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TAR Lombardia, Milano, sez. I, 15/2/2012 n. 539
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, c. 4, del d.lgls n. 93/2011, che inibisce di procedere a gara nel settore della distrib. del gas, fino a che non siano divenuti operativi gli ambiti territoriali.

E' rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, c. 4, del d.lgl. 1 giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE), che inibisce di procedere a gara nel settore di specie, fino a che non siano divenuti operativi gli ambiti territoriali di cui all'art. 46 bis, c. 2, del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale) in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

Materia: gas / disciplina

N. 00539/2012 REG.PROV.COLL.

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 2423 del 2011, proposto da:

Enel Rete Gas S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Via Larga, 23

 

contro

Comune di Corbetta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Sergio Cesare Cereda e Marco Radice, con domicilio eletto presso il primo in Milano, Via San Simpliciano, 5

 

per l'annullamento

del bando di gara della procedura aperta per l"affidamento in concessione del servizio pubblico di distribuzione del gas metano nel territorio del Comune di Corbetta pubblicato sulla GURI in data 4.7.2011; del disciplinare di gara; di tutti gli atti della gara; di ogni altro atto o provvedimento preordinato, consequenziale o comunque connesso, nonché per la condanna al risarcimento del danno.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Corbetta;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2012 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

 

1. Con ricorso ritualmente notificato il 29 luglio 2011 e tempestivamente depositato Enel Rete Gas s.p.a., allo stato concessionaria del servizio di distribuzione del gas naturale presso il Comune di Corbetta in virtù di un risalente affidamento disposto senza gara, ha impugnato gli atti ed il bando della procedura ad evidenza pubblica indetta da tale ultima amministrazione nell’anno 2011 ai fini di un nuovo affidamento del servizio su base comunale, chiedendone l’annullamento e formulando altresì domanda di risarcimento danni.

La ricorrente ha svolto argomentazioni basate sul diritto dell’Unione, la normativa nazionale e l’atto convenzionale che ne regola i rapporti con il Comune di Corbetta, che debbono essere riassunte, per quanto rileva ai fini della presente ordinanza, in due censure: con la prima, si sostiene che l’art. 24, comma 4, del d.lgl. 1 giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE) inibisce di procedere a gara nel settore di specie, fino a che non siano divenuti operativi gli ambiti territoriali di cui all’art. 46 bis, comma 2, del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale); con la seconda censura, si aggiunge che in ogni caso il Comune si sarebbe impegnato contrattualmente a non bandire la gara, fino a che ciò fosse stato reso possibile dalla costituzione dei suddetti ambiti territoriali. Tale vincolo contrattuale sarebbe stato assunto con atto intercorso tra le parti il 15 dicembre 2010, recante modifiche all’originario contratto di concessione.

Nel costituirsi in giudizio e nel resistere alla domanda, il Comune di Corbetta ha invece eccepito la “carenza di legittimazione” di Enel Rete Gas s.p.a., posto che quest’ultima, con l’atto appena citato, avrebbe rinunciato ad impugnare in giudizio l’indizione di una nuova gara allo spirare del termine della concessione (31/12/2010).

L’eccezione, in linea astratta suscettibile di incidere sulle condizioni di instaurazione del giudizio principale, non ha fondamento: è assorbente considerare che l’art. 4 dell’atto modificativo del 15 dicembre 2010 prevede che “la società concessionaria rinuncia (…) a sollevare qualunque pretesa in relazione alla possibilità di bandire (la) gara ai sensi del comma 3 dell’art. 46 bis del d.l. 159/07”: la rinuncia ha dunque ad oggetto le sole procedure mirate all’ambito territoriale sovra-comunale, tra cui non rientra l’odierna gara.

Per contro, con riferimento a tale tipologia “individuale” di gara, può rilevarsi che la convenzione modificativa del 15 dicembre 2010 non apporta vantaggi neppure alla ricorrente, poiché, contrariamente a quanto affermato da quest’ultima e a quanto costituisce dunque il succo della seconda censura, il Comune non ha garantito che il servizio “sarebbe stato affidato solo a seguito dell’individuazione degli ambiti territoriali minimi”, essendosi invece riservato la facoltà di indire gara “in vista del termine finale del 31.12.2012”: tale clausola può e deve essere interpretata nel senso che la gara possa in tal caso intervenire su base individuale, anche in difetto di costituzione dell’ambito territoriale (né parte ricorrente ha posto in discussione gli effetti temporali della delibera comunale di indizione della gara, avendo invece solo postulato erroneamente il radicale divieto di procedere prima dell’entrata in funzione dell’ambito territoriale).

Tale profilo rende superflua ogni ulteriore considerazione sulla validità di clausole contrattuali, con cui un’amministrazione si sottragga all’obbligo normativo di procedere a gara per l’affidamento di un servizio pubblico di interesse comunitario.

Il Tribunale ritiene pertanto che la sola censura in linea astratta meritevole di accoglimento verta sulla violazione del citato art. 24, comma 4, del d.lgl. n. 93 del 2011. Allo scopo di chiarire il punto, si rende opportuna una breve premessa normativa.

L’obbligo di affidare il servizio pubblico di distribuzione del gas naturale mediante gara ed i termini entro cui tale attività va posta in essere, anche con riferimento alle concessioni in vigore e che abbiano valicato il cd. periodo transitorio di tolleranza, si rinviene a tutt’oggi negli artt. 14 e 15 del d.lgl. 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’art. 41 della L. 17 maggio 1999, n. 144), come si deduce anche dall’art. 4, comma 34, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo). I termini, peraltro, a talune condizioni (che ricorrono tutte nel caso di specie) sono stati prorogati per effetto dell’art. 23, commi 1 e 2, del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273 (Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti) non oltre il 31 dicembre 2010, data a partire dalla quale il servizio va nuovamente affidato mediante procedura ad evidenza pubblica (salva l’ipotesi di cui al comma 9 dell’art. 15 del d.lgl n. 164 del 2000, estranea all’odierna fattispecie).

In tale quadro normativo è sopraggiunto l’art. 46 bis del d.l. n. 159 del 2007, prevedendo che le gare possano svolgersi anche a livello sovra-comunale, con riguardo ad ambiti territoriali minimi riferiti a bacini ottimali di utenza, selezionati in base a criteri di efficienza e riduzione dei costi (comma 2). Tale obiettivo presuppone un’attività normativa secondaria volta all’identificazione degli ambiti territoriali e dei criteri di gara (comma 1), alla quale il Governo avrebbe dovuto provvedere celermente, e non oltre un anno dall’entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 159 del 2007, al fine di consentire l’espletamento della gara entro i due anni successivi all’individuazione dell’ambito territoriale (comma 3).

Tuttavia, tale normativa non ha inciso sulla potestà comunale di bandire la gara “individuale” nelle more dell’approvazione dei criteri richiesti: la giurisprudenza amministrativa ha infatti condivisibilmente affermato che la pendenza della procedura di realizzazione degli ambiti territoriali non avrebbe comportato la proroga delle concessioni cessate di efficacia, né impedito che esse fossero riassegnate isolatamente dal Comune interessato, una volta scadute (da ultimo, Tar Umbria, sez. I, sentenza n. 1 del 2011). Per di più, si è ritenuto che il ricorso all’ambito territoriale minimo sia per il singolo Comune meramente facoltativo, atteso che lo stesso art. 46 bis del d.l. n. 159 del 2007 aveva previsto “misure per l’incentivazione” delle operazioni di aggregazione tra amministrazioni comunali (in questo senso, da ultimo, Cons. Stato, sez. V. sent. n. 2 del 2011).

Sulla base di tali elementi legislativi e giurisprudenziali, non è dubbio che il Comune di Corbetta potesse indire la gara a livello comunale, senza che ne fosse impedito, né normativamente, né in base al principio di buon andamento della pubblica amministrazione, dal fatto che gli ambiti territoriali non fossero ancora stati definiti dal Governo.

Infatti, scaduto il termine originariamente fissato a tale ultimo fine dall’art. 46 bis citato (e prorogato al 31 dicembre 2012 per effetto dell’art. 15, comma 1, lett. a) bis del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, da ritenersi oggi abrogato a seguito della consultazione referendaria avente ad oggetto l’art. 23 bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, nel cui corpo era stata inserita la proroga), va dato atto che solo con D.M. 19 gennaio 2011, pubblicato il 31 marzo 2011, ed entrato in vigore il giorno successivo, sono stati elencati gli ambiti territoriali minimi, mentre da ultimo, e posteriormente all’indizione della gara per cui è causa, è sopraggiunto il D.M. 18 ottobre 2011, con cui si è completata la procedura attraverso l’aggregazione dei Comuni per ambito territoriale.

È dunque solo con l’art. 3.3 del D.M. 19 gennaio 2011 che i Comuni vengono privati della potestà di procedere a gara individuale in attesa della realizzazione degli ambiti territoriali, con previsione di carattere regolamentare palesemente illegittima, in quanto contraria all’art. 46 bis citato: con essa, infatti, si era reso da facoltativo ad obbligatorio l’affidamento del servizio in base ai bacini ottimali, prescrivendo un effetto sospensivo delle gare escluso, invece, dal combinato disposto dell’art. 46 bis da un lato, e degli artt. 14 e 15 del d.lgl. n. 164 del 2000 dall’altro.

In ogni caso, nell’ipotesi a giudizio la norma secondaria non viene in alcun rilievo, in quanto interamente superata dall’art. 24, comma 4, del d.lgl. n. 93 del 2011, entrato in vigore il 29 giugno 2011, a mente del quale “gli enti locali che, per l'affidamento del servizio di distribuzione di gas naturale, alla data di entrata in vigore del presente decreto, in caso di procedura di gara aperta, abbiano pubblicato bandi di gara, o, in caso di procedura di gara ristretta, abbiano inviato anche le lettere di invito, includenti in entrambi i casi la definizione dei criteri di valutazione dell'offerta e del valore di rimborso al gestore uscente, e non siano pervenuti all'aggiudicazione dell'impresa vincitrice, possono procedere all'affidamento del servizio di distribuzione di gas naturale secondo le procedure applicabili alla data di indizione della relativa gara. Fatto salvo quanto previsto dal periodo precedente, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le gare per l'affidamento del servizio di distribuzione sono effettuate unicamente per ambiti territoriali di cui all'articolo 46-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222.

Nel caso di specie, il bando di gara, spedito il 30 giugno 2011, è stato pubblicato il 4 luglio successivo: è dunque pacifico che l’ultimo periodo della disposizione appena citata si applichi alla procedura oggetto di impugnativa ed impedisca, con previsione univoca dal punto di vista letterale e logico, di indire gare, anche con riferimento ad affidamenti esauritisi, fino all’effettiva operatività degli ambiti territoriali minimi.

È stato così conseguito l’effetto che la giurisprudenza aveva escluso con riferimento all’art. 46 bis, e si è inoltre reso doveroso per gli enti locali l’affidamento comune del servizio, che, nelle originarie scelte del legislatore, era invece meramente facoltativo.

Ove il Tribunale dovesse fare applicazione dell’art. 24, comma 4, citato il ricorso sarebbe pertanto fondato e gli atti di gara andrebbero annullati.

2. In via preliminare, al fine di motivare sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale che il Tribunale intende sollevare con la presente ordinanza, va escluso che l’art. 24, comma 4, debba venire non applicato per contrasto con il principio di libertà di concorrenza vigente nell’ordinamento dell’Unione e con le libertà fondamentali garantite dal Trattato, quanto alla circolazione di lavoratori, servizi e capitali, secondo quanto richiesto invece dalla difesa comunale.

Parte resistente lamenta, infatti, che il blocco pro tempore delle procedure pubbliche di affidamento del servizio implichi una lesione del diritto dell’Unione sotto i profili appena indicati, in un settore che ricade nelle competenze materiali dell’ordinamento comunitario.

Il Tribunale osserva che una temporanea compressione nell’accesso al mercato, indotta da scelte legislative giustificate da “circostanze oggettive”, quali la “necessità di rispettare” i principi che sono parte integrante dell’ordinamento giuridico comunitario, è già stata ritenuta compatibile con il diritto dell’Unione proprio nel settore della distribuzione del gas naturale (Corte di Giustizia, sez. II, sentenza C. 347 del 2008).

Nel caso di specie, non è negabile che il diritto dell’Unione, in presenza di un servizio pubblico di interesse generale, si faccia carico non soltanto dell’esigenza che esso venga affidato in un mercato concorrenziale, ma anche della necessità di assicurarne l’efficienza e la qualità, secondo le scelte discrezionali degli Stati membri. La stessa direttiva n. 2009/73/CE del 13 luglio 2009 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE) si ispira all’obiettivo di garantire “maggiore efficienza” e “più elevati livelli di servizio” (punto 1 del considerando), incidendo sugli obblighi relativi al pubblico servizio e sulla tutela dei consumatori (art. 3).

In questo contesto normativo si inserisce la scelta del legislatore dell’art. 46 bis del d.l. n. 159 del 2007, intesa a consentire in via preferenziale l’affidamento con riguardo a bacini territoriali ritenuti ottimali sotto i profili appena accennati, e si giustifica, limitatamente a tale punto, la decisione del legislatore delegato di sospendere le gare, fino a che ciò non sia possibile.

Naturalmente, dovendosi compiere un bilanciamento che non rechi troppo gravoso sacrificio alla libertà di concorrenza, una paralisi sine die non potrebbe ritenersi consentita: tuttavia, sul piano normativo, si è già osservato che fin dall’art. 46 bis del d.l. n. 159 del 2007 era stato fissato un termine, per quanto meramente sollecitatorio, al fine di realizzare gli ambiti territoriali minimi, e che, scaduto quello, un nuovo termine, ora abrogato, era stato introdotto dall’art. 15, comma 1, del d.l. n. 135 del 2009. Pertanto, l’assetto legislativo vigente obbliga il Governo a provvedere celermente per conseguire l’obiettivo. E difatti l’anno 2011 ha segnato una forte accelerazione su questo piano, posto che sono stati approvati, come supra segnalato, i D.M. 19 gennaio e 18 ottobre 2011 di istituzione degli ambiti territoriali, mentre il regolamento recante i criteri di gara è sopraggiunto da lì a poco (D.M. 12 novembre 2011, n. 226).

Per completezza, bisogna dare atto che, completato oramai il necessario quadro normativo, pur tuttavia i termini indicati dall’allegato 1 al D.M. n. 226 del 2011 ai fini dell’effettiva entrata in funzione del sistema per ambiti territoriali sono tutt’altro che rassicuranti, giacché sono tali da permettere il congelamento delle gare per un periodo che può raggiungere, per certe Province, i 49 mesi (42 più 7, alla luce dell’art. 3): si tratta, però, di termini finali, sicché non solo è auspicabile, ma diviene doveroso che essi siano accorciati dalle amministrazioni coinvolte, al fine di scongiurare una lesione della libera concorrenza nel settore del gas naturale, indotta dalla sospensione delle gare per lungo tempo (peraltro, nella parte in cui tali termini travalicano il limite di due anni indicato dall’art. 46 bis del d.l. n. 159 del 2007, ne è anche dubbia la legittimità).

Tale profilo, peraltro ascrivibile non già alla norma impugnata, ma alle previsioni della fonte secondaria, non è tuttavia di immediata attualità e lesività, cosicché, allo stato e riservato il giudizio su casi futuri, si dimostra inadeguato a cagionare l’incompatibilità comunitaria dell’art. 24, comma 4.

Ciò detto, è decisivo considerare da ultimo che l’art. 24, comma 4, del d.lgl. n. 93 del 2011 non ha affatto aggravato uno stato di proroga delle concessioni in essere imposto in attesa di attivare gli ambiti territoriali, giacché si è già rimarcato che la giurisprudenza aveva escluso ogni effetto sospensivo delle nuove gare, legato all’art. 46 bis del d.l. n. 159 del 2007. La novella legislativa, che fa salve le procedure di evidenza pubblica già avviate, induce perciò un blocco che si origina con l’entrata in vigore dell’art. 24, comma 4, e che è destinato a risolversi, secondo le intenzioni del legislatore, in tempi rapidi.

Alla luce di tali considerazioni, il sacrificio recato alla libertà di concorrenza è temporaneo, minimo e proporzionato rispetto all’obiettivo di qualità ed efficienza del servizio, avente anch’esso dignità comunitaria. Naturalmente, ove tali condizioni venissero meno a causa di ulteriori impedimenti sulla via dell’attuazione del sistema basato sugli ambiti territoriali, tale conclusione potrebbe mutare, avuto riguardo agli effetti concreti che la normativa nazionale avrebbe prodotto in danno delle libertà garantite dall’ordinamento dell’Unione. Ma, allo stato, il Tribunale esclude che l’art. 24, comma 4, del d.lgl. n. 93 del 2011 sia in contrasto con il diritto dell’Unione, e vada perciò non applicato in causa (e ciò a prescindere dal problema concernente la potestà di non applicare disposizioni di legge ritenute in conflitto non solo con le quattro libertà fondamentali dell’Unione e con le norme self-executing, rispetto alle quali tale potestà è indiscussa, ma anche con i principi generali dell’ordinamento comunitario: in ogni caso, l’evidenza delle conclusioni raggiunte dal Tribunale in merito renderebbe manifestamente infondata la relativa eccezione di illegittimità costituzionale, basata sulla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.).

In conclusione, il Tribunale, ritenuta la propria giurisdizione e competenza, stimati infondati gli ulteriori motivi di ricorso, escluso di poter negare applicazione all’art. 24, comma 4, del d.lgl. n. 93 del 2011 per effetto del diritto dell’Unione, ritiene di sollevare questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, per contrasto con l’art. 76 della Costituzione, secondo quanto eccepito dalla parte resistente.

3. La questione appena prospettata è rilevante: l’art. 24, comma 4, è disposizione che questo Tribunale è tenuto necessariamente ad applicare, allo scopo di risolvere la controversia. Qualora essa fosse conforme a Costituzione, il ricorso di Enel Gas s.p.a. andrebbe accolto, mentre, in caso contrario, sarebbe respinto.

È poi appena il caso di osservare che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma oggetto avrebbe effetto concreto, consentendo al Comune di proseguire nella gara. Infatti, il già ricordato art. 3.3 del D.M. 19 gennaio 2011, con cui le procedure concorsuali erano state arrestate in attesa dell’entrata in funzione degli ambiti territoriali minimi, non solo non potrebbe rivivere per effetto della declaratoria di incostituzionalità di una disposizione che non ha per unica previsione l’abrogazione del D.M. in questione, ma in ogni caso, in tale negata ipotesi, verrebbe disapplicato d’ufficio da questo Tribunale, posto che si tratta di disposizione regolamentare (Corte cost., sentenza n. 278 del 2010) contra legem.

Da ultimo, è necessario dar conto della sopravvenienza del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), in corso di conversione quando questa ordinanza viene redatta, il cui art. 25 introduce per tutti i servizi pubblici locali (tra cui ovviamente rientra la distribuzione del gas naturale) l’obbligo di indire la gara su base di ambiti territoriali ottimali, affidando alle Regioni e alle Province autonome la relativa disciplina organizzatrice, da adottarsi entro il 30 giugno 2012.

Questo Tribunale non è tenuto, tuttavia, a prendere posizione sul rapporto intercorrente tra lo ius superveniens e la norma oggetto, ed in particolare sul carattere di specialità che la seconda potrebbe rivestire nei confronti della prima.

Quand’anche, infatti, l’art. 25 del d.l. n. 1 del 2012 fosse convertito, ed avesse la forza di abrogare l’art. 24, comma 4, impugnato, in ogni caso quest’ultimo continuerebbe a costituire la disposizione normativa alla luce della quale giudicare della legittimità di una procedura concorsuale bandita anteriormente all’emanazione del decreto legge in questione, anche con riferimento ai profili risarcitori dedotti nel processo principale. Inoltre, mentre l’art. 24, comma 4, prescrive indirettamente con effetto immediato la proroga delle concessioni scadute, fino all’operatività della disciplina sui bacini territoriali, l’art. 25 non reca disposizioni in merito, tantomeno di carattere retroattivo, con la conseguenza che la pur meramente ipotizzata abrogazione della norma oggetto non sanerebbe i profili di illegittimità prodottisi nell’arco temporale durante cui essa doveva avere applicazione.

4. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 4, del d.lgl. n. 93 del 2011 in riferimento all’art. 76 Cost. è non manifestamente infondata.

Il Tribunale premette che, come è noto, la produzione normativa primaria negli ultimi anni ha denunciato un progressivo accrescimento, per qualità e quantità, della delegazione, rispetto alla legge ed alla decretazione d’urgenza: tale fenomeno è in parte il frutto, oltre che delle torsioni cui è soggetto il parlamentarismo, anche dei criteri, assai più restrittivi che in passato, maturati nella più recente giurisprudenza costituzionale in ordine alla legittimità costituzionale dei decreti legge, di cui è stata spezzata l’infinita catena con cui essi venivano reiterati, assolvendo di fatto a funzioni di ordinaria legificazione, ed è stata resa effettivamente giustiziabile la palese carenza dei requisiti previsti dall’art. 77 Cost.

A fronte di ciò, il pendolo normativo facente capo al Governo ha decisamente virato verso il versante della delegazione, anche in ragione di una giurisprudenza costituzionale talvolta priva del rigore con cui si è risolta invece la problematica dell’abuso della decretazione d’urgenza.

Tuttavia, posto che anche nel caso della delega la Costituzione impone di preservare la centralità del Parlamento quanto alla definizione degli assetti fondanti della legislazione, e con ciò la forma di governo, il Tribunale ritiene di poter porre a fondamento delle proprie decisioni la pur presente giurisprudenza costituzionale che si oppone più recisamente a che il Governo divenga un autonomo polo normativo, capace non solo di completare le scelte del legislatore, pur senza limitarsi ad una mera scansione linguistica delle stesse (ciò che è senza dubbio attribuzione che connota il potere delegato), ma anche di approfittarne per compierne di nuove ed autonome, senza un diretto ed inequivoco collegamento con l’oggetto della delega, e senza che esse siano uno sviluppo dei principi e dei criteri direttivi ivi indicati.

Tale abuso, in particolare, può verificarsi a fronte dell’enunciazione, da parte del delegante, di meri obiettivi programmatici, espressi con il ricorso a formule semanticamente polivalenti, e perciò suscettibili di rivestire nella legislazione delegata una pluralità di significati: posto che legiferare significa, anzitutto, compiere scelte e bilanciamenti tra interessi in potenziale conflitto, verrebbe per tale via rimesso al Governo il proprium della funzione legislativa riservata alle Camere. Peraltro, ove si consentisse una simile tecnica, sarebbe spesso giocoforza ammettere deleghe in tutto o in parte “in bianco”, ovvero prive di adeguati principi e criteri direttivi, atteso che, una volta selezionato l’oggetto, molto frequentemente le clausole generali in base a cui esercitare la delega potrebbero venire desunte direttamente dalla Costituzione (si pensi, ad esempio, al valore della concorrenza, o all’efficienza dei servizi pubblici), i cui principi integrano immediatamente la delega stessa.

Resta perciò valido l’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 158 del 1985), secondo cui “la norma di delega non deve contenere enunciazioni troppo generiche o troppo generali, riferibili indistintamente ad ambiti vastissimi della normazione oppure enunciazioni di finalità, inidonee o insufficienti ad indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato”.

Posto che la legge delega è soggetta ad interpretazione costituzionalmente conforme, è dovere dell’operatore giuridico, in presenza di simili clausole, di fornire di esse, se possibile, un’esegesi restrittiva, confinando il significato della delega entro il campo linguistico di enunciazioni che, collocate adeguatamente nel contesto della legge delega, indichino con sufficiente certezza la direzione ed i limiti entro cui soltanto si può espandere il legislatore delegato.

5. Ciò premesso in linea di principio, è ora tempo di soffermarsi sulla norma oggetto.

Essa trova fondamento nella delega conferita con l’art. 17, comma 4, della legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2009), ove sono enunciati i principi ed i criteri direttivi per dare attuazione alla direttiva 2009/73/CE relativa al mercato del gas naturale. A propria volta, quest’ultimo atto normativo dell’Unione ha abrogato la direttiva 2003/55/CE.

È noto a questo Tribunale che, in tali casi, i criteri di esercizio della delega possono desumersi direttamente dalla normativa comunitaria, che è stata ritenuta idonea a soddisfare riserva di legge e principio di legalità (Corte cost., sentenza n. 383 del 1998).

Occorre però precisare che, a parere di questo rimettente, valgono nel rapporto tra direttiva e decreto legislativo gli stessi principi che governano la relazione, sul piano interno, tra legge delega e decreto delegato: nell’ottica del diritto dell’Unione, non rileva in linea di principio, e salve particolari eccezioni, la distribuzione nazionale dei poteri necessari a conseguire gli obiettivi formulati con una direttiva, purché efficace rispetto al fine in questione. Tuttavia, alla luce della Costituzione, essa, salvo che in via eccezionale, non subisce alcuna deroga. Ed anzi, il principio che rende le Camere esclusive titolari della funzione legislativa (artt. 70, 76 e 77 Cost.) caratterizza la forma di governo in modo così pregnante, che non sarebbe peregrino ipotizzare che esso sia espressivo dell’ordine costituzionale dello Stato, e perciò refrattario allo stesso diritto dell’Unione.

In questo contesto, e nel caso di specie, si deve escludere che la direttiva n. 2009/73/CE abbia per effetto di alterare il principio costituzionale per cui il Governo è escluso dalla autonoma determinazione dell’oggetto della delega, e comunque da un’attività integratrice, anziché di sviluppo e completamento, dei criteri direttivi ivi contenuti.

In altre parole: se è vero che la normativa comunitaria può far le veci della legge del Parlamento, resta fermo che essa dovrà di regola, a tal fine e per giustificare sul piano interno l’allocazione della funzione normativa presso l’esecutivo, rispondere ai medesimi standard cui soggiace la legge di delega ai sensi dell’art. 76 Cost., quanto alla definizione dell’oggetto, ed all’enunciazione dei principi: in caso contrario, non è ovviamente in discussione la legittimità dell’atto comunitario, ma sarà necessario che sia il Parlamento a specificare con la dovuta analiticità siffatti requisiti, al fine di permettere l’esercizio della delega, a fini attuativi, da parte del Governo.

Pertanto, stante la natura delle direttive comunitarie non self executing, ovvero il perseguimento di un obiettivo comune per mezzo di scelte discrezionali degli Stati membri, non sarà sempre possibile ricavare da tali direttive, anziché dall’integrazione di esse con la legge delega, principi e criteri direttivi, che non si limitino a formulare finalità troppo generiche per soddisfare le condizioni che legittimano il Parlamento a delegare l’esercizio della funzione legislativa.

Nel caso di specie, va osservato che l’intervento sugli ambiti territoriali minimi persegue uno scopo meno correlato alla tutela della concorrenza che alla razionale organizzazione del servizio: l’espansione della scala dimensionale in relazione alla quale calibrare il bando di gara non agevola gli operatori meno sviluppati, non aumenta il numero dei partecipanti alla procedura, non rende più libero l’accesso al mercato. Piuttosto, essa serve principalmente a rafforzare il potere contrattuale delle amministrazioni, a coordinarne l’azione, a conseguire economie di scala che permettano di contenere i prezzi, a parità o con incremento della qualità nell’erogazione della prestazione.

Anzi, allargare la scala distributiva significa inevitabilmente tagliarne fuori gli operatori minori, e ridurre così il numero dei concorrenti sul mercato.

Si tratta, dunque, di disposizioni qualificabili più come principi fondamentali della materia a riparto concorrente dell’energia, che come espressive della competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lett. e) Cost. (tutela della concorrenza), anche con riferimento all’individuazione del livello di governo idoneo ai sensi dell’art. 118 Cost. : esse sono infatti calibrate su “criteri di efficienza e riduzione dei costi” (art. 46 bis, comma 2, d.l. n. 159 del 2007).

Ora, la direttiva n. 2009/73/CE reca, come si è già posto in luce, l’enunciazione di taluni obiettivi che possono porsi in relazione, in termini assai astratti, con il sistema degli ambiti territoriali minimi: ad esempio, il considerando n. 1 sprona a perseguire efficienza, prezzi competitivi e più elevati livelli di servizio, mentre l’art. 3, comma 8, promuove l’efficienza energetica e l’ottimizzazione del servizio.

Tuttavia, se si tiene per buona la premessa circa la necessità che il legislatore delegato nazionale sia vincolato a principi e criteri direttivi sufficientemente analitici, pare al Tribunale evidente che simili formule linguistiche aperte, e di carattere programmatico, non possano giustificare un intervento peculiare di ristrutturazione del servizio per mezzo degli ambiti territoriali minimi, tanto meno la scelta compiuta con la sola norma oggetto di renderla obbligatoria per gli enti locali, anziché di incentivarla soltanto, e per di più di bloccare temporaneamente le gare. Né le norme concernenti l’attività di distribuzione contenute nella direttiva sorreggono conclusioni diverse (artt. da 24 a 29).

Anzi, si deve affermare che la direttiva n. 2009/73/CE, come del resto le precedenti relative al mercato del gas naturale, non rechi alcuna disposizione concernente la scelta, da parte dello Stato membro, circa la dimensione territoriale di affidamento del servizio, e persegua invece, con norme certamente meno generiche e dunque suscettibile di somministrare principi e criteri direttivi, obiettivi di altra natura, con particolare riferimento alla separazione delle reti dalle attività di produzione e fornitura (e non di distribuzione: considerando n. 25): quest’ultima è per l’appunto la ragione principale per cui la direttiva 2003/55/CE è stata sostituita dall’attuale, ragione priva di qualsivoglia nesso con i bacini ottimali.

Il Tribunale ritiene, pertanto, che l’art. 24, comma 4, del d.lgl. n. 93 del 2011 non possa poggiare, ai fini della legittimità costituzionale concernente l’esercizio della delega, su alcuna adeguata disposizione comunitaria.

6. È dunque necessario verificare se un simile fondamento sia autonomamente rinvenibile nella legge delega, interpretata in senso conforme a Costituzione ed al diritto comunitario.

Sembra chiaro, anzitutto, che i criteri direttivi generali contenuti nell’art. 2 della l. n. 96 del 2010 non siano utili allo scopo: essi, infatti, non valgono a definire l’oggetto della delega, ma piuttosto a specificare con quali modalità il Governo può intervenire nei campi selezionati dalle disposizioni successive. La stessa lett. b) del citato art. 2, laddove consente modificazioni alla normativa vigente, per un verso non serve ad autorizzare in sé l’esercizio della delega sul sistema degli ambiti territoriali minimi, e dall’altro permette, in ogni caso, le sole correzioni suggerite da esigenze di coordinamento con la disciplina autorizzata altrove nel corpo della delega.

Viene in considerazione, allora, l’art. 17, comma 4, il quale recita:

Nella predisposizione del decreto legislativo di attuazione della direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi di cui all’ articolo 2 della presente legge, in quanto compatibili, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere misure per aumentare gli scambi transfrontalieri, in modo da conseguire una maggiore efficienza, prezzi competitivi e più elevati livelli di servizio, contribuendo anche alla sicurezza degli approvvigionamenti e allo sviluppo sostenibile;

b) prevedere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, misure per la cooperazione bilaterale e regionale, in uno spirito di solidarietà tra gli Stati membri, in particolare in casi di crisi del sistema energetico;

c) promuovere la realizzazione di capacità bidirezionale ai punti di interconnessione, anche al fine di realizzare una piattaforma di scambio di gas nell’ambito del sistema italiano;

d) assicurare che i gestori dei sistemi di trasporto dispongano di sistemi integrati a livello di due o più Stati membri per l’assegnazione della capacità e per il controllo della sicurezza delle reti;

e) prevedere che i gestori dei sistemi di trasporto presentino un piano decennale di sviluppo della rete basato sulla domanda e sull’offerta esistenti e previste, contenente misure atte a garantire l’adeguatezza del sistema e la sicurezza di approvvigionamento;

f) promuovere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, una concorrenza effettiva e garantire l’efficiente funzionamento del mercato, anche predisponendo misure in favore della concorrenza con effetti analoghi ai programmi di cessione del gas;

g) assoggettare le transazioni su contratti di fornitura di gas e su strumenti derivati ad obblighi di trasparenza nella disciplina degli scambi;

h) assicurare una efficace separazione tra le attività di trasporto, bilanciamento, distribuzione e stoccaggio e le altre attività del settore del gas naturale;

i) prevedere misure che assicurino maggiore trasparenza ed efficienza nel settore del gas naturale, ottimizzando l’utilizzo del gas naturale e introducendo sistemi di misurazione intelligenti, anche ai fini della diversificazione dei prezzi di fornitura;

l) prevedere misure che tengano conto, nel procedimento autorizzativo per la realizzazione di un’infrastruttura del sistema del gas, della rilevanza dell’infrastruttura stessa per il mercato interno del gas naturale e della sua coerenza con gli obiettivi di politica energetica nazionali e comunitari;

m) garantire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il controllo della sicurezza degli approvvigionamenti, l’equilibrio tra domanda e offerta, il livello della domanda attesa in futuro e degli stoccaggi disponibili, la prevista capacità addizionale in corso di programmazione e in costruzione, l’adeguata copertura dei picchi della domanda nonché delle possibili carenze di fornitura;

n) introdurre misure che garantiscano maggiore disponibilità di capacità di stoccaggio di gas naturale, anche favorendo l’accesso a parità di condizioni di una pluralità di operatori nella gestione delle nuove attività di stoccaggio e valutando la possibilità di ampliare le modalità di accesso al servizio previste dalla normativa vigente;

o) prevedere che le sanzioni amministrative pecuniarie applicabili in caso di mancato rispetto delle disposizioni del regolamento (CE) n. 715/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, nonché di mancato rispetto degli obblighi imposti alle imprese di gas naturale dalla direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, nelle fattispecie assegnate alla competenza dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, siano non inferiori nel minimo a euro 2.500 e non superiori a euro 154.937.069,73;

p) prevedere che i clienti non civili con consumi inferiori o pari a 50.000 metri cubi annui e tutti i civili siano definiti clienti vulnerabili e pertanto meritevoli di apposita tutela in termini di condizioni economiche loro applicate e di continuità e sicurezza della fornitura;

q) promuovere l’efficienza e la concorrenza nel settore del gas naturale, anche demandando all’Autorità per l’energia elettrica e il gas la definizione, sulla base di appositi indirizzi del Ministero dello sviluppo economico, della disciplina del bilanciamento di merito economico;

r) prevedere, ai sensi degli articoli 13 e 17 della direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, misure che, ai fini dell’accesso ai servizi di trasporto e bilanciamento del gas naturale, consentano la definizione di un’unica controparte indipendente a livello nazionale;

s) prevedere la rimozione degli ostacoli, anche di tipo normativo, al processo di aggregazione delle piccole imprese di distribuzione del gas naturale, per favorirne l’efficienza e la terzietà;

t) prevedere misure atte a garantire che imprese di distribuzione verticalmente integrate non siano in condizione di trarre impropri vantaggi dalla loro attività di gestione delle reti di distribuzione ostacolando le dinamiche concorrenziali del mercato;

u) prevedere, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, che, nella situazione a regime, al termine della durata delle nuove concessioni di distribuzione del gas naturale affidate ai sensi dell’ articolo 14 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, i meccanismi di valorizzazione delle reti siano coerenti con i criteri posti alla base della definizione delle rispettive tariffe;

v) prevedere che l’Autorità per l’energia elettrica e il gas disponga di risorse finanziarie idonee allo svolgimento delle proprie attività, attraverso il sistema di totale autofinanziamento previsto dall’ articolo 2, comma 38, della legge 14 novembre 1995, n. 481, mediante il contributo versato dai soggetti operanti nei settori di competenza, da utilizzarsi esclusivamente per gli oneri di funzionamento della stessa;

z) prevedere che, nell’osservanza delle rispettive competenze, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato si prestino reciproca assistenza, agiscano in modo coordinato, stipulando a tale fine appositi protocolli di intesa, e collaborino tra loro anche mediante lo scambio di informazioni, senza che sia opponibile il segreto d’ufficio.

Come si vede, le norme di delega ricorrono sovente ad espressioni linguistiche aperte, ma spesso le accompagnano con ulteriori specificazioni, con le quali esse sono indirizzate verso un oggetto sufficientemente definito.

Con riferimento agli ambiti territoriali minimi, invece, ciò non è dato riscontrarsi: le lett. f), i) e q) richiamano certo finalità di efficienza, ma con riferimento a contesti che o sono differenti, o non sono tali da investire con adeguata capacità definitoria il livello territoriale di affidamento del servizio. Se si parte dalla premessa svolta supra circa il divieto di impiegare formule generiche in sede di delega, la sola interpretazione costituzionalmente conforme di tali disposizioni è nel senso che esse non possano avere per oggetto i bacini ottimali.

L’unica norma che potrebbe avere attinenza con questi ultimi è rinvenibile nella lett. s), laddove il legislatore delegato è autorizzato a rimuovere gli “ostacoli, anche di tipo normativo” che si frappongono all’aggregazione delle piccole imprese di distribuzione del gas. Tuttavia, a ben vedere, una simile previsione non si attaglia al contenuto dell’art. 24, comma 4, ed anzi pare in conflitto con esso.

In primo luogo, legiferare sul sistema degli ambiti territoriali minimi significa compiere scelte fondanti in tema di assetto del mercato del gas naturale ed in tema di esercizio della funzione amministrativa correlata alla distribuzione dell’energia, che travalicano certamente la sola politica di aggregazione delle imprese del settore distributivo, cui esclusivamente si riferisce la delega, e si ripercuotono su di un ambito materiale diverso, in parte di competenza regionale (energia; servizi pubblici locali): a maggior ragione, se si tiene conto che gli ambiti territoriali minimi sono già vigenti nell’ordinamento giuridico, essi, per divenire oggetto di un complesso meccanismo di ristrutturazione del mercato e dell’azione degli enti locali, avrebbero dovuto essere specificamente indicati quale oggetto della delega.

In altre parole, la legislazione sui bacini ottimali intercetta un ambito materiale ben più ampio e variegato di quello circoscritto all’aggregazione degli operatori marginali del mercato, per spogliarsi del quale il delegante avrebbe dovuto impiegare formule univocamente intese ad autorizzare un intervento del delegato, in conformità a principi e criteri direttivi calzanti rispetto alla varietà degli interessi coinvolti dalle conseguenti scelte politiche.

Né è comprova il già menzionato art. 25 del d.l. n. 1 del 2012, con cui la prescrizione che rende obbligatorio dal 30 giugno 2012 l’affidamento dei servizi pubblici locali per bacini ottimali si accompagna alla attribuzione alle Regioni del compito di organizzare, anche normativamente, gli ambiti territoriali, nel rispetto delle competenze legislative di quest’ultime, e dunque con riguardo ad un fascio di interessi ben distinguibile da quell’obiettivo di aggregazione degli operatori minori, cui invece era vincolato il legislatore delegato.

In questa prospettiva, Il Tribunale ritiene di porre all’attenzione della Corte costituzionale, anzitutto, il dibattuto problema relativo all’autonomia concettuale, all’interno dell’art. 76 Cost., del requisito dell’”oggetto”, rispetto all’enunciazione dei principi e dei criteri direttivi inerenti ad esso: questi ultimi possono connotare una finalità e prescrivere in termini ampi a quali norme cardine debba conformarsi l’attività di riempimento della delega; tuttavia, ciò pare consentito solo con riguardo ad un ambito materiale selezionato dalla delega con adeguata precisione.

Nel caso di specie, invece, l’oggetto delegato attiene all’attuazione della direttiva 2009/73/CE, che, come si è visto, non è tale da consentire in modo sufficientemente definito la ricomprensione dell’attività di ristrutturazione del livello dimensionale del servizio di distribuzione del gas naturale.

Al contempo, l’ampliamento della delega in sede parlamentare, pur possibile, avrebbe dovuto essere indicato con chiarezza ed esplicitamente dal legislatore delegante, proprio in ragione del fatto che la materia implicata dagli ambiti territoriali minimi non poteva venire desunta come tale dall’impianto della direttiva 2009/73/CE.

Nel caso di specie, invece, la finalità aggregativa delle imprese di distribuzione del gas, come si è osservato, è solo uno dei fattori su cui agisce la disciplina degli ambiti territoriali, rispetto al quale appare perlomeno di pari dignità l’impatto sull’azione degli enti locali, ed i riflessi sul regime di gara determinati dall’art. 24, comma 4.

Per tale ragione, per un verso l’oggetto della delega non pare tale da ricomprendere la normazione sugli ambiti territoriali; per altro verso, rispetto a quest’ultima finiscono inevitabilmente per essere carenti i principi in grado di orientare sul punto specifico l’azione del legislatore delegato, posto che la legge delega non risponde obiettivamente a simile finalità peculiare.

La preesistenza di un ambito materiale avente una propria autonomia normativa e concettuale all’interno del mercato del gas naturale; la pluralità di interessi che tale ambito sollecita, a fronte di una più ridotta azione aggregativa sulle imprese del settore; l’assenza di principi e criteri direttivi che si facciano carico di orientare l’azione del delegato con riferimento al complesso di tali interessi; la genericità delle espressioni impiegate dalla delega; la mancata corrispondenza degli ambiti territoriali minimi a specifiche previsioni della direttiva oggetto di attuazione delegata; il difetto di principi che possano riferirsi specificamente agli ambiti territoriali stessi ed alle gare; il fatto che la norma oggetto, rendendo gli ambiti da facoltativi a vincolanti, inverta una scelta legislativa contraria, che il delegante non ha inteso abrogare, attesa la perdurante vigenza dell’art. 46 bis: tutti tali elementi inducono a ritenere che la norma delegante, interpretata in senso conforme a Costituzione e al diritto comunitario, non avesse per oggetto l’intervento del delegato sui bacini ottimali.

Del resto, l’esigenza di separare concettualmente oggetto della delega e principi e criteri direttivi di essa, già avvertita dai primi, autorevoli lettori dell’art. 76 Cost., ma successivamente sbiaditasi nella prassi costituzionale, tende a riemergere oggi con particolare forza, nel pensiero di chi intende reperire anzitutto nel testo costituzionale un argine rispetto a deviazioni della forma di governo, che non sempre sorgono per effetto di una condivisione di esse tra i poteri dello Stato coinvolti, ma talvolta riflettono e aggravano indebitamente il processo di rafforzamento politico di uno di essi a scapito dell’altro, posto in condizione di non poter affermare nella dinamica concreta dei rapporti istituzionali le proprie prerogative.

D’altro canto, tale separazione non è estranea a tutt’oggi alla più avvertita legislazione di delega: basti pensare alla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione), ove l’art. 1 circoscrive l’”ambito di intervento”, articolando con analiticità su quali materie il Governo sia autorizzato a legiferare, mentre l’art. 2, comma 1 (oggetto e finalità), specifica ulteriormente i settori delegati, anche con espressioni dettagliate (ad esempio, “schemi di bilancio”, “termini di presentazione e approvazione”). Nel contempo, gli artt. 1 e 2 recano indicazioni di finalità da perseguire, che evidentemente, in questo caso, non sono state ritenute sufficienti ad assorbire la definizione dell’oggetto.

L’art. 2, comma 2, a propria volta enuclea principi e criteri direttivi “generali”, che tuttavia sono invece tali da riferirsi ciascuno ad un ben delimitato oggetto, cui si aggiungono, su di un livello di scansione ulteriore, i ricchi criteri enucleati dalle disposizioni seguenti, ciascuno per un oggetto specifico.

Tale modo di conferite la delega non è una mera tecnica normativa posta, tra le altre, nella disponibilità del Parlamento: si tratta, invece, dell’applicazione puntuale dell’art. 76 Cost. da parte delle Camere.

Per ogni oggetto per il quale la legge delega non risponda a simili standard di garanzia, si dovrà quindi concludere che esso non sia assistito da autorizzazione a normare da parte del Governo.

In secondo luogo, anche ammettendo per mera ipotesi che, nel caso di specie, la delega si riferisse agli ambiti territoriali minimi, la gravità dello sforzo interpretativo compiuto in tal senso andrebbe compensata con una rigorosa delimitazione del potere delegato alle modalità di raggiungimento del fine, indicate dalla legge delega. Tanto più sfuggente è la definizione dell’oggetto, quanto più stretta deve essere l’interpretazione dei principi e dei criteri direttivi, affinché vi sia una compiuta aderenza ad essi della norma delegata.

La legge delega definisce l’obiettivo di aggregazione, ma aggiunge che esso va perseguito attraverso la rimozione di ostacoli fattuali o normativi, ovvero di impedimenti che si frappongano alla volontà degli operatori minori di unirsi per agire su più larga scala.

Nel caso in questione, invece, lo svolgimento delle gare a livello comunale, anziché su più ampia dimensione (ovvero la condizione che il sistema “obbligatorio” degli ambiti territoriali minimi intende superare), non potrebbe comunque ritenersi un “ostacolo”, fattuale e normativo, rispetto all’aggregazione: è evidente infatti che un operatore di larghe dimensioni ben potrà competere anche su di una porzione ridotta di territorio. Quest’ultimo presupposto, anche di fatto, in sé non implica dunque alcun impedimento all’aggregazione, che il potere delegato debba rimuovere.

In terzo luogo, eliminare un ostacolo che preclude un certo effetto non significa rendere detto effetto obbligatorio: lo spirito della legge delega, in altri termini, pare indirizzato, alla luce delle espressioni impiegate, nel senso di favorire ed incentivare l’aggregazione (come già l’ancora vigente art. 46 bis del d.l. n. 159 del 2007, con cui la norma delegata è dunque tenuta ad armonizzarsi) e non già di imporla: l’art. 24, comma 4, viceversa, esprime l’opposto intento, e per giunta produce un effetto di paralisi sulle gare in corso che si giustifica solo in tale ottica.

7. A rafforzare il dubbio di costituzionalità sopraggiunge, infine, un’ultima considerazione, che ha a che fare con le modalità di genesi della norma oggetto.

In data 3 marzo 2011 il Governo ha trasmesso al Presidente del Senato della Repubblica lo schema del decreto legislativo di attuazione, tra l’altro, della direttiva 2009/73/CE, affinché fosse reso il parere parlamentare richiesto dalla legge delega (Senato, XVI legislatura, doc. n. 335).

L’art. 24 dello schema, che corrisponde all’art. 24 del d.lgl. n. 93 del 2001, intitolato “valore di rimborso degli impianti di distribuzione” si compone di due commi, tra cui non compare alcuna previsione inerente agli ambiti territoriali minimi.

La relazione illustrativa che accompagna lo schema, a propria volta, rinvia alla sola necessità di attuare la direttiva 2009/73/CE e di adeguarsi ad ulteriori atti comunitari, che non hanno attinenza con il tema divenuto poi oggetto del comma 4 dell’art. 24: del resto, la delega concernente tale disposizione è espressamente reperita nell’art. 17, comma 4, lett. u) della l. n. 96 del 2010, del tutto privo di pertinenza ai nostri fini.

Da ultimo, il predetto comma 4 non è stato inserito neppure nel testo sottoposto al parere della Conferenza Stato-Regioni, reso il 28 aprile 2011, parere richiesto dal Governo benché non prescritto espressamente dalla legge di delega per il punto in questione: è di tutta evidenza, perciò, che l’intervento sui bacini ottimali sia stato deciso in extremis dal Governo, solo in procinto della emanazione e della pubblicazione dell’atto.

Difatti, a riprova dell’estraneità rispetto alla delega dell’oggetto in questione, l’esecutivo aveva provveduto a rendere obbligatori gli ambiti territoriali minimi e a sospendere le gare con il già rammentato D.M. 19 gennaio 2011, significativamente pubblicato il 31 marzo 2011. In altre parole: proprio nel periodo di tempo durante cui è stata esercitata la delega conferita dalla legge comunitaria per il 2009, il Governo, anziché inserirvi la disciplina degli ambiti territoriali minimi, ha ritenuto di provvedere con atto secondario. Tale decisione è stata poi sovvertita, giusto nell’arco temporale ultimo a disposizione, in coincidenza con i numerosi ricorsi giurisdizionali esperiti, anche innanzi a questo stesso Tribunale, per contestare la legittimità dell’art. 3.3 del D.M. in questione, e destinati a sicuro esito positivo, per le ragioni già dette.

Ne segue la verosimiglianza dell’idea per cui lo stesso Governo non avesse ritenuto oggetto di delega i bacini ottimali, e si sia deciso ad includerli nel testo del decreto delegato solo da ultimo.

Quale che sia stata la causa che ha determinato l’inserimento della norma impugnata nel testo del decreto delegato, in altri termini, non è privo di significato che il Governo non avesse in origine creduto di poter procedere per la via legislativa, pur essendo chiamato all’esercizio della delega proprio nei giorni di pubblicazione del D.M. 19 gennaio 2001.

8.L’insieme di tali elementi, a fronte di una specifica eccezione di illegittimità costituzionale per difetto di delega svolta in giudizio, è senz’altro tale da raggiungere quella soglia di dubbio circa la costituzionalità dell’art. 24, comma 4, del d.lgl. n. 93 del 2011, che rende doveroso investire il giudice costituzionale della relativa questione, in riferimento all’art. 76 Cost.

 

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sede di Milano, sezione I, non definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87

dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 4, del d.lgl. 1 giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE), in riferimento all’art. 76 della Costituzione.

Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

Sospende il giudizio.

Ordina alla Segreteria di notificare la presente ordinanza alle parti del giudizio e al Presidente del Consiglio dei ministri.

Ordina alla Segreteria di comunicare la presente ordinanza al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Mariuzzo, Presidente

Marco Bignami, Consigliere, Estensore

Mauro Gatti, Referendario

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

                       

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/02/2012

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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