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CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
PEDRO CRUZ VILLALÓN
presentate il 16 novembre 2011 (1)
Causa C-357/10
Duomo Gpa Srl
contro
Comune di Baranzate
(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia)
Causa C-358/10
Gestione Servizi Pubblici Srl
contro
Comune di Baranzate
(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia)
Causa C-359/10
Irtel Srl
contro
Comune di Venegono Inferiore
(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia)
«Servizi nel mercato interno – Libertà di stabilimento – Libera prestazione di servizi – Concessione di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi – Normativa nazionale che richiede un capitale sociale minimo alla società concessionaria – Applicabilità della direttiva 2006/123 – Artt. 15 e 16 della direttiva 2006/123 – Proporzionalità»
I – Introduzione
1. I tre procedimenti qui riuniti vertono sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di una disposizione nazionale in forza della quale le imprese che mirano all’aggiudicazione di un servizio di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali devono disporre di un capitale sociale minimo, interamente versato, pari a EUR 10 milioni, salvo, espresso in modo semplificato, non poter partecipare alla gara corrispondente o, eventualmente, che si dichiari la nullità dell’aggiudicazione.
2. Più specificamente, il giudice del rinvio pone un quesito circa la compatibilità della menzionata disposizione nazionale con, da un lato, gli artt. 15 e 16 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 dicembre 2006, 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno (2), e, dall’altro, con il diritto primario.
3. L’inserimento della menzionata direttiva nel diritto dell’Unione ha suscitato svariati interrogativi: in primo luogo, circa la sua funzione di armonizzazione (3), ma altresì, fra gli altri, circa la sua applicabilità a casi puramente interni (4) e circa la portata e la validità dell’art. 16 (5). Ai fini della presente causa tuttavia non occorre affrontare la totalità di siffatti problemi, e nemmeno la maggior parte di essi. In particolare, e nell’ipotesi di una prestazione di servizi non congiunta alla libertà di stabilimento, proporrò alla Corte di giustizia, senza necessità di «ripercorrere» in quest’occasione tutti gli elementi summenzionati, di trattare direttamente la compatibilità della disposizione nazionale in questione con il diritto dell’Unione dalla prospettiva del principio di proporzionalità.
II – Contesto normativo
A – Il diritto dell’Unione: la direttiva 2006/123
4. La direttiva 2006/123, denominata direttiva servizi, stabilisce «le disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi» (art. 1, n. 1).
5. Oggetto del capo III è la libertà di stabilimento dei prestatori. L’art. 15, n. 2, dispone che «[g]li Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio al rispetto» di una serie di requisiti, fra i quali si menzionano gli «obblighi relativi alla detenzione del capitale di una società» [lett. c)].
6. L’art. 15, n. 3, così recita:
«Gli Stati membri verificano che i requisiti di cui al paragrafo 2 soddisfino le condizioni seguenti:
a) non discriminazione: i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell’ubicazione della sede legale;
b) necessità: i requisiti sono giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;
c) proporzionalità: i requisiti devono essere tali da garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito; essi non devono andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo; inoltre non deve essere possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato».
7. Il capo IV della direttiva è dedicato alla libera circolazione dei servizi. L’art. 16, incluso nello stesso, è intitolato «Libera prestazione di servizi e deroghe relative», e al n. 1 dispone quanto segue:
«Gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti.
Lo Stato membro in cui il servizio viene prestato assicura il libero accesso a un’attività di servizi e il libero esercizio della medesima sul proprio territorio.
Gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi:
a) non discriminazione: i requisiti non possono essere direttamente o indirettamente discriminatori sulla base della nazionalità o, nel caso di persone giuridiche, della sede;
b) necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente;
c) proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo».
B – La disciplina italiana
8. L’art. 32, n. 7 bis, del decreto legge 29 novembre 2008, n.º185 (6), convertito con legge 28 gennaio 2009, n.º2 (7), era così formulato: «La misura minima di capitale richiesto alle società, ai sensi del comma 3 dell’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, per l’iscrizione nell’apposito albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni è fissata in un importo non inferiore a 10 milioni di euro interamente versato. Dal limite di cui al precedente periodo sono escluse le società a prevalente partecipazione pubblica. È nullo l’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali a soggetti che non possiedano il requisito finanziario suddetto. I soggetti iscritti nel suddetto albo devono adeguare alla predetta misura minima il proprio capitale sociale. In ogni caso, fino all’adeguamento essi non possono ricevere nuovi affidamenti o partecipare a gare a tal fine indette».
9. Tale disposizione è stata derogata dall’art. 3 bis, n. 3, del decreto legge 25 marzo 2010, n.º40 (8), convertito con legge 22 maggio 2010, n.º73 (9). La nuova disciplina richiede misure minime di capitale sociale diverse in funzione del numero di abitanti dell’ente locale di cui si tratti.
III – Le cause principali e le questioni pregiudiziali
10. All’origine delle cause C-357/10 e C-358/10 vi è il bando gara del Comune di Baranzate per una procedura aperta concernente l’affidamento in concessione del servizio di gestione, accertamento e riscossione di talune imposte e di altri tributi locali per il periodo quinquennale compreso fra il 1º maggio 2009 e il 30 aprile 2014. Il valore dei servizi per l’intero periodo era stimato in EUR 57 000. Sei imprese private, tutte stabilite in Italia, presentavano rispettivamente offerte. Fra queste vi erano le società Duomo Gpa Srl (in prosieguo: la «Duomo»), la Gestione Servizi Pubblici Srl (in prosieguo: la «GSP») e l’Agenzia Italiana per le Pubbliche Amministrazioni SpA (in prosieguo: l’«AIPA»). Il 1º e il 3 aprile 2009 il Comune di Baranzate comunicava alla Duomo e alla GSP le rispettive esclusioni dalla gara indetta in quanto non soddisfacevano il requisito previsto nell’art. 32, n. 7 bis, del decreto legge 29 novembre 2008, n.º185.
11. All’origine della causa C-359/10 vi è il bando di gara per una procedura analoga del Comune di Venegono Inferiore. In tale caso si trattava dell’affidamento in concessione del servizio di accertamento e riscossione ordinaria e coattiva dell’Imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni per il periodo quadriennale 23 febbraio 2009-31 dicembre 2012, con importo presunto del servizio per l’intero periodo pari ad EUR 48 765. Fra le imprese che presentavano offerte vi erano l’Irtel SpA (in prosieguo: l’«Irtel») e l’AIPA. Il 9 marzo 2009 l’amministrazione aggiudicatrice decideva di escludere l’Irtel in quanto priva del requisito di legge per la partecipazione alla gara di cui all’art. 32, n. 7bis, del decreto legislativo 29 novembre 2008, n.º185.
12. La Duomo, la GSP e l’Irtel proponevano rispettivamente ricorso contro le decisioni di esclusione dalle menzionate procedure di aggiudicazione.
13. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia ha sospeso i giudizi principali e sottoposto, relativamente a ciascuno di questi, le seguenti questioni pregiudiziali:
« A) se ostino alla corretta applicazione degli articoli 15 e 16 della direttiva 2006/123/CE le disposizioni nazionali dell’art. 32, comma 7 bis, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, [convertito con legge] 28 gennaio 2009, n. 2 e successivamente modificato dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, che prevedono, ad esclusione che per le società a prevalente partecipazione pubblica:
– la nullità dell’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali a soggetti che non possiedano il requisito finanziario del capitale sociale minimo di 10 milioni di euro interamente versato;
– l’obbligo di adeguamento del proprio capitale sociale alla predetta misura minima da parte dei soggetti iscritti nell’apposito albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni ai sensi del comma 3 dell’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni;
– il divieto di acquisizione di nuovi affidamenti o di partecipazione a gare indette per l’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali fino all’assolvimento del suddetto obbligo di adeguamento del capitale sociale;
B) se ostino alla corretta applicazione degli articoli 3,10, 43, 49 ed 81 del Trattato istitutivo della Comunità Europea le disposizioni nazionali dell’art. 32, comma 7 bis, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, [convertito con legge] 28 gennaio 2009, n. 2 e successivamente modificato dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, che prevedono, ad esclusione che per le società a prevalente partecipazione pubblica:
– la nullità dell’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali a soggetti che non possiedano il requisito finanziario del capitale sociale minimo di 10 milioni di euro interamente versato;
– l’obbligo di adeguamento del proprio capitale sociale alla predetta misura minima da parte dei soggetti iscritti nell’apposito albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni ai sensi del comma 3 dell’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni;
– il divieto di acquisizione di nuovi affidamenti o di partecipazione a gare indette per l’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali fino all’assolvimento del suddetto obbligo di adeguamento del capitale sociale».
IV – Il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia
14. Le domande di pronuncia pregiudiziale sono state registrate presso la cancelleria della Corte in data 19 luglio 2010.
15. Hanno depositato osservazioni scritte il Comune di Baranzate, i governi italiano e olandese e la Commissione.
V – Analisi delle questioni pregiudiziali
16. Le due questioni sottoposte nelle presenti ordinanze di rinvio vertono, rispettivamente e come posto in evidenza, sulla compatibilità di una stessa disposizione nazionale con le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, quali disciplinate nella direttiva servizi, in primo luogo, e quali risultano direttamente dal Trattato, in secondo luogo.
17. Per quanto la seconda questione formalmente non si presenti formalmente come sussidiaria rispetto alla prima, non è azzardato sostenere che sono le possibili difficoltà di applicabilità della direttiva ai presenti casi ad aver indotto il giudice del rinvio chiedere in seconda battuta la verifica del contrasto della disposizione nazionale in questione con le citate libertà quali risultano direttamente del Trattato.
A – La prima questione pregiudiziale
18. La prima questione pregiudiziale attiene alla compatibilità con gli artt. 15 e 16 della direttiva 2006/123 della norma italiana ripetutamente citata, in forza della quale le imprese che ambiscono all’aggiudicazione di un servizio di liquidazione accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali devono avere un capitale sociale minimo, interamente versato, pari a EUR 10 milioni, salvo, altrimenti, non potere partecipare al procedimento corrispondente, o, eventualmente, che venga dichiarata la nullità dell’aggiudicazione.
19. I menzionati precetti della direttiva formano rispettivamente parte della disciplina, diversa in ognuno dei casi, delle due possibili «situazioni» in cui può trovarsi il prestatore di servizi: la situazione attinente alla libertà di stabilimento e la situazione della libera prestazione di servizi, soggette a regimi giuridici con tratti differenti (10). Tuttavia, prima di passare ad esaminare la questione se occorra considerare l’una o l’altra previsione rilevante ai presenti fini, o casomai entrambe, risulta doveroso verificare l’applicabilità della direttiva in quanto tale.
1. La questione dell’applicabilità della direttiva servizi
20. L’applicabilità della direttiva servizi è stata posta in discussione, principalmente, sotto due diverse prospettive: una di ordine temporale e una di ordine sostanziale.
a) Le obiezioni relative al profilo temporale: una disposizione nazionale adottata durante il periodo di trasposizione
21. Sia l’approvazione della disposizione nazionale controversa che l’inizio delle procedure di aggiudicazione e le decisioni di esclusione delle società ricorrenti hanno avuto luogo antecedentemente al 28 dicembre 2009, data di scadenza del termine per la trasposizione della direttiva servizi (art. 44, n. 1).
22. Detta circostanza risulta tuttavia irrilevante sotto la prospettiva della libertà di stabilimento, in quanto l’art. 15, n. 6, della direttiva stabilisce che «[a] decorrere dal 28 dicembre 2006 gli Stati membri possono introdurre nuovi requisiti quali quelli indicati al paragrafo 2 soltanto quando essi sono conformi alle condizioni di cui al paragrafo 3». Ne deriva che la condizione controversa, introdotta successivamente a tale data, deve già essere esaminata alla luce dell’art. 15 della direttiva.
23. Nel caso delle disposizioni relative alla libera prestazione di servizi nella direttiva non compare una clausola di stand still parallela a quella summenzionata; ciò nonostante può essere qui reiterata la precedente conclusione. Conformemente alle sentenze 18 dicembre 1997, Inter- Environnement Wallonie (11), e 5 aprile 2011, Societé fiduciaire nationale d’expertise comptable (12), in pendenza del termine di recepimento gli Stati membri devono astenersi dall’adottare disposizioni che «possano compromettere gravemente il risultato prescritto» da una direttiva.
24. Occorre inoltre tener conto della circostanza che nel presente caso non pare che la disposizione nazionale fosse stata emanata con vigenza temporale delimitata (difatti è stata adottata quando mancava soltanto un anno alla scadenza del termine per la trasposizione della direttiva) (13). Il breve periodo di vigenza della norma controversa non risulta pertanto sufficiente al fine di poter considerare che si trattasse di una mera «fase» della trasposizione della direttiva (14), né tanto meno per affermare che non poteva «compromettere gravemente il risultato prescritto» dalla direttiva: esaminando la formulazione delle due sentenze citate, il punto determinante non è che la misura abbia in conclusione compromesso il risultato della direttiva, bensì che avrebbe potuto comprometterlo (qualora avesse continuato a permanere in vigore).
b) Le obiezioni sostanziali: le ipotesi «escluse» dall’ambito di applicazione della direttiva servizi
25. Come correttamente ricorda la Commissione, l’attività di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate delle collettività locali costituisce in Italia un «servizio» ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva, il quale rientra, quindi, nel suo ambito di applicazione (art. 2, n. 1).
26. Ciò nondimeno all’applicabilità della direttiva servizi si frappongono anche svariati rilievi di ordine sostanziale, relativi all’invocazione di varie eccezioni riguardo all’ambito di applicazione della stessa. In quanto clausole eccezionali, le deroghe di cui trattasi devono interpretarsi restrittivamente, e, in ogni caso, senza fare ricorso all’analogia. Nessuna fra quelle che sono state richiamate risulta, a mio avviso, rilevante nella presente causa.
27. In primo luogo è necessario osservare che, malgrado la sua chiara relazione con l’esercizio della potestà tributaria, la menzionata attività di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi non può essere considerata come un’attività esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva in quanto sarebbe «conness[a] con l’esercizio di pubblici poteri» ai sensi dell’art. 51 TFUE (art. 2, n. 2, lett. i) della direttiva servizi). Conformemente a copiosa giurisprudenza, l’eccezione prevista dal citato articolo del Trattato non può estendersi ai meri compiti ausiliari e preparatori nei confronti di un ente il quale effettivamente esercita pubblici poteri adottando la decisione finale. La Corte ha inoltre precisato che la possibilità di invocare l’art. 51 TFUE è esclusa allorché gli organismi privati di cui si tratti esercitino prerogative proprie dei pubblici poteri «sotto la sorveglianza attiva dell’autorità pubblica competente» (15). È chiaro che l’ordinamento giuridico italiano riserva l’esercizio delle potestà tributarie propriamente dette agli enti pubblici, considerando la riscossione di talune imposte come un’attività ausiliaria che può prestarsi in regime di gestione indiretta, sotto la supervisione dei medesimi, e che, pertanto, rientra nell’ambito di applicazione della direttiva.
28. L’ipotesi che qui si analizza non può essere esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva servizi nemmeno alla luce del suo art. 2, n. 3, il quale stabilisce che la direttiva non si applica «al settore fiscale». In base al ventinovesimo ‘considerando’ della stessa, tale deroga è volta ad escludere l’applicazione della direttiva alle misure fiscali adottate dagli Stati membri disciplinate da specifiche disposizioni del Trattato. Per contro, le attività amministrative che si svolgono, come quella in parola, nel «settore fiscale», sono incluse nell’ambito di applicazione della direttiva, e parimenti lo sono le attività di consulenza fiscale, specificamente menzionate al trentatreesimo ‘considerando’ della direttiva.
29. Infine, nel caso in esame non appare rilevante neanche l’eccezione ex art. 17, n. 5, della direttiva, ai sensi del quale l’art. 16 non si applica «alle attività di recupero giudiziario dei crediti», poiché l’attività viene svolta senza che vi prendano parte delle autorità giudiziarie.
30. Alla luce delle precedenti considerazioni si deve pertanto concludere che la direttiva servizi risulta applicabile al presente caso.
2. Le libertà interessate: due possibili situazioni del prestatore del servizio
31. La disposizione nazionale controversa configura chiaramente una «esigenza» ai sensi della direttiva servizi, nei confronti dei prestatori del servizio in questione. In altri termini, la disciplina delle condizioni di prestazione del servizio comprende un requisito ineludibile, il quale deve superare un controllo di compatibilità con la direttiva in quanto «esigenza». Occorre, tuttavia, che la direttiva si occupi di dette «esigenze» separatamente per le due situazioni in cui può effettuarsi la prestazione del servizio: la situazione «libertà di stabilimento» e la situazione «libera prestazione di servizi». Ciò è reso manifesto già nella stessa formulazione della prima delle questioni del giudice del rinvio, in quanto si opera un richiamo tanto all’art. 15 quanto all’art. 16 della direttiva. E’ pertanto opportuno determinare se la disposizione controversa debba essere esaminata o meno in modo esclusivo rispetto all’una o all’altra libertà.
32. In prima approssimazione nella presente ipotesi ricorrerebbero le condizioni richieste dalla giurisprudenza ai fini dell’applicazione della libertà di stabilimento (16). Infatti, da un lato, le concessioni controverse presentavano una durata piuttosto estesa (quattro e cinque anni, rispettivamente); d’altro canto, pare difficile che un’attività come la riscossione di tributi possa essere svolta senza uno stabilimento o «insediamento in pianta stabile» nel comune di cui si tratti o, quanto meno, nel territorio nazionale.
33. Orbene, relativamente alla durata dell’attività, occorre tener conto della circostanza che nella nozione di servizio ai sensi del Trattato possono rientrare servizi «la cui prestazione si estende per un periodo di tempo prolungato» (17). Soltanto «un’attività svolta a titolo permanente o, in ogni caso, senza limiti prevedibili di tempo non rientra nell’ambito di applicazione delle disposizioni comunitarie relative alle prestazioni di servizi» (18). La previsione che l’attività si svolga nell’arco di quattro o cinque anni non è pertanto sufficiente.
34. Non risulta determinante in modo assoluto nemmeno la circostanza che si disponga di una certa base fisica nello Stato ove si svolge l’attività. Conformemente alla sentenza Gebhard, non si può escludere «la possibilità per il prestatore di servizi, ai sensi del Trattato, di dotarsi nello Stato membro ospitante di una determinata infrastruttura (ivi compreso un ufficio o uno studio), se questa infrastruttura è necessaria al compimento della prestazione di cui trattasi» (19).
35. Considerato quanto suesposto, e nella misura in cui non può escludersi che, nel caso in discussione, la prestazione del servizio possa avvenire sia nell’una come nell’altra situazione, ritengo che la disposizione controversa debba essere analizzata, così come chiede il giudice italiano, alla luce tanto della libertà di stabilimento quanto della libera prestazione di servizi (artt. 15 e 16 della direttiva servizi) (20).
3. Analisi della disposizione controversa alla luce dell’art. 15 della direttiva servizi (libertà di stabilimento)
36. La direttiva servizi ha scelto di elencare in rispettive liste le restrizioni alla libertà di stabilimento che, per utilizzare la terminologia classica della Corte di giustizia, non possono essere giustificate, e quelle che possono esserlo purché ricorra una serie di condizioni. L’art. 14 enumera difatti i cosiddetti «requisiti vietati», fra cui si annoverano, ad esempio, i requisiti discriminatori, quello della cittadinanza o della residenza. Gli Stati membri non possono subordinare l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio sul loro territorio al rispetto di nessuno di tali requisiti. L’art. 15, n. 2, al contrario, enumera una serie di requisiti che gli Stati membri potranno esigere purché siano conformi alle condizioni di cui al n. 3 dello stesso.
37. Fra i requisiti soggetti a tale «valutazione» o verifica, l’art. 15, n. 2, lett. c), cita quelli relativi alla «detenzione del capitale di una società». L’esigenza che la disposizione controversa impone ai candidati all’aggiudicazione di una concessione come quella in questione nella presente causa (disporre di un capitale minimo interamente versato di EUR 10 milioni) può facilmente ritenersi inclusa nella succitata nozione. Di conseguenza occorre appurare se ciò soddisfi le condizioni di cui all’art. 15, n. 3, della direttiva: non discriminazione, necessità e proporzionalità.
a) Non discriminazione
38. Come già osservato, la disposizione controversa si applica a cittadini e non cittadini. Il requisito, pertanto, non è discriminatorio sotto il profilo della cittadinanza (né dell’ubicazione della sede legale), né direttamente né indirettamente (21).
b) La condizione di «necessità» o l’obiettivo invocato
39. Alla rubrica «necessità» la direttiva servizi fa riferimento alla tradizionale condizione che il requisito possa giustificarsi con un obiettivo legittimo (22). Più specificamente, nella sfera della libertà di stabilimento detta condizione di «necessità» comporta che «i requisiti s[ia]no giustificati da un motivo imperativo di interesse generale» (art. 15, n. 3, lett. b). Ai sensi dell’art. 4, n. 8, della direttiva, con «motivi imperativi d’interesse generale» s’intende qualsiasi dei «motivi riconosciuti come tali dalla giurisprudenza della Corte di giustizia» inclusi quelli ivi elencati di seguito (23). Tale elenco è tuttavia meramente esemplificativo: sembra chiaro che la volontà della direttiva non sia stata nel senso di limitare l’elenco di motivi imperativi d’interesse generale a quelli espressamente menzionati all’art. 4, bensì di fare riferimento ad una categoria generica che è sempre stata considerata aperta dalla giurisprudenza.
40. Nella presente causa le autorità italiane argomentano che il requisito del capitale sociale minimo qui in discussione sarebbe necessario al fine di tutelare gli interessi finanziari dei comuni che esternalizzano il servizio di liquidazione, accertamento e riscossione rispetto al rischio che le società concessionarie, giunto il momento di trasferire gli importi riscossi alle casse pubbliche, non possano farlo trovandosi in situazione di insolvibilità.
41. Detta giustificazione invocata dalle autorità italiane potrebbe di conseguenza essere considerata come un «motivo imperativo d’interesse generale» dalla prospettiva dell’art. 15 della direttiva servizi, e idonea, in via di principio, a giustificare il requisito controverso sotto il profilo della prospettiva della libertà di stabilimento.
c) Il test di proporzionalità
42. Tema distinto è quello riguardante la condizione di proporzionalità.
43. In accordo con la giurisprudenza relativa alla giustificazione delle restrizioni alle libertà del Trattato, l’art. 15, n. 3, lett. c), della direttiva impone che i requisiti debbano essere tali da garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito, che non vadano al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo e che non sia possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato.
44. Nulla vi è da obiettare in relazione all’adeguatezza del requisito in discussione rispetto all’obiettivo invocato dalle autorità italiane, ossia, la tutela degli interessi finanziari dei comuni. E non va inoltre dimenticato che gli importi riscossi non sono riversati immediatamente al comune, bensì fra la riscossione e detta entrata trascorre un lasso di tempo (24) durante il quale il concessionario può utilizzare i fondi per realizzare operazioni finanziarie che gli forniscono un profitto e che, eventualmente, possono comportare rischi. In casi simili il capitale sociale della concessionaria costituirebbe una garanzia adeguata per il comune creditore.
45. Nonostante tale «adeguatezza» all’obiettivo la misura controversa è affetta da una mancanza di proporzionalità riscontrabile sotto due diversi profili.
46. In primo luogo, il requisito del capitale minimo interamente versato di EUR 10 milioni va al di là di quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo di tutelare l’amministrazione pubblica rispetto ad un eventuale inadempimento della società concessionaria del servizio. A mio parere il problema non risiede tanto nella cifra elevata stabilita, quanto piuttosto nel carattere assolutamente indifferenziato della misura, che impone la medesima condizione quantitativa indipendentemente dagli importi da riscuotere e, in definitiva, dalla quantificazione economica del rischio cui si espone il comune creditore.
47. Risulta, infatti, difficile determinare in abstracto se la somma di EUR 10 milioni costituisca una quantificazione adeguata della «garanzia» finanziaria che il concessionario privato deve offrire al comune, tuttavia, appare in ogni caso evidente che, se l’obiettivo perseguito è offrire alla Pubblica Amministrazione una sorta di «cauzione» rispetto al rischio che gli importi effettivamente riscossi dal concessionario non siano versati nel termine dovuto nelle casse pubbliche, l’ammontare della menzionata cauzione o garanzia dovrebbe variare in funzione dell’importanza di tale rischio. Orbene, dato che la valutazione del rischio soggettivo dell’inadempimento del concessionario non pare una variabile facilmente valutabile o prevedibile (25), l’approccio più opportuno consisterebbe nel partire da una valutazione del rischio oggettivo, vale a dire, dalla capacità di riscossione del comune di cui si tratti, poiché, quanto maggiore è l’importo che il concessionario può riscuotere, maggiore sarà il danno causato all’amministrazione dell’ente locale in caso di mancato pagamento o ritardo.
48. Sulla base di tali premesse è possibile quantificare detta capacità di riscossione (e, in definitiva, il rischio oggettivo che assume il comune) in modo più o meno preciso, tenendo conto esclusivamente del numero di contribuenti del comune di cui si tratti o aggiungendo anche altri fattori (ad esempio, valutazioni di quanto riscosso in precedenti esercizi), effettuando una determinazione ad casum dell’esigenza oppure operando per gruppi o settori; risulta in ogni caso evidente che, nell’una o nell’altra forma, può considerarsi proporzionata soltanto una garanzia il cui importo sia stabilito in proporzione al rischio potenziale che ci si propone di coprire.
49. Prevedibilmente, con una soluzione di tale genere si giungerebbe alla conclusione di che una garanzia di EUR 10 milioni non è necessaria in tutti i casi (26). Qualora così fosse, l’esigenza controversa risulterebbe sproporzionata nella misura in cui esclude le imprese di piccole dimensioni da ogni possibilità di acceso a siffatta attività.
50. In secondo luogo, ritengo che l’obiettivo di garanzia degli interessi economici dei comuni di cui trattasi potrebbe essere conseguito attraverso altri mezzi meno restrittivi, i quali, inoltre, sembrano essere già presenti nella normativa italiana in ambito di contratti di appalto o di concessione. Il giudice del rinvio ha, infatti, richiamato il decreto legislativo 12 aprile 2006, n.º163 (27), in cui sono stabiliti requisiti generali per la partecipazione a procedimenti di aggiudicazione che potrebbero anche servire da garanzia, come la produzione di referenze bancarie, la certificazione della capacità tecnica e finanziaria, affidabilità e solvibilità, etc.
51. Alla luce di quanto suesposto, si dovrebbe concludere che l’art. 15 della direttiva servizi osta ad una disposizione nazionale come quella in discussione.
4. Analisi della disposizione controversa alla luce dell’art. 16 della direttiva servizi (libera prestazione di servizi)
52. L’analisi della disposizione controversa alla luce della disciplina della libera prestazione di servizi ex art. 16 della direttiva è in certa misura parallela a quella appena effettuata in relazione con la libertà di stabilimento, e conduce alla medesima conclusione di incompatibilità con la direttiva a causa della mancanza di proporzionalità. Il regime della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi presentano, tuttavia, talune differenze che occorre menzionare.
53. La prima differenza consiste nella circostanza che, diversamente dall’art. 15 della direttiva servizi, l’art. 16, al n. 2, contiene unicamente un elenco di sei tipi di requisiti (28), fra i quali non compare quello relativo al capitale sociale. Ciò nondimeno, nulla impedisce di ritenere che tale ultimo requisito sia incluso fra quelli contemplati, con carattere generale, al n. 1 del medesimo articolo, ove, al terzo comma, si dispone che «[g]li Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino» i principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità. Di conseguenza, l’analisi volgerebbe nuovamente sull’esame delle tre citate condizioni.
54. La seconda differenza attiene alla definizione della condizione «necessità», alquanto più restrittiva nell’ambito della libera prestazione di servizi rispetto a quello della libertà di stabilimento. A differenza dell’art. 15, n. 3, l’art. 16, n. 1, lett. b), non opera un rinvio generale ai «motivi imperativi d’interesse generale» definiti dalla giurisprudenza, introducendo invece un elenco apparentemente limitativo di obiettivi idonei a giustificare il requisito in parola: «ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente» (29).
55. Una simile formulazione indurrebbe a porre il problema se un obiettivo come quello dell’asserito rispetto del requisito controverso possa essere ricondotto ad una delle quattro categorie menzionate. Analogamente, nulla si opporrebbe al rimettere in discussione il carattere limitativo dell’elenco dell’art. 16, n. 1, lett. b), o, persino, la sua compatibilità con le disposizioni del Trattato e, in definitiva, la stessa validità della direttiva a siffatto proposito (30).
56. Orbene, si verifica la circostanza che l’applicazione del test di proporzionalità non varia nel caso della libera prestazione di servizi relativamente all’ipotesi della libertà di stabilimento, risultando così che, come già indicato, la disposizione controversa non supera detto test in quest’ultimo contesto. Tutto ciò considerato, propongo alla Corte di giustizia di procedere, nel caso della libera prestazione di servizi, ad applicare direttamente il test di proporzionalità nei termini menzionati ai punti 45-50 delle presenti conclusioni, senza che occorra previamente trattare la questione della legittimità dell’obiettivo invocato.
57. In ogni caso, pertanto, anche l’art. 16 della direttiva servizi osta ad una disposizione nazionale come quella in discussione.
5. Conclusione alla prima questione pregiudiziale
58. Alla luce delle suesposte considerazioni si deve concludere che gli artt. 15 e 16 della direttiva servizi ostano ad una disposizione nazionale in base a cui le imprese che ambiscono all’aggiudicazione di un servizio di liquidazione accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali devono avere come minimo un capitale sociale interamente versato di EUR 10 milioni.
B – La seconda questione pregiudiziale
59. Nella seconda questione pregiudiziale il giudice del rinvio richiama il diritto primario quale parametro di legittimità, chiedendo se la norma controversa sia compatibile con gli artt. 3, 10, 43, 49 e 81 CE.
60. A mio parere la parte di questa seconda questione pregiudiziale riferita agli artt. 3 CE (31), 10 CE (32) e 81 CE (art. 101 TFUE) deve essere dichiarata inammissibile in considerazione della mancanza di sufficienti precisioni sul contesto di fatto e sul regime normativo che consentano di collegare la disposizione controversa alle disposizioni del Trattato relative alla concorrenza. Si ricordi, infatti, che dette esigenze, costanti nella giurisprudenza, «valgono in modo del tutto particolare nel settore della concorrenza, caratterizzato da situazioni di fatto e di diritto complesse» (33). Esclusi i menzionati precetti, la seconda questione pregiudiziale sarebbe dunque limitata agli artt. 43 CE e 49 CE (artt. 49 TFUE e 56 TFUE), ossia, alla compatibilità della disposizione controversa con la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi.
61. Una volta circoscritta a simili termini stretti, e nella misura in cui abbiamo concluso che la direttiva servizi risulta applicabile al caso di specie, non risulterebbe necessario risolvere la seconda questione pregiudiziale. Non si deve dimenticare che, secondo abbondante giurisprudenza (34), le previsioni sulla libertà contenute nel Trattato non trovano applicazione negli ambiti che sono stati oggetto di armonizzazione da parte del legislatore dell’Unione (35).
62. In ogni caso, qualora si ritenesse che la direttiva servizi non risulta applicabile, un’analisi della disposizione controversa alla luce del Trattato non presenterebbe sostanziali differenze rispetto a quanto già illustrato nel paragrafo precedente: il problema continuerebbe ad essere la proporzionalità della misura restrittiva adottata.
63. Ad un’applicazione «diretta» del Trattato non si potrebbe beninteso opporre il carattere puramente interno delle cause principali. È certo che una norma nazionale «deve risultare conforme alle disposizioni relative alle libertà fondamentali istituite dal Trattato solo in quanto si applichi a situazioni che hanno un collegamento con gli scambi intracomunitari». Ciò nondimeno, la giurisprudenza è sempre più incline a riconoscere che la soluzione fornita dalla Corte di giustizia ad una questione sulla compatibilità di detto tipo di norme con il Trattato può essere utile per il giudice remittente quando la norma in questione si applica indistintamente, a prescindere dalla circostanza di possedere o meno la cittadinanza (36).
64. Quanto al resto, e a mio parere, il fatto che la disposizione nazionale controversa sia già stata modificata non incide sulla conclusione precedente, in quanto non può escludersi che durante il periodo in cui era vigente abbia potuto concernere soggetti stabiliti in un altro Stato membro. Per rispondere in questa sede alle affermazioni sull’inammissibilità della questione pregiudiziale formulate dal governo italiano, la soluzione della Corte di giustizia è necessaria al fine di dirimere le cause nazionali pendenti, fra cui si annoverano quelle promosse dalla Duomo, dalla GSP e dall’Irtel.
65. In conclusione, e in ogni caso sussidiariamente, gli artt. 49 TFUE e 56 TFUE devono essere intesi nel senso che ostano ad una disposizione nazionale come quella controversa, affetta da mancanza di proporzionalità nei termini esposti ai paragrafi 45-50 delle presenti conclusioni.
VI – Conclusione
66. In conclusione, propongo alla Corte di giustizia di risolvere le questioni poste dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia nei seguenti termini:
«1) Gli artt. 15 e 16 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 dicembre di 2006, 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, ostano ad una disposizione nazionale che stabilisce, salvo che per le società a prevalente partecipazione pubblica:
– la nullità dell’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali a soggetti che non possiedano il requisito finanziario del capitale sociale minimo di EUR 10 milioni interamente versato;
– l’obbligo di adeguamento del proprio capitale sociale alla predetta misura minima da parte dei soggetti iscritti nell’apposito albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni;
– il divieto di acquisizione di nuovi affidamenti o di partecipazione a gare indette per l’affidamento di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di tributi e di altre entrate degli enti locali fino all’assolvimento del suddetto obbligo di adeguamento del capitale sociale.
2) In subordine, una disposizione nazionale come quella di cui al n. 1) è contraria a gli artt. 49 TFUE e 56 TFUE».
1 – Lingua originale: lo spagnolo.
2 – GU L 376, pag. 36. In prosieguo: la «direttiva servizi» o «la direttiva».
3 – Riguardo a tal punto, v. Barnard, C, «Unravelling the Services Directive», Common Maket Law Review, 2008, pagg. 382-383; van di Gronden, J. & di Waele, H, «All’s well that bends well: the constitucional dimension to the Services Directive», European Constitucional Law Review, 2010, pag. 404; Klamert, M., «Of empty glasses and double burdens: approaches to regulating the Services Market à propos the implementation of the Services Directive», Legal Issues of Economic Integration 37, puntoº2, 2010, pag. 129; e Mortelmans, K., «The relationship between the Treaty rules and Community measures for the establishment and functionning of the internal market – Towards a concordance rule», Common Market Law Review, 2002, pag. 1324 e segg.
4 – V. Barnard, C, op. cit., pag. 351; e della Quadra-Salcedo Janini, «Mercado interior y Directiva de servicios», Revista catalana di dret public, puntoº42, 2011, pagg. 257-293.
5 – V. van di Gronden, J. & di Waele, op. cit., pag. 41 e segg..; e Peglow, K, «La libre prestation de services dans la directive n.º2006/123/CE. Réflexion sur l’insertion dans le droit communautaire existant», Revue trimestrielle di droit européen, 2008, § 62 e segg.
6 – Decreto legge recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale.
7 – Supplemento ordinario n. 14 alla GURI n.º22 del 28 gennaio 2009.
8 – GURI n.º71 del 26 marzo 2010.
9 – GURI n.º120 del 25 maggio 2010.
10 – Utilizzerò tale termine, che considero sia adeguato all’ispirazione di base di una normativa dell’Unione il cui oggetto fondamentale è la prestazione di servizi, e ciò sia in un contesto di stabilimento così come in uno che prescinda dallo stesso.
11 – Causa C-129/96, Racc. pag. I-7411, punti 45 e 46.
12 – Causa C-119/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 19 e 20.
13 – V., su tal punto, sentenza 14 giugno 2007, causa C-422/05, Commissione/Belgio (Racc. pag. I-4749), punti 64-68, in cui la Corte di giustizia ha tenuto conto della circostanza che la norma nazionale incompatibile con una direttiva fosse entrata in vigore meno di tre mesi prima della data di scadenza del termine per recepire la direttiva stessa.
14 – A riguardo, v. sentenza Inter.-Environnement Wallonie, cit., punto 49.
15 – Sentenza 22 ottobre 2009, causa C-438/08, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I-0219), punti 36 e 37, e giurisprudenza ivi citata.
16 – Sentenza 25 luglio 1991, causa C-221/89, Factortame (Racc. pag. I-3905), punto 20.
17 – Sentenza 11 dicembre 2003, causa C-215/01, Schnitzer (Racc. pag. I-14847), punti 30 e 31. V. anche sentenze 29 aprile 2004, causa C-171/02, Commissione/Portogallo (Racc. pag. I-5645), punto 26; 16 luglio 2009, causa C-208/07, von Chamier-Glisczinski (Racc. pag. I-6095), punto 74; 26 ottobre 2010, causa C-97/09, Schmelz (non ancora pubblicata nella Raccolta), punto 42; e 18 novembre 2008, causa C-458/08, Commissione/Portogallo (non ancora pubblicata nella Raccolta), punto 85.
18 – Sentenze 5 ottobre 1988, causa 196/87, Steyman (Racc. pag. 6159) punto 16; Schnitzer, cit., punti 27-29; e 7 settembre 2004, causa C-456/08, Trojani (Racc. pag. I-7573), punto 28.
19 – Sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, (Racc. pag. I-4165), punto 27. V. altresì il settantasettesimo ‘considerando’ della direttiva.
20 – La Corte di giustizia esamina il provvedimento di cui trattasi con riferimento ad una sola delle due libertà unicamente qualora risulti che, nel caso di specie, una delle due è affatto secondaria rispetto all’altra e può esserle ricollegata. V. sentenze 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler (Racc. pag. I-1039) punto 22; 22 gennaio 2002, causa C-390/99, Canal Satélite Digital (Racc. pag. I-607), punto 22; e 3 ottobre 2006, causa C-452/04, Fidium Finanz AG (Racc. pag. I-9521), punto 34.
21 – L’eventuale discriminazione dei soggetti privati rispetto alle società a prevalente partecipazione pubblica (non gravate dall’obbligo di tale requisito) sarebbe priva di rilevanza riguardo a detta prima condizione, poiché la direttiva fa riferimento esclusivamente alla discriminazione in base alla cittadinanza o all’ubicazione della sede legale. Quanto al resto, la differenza di trattamento potrebbe essere giustificata in considerazione dell’obiettivo e, in ogni caso, non si tratta di una problematica su cui verte direttamente la presente causa.
22 – Il che può ingenerare una certa confusione, considerato che il test di «necessità» è stato tradizionalmente ritenuto una delle fasi o parti del test di proporzionalità.
23 – Si tratta de «l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica, l’incolumità pubblica, la sanità pubblica, il mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale, la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori, l’equità delle transazioni commerciali, la lotta alla frode, la tutela dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano, la salute degli animali, la proprietà intellettuale, la conservazione del patrimonio nazionale storico ed artistico, gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale».
24 – Le entrate si realizzano alla fine di ogni trimestre.
25 – E si osservi che il legislatore italiano ha già tenuto conto, in certa misura, di suddetta circostanza, in quanto ha escluso l’applicazione di tale condizione nel caso di società a prevalente partecipazione pubblica, sostenute finanziariamente dall’erario.
26 – Il legislatore italiano ha implicitamente riconosciuto detta mancanza di proporzionalità modificando, nel 2010, la disposizione controversa. La nuova disciplina, contenuta nella legge n.º73 del 2010, citata in precedenza, declina il requisito del capitale minimo in funzione del numero di abitanti del comune interessato, cosicché attualmente occorre avere un capitale di EUR 10 milioni di soltanto se s’intende sviluppare l’attività rispetto a province o comuni con oltre 200.000 abitanti (qualora si tratti di riscuotere per un comune di meno di 10.000 abitanti o per diversi comuni i cui abitanti non superino complessivamente i 100.000, la cifra richiesta è EUR 1 milione; se si tratta di comuni sotto i 200.000 abitanti, EUR 5 milioni).
27 – Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CEE e 2004/18/CE (GURI n.º100, del 2 maggio 2006).
28 – Apparentemente si tratta di requisiti che possono essere giustificati, in quanto l’art. 16, n. 3 dispone che «[a]llo Stato membro in cui il prestatore si reca non può essere impedito di imporre requisiti relativi alla prestazione di un’attività di servizi qualora siano giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell’ambiente, e in conformità del paragrafo 1. (…)».
29 – Eccetto la tutela dell’ambiente, il cui carattere di obiettivo d’interesse generale è stato sancito dalla giurisprudenza, i tre restanti coincidono con quelli contemplati all’art. 52 TFUE (applicabile anche alla libera prestazione di servizi in forza dell’art. 62 TFUE).
30 – Nelle conclusioni relative alla citata causa Société fiduciaire nationale d’expertise comptable, presentate il 18 maggio 2010, l’avvocato generale Mazák aveva già messo in risalto che l’eventuale carattere limitativo dell’elenco dell’art. 16, punto 1, lett. b), potrebbe risultare incoerente con altre previsioni della medesima direttiva servizi, segnatamente l’art. 24, n. 2: «A prima vista sembrerebbe che regole professionali che rappresentano un ostacolo per la libera prestazione dei servizi possano essere giustificate solo dai quattro motivi menzionati nell’art. 16, n. 1, lett. b), della direttiva 2006/123. Orbene, siffatta interpretazione avrebbe come conseguenza l’impossibilità di realizzare l’art. 24, n. 2, prima frase, della direttiva 2006/123, il quale elenca i motivi che giustificano l’esistenza di regole deontologiche, come nel caso di specie il divieto di accaparramento di clientela, ossia la tutela dell’indipendenza, della dignità e dell’integrità della professione regolamentata nonché del segreto professionale. Non si può pretendere che le stesse regole deontologiche rispettino nel contempo anche gli altri requisiti» (paragrafo 62).
31 – Ora abrogato. Il suo contenuto è stato ripreso negli artt. 3-6 TFUE.
32 – Ora abrogato. Il suo contenuto è stato ripreso all’art. 4, n. 3, TUE, relativo alla leale cooperazione.
33 – Sentenze 26 gennaio 1993, cause riunite da C-320/90 a C-322/90, Telemarsicabruzzo e a. (Racc. pag. I-393), punto 7; 13 aprile 2000, causa C-176/96, Lehtonen et Castors Braine (Racc. pag. I-2681), punto 22; 17 febbraio 2005, causa C-134/03, Viacom Outdoor (Racc. pag. I-1167), punto 23; 23 novembre 2006, causa C-238/05, Asnef-Equifax e Administración del Estado (Racc. pag. I-11125), punto 23; 13 dicembre 2007, causa C-250/06, United Pan-Europe Communications Belgium e a. (Racc. pag. I-11135), punto 20; e 11 marzo 2010, causa C-384/08, Attanasio Group (non ancora pubblicata nella Raccolta), punto 32.
34 – V., in tal senso, sentenze 5 ottobre 1977, causa 5/77, Tedeschi (Racc. pag. 1555), punto 35; 23 novembre 1989, causa C-150/88, Parfümeriefabrik 4711 (Racc. pag. 3891), punto 28; 12 ottobre 1993, causa C-37/92; Vanacker e Lesage (Racc. pag. I-4947), punto 9; 23 maggio 1996, causa C-5/94, Hedley Lomas (Racc. pag. I-2553) punto 18; 19 marzo 1998, causa C-1/96, Compassion in World Farming (Racc. pag. I-1251), punto 47; 25 marzo 1999, causa C-112/97, Commissione/Italia (Racc. pag. I-1821), punto 54; 11 maggio 1999, causa C-350/97, Monsees (Racc. pag. I-2921), punto 24; 13 dicembre 2001, causa C-324/99; Daimler Chrysler (Racc. pag. I-9897), punto 32; 22 ottobre 2002, causa C-241/01, National Farmers’ Union (Racc. pag. I-9079), punto 48; 24 ottobre 2002, causa C-99/01, Linhart et Biffl (Racc. pag. I-9375), punto 18; 24 gennaio 2008, causa C-257/06; Roby Profumi (Racc. pag. I-189), punto 14; e 30 aprile 2009, causa C-132/08; Lidl Magyarország (Racc. pag. I-3841), punto 42. V. altresì le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed, presentate nella causa 4 luglio 2002 (conclusioni comuni nelle cause C-221/00, Commissione/Austria; C-421/00, Renate Sterbenz,;e C-426/00 e C-16/01, Paul Dieter Haug,), punto 45. L’avvocato generale mette parimenti in risalto una certa mancanza di coerenza della giurisprudenza relativamente a tale punto (paragrafo 44).
35 – La menzionata giurisprudenza, a mio avviso, risulta applicabile al caso di specie, anche se la direttiva servizi non corrisponda con proprietà al modello «classico» di norma armonizzatrice dell’Unione.
36 – Sentenze 5 dicembre 2000, causa C-448/98, Guimont (Racc. pag. I-10663), punto 21; 11 settembre 2003, causa C-6/01, Anomar e a. (Racc. pag. I-8621), punto 39; 30 marzo 2006, causa C-451/03, Servizi Ausiliari Dottori Commercialisti (Racc. pag. I-2941), punto 29; 11 marzo 2010, causa C-384/08, Attanasio Group (non ancora pubblicata nella Raccolta), punti 23 e24; e 1 giugno 2010, cause riunite C-570/07 e C-571/07, Blanco Pérez e Chao Gómez (non ancora pubblicata nella Raccolta), punti 39 e 40. |