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N. 4/CONTR/12
La
Corte dei conti
A Sezioni riunite in sede di controllo
Presiedute dal Presidente della Corte, Luigi GIAMPAOLINO
e composte dai magistrati
Presidenti di sezione
Vittorio ZAMBRANO, Giuseppe A. LAROSA, Maurizio MELONI, Pietro DE FRANCISCIS, Luigi MAZZILLO, Rita ARRIGONI, Mario FALCUCCI, Gaetano D’AURIA;
Consiglieri
Carlo CHIAPPINELLI, Simonetta ROSA, Ermanno GRANELLI, Francesco PETRONIO, Antonio FRITTELLA, Giovanni COPPOLA, Mario NISPI LANDI, Vincenzo PALOMBA, Cinzia BARISANO, Luigi PACIFICO, Natale A.M. D’AMICO, Ugo MARCHETTI, Andrea BALDANZA;
Primo Referendario
Alessandra SANGUIGNI.
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni;
vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modificazioni;
visto il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo, approvato dalle Sezioni riunite con deliberazione 16 giugno 2000, n. 14/DEL/2000, poi modificato dalle stesse Sezioni riunite con le deliberazioni 3 luglio 2003, n. 2 e 17 dicembre 2004, n. 1 e dal Consiglio di Presidenza con la deliberazione 19 giugno 2008, n. 229 e, in particolare, l’art. 6, comma 2;
visto l’art. 7, comma 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131;
visto l’art. 17, comma 31 del decreto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102;
vista la richiesta di parere avanzata dal Comune di Frosinone il 26 agosto 2011;
vista la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Regione Lazio n. 67/2011/PAR del 20 ottobre 2011, di rimessione della questione di massima di particolare rilevanza sulla richiesta presentata dal Comune;
vista la deliberazione della Sezione delle Autonomie n. 11/AUT/2011/QMIG del 4 novembre 2011;
vista l’ordinanza presidenziale del 19 dicembre 2011 n. 18 di deferimento alle Sezioni riunite in sede di controllo della questione prospettata dalla Sezione regionale di controllo nella delibera sopra richiamata;
udito nella camera di consiglio del 22 dicembre 2011, il relatore cons. Vincenzo Palomba;
RITENUTO
Con deliberazione 67/2011/PAR del 20 ottobre 2011, la Sezione regionale di controllo per il Lazio ha deferito alle Sezioni Riunite in sede di controllo, ai sensi dell’art. 17, comma 31, del decreto legge 1 luglio 2008, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102), una pluralità di questioni di massima di particolare rilevanza. I quesiti hanno ad oggetto: a) se sia possibile la reinternalizzazione dei servizi originariamente affidati ad una società in house con conseguente trasferimento nei ruoli del Comune del personale nel frattempo assunto direttamente alla stessa società, in deroga alle disposizioni concernenti i vincoli alle assunzioni e alla evoluzione della spesa per il personale; b) se, in caso positivo, possa ritenersi che le particolari procedure di selezione effettuate per l’assunzione di lavoratori socialmente utili e di lavoratori appartenenti a categorie svantaggiate siano sufficienti ad assicurare il rispetto del principio della concorsualità per l’accesso al pubblico impiego; c) se nei confronti dei lavoratori della società possa trovare applicazione l’art. 2112 del c.c. in materia di mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di ramo di azienda.
La questione di massima proposta dalla Sezione regionale di controllo per il Lazio trae origine da una richiesta di parere formulata dal Sindaco del Comune di Frosinone nella quale si rappresenta che - a seguito di accordi intervenuti tra la Regione Lazio, la Provincia di Frosinone, il Comune di Frosinone e il Comune di Alatri e ad un successivo Protocollo del 4 marzo 2005 - è stata istituita la società “Frosinone Multiservizi S.p.A.” con finalità sociali, economiche, culturali e occupazionali (La società ha per oggetto sociale la cura e la manutenzione del patrimonio immobiliare, la gestione e il controllo della Cosap, il rilascio di autorizzazioni e concessioni nel settore idrico e in settori connessi, la gestione, la manutenzione e la sorveglianza nei parcheggi, la resa dei servizi di disinfestazione, i servizi culturali, i servizi cimiteriali, i servizi di viabilità e arredo urbano, i servizi di manutenzione della segnaletica stradale, la gestione degli asili nido, i servizi di assistenza agli scuolabus, i servizi di prossimità alle famiglie, l’esercizio di ogni altro servizio pubblico e/o di pubblica utilità in settori complementari o affini a quelli già indicati). La composizione della compagine sociale indica che il Comune di Frosinone e la Provincia di Frosinone detengono ciascuno il 20 per cento del capitale sociale; che l’11 per cento è detenuto dal Comune di Alatri mentre il restante 49 per cento è attualmente detenuto dalla Regione Lazio mediante una sua società, interamente partecipata, la “Sviluppo Lazio S.p.A.” (ex “Proteo S.p.A.”). Nella richiesta di parere è inoltre precisato che la società ha proceduto direttamente all’assunzione del personale, in esecuzione della legge regionale 22 luglio 2002, n. 21, recante “Misure eccezionali per la stabilizzazione occupazionale dei lavoratori socialmente utili e di altre categorie svantaggiate di lavoratori nell’ambito delle politiche attive del lavoro”, attraverso una selezione che ha interessato il bacino dei lavoratori socialmente utili presso gli enti soci, in linea con analoghi criteri utilizzati dai Centri per l’impiego per l’avvio al lavoro in profili professionali simili (per lo più corrispondenti a categorie A e B) e che si è fatto ricorso a criteri di selezione e di valutazione basati sull’esperienza professionale in servizi socialmente utili, sull’anzianità di disoccupazione, sull’indicatore Isee e sulla conoscenza di strumenti tecnici in relazione a profili professionali oggetto di specifica valutazione e prova pratica.
Il Sindaco aggiunge che - in considerazione della preannunciata fuoriuscita della Regione Lazio e della Provincia di Frosinone dalla compagine sociale, da un lato, e in relazione a valutazioni in termini di economicità della gestione del servizio, dall’altro - intenderebbe reinternalizzare i servizi con conseguente trasferimento nei ruoli del comune del personale nel frattempo assunto.
Tale soluzione - pur suscettibile, a detta dell’ente, di determinare consistenti risparmi di spesa e pur presentando l’ente un complesso di parametri virtuosi - sarebbe tuttavia incompatibile con le disposizioni di cui all’art. 1, comma 557 della legge n. 296/2006 (da ultimo modificato dalla legge n. 111/2011) – che richiede una progressiva riduzione delle spese di personale - e con l’art. 76, comma 7 della legge n. 133/2008 (da ultimo modificata dalla legge n. 111/2011) che concede agli enti soggetti al patto di stabilità la possibilità di procedere alla assunzione di personale nel solo limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente.
Nella relazione di deferimento, la Sezione regionale - ritenuta la richiesta di parere ammissibile sia dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo – ha richiamato la precedente giurisprudenza della Corte dei conti in materia, sottolineando, tuttavia, la diversità della situazione del Comune di Frosinone, rispetto alle altre fattispecie esaminate, consistente nella richiesta di reinternalizzazione di dipendenti acquisiti direttamente dalla società partecipata in base a procedure selettive riservate a particolari categorie di soggetti svantaggiati e collegate ad un territorio di riferimento. Rispetto ad esse ha, inoltre, sollevato la ulteriore questione circa la possibilità di applicare nei confronti dei lavoratori della società l’art. 2112 del cod. civ. in materia di trasferimento del ramo di azienda, in virtù del richiamo operato dall’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001.
Sul punto è intervenuta anche la Sezione delle Autonomie (deliberazione n. 11 del 4 novembre 2011) nell’ambito della quale sono emersi due indirizzi interpretativi. Il primo indirizzo propende per una interpretazione letterale e quindi rigorosa delle norme che pongono vincoli alle assunzioni di personale, anche alla luce delle modifiche apportate recentemente dalla legge n. 111/2011 che ha compreso le spese del personale delle società partecipate ai fini del computo della incidenza percentuale delle spese di personale con le spese correnti di cui al nuovo art. 76, comma 7 della legge 133/2008.
Con la conseguenza che resta a carico di ciascun ente conferente il limite del 20 per cento delle assunzioni anche nei confronti del personale reinternalizzato, pur appartenente a categorie di lavoratori socialmente utili o a categorie svantaggiate.
Il secondo indirizzo propende per una interpretazione delle norme volte a favorire l’estinzione degli organismi partecipati e la reinternalizzazione dei servizi pubblici specie per quanto riguarda il personale appartenente alle categorie in esame, in relazione alle sottese esigenze di solidarietà sociale. In tale direzione si offre una interpretazione estensiva delle recenti modifiche portate all’art. 76 comma 7 della legge 133/2008 ritenendo che l’inciso, anche se si riferisce in modo diretto alla percentuale di calcolo della spesa di personale, in effetti intenda individuare una dotazione organica complessiva tra ente locale e società partecipata. Tale interpretazione estensiva consentirebbe la reinternalizzazione del personale, fermo il rispetto del rapporto spesa corrente e spesa per il personale nel senso che il limite del 20 per cento riguarderebbe solo le nuove assunzioni non determinate dal processo di reinternalizzazione. Quanto infine all’applicazione analogica dell’art. 2112 cod. civ. anche alle ipotesi di reinternalizzazione, la Sezione ha espresso un diffuso atteggiamento di cautela data la specialità delle disposizioni richiamate.
CONSIDERATO
1. La questione sottoposta all’esame delle Sezioni Riunite ha ad oggetto la possibilità, a seguito della decisione del Comune di reinternalizzare servizi precedentemente affidati ad una società in house, di assumere, in deroga agli attuali vincoli finanziari e assunzionali, il personale reclutato direttamente dalla società in attuazione di misure eccezionali per la stabilizzazione occupazionale dei lavoratori socialmente utili o di altre categorie svantaggiate.
Ulteriori quesiti, riformulati in modo più chiaro dalla Sezione regionale di controllo per il Lazio, concernono inoltre: se in caso di reinternalizzazione di un servizio pubblico e di eventuale trasferimento nei ruoli dell’ente locale del personale precedentemente assunto da una società in house, possa ritenersi che le particolari procedure di selezione effettuate per l’assunzione di lavoratori socialmente utili e di lavoratori appartenenti a categorie svantaggiate siano sufficienti ad assicurare il rispetto del principio della concorsualità per l’accesso al pubblico impiego; e se nei confronti dei lavoratori della società possa trovare applicazione l’art. 2112 del cod. civ. in materia di mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di ramo di azienda.
2. Quanto al primo quesito concernente la possibilità di assumere il personale della società in house in deroga ai limiti di spesa previsti nelle attuali disposizioni, si richiamano le motivazioni contenute nella delibera della Corte dei conti – Sezioni riunite in sede di controllo n. 3 del 2012.
2.1. La soluzione del quesito presuppone una sintetica ricostruzione dell’attuale quadro normativo che, pur nel generale obiettivo del contenimento della spesa pubblica, evidenzia incongruenze e criticità che, per il rilievo costituzionale degli interessi coinvolti e per i rilevanti impatti in tema di finanza pubblica, non sembrano superabili attraverso una interpretazione, sia pur evolutiva, delle norme vigenti, ma necessitano dell’intervento del legislatore.
Premesso che appartiene alla sfera discrezionale della singola amministrazione la scelta concreta delle modalità gestionali più idonee a soddisfare le varie esigenze connesse alle finalità istituzionali, si rileva, a livello normativo, un indirizzo progressivamente più restrittivo in relazione all’affidamento di incarichi esterni alle amministrazioni e in particolare in ordine al processo di esternalizzazione dei servizi propri degli enti territoriali.
Molti sono stati in particolare gli interventi normativi, spesso di difficile interpretazione, aventi ad oggetto le società a partecipazione pubblica, volti a tutelare la concorrenza e le regole del mercato nonché a contenere i costi delle pubbliche amministrazioni. Già a partire dalla legge n. 244/2007 (finanziaria 2008, art. 3, commi 27-32) è stato introdotto il divieto di costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali ed è stato previsto, in caso di assunzione di partecipazioni consentite, l’obbligo di adottare provvedimenti concernenti il trasferimento di adeguate risorse finanziarie, umane e strumentali e di provvedere alla rideterminazione della propria dotazione organica. Tale ultima disposizione ha trovato più ampia applicazione nell’art. 6 bis del d.lgs. n. 165/2001 (introdotto dalla legge n. 69/2009) in base al quale le pubbliche amministrazioni sono state autorizzate ad acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione e di adottare le necessarie misure in materia di personale e di riduzione e di rideterminazione delle dotazioni organiche, avviando i conseguenti processi di riallocazione e di mobilità del personale. Processi di mobilità rafforzati dalla recente legge n. 183/2010 che ha esplicitamente esteso le disposizioni di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 165/2001 al personale adibito ad attività e servizi esternalizzati o trasferiti ad altri soggetti pubblici.
Il possibile ricorso allo schema societario per eludere le normative pubblicistiche in tema di controlli sulla finanza pubblica nonché in tema di tutela della concorrenza, sta alla base della disposizione contenuta nell’art. 14, comma 32 del DL n. 78/2010 (convertito dalla la legge n. 122/2010 e da ultimo modificato dall’art. 16, comma 27 del DL n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011) che ha previsto, da un lato, il divieto di costituzione o partecipazione a società dei comuni con meno di 30.000 abitanti e la possibilità di detenere una sola partecipazione da parte dei comuni fino a 50.000 abitanti e, dall’altro, la messa in liquidazione o la cessione delle partecipazioni nelle società già costituite (con l’eccezione delle società finanziariamente sane).
L’obbligo di liquidazione delle società o di cessione delle relative quote ha trovato ulteriore conferma nel DL n. 98/2011 (convertito dalla legge n. 111/2011) che ha incluso l’attuazione delle operazioni di dismissione delle partecipazioni societarie tra i criteri di virtuosità dei comuni ai fini del rispetto dei vincoli posti dal nuovo patto di stabilità interno. Nella stessa direzione l’art. 5 del successivo DL n. 138/2011 (convertito con dalla legge n. 148/2011) ha introdotto incentivi economici destinati ad investimenti infrastrutturali per gli enti territoriali che procedono, entro il 2012 e il 2013, alla dismissione di partecipazioni azionarie in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico.
Sempre in relazione alla gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica, originariamente esclusi da un espresso obbligo di dismissione, le disposizioni dettate dall’art. 23 bis della legge n. 133/2008 (e dal d.P.R. 168/2010), sostanzialmente rielaborate nell’art. 4 del recente DL n. 138/2011 (convertito dalla legge n. 148/2011), hanno ridisegnato il quadro normativo concernente le procedure di conferimento della gestione a privati. Le nuove regole, nel confermare il precedente sistema, hanno modificato il regime degli affidamenti in house della gestione dei servizi pubblici locali e le relative disposizioni transitorie; hanno confermato l’assoggettamento delle società in house al patto di stabilità interno; hanno esteso alle società a partecipazione pubblica, anche minoritaria, l’obbligo di adottare con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi di cui al d.lgs. n. 165/2001; sembrano, infine, aver affievolito, in linea con la più recente giurisprudenza amministrativa, il divieto delle gestioni dirette dei servizi pubblici locali da parte degli enti locali.
Tale nuovo quadro ordinamentale - sostanzialmente improntato ad un disfavore verso l’affidamento all’esterno di servizi e attività considerate non strategiche (o comunque non compatibili con le finalità istituzionali dell’ente locale) ed al recupero di una effettiva concorrenzialità nell’affidamento di servizi di rilevanza economica - si riconduce, nell’attuale contingenza, ad un più ampio sforzo di contenimento delle spese correnti del settore, diretto ad evitare il rischio di un ulteriore peggioramento dei saldi di finanza pubblica.
Si tratta di un obiettivo cui sostanzialmente rispondono anche i principi generali che ispirano il legislatore in materia di spese per il personale degli enti locali che soggiacciono ai vincoli del patto di stabilità interno. Le disposizioni attualmente vigenti prevedono infatti, da un lato, l’obbligo di ridurre annualmente la spesa per il personale (commi 557, 557 bis e 557 ter dell’art. 1 della legge 296/2006 come successivamente più volte modificato) e, dall’altro, la necessità di rispettare un rapporto strutturale tra spese del personale e spese correnti, cui si riconduce la possibilità di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente. Ai fini del computo di detta percentuale si calcolano anche le spese sostenute dalle società a partecipazione pubblica locale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale non avente carattere industriale né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica (art. 20, comma 9 del DL n. 98/2011, convertito dalla legge n. 111/2011).
La rigida applicazione di tali disposizioni pone seri limiti agli enti locali nella scelta organizzativa più idonea nella gestione dei servizi e delle attività connesse alle attività istituzionali, atteso che – come sottolineato dalla Sezione remittente – la possibilità di reinternalizzare un servizio precedentemente affidato all’esterno, pur se più economica, efficiente ed efficace, è destinata comunque ad incidere sulla complessiva voce di spesa per il personale se questa non può essere rapportata anche alla spesa sostenuta allo stesso titolo nell’altra forma organizzativa.
Tale criticità, inoltre, emerge proprio nell’ambito degli enti locali più virtuosi che, oltre a presentare parametri contabili ottimali, hanno correttamente trasferito personale, risorse e beni strumentali alla società affidataria, provvedendo nel contempo alla necessaria riduzione delle spese per il personale e alla rideterminazione delle piante organiche. A fronte di una dotazione organica fortemente ridimensionata sotto il profilo numerico e finanziario, la necessità di rispettare i vincoli di finanza pubblica potrebbe, pertanto, condizionare la stessa gestione diretta del servizio pur essendo tale forma suscettibile di realizzare una minor spesa.
2.2. Pur nella piena consapevolezza di tali obiettive criticità del sistema, questo Collegio non può discostarsi da una linea interpretativa coerente con la natura vincolante delle norme introdotte dal legislatore statale in materia di contenimento della spesa per il personale che rispondono – come più volte ribadito anche dalla Corte Costituzionale - a imprescindibili esigenze di riequilibrio della finanza pubblica per ragioni di coordinamento finanziario, connesse ad obiettivi nazionali ancorati al rispetto di rigidi obblighi comunitari.
Le citate disposizioni di natura cogente, qualora non sottoposte al vaglio costituzionale, non appaiono inoltre meramente disapplicabili alla luce dei principi aziendalistici di efficienza, efficacia ed economicità che, sia pur codificati nella legge 241/1990, rappresentano principi generali sul procedimento amministrativo non estensibili alle leggi che disciplinano in modo peculiare un determinato ambito. Si tratta infatti di principi che operano come vincolo finalistico e come parametro di valutazione della sfera discrezionale dell’azione amministrativa della quale consentono il sindacato sotto il profilo dell’eccesso di potere; giudizio, questo, di complessa valutazione, che attiene, all’adeguamento dei mezzi impiegati al risultato da raggiungere, all’economicità complessiva dell’azione amministrativa, alla snellezza, tempestività e celerità nel conseguimento degli scopi istituzionali. Valutazioni che, nell’ipotesi all’esame, si sostanziano non solo nel prospettato risparmio derivante dalla cessione delle partecipazioni societarie, ma che presuppongono – come già evidenziato in altra sede dalla Corte (Sezione regionale di controllo per il Lazio, deliberazione n. 8/2010) – un più analitico confronto tra i costi attualmente sostenuti dalla società per rendere i servizi ad essa affidati con i costi che il Comune dovrebbe sostenere per la gestione diretta; costi che non si esauriscono nella sola spesa per il personale, attesa la necessità di valutare anche la qualità dei servizi erogati, il diverso grado di efficienza nello svolgimento delle attività rese, nonché tutte le conseguenze di una scelta gestionale diversa.
2.3. Merita in ogni caso di essere debitamente segnalata, in una prospettiva de iure condendo, l’interpretazione più favorevole alla reinternalizzazione delle attività e dei servizi proposta dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia, e precisata dalla Sezione delle autonomie, alla luce delle modifiche introdotte dal citato art. 20, comma 9 del DL n. 98/2011 (convertito dalla legge n. 111/2011) e, più in generale, dell’avviato processo di consolidamento dei conti degli enti locali con quelli dei propri enti ed organismi strumentali, aziende, società controllate e partecipate. In tale ambito, come già prospettato dalla stessa Sezione regionale di controllo per la Lombardia nel parere n. 1014/2010, il criterio che dovrebbero seguire gli enti locali nel confrontare il volume della spesa per il personale riferita ad annualità diverse e sostenuta in differenti forme organizzative (gestione diretta o gestione esternalizzata) sarebbe quello di ricondurre ad omogeneità le due grandezze da comparare, attraverso una riclassificazione delle voci, tale da verificare se si è in presenza di una politica di contenimento ovvero di espansione.
Detta operazione – che consentirebbe di valutare il rispetto dei vincoli finanziari e assunzionali sulla base del consolidamento delle voci di spesa del personale e, conseguentemente, di una dotazione organica complessiva – dovrebbe, tuttavia, trovare applicazione limitatamente a quei casi in cui – a seguito della esternalizzazione – sia stata ridotta o, comunque, sterilizzata la dotazione organica del personale dell’ente locale in misura omogenea alla riduzione delle funzioni esternalizzate e siano state ridotte le disponibilità destinate alla contrattazione integrativa. Dovrebbero restare in ogni caso interamente vigenti – sia pur riferiti alle voci consolidate – gli attuali vincoli imposti alle autonomie territoriali quali: il rispetto del patto di stabilità interno, la progressiva riduzione della spesa corrente (art. 1, comma 557, della legge 296/2006 e successive modifiche), il rapporto tra le spese di personale e le spese correnti inferiore al 50 per cento (art. 76 della legge 133 del 2008 e successive modifiche), il limite alle assunzione nell’ambito del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente.
2.4. Osta tuttavia ad una immediata applicazione di tale interpretazione, in primo luogo, la ampia difformità delle soluzioni organizzative adottate dagli enti locali, atteso che, allo stato, una interpretazione estensiva si attaglierebbe esclusivamente alle gestioni affidate direttamente a società interamente partecipate che svolgono la propria attività esclusivamente per l’ente controllante.
Una più generale applicazione anche in ambiti societari diversi trova ulteriori ostacoli nell’ancora sperimentale processo di consolidamento dei conti che, in base al DPCM 28 dicembre 2011, dovrebbe condurre alla redazione del primo bilancio consolidato del “gruppo dell’amministrazione pubblica”; nella, ancora parziale, definizione delle modalità di calcolo della spesa di personale degli enti e delle società partecipate ai fini del rispetto dei vincoli stabiliti dall’art. 76, comma 7 della legge 133/2008 come modificata dalla citata legge n. 111/2011 (la recente deliberazione n. 14/2011 della Sezione delle autonomie suggerisce, nell’attesa della definizione di uno schema di bilancio consolidato, un criterio metodologico limitato alle società interamente partecipate e da valutare nei diversi casi concreti che si potrebbero presentare); nella verifica dell’effettiva applicazione alle società partecipate del regime assunzionale previsto per l’amministrazione controllante (art. 18, comma 1 della legge 133/2008, come integrato dall’art. 4, comma 17 del DL n. 138/2011 convertito dalla legge n. 148/2011); nel rinvio dell’assoggettamento alle regole del patto di stabilità interno delle società a partecipazione pubblica locale, totale o di controllo, in attesa dell’adozione del decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, concernente le modalità e la modulistica (art. 18, comma 2bis della legge n. 133/2008 inserito dall’art. 19 della legge n. 102/2009 e modificato dall’art. 4, comma 14 del DL n. 138/2011 convertito dalla la legge n. 148/2011); nello slittamento al 2013 della valutazione dei parametri di virtuosità degli enti locali (tra cui l’incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente, in relazione anche alle funzioni esternalizzate) prevista nella disciplina del nuovo patto di stabilità interno (art. 20 della legge n. 111/2011).
2.5. In conclusione, alla luce del complesso degli adempimenti, alcuni dei quali ancora in itinere, volti a razionalizzare il variegato portafoglio societario degli enti locali e contenere l’evoluzione delle spese correnti effettuate da soggetti, di fatto, attualmente esclusi dal patto di stabilità interno, non appare, allo stato, possibile avvalorare una interpretazione non rigorosa delle disposizioni vincolistiche in materia di spesa del personale. Tale operazione, infatti, effettuata sulla base di una ancora incerta metodologia di consolidamento delle voci di spesa degli enti locali e delle società partecipate, è suscettibile, da un lato, di “cristallizzare” un ammontare di spesa conseguente a gestioni non improntate a principi di economicità gestionale e, dall’altro, attesa la non esaustiva classificazione di tutte le società partecipate dagli enti locali nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (come individuato dall’ISTAT ai sensi del comma 5 dell’art. 1 della legge n. 311/2004), rischia di provocare impatti non previsti in tema di saldi di finanza pubblica.
3. La soluzione data al primo quesito, contraria alla possibilità di assumere il personale della società in house in deroga ai limiti di spesa per il personale previsti nelle attuali disposizioni, assorbe sostanzialmente le altre questioni di massima in ordine alle quali, peraltro, il Collegio ritiene opportuno esprimere il proprio avviso.
3.1. In relazione alla possibilità che venga trasferito nei ruoli dell’ente locale personale precedentemente assunto da una società in house, risultano attualmente, nell’ambito della giurisprudenza della Corte dei conti, posizioni di netta chiusura dettate dalla pervasività e pregnanza dei principi che regolano l’accesso al pubblico impiego ed interpretazioni meno rigide. In tale ambito, tuttavia, viene prevista, da un lato, la possibilità di reintegrare nei ruoli o nelle mansioni il personale pubblico già in servizio presso l’ente e trasferito alla società per effetto della esternalizzazione del servizio o della funzione (personale che, transitando dai ruoli dell’ente locale, si presume sia stato assunto nel rispetto delle procedure selettive pubbliche previste dalla legge per l’instaurazione del rapporto di pubblico impiego) e, dall’altro, solo il personale assunto direttamente dalla società partecipata sulla base di procedure aperte di selezione pubblica, le sole idonee a valutare le competenze dei candidati. Il principio di concorsualità nell’accesso a pubbliche funzioni - normativamente previsto dall’art. 35 del d.lgs. n. 165/ 2001 e ribadito dall’art. 17, comma 10 del DL n. 78/2009 (convertito dalla legge n. 102/2009) che detta le condizioni e i presupposti per procedere a nuove assunzioni – trova, del resto, conferma nella costante e uniforme giurisprudenza costituzionale che àncora tale assunto al rispetto del principio di buon andamento, sancito dall’art. 97, terzo comma della Costituzione, e ne circoscrive in modo rigoroso le ipotesi di deroga (Corte Costituzionale sentenze 52/2011 e 293/2009).
L’applicazione di tale principio si rinviene inoltre negli interventi legislativi succedutesi negli anni e tesi a garantire il requisito dell’espletamento di procedure concorsuali anche nel caso di reclutamenti speciali (art. 3, comma 90 della legge n. 244/2007) nonché nelle più recenti disposizioni che estendono anche alle società pubbliche il rispetto dei principi dettati dall’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001 per il reclutamento del personale e il conferimento degli incarichi (art. 18, comma 1 della legge n. 133/2008).
Proprio con riferimento alle procedure di stabilizzazione di personale appartenente al bacino dei lavoratori socialmente utili, la più recente giurisprudenza costituzionale, nell’evidenziarne il contrasto con la disciplina dettata dal citati art. 35 del d.lgs. n. 165/2001 e 17, commi 10 del DL n. 78/2009 (convertito dalla legge n. 102/2009), ha ammesso la stabilizzazione di contratti di lavoro precario, in deroga al principio del concorso pubblico di cui all’art. 97 della Costituzione, solo entro limiti percentuali tali da non pregiudicare il prevalente carattere aperto delle procedure di assunzione nei pubblici uffici (Corte Costituzionale, sentenza 108/2011) e solo nel caso ricorrano esigenze particolari e sia comunque garantita la professionalità dei prescelti. La Corte Costituzionale non ha, inoltre, ritenuto sufficiente l’utilizzo di procedure in ogni caso selettive degli stabilizzandi. “Il richiamo a tali procedure infatti non elimina il contrasto con l’art. 97 della costituzione in quanto il concorso pubblico richiesto dal precetto costituzionale è cosa diversa rispetto a generiche procedure selettive. Esso è infatti una procedura aperta a tutti (stabilizzandi o no che siano) che sfocia nell’assunzione dei più meritevoli; le seconde, invece, consistono in accertamenti relativi alle capacità professionali dei soli appartenenti alle categorie di stabilizzandi individuate dalle norme regionali” (Corte Costituzionale, sentenza 67/2011).
Alla luce di tali considerazioni e in disparte ogni valutazione in ordine alle procedure di stabilizzazione adottate dalla società “Frosinone Multiservizi S.p.A.” in attuazione della legge regionale 21/2002, il Collegio ritiene, in conformità alla prevalente giurisprudenza, che nel caso in esame – trasferimento all’ente locale di personale assunto direttamente dalla società affidataria di servizi – non possa derogarsi al principio costituzionale del pubblico concorso di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001. Procedura, questa, non fungibile con i sistemi selettivi seguiti dalla società in house, limitati ai soli soggetti stabilizzandi individuati dalla legge regionale e solo in parte idonei ad offrire le migliori garanzie di selezione dei più capaci in funzione dell’efficienza della stessa pubblica amministrazione.
3.2. In relazione, infine, alla questione concernente l’applicazione dell’art. 2112 del cod. civ. in materia di mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di ramo di azienda nei confronti del personale della società partecipata dal Comune, si richiama l’art. 31 del d.lgs. n. 165/2001, che, nel disciplinare il passaggio di dipendenti per effetto del trasferimento di attività, stabilisce: “fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applica l’art. 2112 cod. civ. e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui all’art. 47, commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428”.
In disparte le valutazioni circa la concreta applicazione della normativa in materia di mobilità collettiva obbligata al caso di specie – di competenza di altro giudice – può, in questa sede, rilevarsi un orientamento restrittivo circa l’applicabilità diretta dell’art. 2112 cod. civ. alle ipotesi di reinternalizzazione del servizio già affidato a società a prevalente partecipazione pubblica e a totale partecipazione pubblica plurisoggettiva. La portata applicativa della disciplina sembrerebbe, infatti, conformarsi alle sole ipotesi di esternalizzazione dei servizi pubblici e non ai processi inversi di riespansione della gestione diretta, con conseguente abbandono delle politiche di “outsourcing” da parte dell’ente locale. Anche in tal caso il principale ostacolo si rinviene nel rispetto, per il personale assunto dalla società in house, del principio dell’accesso concorsuale al pubblico impiego ai sensi dell’art. 97, comma 3 della Costituzione; ciò in base alla giurisprudenza costituzionale e alla normativa in tema di stabilizzazione del precariato nella pubblica amministrazione e di assunzione del personale delle società a partecipazione pubblica, già citate nella soluzione dei precedenti quesiti, nonché, alla luce del principio desumibile dalla disposizione (art. 76, comma 8 della legge n. 133/2008) – dettata invero solo per le camere di commercio e le relative aziende speciali - che esclude espressamente il passaggio alle camere di commercio del personale assunto direttamente dalle aziende se non previa procedura concorsuale e il rispetto del contingente delle assunzioni disposto dalla normativa vigente.
Ne consegue, pertanto, che il personale assunto direttamente dalla società a totale partecipazione pubblica locale, senza il ricorso alle procedure aperte di selezione pubblica, come nelle ipotesi in esame, non può essere in alcun modo ricondotto nella disciplina di salvaguardia posta dagli artt. 31 del d.lgs. n. 165/2001 e 2112 cod. civ. a pena di violazione del principio sancito dall’art. 97, comma 3, della Costituzione. Va infine per completezza ricordato, anche alla luce della disciplina comunitaria cui risponde l’art. 2112 cod. civ., che per trasferimento d’azienda si intende qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conservi, nel trasferimento, la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato.
Resta pertanto esclusa dalla disciplina in questione, da un lato, la semplice circolazione del pacchetto azionario (Corte Cassazione sentenza n. 9251 del 18 aprile 2007) e, dall’altro, un’attività di riorganizzazione amministrativa o di trasferimento di funzioni amministrative tra enti pubblici. Anche in ordine alla configurazione di un trasferimento di azienda o di un ramo di essa, la valutazione se l’entità economica abbia conservato la propria identità successivamente alla cessione non si limita alle sole attività affidate ma presuppone una uniformità organizzativa che emerge anche dal personale che la compone e dal suo inquadramento, dall’organizzazione del lavoro, dai metodi di gestione e dai beni e i mezzi a disposizione. Tutti questi elementi devono essere valutati attentamente proprio nelle ipotesi, come quella in questione, ove un ente pubblico riprenda una attività precedentemente esercitata da una persona giuridica di diritto privato sulla base di criteri di gestione, esercizio e funzionamento in parte diversi. Tali approfondimenti risultano preliminarmente indispensabili nel caso in cui il Comune di Frosinone decida la riassunzione dei servizi attualmente affidati alla società “Frosinone Multiservizi S.p.A”, attesa la notevole ampiezza dell’oggetto sociale che spazia da attività effettivamente di natura imprenditoriale, ad attività di carattere squisitamente amministrativo, a servizi di supporto gestionale e genericamente ad ogni servizio pubblico e o di pubblica utilità in settori complementari e affini.
P.Q.M.
le Sezioni Riunite, in relazione alle questioni di massima sollevate dalla Sezione regionale di controllo per il Lazio, ritengono:
- che l’ente locale, in caso di reinternalizzazione di servizi precedentemente affidati a soggetti esterni, non possa derogare alle norme introdotte dal legislatore statale in materia di contenimento della spesa per il personale, trattandosi di disposizioni, di natura cogente, che rispondono a imprescindibili esigenze di riequilibrio della finanza pubblica per ragioni di coordinamento finanziario, connesse ad obiettivi nazionali ancorati al rispetto di rigidi obblighi comunitari;
- che, in caso di trasferimento all’ente locale di personale assunto direttamente dalla società affidataria di servizi, non possa derogarsi al principio costituzionale del pubblico concorso di cui è espressione anche l’art. 35 del d.lgs n. 165/2001; procedura, questa, non fungibile con sistemi selettivi limitati ai soli soggetti stabilizzandi e solo in parte idonei ad offrire le migliori garanzie di selezione dei più capaci in funzione dell’efficienza della stessa pubblica amministrazione;
- che la disciplina di salvaguardia posta dagli artt. 31 del d.lgs. n. 165/2001 e 2112 cod. civ. non possa trovare applicazione, a pena di violazione del principio sancito dall’art. 97, comma 3, della Costituzione, nei confronti del personale assunto direttamente dalla società a totale partecipazione pubblica locale senza il ricorso alle procedure aperte di selezione pubblica.
Dispone che, a cura della Segreteria delle Sezioni riunite, copia della presente deliberazione e del relativo allegato, sia trasmessa alla Sezione regionale di controllo per la Regione Lazio per le conseguenti comunicazioni all’Ente interessato, nonché alla Sezione delle Autonomie, alle Sezioni riunite per la Regione siciliana ed alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.
IL RELATORE IL PRESIDENTE
Vincenzo Palomba Luigi Giampaolino
Depositato in segreteria
il 3 febbraio 2012
IL DIRIGENTE
Patrizio Michetti
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