto escludono l'obbligo di puntuale motivazione della scelta operata in ordine alla ridefinizione della pianta organica.
Nel caso in esame il Comune ha individuato nei servizi scolastici comunali il settore di attività in ordine al quale ripianare il dissesto delle casse comunali.
4. Assume ancora la ricorrente nel quarto, quinto e sesto motivo che devono essere trattati unitariamente che il primo giudice avrebbe fornito una errata qualificazione del rapporto di lavoro pluriennale che legava la ricorrente all’Ente Locale. Tutti gli indici rilevatori del rapporto di pubblico impiego sarebbero rinvenibili nella posizione della interessata avendo la stessa svolto funzioni istituzionali dell’Ente, prestato servizio in via continuativa su direttive, controlli ed ordini del Comune, nei locali e con mezzi messi a disposizione dell’Ente Locale ed infine avendo il Comune regolarizzato la posizione Inps sul piano previdenziale.
La ricorrente quindi avrebbe diritto al riconoscimento del rapporto di pubblico impiego; in via subordinata avrebbe diritto al riconoscimento del trattamento economico, previdenziale ed assistenziale corrispondente alla attività effettivamente svolta ad integrazione di quanto già ricevuto, con rivalutazione ed interessi.
5. Va premesso che, secondo prevalente giurisprudenza, agli eventuali indici rilevatori di un rapporto di pubblico impiego può attribuirsi soltanto una funzione di astratta qualificazione ai fini della determinazione della giurisdizione, nonché della disciplina economica e previdenziale delle prestazioni lavorative di fatto erogate essendo il rapporto comunque nullo e improduttivo di effetti in quanto instaurato al di fuori dei parametri legislativi che, nel rispetto dell'art. 97, comma 3 della Costituzione, regolano l'accesso al pubblico impiego tramite concorso (cfr. in tal senso Cons. St., Ad. Plen., 29.2.1992, n. 1 e 5.3.1992, n. 5 nonché, fra le tante, Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 15.1.2002, n. 5; Cons. St., sez. IV, 14.9.2005, n. 4756, 8.5.2000, n. 2637 e 25.11.1992, n. 979; Cons. St., sez. V, 1.10.2002, n. 5137 e 25.7.2006, n. 4669; Cons. St., sez. VI, 18.3.1998, 22.12.2004, n. 8182, 27.7.2007, n. 4177).
La domanda di accertamento, peraltro, riferita alla sussistenza di un rapporto di pubblico impiego, puo’ in via di astratta ipotesi, essere accolta solo in un'ottica parziale con riferimento agli effetti della costituzione di un rapporto di fatto, nel quale siano presenti gli indici rivelatori di un rapporto di lavoro dipendente instaurato con una pubblica Amministrazione, in quanto, a tale rapporto di fatto, comunque, sono applicabili le garanzie retributive e contributivo-previdenziali di cui all'art. 2126 cod. civ..
Ma nel caso in esame, al di là delle argomentazioni meramente assertive che si rinvengono nel ricorso, la documentazione depositata, se evidenzia alcuni sporadici indici rilevatori, non prova in maniera esaustiva le specifiche modalità di svolgimento dell'attività propria di un rapporto di pubblico impiego.
Si tenga conto che trattavasi per lo più assistenza ai pasti e di pulizia quotidiana dei locali nonché di custodia degli ambienti della scuola adibiti a mensa di talchè la soggezione a qualche direttiva del comune, la imposizione di un orario in cui effettuare le pulizie ed il controllo sui risultati dell'attività affidata, non rappresentano in assoluto, indici rivelatori del lavoro subordinato pubblico, essendo propri anche del lavoro autonomo .
Peraltro, conformemente alla giurisprudenza consolidata, l'applicazione della normativa di cui all'art. 2126 c.c., in caso di rapporto di pubblico impiego nullo, non garantisce automaticamente al lavoratore un corrispettivo pari a quello stabilito per il dipendente di ruolo di pari livello quando una diversa pattuizione sia stata prevista nel contratto di lavoro (Cons. Stato, sez. VI, n. 3259/04).
Nel caso in esame si deve ritenere che il compenso pattuito nel contratto di lavoro comprensivo di oneri previdenziali per prestazioni per lo più di natura precaria, non esclusive, rapportate alle contingenze lavorative degli uffici scolastici, fosse stato ritenuto da entrambe le parti congruo e rispettoso di quanto stabilito dalle tabelle allegate agli accordi collettivi nazionali del settore privato, in corrispondenza alla peculiarità del rapporto ed alla riconosciuta possibilità dell'interessata di svolgere contemporaneamente altra attività lavorativa, mentre ogni altra questione riferita ad emolumenti, contribuzioni od indennità di fine rapporto non corrisposte, come anche evidenziato dal Comune appellato, non puo’ trovare esame e soddisfacimento dinanzi al giudice amministrativo.
In conclusione l'appello non merita accoglimento mentre le spese del grado di giudizio per la peculiarità del petitum possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, quinta Sezione, definitivamente decidendo respinge il ricorso in epigrafe indicato.
Compensa spese ed onorari. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2010 con l'intervento dei Signori:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Marco Lipari, Consigliere
Aniello Cerreto, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/11/2010 |