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Corte di Cassazione - Sezione tributaria, 13/7/2012 n. 11946
Non è detraibile l'IVA corrisposta dal comune alle imprese affidatarie dei servizi di scuolabus e refezione scolastica, trattandosi di servizi non commerciali svolti al fine di soddisfare un'esigenza di pubblica utilità di diretto interesse dell'ente

Perché l'attività di un ente pubblico sia assoggettata all'IVA è necessario accertare, ai sensi dell'art. 4, c. 4, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con riferimento alla "gestione di mense e somministrazione di pasti" ed al "trasporto di persone", se l'ente ceda beni o presti servizi verso corrispettivi di natura privatistica, di guisa che "l'assoggettabilità dell'ente all'imposta, con conseguente diritto alla detrazione di quanto pagato dall'ente stesso sugli acquisti, va correlata all'accertamento dell'esercizio effettivo di attività commerciale", atteso che il detto "art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 include nel campo di applicazione dell'IVA per gli enti non commerciali solo le prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di attività commerciale o agricola". Pertanto, nel caso di specie, è indetraibile l'IVA assolta sui servizi di scuolabus e refezione scolastica, in quanto il comune non esercitava le suddette attività, ma versava agli imprenditori affidatari del servizio, a seguito dei contratti d'appalto posti in essere, "corrispettivi ben più gravosi dell'incontestato ridotto contributo richiesto agli utenti", venendo così in evidenza "il mancato fine commerciale"; "le attività di trasporto degli alunni e di servizio mensa scolastica venivano svolte al fine di soddisfare un'esigenza di pubblica utilità di diretto interesse dell'ente erogante". Si era "in assenza, quindi, del caratteristico, precipuo scopo di ogni attività mercantile di conseguire un reddito o, almeno, la integrale copertura dei costi sopportati".

Materia: servizi pubblici / fisco

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

 

Svolgimento del processo

Il Comune di (omissis) con più ricorsi, riuniti, impugnò tre avvisi di accertamento con i quali l’ufficio finanziario, rilevato il mancato svolgimento diretto da parte dell’Ente dei servizi di trasporto alunni e di mensa scolastica per gli anni 2000, 2001 e 2002, negava la detraibilità dell’IVA corrisposta alle imprese cui tali servizi erano stati appaltati, e, in relazione al servizio, direttamente svolto, di distribuzione dell’acqua, per gli stessi anni negava la detrazione dell’IVA relativa ad operazioni aventi caratteristiche di attività istituzionali, irrogando, per le tre ipotesi, le sanzioni per l’indebita detrazione; impugnò, inoltre, la cartella esattoriale relativa al detto accertamento per l’anno 2000.

Il giudice di primo grado rigettò i ricorsi con riguardo alle attività di trasporto alunni e di mensa scolastica, ma annullò le relative sanzioni irrogate; accolse invece i ricorsi con riguardo all’attività del servizio di distribuzione dell’acqua, considerando detraibile l’IVA pagata, segnatamente, anche sui costi di manutenzione degli impianti idrici e fognari.

 

La Commissione tributaria regionale della Campania, rigettando tanto l’appello dell’ufficio di (omissis) dell’Agenzia delle entrate che quello incidentale del Comune di (omissis), ha confermato la sentenza di primo grado.

Nei confronti della decisione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Comune di (omissis) resiste con controricorso proponendo ricorso incidentale affidato ad un motivo.

 

Motivi della decisione

Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente, denunciando “nullità della sentenza per assenza di motivazione in relazione dell’art. 36 del d.lgs. 546/92, dell’art. 132 c.p.c., e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.”, lamenta la violazione del dovere di motivazione e di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato per essersi affidato nel motivare il giudice di appello esclusivamente a succinte espressioni apodittiche, risolventisi in una apparente motivazione ma sostanziale mera adesione alla sentenza impugnata, senza l’esposizione articolata dell’iter logico conducente alla formazione del convincimento, risultando così la pronuncia impugnata affetta dal vizio di nullità nella parte relativa ai motivi di impugnazione dell’ufficio.

 

Con il secondo motivo, denunciando “omessa motivazione su un fatto controverso decisivo ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.”, si duole che la sentenza impugnata, non prendendo in considerazione le prove decisive offerte, abbia erroneamente ritenuto che l’IVA relativa alle attività, finanziate dalla Regione Campania, di ristrutturazione, ammodernamento, captazione e distribuzione della rete idrica del Comune di (omissis) portata dalle fatture oggetto dell’accertamento, sia afferente ad operazioni di ordinaria manutenzione dell’impianto idrico, anziché ad operazioni indetraibili per la peculiare natura, relativa alla struttura dell’impianto idrico demaniale stesso, degli interventi.

 

Il primo motivo, nella parte concernente l’indebita detrazione dell’IVA per operazioni ricondotte dal contribuente all’attività di distribuzione dell’acqua, è fondato, assorbito l’esame del secondo motivo.

 

A fronte delle specifiche censure formulate nell’appello dell’ufficio richiamate con precisione (nonché trascritte) nel ricorso – secondo le quali mentre erano inerenti “al servizio di distribuzione dell’acqua le sole fatture riguardanti interventi di manutenzione ordinaria, l’acquisto di materiale di consumo, pagamenti per la fornitura idrica al Settore acque e acquedotti della Regione Campania e costi di energia elettrica”, erano invece “riconducibili all’attività istituzionale i lavori di ristrutturazione e di ammodernamento della rete idrica comunale, come i lavori di captazione e distribuzione della rete idrica in alcune contrade del territorio comunale… interventi non afferenti in via diretta al servizio, di natura commerciale concernente l’organizzazione della distribuzione dell’acqua quanto piuttosto al bene del demanio pubblico rispetto al quale il Comune era intervenuto nella sua veste istituzionale, opere appaltate secondo il procedimento tipico dei lavori pubblici, con la fase dell’approvazione con delibera della Giunta municipale, con gara di pubblico incanto e con finanziamento di fondi da parte della Regione. Per tali operazioni il Comune non ha operato nella veste di soggetto privato, ma come erogatore di un servizio pubblico rientrante nelle finalità istituzionali, tanto è vero che ha utilizzato il codice fiscale proprio del soggetto di diritto pubblico” -, la pronuncia del giudice di merito si è risolta nell’affermazione che una siffatta denuncia della violazione delle disposizioni degli artt. 4 e 19 ter del d.P.R. n. 633 del 1972 era stata “oggetto di specifico ed approfondito esame da parte dei primi giudici che, seppur in assenza di particolareggiato richiamo ai contenuti indicati, con analitiche obiettive deduzioni di merito, da considerarsi assolutamente esaustive, ne consideravano le risultanze in ordine alle eccezioni proposte”.

La sentenza impugnata è quindi incorsa nella denunciata violazione dei principi fissati dall’art. 112 cod. proc. civ., avendo del tutto eluso il motivo di impugnazione ricorrendo a formule stereotipate, prive di riferimenti alla specie ed alle regulae iuris, integranti la figura della motivazione apparente.

 

Con il terzo motivo, denunciando la violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 546/92 e dell’art. 10 della legge 212/00 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.”, l’amministrazione critica l’annullamento delle sanzioni in relazione alla ritenuta indetraibilità dell’imposta per le operazioni concernenti le spese per i servizi di mensa e di trasporto degli alunni. Sostiene in proposito che per l’applicazione dell’esimente prevista dalle disposizioni in rubrica occorrerebbe la sussistenza di un’obiettiva incertezza di interpretazione della normativa e che tale incertezza sarebbe assente nella disciplina di cui agli artt. 1, 4 e 17 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’individuazione dei presupposti per l’applicabilità del regime dell’IVA agli enti pubblici, non essendo nella specie né rilevante né fondata la difficoltà in fatto relativa all’individuazione della natura o meno commerciale dell’attività svolta dall’ente nel caso di affidamento diretto dell’attività imprenditoriale a soggetto terzo.

Con il ricorso incidentale il Comune di (omissis), denunciando “violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 4, 17 e 19 d.P.R. 633/72 in relazione all’art. 360, comma 3, c.p.c.”, censura la decisione per aver escluso che esso Canone sia nella specie soggetto passivo di disposta in ordine all’attività di mensa scolastica e di trasporto alunni.

Il ricorso incidentale, il cui esame deve logicamente precedere, è infondato.

 

Perché l’attività di un ente pubblico sia assoggettata all’IVA è necessario accertare, ai sensi dell’art. 4, comma 4, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con riferimento alla “gestione di mense e somministrazione di pasti” ed al “trasporto di persone”, se l’ente ceda beni o presti servizi verso corrispettivi di natura privatistica, di guisa che “l’assoggettabilità dell’ente all’imposta, con conseguente diritto alla detrazione di quanto pagato dall’ente stesso sugli acquisti, va correlata all’accertamento dell’esercizio effettivo di attività commerciale” (Cass. n. 22685 del 2008), atteso che il detto “art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 include nel campo di applicazione dell’IVA per gli enti non commerciali solo le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciale o agricola” (Cass. n. 3513 del 2012).

 

A tali principi il giudice di merito si è sostanzialmente attenuto, sottolineando come il Comune non esercitasse le attività, ma versasse agli imprenditori affidatari del servizio, a seguito dei contratti d’appalto posti in essere, “corrispettivi ben più gravosi dell’incontestato ridotto contributo richiesto agli utenti”, venendo così in evidenza “il mancato fine commerciale”; “le attività di trasporto degli alunni e di servizio mensa scolastica venivano svolte al fine di soddisfare un’esigenza di pubblica utilità di diretto interesse dell’ente erogante”. Si era “in assenza, quindi, del caratteristico, precipuo scopo di ogni attività mercantile di conseguire un reddito o, almeno, la integrale copertura dei costi sopportati”.

Ciò posto, si rivela fondato il terzo motivo del ricorso principale proposto dall’Agenzia delle entrate, atteso che l’annullamento, deciso in primo grado, delle sanzioni irrogate per la ritenuta indebita detrazione dell’imposta per le operazioni di cui si è appena discorso – “per le quali il giudice di primo grado aveva confermato i relativi accertamenti” dell’ufficio – risulta condiviso dal giudice d’appello esclusivamente “in considerazione della controversa interpretazione della normativa di riferimento”.

 

Questa Corte ha chiarito come “in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito” (Cass. n. 24670 del 2007, n. 2192 del 2012).

 

Nella specie, da un lato il giudice d’appello non ha fornito, cerne si è visto, alcuna sostanziale indicazione circa i termini dell’incertezza normativa che avrebbe costituito causa di esenzione dalle sanzioni, ma dai rilievi svolti nell’escludere che il Comune sia per ì casi considerati soggetto passivo di imposta in ordine all’attività di mensa scolastica e di trasporto alunni, e che quindi l’imposta sia detraibile, non risultano ravvisate le prescritte condizioni di obiettiva incertezza.

 

In conclusione, va accolto il primo ed il terzo motivo del ricorso principale, assorbito l’esame del secondo, e va rigettato il ricorso incidentale, la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

 

PQM 

Accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso principale, assorbito l’esame del secondo, e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

 

Depositata in Cancelleria

il 13 luglio 2012

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