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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario - Presidente -
Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Consigliere -
Dott. DI IASI Camilla - rel. Consigliere -
Dott. OLIVIERI Stefano - Consigliere -
Dott. TERRUSO Francesco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- ricorrente -
contro
MORROVALLE AMBIENTE SPA;
- intimato -
Nonchè da:
MORROVALLE AMBIENTE SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA SCROFA 57, presso lo studio dell'avvocato PIZZONIA GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ZOPPINI GIANCARLO, RUSSO CORVACE GIUSEPPE, giusta delega a margine;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
- intimato -
avverso la sentenza n. 70/2009 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA, depositata il 27/03/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2012 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;
udito per il ricorrente l'Avvocato DE BELLIS, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale, rigetto dell'incidentale;
udito per il resistente l'Avvocato RUSSO CORVACE, che si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale, rigetto ricorso incidentale.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con provvedimento di ingiunzione n. 30914 notificato in data 10.5.2007 la Agenzia delle Entrate richiedeva a Morrovalle Ambiente s.p.a. (società a prevalente partecipazione pubblica - capitale azionario per il 56% detenuto dal Comune di Morravalle - costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22 e concessionaria del servizio pubblico locale di raccolta trasporto e smaltimento rifiuti) il recupero del vantaggio patrimoniale conseguito dalla società nell'anno d'imposta 1997 in quanto destinataria del regime di esenzione fiscale previsto dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 66, comma 14 conv. in L. 29 ottobre 1993, n. 427 - avente durata triennale a far data dall'acquisto della personalità giuridica e comunque non oltre il 31.12.1999, come specificato dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 70 - e dichiarato, con decisione della Commissione n. 2003/193/CE in data 5.6.2002, aiuto di Stato istituito in violazione dell'art. 88 paragr. 3 del Trattato.
Il ricorso della società veniva accolto dalla CTP di Macerata con sentenza n. 64/1/2008 gravata da appello principale dell'Ufficio finanziario e da appello incidentale condizionato della società.
Con sentenza in data 29.3.2009 n. 70 la Commissione tributaria della regione Marche, rigettava l'appello dell'Ufficio rilevando che le condizioni in cui in concreto aveva operato sul mercato la società (gestione in regime di privativa di servizio pubblico locale;
destinazione dei maggiori utili rivenienti dalla esenzione fiscale ai fini istituzionali dell'ente pubblico locale) integravano quelle "ragioni attinenti al caso specifico", previste dalla stessa decisione della Commissione e dalla L. n. 62 del 2005, art. 27, comma 4, in relazione alle quali non doveva procedersi al recupero dell'aiuto di Stato, in quanto, avendo operato la società, nel periodo in esame, come "longa manus" dell'ente pubblico, il beneficio della esenzione fiscale non aveva in concreto ostacolato la libera concorrenza sul mercato comune, tanto più che nel limitato periodo annuale era ben difficile ipotizzare effetti distorsivi della concorrenza, avuto riguardo a più ampio periodo decennale (art. 15 reg. CE n. 659/99 del 22.3.1999) entro il quale la Commissione poteva valutare le conseguenze prodotte sul mercato dall'aiuto di Stato sottoposto ad osservazione. Rilevavano inoltre i Giudici di appello che il diritto al recupero dei vantaggi patrimoniali percepiti dai beneficiari dell'aiuto non poteva qualificarsi di natura tributaria e dunque rimaneva assoggettato al termine prescrizionale decennale stabilito dal predetto art. 15 reg. CE n. 659/1999, non trovando applicazione i termini di decadenza previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 in ordine ai quali la pretesa di recupero fatta valere dalla Agenzia delle Entrate sarebbe andata incontro a decadenza, essendo stata notificata la comunicazione-ingiunzione oltre il termine di cinque anni da quello in cui la dichiarazione dei redditi avrebbe dovuto essere presentata.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo un unico motivo corredato di quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c..
Ha resistito la società con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un unico motivo corredato di quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con un unico complesso motivo la Agenzia ricorrente deduce il vizio di violazione degli artt. 86-88 Trattato CE; della decisione della Commissione europea in data 5.6.2002 n. 2003/93/CE, nonchè del D.L. n. 10 del 2007 e della L. n. 62 del 2005, art. 27 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo disatteso del tutto i Giudici di appello la portata vincolante della indicata decisione della istituzione comunitaria (da ritenersi atto - fonte di diritto comunitario vincolante anche per i giudici dello Stato membro destinatario della decisione: Corte cass. n. 17564/2002) che aveva dichiarato aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune - ai sensi dell'art. 87 paragr. 1 Trattato - la esenzione triennale dalla imposta sui redditi disposta dal D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14 conv. in L. n. 427 del 1993 a favore delle società di gestione di servizi pubblici costituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22 ed aveva conseguentemente disposto il recupero nei confronti dei beneficiari dell'aiuto illegittimamente concesso.
Gli elementi dai quali la CTR marchigiana aveva tratto la conclusione che nello specifico caso concreto doveva ravvisarsi "un aiuto individuale compatibile con il mercato comune" come tale sottratto agli effetti vincolanti della decisione che disponeva il recupero dell'aiuto dichiarato illegittimo, risultavano, infatti, secondo la ricorrente clamorosamente smentiti dalle stesse valutazioni della Commissione che, nella indicata decisione, aveva ritenuto non ostativa al riconoscimento degli effetti distorsivi della concorrenza determinati dalla esenzione fiscale la circostanza che le prestazioni di servizi fossero di interesse pubblico ed erogate in un limitato ambito locale, che tali servizi di interesse pubblico venissero svolti in regime di privativa legale (concessione di diritto pubblico), che le società di gestione fossero a prevalente o totalitaria partecipazione pubblica con conseguente destinazione "pro quota" dei proventi ai fini istituzionali dell'ente pubblico locale detentore della partecipazione. La sentenza di appello, motivando in palese contrasto con le chiare disposizioni dettate dal provvedimento comunitario, era quindi incorsa nel denunciato vizio di "error in judicando".
2. La società resistente ritiene inammissibile ed infondato il ricorso rilevando:
- che la decisione della Commissione potrebbe costituire valido parametro del vizio di legittimità denunciato soltanto se idonea a produrre effetti vincolanti nell'ordinamento dello Stato membro (dovendo in tal caso rivestire, i medesimi caratteri delle direttive immediatamente vincolanti: obbligo incondizionato, sufficientemente chiaro e preciso), con la conseguenza che, non essendo ravvisabile detta efficacia vincolante, essendo stato riconosciuto un ampio potere discrezionale allo Stato italiano nella modulazione dell'azione di recupero dell'aiuto, la decisione in questione non poteva assumere la funzione di parametro normativo del sindacato di legittimità (come era dato evincere dalla motivazione della sentenza di questa Corte n. 17564/2002. richiamata anche dalla Agenzia ricorrente);
- che la ricorrente non aveva impugnato il capo della sentenza di appello che confermava la legittimità della pronuncia di "prime cure", con conseguente formazione del giudicato interno in ordine alla statuizione secondo cui la decisione comunitaria non pregiudicava la possibilità che "aiuti individuali" potessero essere considerati, interamente o parzialmente, compatibili con il mercato comune;
- che, nel merito, la sentenza di appello doveva ritenersi conforme alla decisione comunitaria, atteso che la valutazione della illegittimità del regime di aiuti era stata compiuta dalla Commissione in via "generale e astratta" essendo rimesso allo Stato membro (e dunque ai suoi Giudici) l'accertamento in concreto della compatibilità o meno con il mercato comune del beneficio fiscale fruito dalla singola società ex L. n. 142 del 1990. Nel caso di specie tale accertamento, condotto alla stregua delle specifiche circostanze indicate nella motivazione della Commissione tributaria della regione Marche, aveva portato ad escludere che la esenzione fiscale triennale fruita dalla Morrovalle Ambiente s.p.a. nell'anno 1997 avesse determinato alterazioni agli scambi in ambito comunitario, dovendo quindi ritenersi illegittima la pretesa di recupero avanzata dalla Amministrazione finanziaria.
3. Le eccezioni di inammissibilità proposte dalla società resistente sono infondate.
3.1 Quanto alla prima è sufficiente rilevare che la decisione della Commissione n. 2003/193/CE in data 5.6.2002 (pubblicata in GUCE L 77 24.3.2003) non lascia alcun margine di discrezionalità (ne potrebbe, trattandosi di competenza riservata in via esclusiva alla Commissione UE dall'ordinamento comunitario) allo Stato membro in ordine all'accertamento alla stregua degli artt. 87 ed 88 Trattato CE della compatibilità dell'aiuto di Stato in questione con l'ordinamento comunitario, non potendo porsi in discussione l'obbligo dello Stato membro, destinatario della decisione della Commissione, di ripristinare lo "statu qua ante" alla determinazione del "vulnus" arrecato dal regime di aiuto di Stato all'equilibrata competizione delle imprese sul mercato, procedendo al recupero dell'aiuto illegittimamente concesso ai singoli beneficiari.
La circostanza che "l'analisi della Commissione" abbia avuto ad oggetto il complessivo regime di aiuti, considerato sotto un aspetto generale, costituito dalle misure di esenzione fiscale e di agevolazione del credito (prestiti concessi ai sensi del D.L. n. 318 del 1986, art. 9 bis conv. in L. n. 488 del 1986 dalla Cassa DD.FP. a favore delle società costituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22), e non anche "le misure individuali di aiuto concesse alle singole imprese" (non avendo lo Stato membro provveduto a notificare alcun caso individuale di aiuto e non avendo neppure fornito i dati necessari per conoscere il numero esatto e la identità dei beneficiari: cfr. decisione Comm. punti 42 - 44):
a) da un lato, non inficia il contenuto precettivo e vincolante del provvedimento comunitario in ordine al giudizio di illegittimità del "regime di aiuti" (estendendosi tali effetti vincolanti - e preclusivi di una nuova e diversa valutazione della compatibilità della misura fiscale - nei confronti non solo dello Stato membro, ma anche dei soggetti dell'ordinamento interno, ivi comprese le autorità nazionali, amministrative e giurisdizionali. Iraducendosi nell'obbligo di dare attuazione al diritto comunitario, se necessario attraverso la disapplicazione delle norme interne che siano in contrasto con esso: Corte cass. 5 sez. 10.11.2006 n. 24065; id. 1 sez. 6.7.2010 n. 15980; id. 5 sez. 3.11.2010 n. 22318), mantenendo, quindi, la decisione della Commissione, le specifiche caratteristiche proprie dell'atto-fonte di produzione dell'ordinamento comunitario;
b) dall'altro è volta a precisare -con riferimento alla fase esecutiva della decisione e cioè dell'azione di recupero dell'aiuto - la stessa portata precettiva della decisione, fornendo allo Stato membro destinatario le necessaire coordinante per la corretta applicazione del recupero: come, infatti, puntualizzato dalla stessa Commissione, la decisione "non pregiudica la possibilità che aiuti individuali siano considerati, interamente o parzialmente compatibili con il mercato comune per ragioni attinenti al caso specifico", ipotesi questa tuttavia che deve essere verificata in sede di esecuzione del provvedimento comunitario e che può ravvisarsi esclusivamente nel caso in cui l'aiuto individuale "rientri nelle regole del de minimis" (cfr. decisione Comm.. punto 72 e 126), ovvero ricada "nel contesto di una futura decisione della Commissione" od ancora nell'ambito di applicazione di un regolamento di esenzione (cfr. decisione Comm., punto 126).
I limiti di applicazione degli effetti della decisione sopra indicati, diversamente da quanto opinato dalla resistente, non determinano, pertanto, il venir meno dei requisiti di precisione, chiarezza ed incondizionatezza del "comando" impartito dalla Commissione UE allo Stato membro destinatario, atteso che, la verifica delle singoli posizioni in concreto assunte dai soggetti beneficiari dell'aiuto illegale (che deve essere compiuta nella fase esecutiva del recupero dell'aiuto, in sede amministrativa ovvero nella eventuale sede giurisdizionale adita in seguito alla opposizione del provvedimento di recupero da parte del soggetto beneficiario), non si estende affatto alla (ri)valutazione della compatibilità o meno dell'aiuto di Stato con il sistema della concorrenza intracomunitaria, ma rimane relegata all'accertamento, nel caso concreto, dei presupposti di fatto e di diritto che integrano i fatti costitutivi della pretesa recuperatoria, e dunque all'accertamento in concreto della esistenza dei requisiti legali di tipo soggettivo della impresa beneficiaria (nella specie: società per azioni a prevalente partecipazione pubblica istituita ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22 per la gestione di servizi di pubblico interesse) e dei presupposti oggettivi di insorgenza dell'obbligazione restitutoria (effettiva percezione dei vantaggi derivanti dalla misura di aiuto, non polendo, infatti, escludersi che la singola impresa, pur disponendo dei requisiti previsti dalla norma statale per beneficiare dell'aiuto illegittimo, tuttavia non ne abbia in concreto fruito), nonchè all'accertamento di quelle specifiche condizioni, espressamente prese in considerazione dall'ordinamento comunitario, che consentono di derogare ai vincoli obbligatoli imposti dalla decisione della Commissione (cfr. reg. CE n. 69/2001 della Commissione del 12.1.2001 sostituito a decorrere dall'1.1.2007 dal reg. CE n. 1998/2006 della Commissione del 5.12.2006 in tema di applicazione della regola "de minimis": art. 88 - già 93 - paragr. 2 del Trattato CE nella parie in cui prevede che il Consiglio, con regolamento, possa dichiarare compatibile con il mercato comune un aiuto di Stato esistente o da istituire; reg. CE n. 659/1999 del Consiglio in data 22.3.1999 in relazione alla ipotesi di un'eventuale successiva decisione positiva della Commissione assunta in ordine alla valutazione dell'aiuto individuale concesso ad una determinata impresa in base al "regime di aiuti" dichiarato illegale).
Errata è, quindi, l'affermazione della resistente secondo cui la decisione in questione avrebbe riservato al Giudice dello Stato membro (ed altresì agli organi amministrativi dello Stato) una "piena discrezionalità" nell'accertamento di merito concernente la compatibilità dell'aiuto "individuale" (recte dell'aiuto riferito ad ogni singola determinata impresa) con i principi che regolano il mercato comune, consentendo al Giudice nazionale di "rivedere" la valutazione negativa dell'aiuto di Stato già espressa dalla Commissione con riferimento a quelle medesime circostanze già esaminate nella decisione comunitaria e ritenute incapaci di contrastare il giudizio di incompatibilità (cfr. decisione Comm. n. 2003/193/CE, punto 64: qualificazione della esenzione fiscale come vantaggio di natura patrimoniale in termini di risorse finanziarie od utili; punto 66-67: irrilevanza dell'ambito territoriale di gestione del servizio sulla distorsione determinata dalla possibilità di praticare offerte più appetibili in sede di gara per l'accesso al servizio locale ovvero a servizi da svolgere anche in ambito extralocale, non essendo posti limiti in tal senso dalla normativa nazionale; punto 107-120: in relazione alla irrilevanza del titolo concessorio) pubblico e del regime di privativa del servizio, non ricorrendo la ipotesi, prevista dall'art. 86 paragr. 2 Trattato CE. del "sistema di compensazione dei costi netti supplementari sopportati dalle imprese per la imposizione di obblighi specifici di interesse generale", non essendo rispettati i principi di non discriminazione, di definizione delle obbligazioni di pubblico servizio distinte dalla attività di impresa, di proporzionalità dell'aiuto in relazione alla compensazione dei soli costi supplementari determinati dai predetti obblighi), dovendo invece ritenersi circoscritto l'intervento dello Stato membro soltanto alla verifica, come già detto, di quelle peculiari condizioni concrete (applicabilità della regola del "de minimis": sopravvenuto accertamento di compatibilità dell'aiuto individuale da parte della Commissione; emanazione da parte del Consiglio di un regolamento in deroga; sussistenza dei requisiti legali della impresa, effettiva percezione dell'aiuto) che, secondo lo stesso diritto comunitario, consentono di escludere o limitare l'ambito applicativo degli effetti e degli obblighi scaturenti dalla decisione negativa adottata dalla Commissione ai sensi dell'art. 87 paragr. 1 Trattato CE (non contraddice a tale conclusione la pronuncia di questa Corte cass. 5 sez. 3.2.2010 n. 2428. citata dalla resistente, secondo cui la decisione della Commissione n. 2003/193/CH "'non esclude che specifici aiuti individuali concessi alle imprese possano risultare in tutto od in parte compatibili con le regole del mercato comune dovendo intendersi limitato tale accertamento alla sussistenza in concreto delle indicate condizioni che legittimano la deroga dal"obbligo del recupero dell'aiuto).
La decisione della Commissione n. 2003/193/CE in quanto dotata dei necessari caratteri di precisione e chiarezza, vincola lo Stato membro tanto alla pronuncia di incompatibilità dell'aiuto di Stato, quanto alla esecuzione dell'obbligo di recupero dei vantaggi illegalmente erogati alle imprese, venendo ad incidere anche sul piano normativo dell'ordinamento statuale in quanto richiede l'adozione degli interventi normativi indispensabili e la disapplicazione delle norme statuali incompatibili con il ripristino dello "status quo ante", ed è quindi pienamente idonea ad assurgere a diretto parametro del sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) (cfr. Corte cass. 1 sez. 28.10.2005 n. 21083; id. 5 sez. 10.11.2006 n. 24065; id. 5 sez. 3.2.2010 n. 2428).
3.2 Quanto alla eccezione di inammissibilità del ricorso con la quale si ipotizza la preclusione, determinata da giudicato interno, per omessa specifica impugnazione della affermazione contenuta nella sentenza della CTR marchigiana secondo cui "la Commissione tributaria di Macerata ha emesso una decisione legittima, procedendo secondo quanto stabilito dalla Commissione Europea 2003/193 CE, che aveva ammesso, fra l'altro, che una decisione relativa a regimi di aiuto non pregiudica la possibilità che aiuti individuali siano considerali interamente o parzialmente compatibili con il mercato comune, per ragioni attinenti al caso specifico", premesso che la efficacia di giudicato non va ricondotta ad ogni mera proposizione assertiva contenuta nella sentenza (nella specie, l'affermazione della conformità della sentenza di primo grado alla decisione del Commissione) ma esclusivamente agli enunciati che, in forma di statuizioni, esprimono l'accertamento materiale compiuto dai Giudici di appello in ordine - nel caso di specie - alla inesistenza dei fatti costitutivi della pretesa di recupero dell'aiuto dichiarato illegale e dai quali pertanto è dato desumere la regola del caso concreto (la statuizione della sentenza di appello suscettiva di passare in giudicato va, infatti, rinvenuta nell'autonomo accertamento - motivato con riferimento alle specifiche circostanze esaminate - della inesistenza di una effettiva alterazione o minaccia di alterazione della regolare competizione tra le imprese nel mercato comune ex art. 87 paragr. 1 Trattato CE, determinata dal beneficio di esenzione fiscale di cui ha goduto la società resistente), è appena il caso di osservare che, con l'unico motivo di ricorso per cassazione, la Agenzia delle Entrate non ha inteso affatto limitare la impugnazione della sentenza - come ipotizza la resistente - alla questione della legittimità del potere del Giudice tributario di accertare le "ragioni attinenti al caso specifico" che potrebbero legittimare (ai sensi della decisione Comm., punto 126) la sottrazione della singola società - che ha beneficiato della esenzione fiscale triennale dalla imposta sui redditi - dall'azione di recupero dell'aiuto dichiarato illegittimo, quanto piuttosto ha inteso censurare la sentenza di appello per non avere correttamente svolto tale accertamento in relazione a quei "presupposti di fatto e di diritto" (sopra individuati al paragr. 3.1) per i quali soltanto era esercitabile detto potere di accertamento, non essendo consentito al Giudice nazionale revocare o porre nel nulla la valutazione di merito della Commissione europea.
Risultando investita con il motivo di ricorso la complessiva "ratio decidenti della sentenza di appello (id est la valutazione di merito dei Giudici di appello - in ordine alla insussistenza di un pregiudizio alle regole della concorrenza - eguale e contraria a quella compiuta nella decisione della Commissione UE), ne consegue che la eccezione di inammissibilità del ricorso per intervenuto giudicato interno su detta questione si palesa manifestamente infondata.
4. Nel merito il motivo è fondato ed il ricorso deve pertanto essere accolto.
4.1 La vicenda in cui si inserisce la presente controversia trae le origini dal riconoscimento di agevolazioni fiscali e finanziari previste a favore delle società per azioni a prevalente capitale pubblico istituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22 (a seguito della trasformazione di aziende speciali ed aziende municipalizzate), rispettivamente, del D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, conv. in L. n. 427 del 1993 come ulteriormente integrato dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70, della (esenzione triennale da IRPEG ed ILOR dalla data della acquisizione della personalità giuridica fin al termine ultimo d 31.12.1999), nonchè dal D.L. n. 318 del 1986, art. 9 bis conv. in L. n. 488 del 1986 (accesso a prestiti erogati dalla Cassa DD.PP. a tassi agevolati).
I regimi agevolati indicati sono stati ritenuti aiuti di Stato incompatibili, ai sensi dell'art. 87 paragr. 1 del Trattato, con il principio della libera concorrenza sui mercati, con decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE in data 5.6.2002, notificata allo Stato italiano il 7.6.2002 e pubblicata in GUCE L 77/21 in data 24.3.2003. In particolare l'art. 3 della decisione disponeva che "L'Italia prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari l'aiuto concesso in virtù dei regimi....già posti illegittimamente a loro disposizione (comma 1). Il recupero viene eseguito senza indugio e secondo le procedure del diritto nazionale, semprechè queste consentano l'esecuzione immediata al effettiva del la decisione (comma 2)".
Con la L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 27 (Legge Comunitaria 2004), come modificato dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 132 veniva disciplinata la procedura di recupero degli aiuti dichiarati illegittimi cui veniva data esecuzione con provvedimento 1.6.2005 emesso dal Direttore della Agenzia delle Entrate e quindi con decreto 21.7.2006 del Ministero dell'Interno.
Pendenti i giudizi di impugnazione per l'annullamento della decisione della Commissione, promossi avanti il Giudice comunitario dalla Repubblica Italiana e da alcune società beneficiarie degli aiuti è intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia in data 1.6.2006 - adita con ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione ex art. 88, n. 2. secondo comma, Trattato - che ha accertato l'inadempimento dello Stato membro agli obblighi imposti dalla ripetuta decisione "non avendo adottato entro i termini prescritti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti dichiarati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune".
In conseguenza le modalità di attuazione del recupero degli aiuti illegittimi sono state interamente ridisciplinate con il D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1 conv. in L. 6 aprile 2007, n. 46, mantenendo ferme le disposizioni attuative di cui al citato provvedimento del Direttore della Agenzia delle Entrate. In particolare la norma, al comma 2, dispone che il recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte è effettuato dalla Agenzia delle Entrate che, sulla base delle dichiarazioni fiscali trasmesse dalle società relative ai periodi interessati dai benefici, liquida le somme dovute ""notificando entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, apposita comunicazione, in relazione a ciascuna annualità interessata dal regime agevolativi), contenente la ingiunzione di pagamento... In difetto del versamento nel termine di gg. 30 dell'importo dovuto si procede alla iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme ed alla riscossione coattiva ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973. La comunicazione contenente la ingiunzione "costituisce atto impugnabile davanti alle Commissioni tributarie" (comma 2). Conformemente alla disciplina comunitaria applicabile ed alla decisione della Commissione ""costituiscono deroghe al divieto previsto dall'art. 87 paragr. 1, Trattato, e non sono pertanto oggetto di iscrizione a ruolo...gli aiuti...rientranti nell'ambito di applicabilità della regola "de minimis"..." (comma 4), tali dovendo ritenersi, in base alla comunicazione della Commissione in data 2.5.2002, gli aiuti che "non eccedono l'importo complessivo di... 100.000 ECU.....su un periodo di tre anni decorrente dal primo aiuto" (comma 5). "Ai fini della applicazione della regola de minimis nei confronti delle società beneficiarie è condizione necessaria che il risparmio d'imposta goduto, risultate dalla sommatoria dell'esenzione fiscale fruirà per ogni periodo di imposta, sia inferiore a detto massimale" (comma 6), rimanendo esclusi dal cumulo gli aiuti autorizzati dalla Commissione europea e quelli rientranti in un regolamento di esenzione per categoria (comma 8). L'onere della prova della sussistenza delle condizioni derogatorie del recupero dell'aiuto grava sulle società beneficiane che possono assolverlo mediante presentazione di dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà ex art. 45 TU n. 445/2000 (comma 9).
L'ulteriore sviluppo normativo determinato:
- dal D.L. 8 aprile 2008, n. 59, art. 2 conv. in L. 6 giugno 2008, n. 101 (che ha aggiunto al D.Lgs. n. 546 del 1992, l'art. 47 bis);
- dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 24 conv. in L. 28 gennaio 2009, n. 2 (che tra l'altro ha disposto il recupero degli aiuti illegittimi "secondo i principi e le ordinarie procedure di accertamento e riscossione previste per le imposte sui redditi", fissando il termine di gg. 120 dalla data di entrata in vigore del decreto per la notifica degli avvisi di accertamento e dichiarando priva di rilevanza l'intervenuta definizione della lite ai sensi della L. n. 289 del 2002);
- del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5 conv. in L. 9 aprile 2009, n. 33 (che ha fornito la interpretazione autentica della L. n. 185 del 2009, art. 24, comma 3) stabilendo che il termine di gg. 120 per la notifica degli avvisi è di "natura ordinatoria" e che ha fissato il "dies a quo" di decorrenza dei termini di decadenza previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l'esercizio del potere di accertamento);
- dal D.L. 25 settembre 2009, n. 135, art. 19 conv. in L. 20 novembre 2009, n. 166 (che ha introdotto il comma 1 bis all'art. 24 del D.L. n. 185 del 2009, prevedendo che, ai fini del recupero degli aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte, gli accertamenti emessi dalla Agenzia delle Entrate "possono essere in ogni caso integrali o modificati in aumento, mediante la notificazione di nuovi avvisi");
non assume rilevanza, ratione temporis, nel presente giudizio che ha ad oggetto la impugnazione del provvedimento di ingiunzione emesso dalla Agenzia delle Entrate ai sensi del D.L. n. 10 del 2007 e notificato in data 10.5.2007 alla società beneficiaria dell'aiuto dichiarato illegittimo.
4.2 Come bene evidenziato nella pronuncia resa dalla Corte di giustizia CE sez. 1 in data 1.6.2006 in causa C-207/05 (nel giudizio avente ad oggetto la azione proposta dalla Commissione per inadempimento dello Stato italiano agli obblighi di recupero dell'aiuto di Stato dichiarato illegittimo con decisione n. 2003/193/CE) nei giudizi concernenti la verifica della esatta esecuzione degli obblighi derivanti dalla decisione della Commissione adottata ai sensi dell'art. 87 paragr. 1 Trattato e dunque concernenti l'accertamento della adeguatezza delle misure attuate dallo Stato membro destinatario della decisione per il recupero degli aiuti illegittimamente concessi, rimane preclusa ogni ulteriore discussione e contestazione relativa alla illegittimità/nullità (delle valutazioni di merito) della decisione con la quale la Commissione ha dichiarato la incompatibilità del regime di aiuti (ctr. punto 42 sentenza: "...Il sistema dei rimedi giurisdizionali predisposto dal Trattato distingue i ricorsi di cui agli artt. 226 CE e 227 CE, che mirano a far accertare che imo Stato membro non ha adempiuto gli obblighi che gli incombono, dai ricorsi di cui agli artt. 230 CE e 232 CE, che mirano a far controllare la legittimità degli atti o delle omissioni delle istituzioni comunitarie. Onesti rimedi giurisdizionali perseguono scopi distinti e sono soggetti a modalità diverse. Uno Stato membro, quindi in mancanza di una disposizioni del Trattato che lo autorizzi espressamente, non può eccepire l'"illegittimità di una decisione di cui sia destinatario come argomento difensivo nei confronti del ricorso per inadempimento basato sulla mancata esecuzione di tale decisione (v. segnatamente, sentenze Commissione, Portogallo, cit, punto 34; 22 marzo 2001, causa C-261/99, Commissione Francia. Racc. pag. 1-2537, punto 18, e 26 giugno 2003, causa C-404/00. Commissione/Spagna, Racc. pag. 1-6695, punto 40)... ").
Tale preclusione alla contestazione del merito della decisione della Commissione, nella fase di attuazione - tanto in sede amministrativa che giurisdizionale - delle misure necessaire al recupero degli aiuti indebiti, costituisce naturale conseguenza del carattere incondizionato dell'obbligo di recupero dell'aiuto illegale imposto dalla decisione dalla Commissione, in quanto momento indispensabile per il ripristino della situazione di mercato compromessa dalla violazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza tra imprese: soltanto l'adempimento di tale obbligo, infatti, può soddisfare pienamente al principio di effettività dell'ordinamento comunitario, con la logica conseguenza che "....in conformità ad tifici giurisprudenza parimente costante, se la decisione della Commissione: che dispone la soppressione di un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune non è stata impugnata con un ricorso o un tale ricorso è stato respinto, il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre al ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione sulla base dell'art. 88, n. 2, CE è l'impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione (v, sentenze 4 aprile 1995, causa C348/93, Commissione/Italia, Racc. pag. 1673. punto 16; 22 marzo 2001, causa C261/99, Commissione/Francia, Racc. pag. 12537, punto 23; 2 luglio 2002, causa C499/99, Commissione/Spagna, Racc pag. 16031, punto 21, e 26 giugno 2003, Commissione/Spagna, cit., punto 45)......" (cfr.
Corte giustizia CE sez. 5 sent. 1.4.2004 in causa C-99/02, punto 16;
Corte giustizia CE sez. 1 sent. 1.6.2006, punto 45 cit. che richiama le sentenze 12 dicembre 2002. causa C-209/00, Commissione/Germania.
Racc. pag. 1-1965. punto 70, e 12 maggio 2005, causa C-415/03, Commissione/Grecia, Racc. pag. 1-3875, punto 35).
La preclusione alla contestazione della valutazione di merito compiute dalla Commissione in ordine alla incompatibilità dei regimi di aiuto opera, all'evidenza, non soltanto nei giudizi di inadempimento promossi avanti il Giudice comunitario ai sensi degli artt. 226 e 227 Trattato, ma anche nei giudizi - avanti gli organi giurisdizionali dello Stato destinatario della decisione - che vedono come parti lo Stato membro (che agiste in adempimento dell'obbligo comunitario) ed i soggetti terzi chiamati alla restituzione dell'indebito vantaggio percepito, rimanendo escluso un pregiudizio al diritto di difesa dei soggetti privati beneficiari dell'aiuto di Stato, essendo consentito anche a questi ultimi adire direttamente gli organi di giustizia comunitaria con autonoma azione di annullamento (della decisione della Commissione ritenuta illegittima), ai sensi dell'art. 230, comma 4 del Trattato CE (che legittima "qualsiasi persona fisica o giuridica" alla proposizione del ricorso "contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento od una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente").
Pertanto fintanto che la decisione della Commissione non venga rimossa dall'ordinamento comunitario - in seguito a pronuncia di annullamento del Giudice comunitario, permane l'ineludibile vincolo imposto a qualsiasi organo amministrativo o giurisdizionale dello Stato membro di dare esecuzione alla decisione di recupero adottata dalla Commissione che. pur se priva dei caratteri di generalità ed astrattezza delle norme, è tuttavia dotata di "effetto diretto nei confronti dell'ordinamento nazionale", limitatamente ai rapporti ed.
verticali tra lo Stato membro ed i soggetti beneficiari dell'aiuto (cfr. Corte cass. 1 sez. 28.10.2005 n. 21083), corrispondendo a tale "effetto diretto" da un lato, l'obbligo dello Stato destinatario di dare attuazione alla decisione, con atto normativo costituzionalmente idoneo a sopprimere o modificare il regime di aiuto illegale (cfr.
Corte Cass. 3 sez. 4.3.2005 n. 4769), dall'altro l'obbligo del Giudice, chiamato a decidere sulla pretesa di recupero, di "conformarsi ai diritto comunitario" disapplicando, ove occorra, le norme sostanziali (cfr. Corte cass. 5 sez. 19.11.2010 n. 2341; id. 5 sez. 29.12.2010 n. 26286; id. 5 sez. 20.5.2011 n. 11228, con riferimento a termini di decadenza e prescrizione) o processuali di diritto interno qualora queste impediscano la piena effettività del diritto comunitario ed il recupero dell'aiuto (cfr. con riferimento ad aiuti di Stato illegali: Corte cass. 5 sez. 3.11.2010 n. 22318;
id. 5 sez. 19.11.2010 n. 23418; id. 5 sez. 29.12.2010 n. 262S5). In proposito appare opportuno evidenziare che se la "efficacia obbligatoria" delle decisioni comunitarie è generalmente prevista dall'art. 249, comma 4 Trattato UE, la specifica efficacia della decisione emessa dalla Commissione in materia di aiuti di Stato trova puntuale disciplina nella disposizione dell'art. 14, comma 1 del reg.
CE n. 659/1999 del Consiglio in data 22.3.1999 (recante modalità di applicazione dell'art. 93 - ora 88 - del Trattato CE) che prevede espressamente la insorgenza del vincolo obbligatorio ed incondizionato nei confronti dello Stato membro destinatario avente ad oggetto il ripristino immediato ed effettivo dello status quo ante la accertata violazione della concorrenza (la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto dal beneficiario").
4.3 Tanto premesso, ritiene il Collegio che il Giudice tributario regionale ha violato le norme di diritto indicate alla parte ricorrente, avendo deciso la controversia, avente ad oggetto la opposizione proposta dalla società avverso il provvedimento ingiuntivo volto al recupero dell'aiuto di Stato (liquidato in misura corrispondente all'ammontare dei tributi sui redditi non corrisposti nell'anno d'imposta in considerazione), effettuando una nuova e diversa valutazione delle stesse questioni di merito (ed in particolare degli stessi elementi ed argomenti addotti dallo Stato italiano nel procedimento ex art. 88 Trattato per sostenere la compatibilità dei benefici fiscali con l'ordinamento comunitario) già esaminate dalla Commissione UE e pervenendo ad escludere nel caso concreto la lesione delle regole di concorrenza comunitarie, con ciò, di fatto, venendo a pronunciare inammissibilmente sulla validità dell'atto della Istituzione comunitaria ed implicitamente revocando la decisione che aveva dichiarato illegale il regime di aiuti di Stato concernente il beneficio della esenzione fiscale triennale a favore delle società per azione costituite ai sensi della L. n. 142 del 1990.
Gli argomenti posti dalla CTR marchigiana a sostegno del "decisum ed in base ai quali sono state ritenute sussistenti le condizioni di deroga alla applicazione del recupero dell'aiuto (la società operava solo nel territorio del Comune: svolgeva la propria attività in regime di privativa legale in quanto concessionaria di servizio pubblico - smaltimento dei rifiuti - locale: la società era a prevalente capitale pubblico gli utili di esercizio venivano utilizzati per i fini istituzionali dell'ente pubblico), risultano, infatti, tutti già presi in considerazione e diffusamente confutati dalla Commissione nell'ampia parte motiva della decisione n. 2003/193/CE (cfr. decisione, capitolo 3 "valutazione delle misure" punti 42-81, ed inoltre punti 82-85), sicchè la pronuncia del Giudice tributario, venendo a sovrapponi interamente alla decisione della Commissione, finisce per ribaltarne le conclusioni, sostituendosi inammissibilmente ad essa.
Ben diverso, in relazione alla peculiare situazione concreta sottoposta al suo esame, e molto più ristretto era l'ambito di verifica -limitato all'accertamento dei fatti costitutivi della pretesa di recupero- consentito al Giudice tributario dalla decisione della Commissione UE (vedi punto 126), come è già stato chiarito nel precedente paragrafo 3.1 della presente motivazione, e come peraltro trova ulteriore conferma nella evoluzione della disciplina normativa dettala dal Legislatore nazionale ai fini della attuazione della ripetuta decisione della Commissione.
La complessa vicenda normativa -caratterizzata da notevoli incertezze e difficoltà - che è seguita all'accertamento di incompatibilità del regime di aiuti con l'ordinamento comunitario, per dare esecuzione nello Stato membro destinatario alla decisione di recupero degli aiuti illegalmente erogati sotto forma di esenzione fiscale, viene infatti a confermare le conclusioni sopra raggiunte in ordine alla intangibilità da parte degli organi dello Stato membro delle valutazioni di merito compiute dalla Commissione UE con la ripetuta decisione.
Ed infatti la originaria estensione -prevista dalla L. n. 266/2005 - dell'ambito di verifica da parte degli organi amministrativi dei casi di non applicazione delle norme di recupero anche ad aspetti che inevitabilmente investivano il giudizio - di pertinenza esclusiva della Commissione - di compatibilità del regime di aiuti con il sistema degli scambi intracomunitari (secondo tale disciplina l'aiuto non andava recuperato qualora fossero accertate "forme di restituzione degli aiuti già attuate mediante reimmissione nel circuito pubblico delle minori imposte versate" ovvero fosse verificata la estraneità al recupero delle agevolazioni fiscali relative ad attività non concorrenziali": cfr. direttive per le linee guida dettate per il recupero degli aiuti introdotte con le modifiche apportate dalla L. n. 266 del 2005 alla L. n. 62 del 2005, art. 27) ha, infatti, incontrato la censura della Corte di Lussemburgo che, in sede di procedura per inadempimento ex art. 88 paragr. 2, comma 2, ha ribadito il carattere incondizionato dell'ordine di recupero dell'aiuto illegale contenuto nella decisione della Commissione, non essendo legittimato lo Stato membro, nella fase di esecuzione della decisione comunitaria, a contestare ulteriormente la fondatezza dell'accertamento di incompatibilità dell'aiuto con il mercato comune compiuto dalla Commissione (cfr.
Corte giustizia 1 sez. 1.6.2006 in causa C-207/05. punti 41 e 42; in relazione alla assoluta mancanza di discrezionalità dello Stato membro in ordine alla valutazione di merito compiuta dalla Commissione. cfr. Corte giustizia 20.3.1997 in causa C-24/95. punto 34 "il compito delle autorità nazionali ...consiste solo nel dare esecuzione alle decisioni della Commissione. Le dette autorità non dispongono pertanto di alcun potere discrezionale ....Di conseguenza quando la Commissione ordina....il recupero di importi indebitamente versati l'autorità nazionale non può legittimamente fare ulteriori accertamenti").
In seguito alla predetta sentenza del Giudice comunitario è stata, pertanto, compiutamente riveduta la disciplina normativa statale che regola le modalità ed i criteri di recupero degli aiuti, che ha avuto definitiva stabilizzazione con il D.L. 15 febbraio 2007, n. 10 conv. in L. 6 aprile 2007, n. 46, e quindi con il D.L. 29 novembre 2008, n. 185 conv. in L. 29 gennaio 2009, n. 2 (come modificato dal D.L. 25 settembre 2009, n. 135, art. 19 conv. in L. 20 novembre 2009, n. 166, ed interpretato autenticamente dal D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, art. 7, comma 2 bis conv. in L. 9 aprile 2009, n. 33).
4.4 Dalle richiamate norme statali, emanate in ottemperanza alla sentenza della Corte di Giustizia del 2006, emerge chiaramente ed in modo inequivoco che la pretesa avente ad oggetto il recupero dell'aiuto illegale può essere paralizzata esclusivamente nel caso in cui:
a) vengano accertate -in base alle prove offerte dal beneficiario dell'aiuto - le condizioni alle quali è subordinata la applicazione della regola "de minimis" come individuate, fino al 31.12.2006, dal regolamento CE n. 69/2001 della Commissione del 17.1.2001 e successivamente dal regolamento CE n. 1998/2006 della Commissione nata 1.12.2006 (cfr. D.L. n. 10 del 2007, art. 1, commi da 4 a 10, conv. in L. n. 46 del 2007. Con lo stesso decreto legge, all'art. 1, comma 11, è stata disposta la abrogazione della precedente disciplina contenuta nella L. n. 62 del 2005, art. 27, commi da 2 a 6 -Legge comunitaria 2004-, venendo definitivamente eseluse altre ipotesi di non applicazione delle norme di recupero), e:
b) oppure nel caso in cui il oggetto destinatario della comunicazione- ingiunzione contesti i fatti costitutivi della pretesa, allegando la insussistenza dei presupposti soggettivi (società per azione costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990: prevalente partecipazione pubblica: affidamento in gestione di un sevizio pubblico locate) o la inesistenza dei presupposti oggettivi (effettiva percezione/fruizione dell'aiuto) della obbligazione restitutoria in ogni caso dovendo ritenersi preclusi nuovi accertamenti in ordine agli effetti distorsivi della concorrenza determinati dall'aiuto (vale, in proposito, osservare come, in ordine alla verifica di incompatibilità del regime di aiuti compiuta dalla Commissione, non sia richiesta dall'art. 87 paragr. 1 Trattato la dimostrazione di un concreto pregiudizio, essendo sufficiente la "minaccia di falsare la concorrenza, come chiaramente ribadito nella sentenza del Tribunale di prima istanza CE sez. 8 in data 11.6.2009 in causa T-222/04 - che ha rigettato la impugnazione per annullamento della decisione n. 2003/193/CEE proposta dallo Stato italiano-: cfr punto 39 "....Si deve rammentare preliminarmente che, ai sensi dell'art. 87, n. 1 CE, per qualificare uri provvedimento come aiuto è necessario che lutti i presupposti previsti da tale disposizione siano soddisfatti. In primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali. In secondo luogo, tale intervento deve poter incidere sugli scambi tra Stati membri. In terzo luogo, deve concedere un vantaggio selettivo. In quarto luogo, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (v. sentenze della Corte 24 luglio 2003, causa C-280/00, Altmark Trans e Regierungsprdsidium Magdeburg, Racc. pag. 1-7747, in prosieguo: la sentenza Altmark punti 7-1 e 75, e giurisprudenza ivi citata, e 3 marzo 2005, Causa C-172/03, Heiser. Racc. pag. 1-1627. punto 27)..........41. Per quanto concerne il secondo e il quarto presupposto di cui al precedente punto 39, per giurisprudenza consolidala la Commissione, in sede di valutazione di tali due presupposti, non è tenuta a dimostrare un'incidenza effettiva degli aiuti sugli scambi tra Stati membri e un 'effettiva distorsione della concorrenza, ma (leve solamente esaminare se i detti aiuti siano idonei a incidere su tali scambi e a falsare la concorrenza (v.
sentenza della Corte 15 dicembre 2005, causa C-148/04, Unicredito Italiano, Racc. pag. 1-11137, punto 54, e giurisprudenza ivi citata).....").
5. Il motivo di ricorso trova, pertanto, accoglimento dovendo darsi seguito al principio espresso da questa Corte secondo cui "ai sensi del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1 convertito nella L. 6 aprile 2007, n. 46, l'Agenzia delle Entrate ha l'obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni usufruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico istituite ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22 per la gestione dei servizi pubblici locali e ritenute incompatibili con il diritto comunitario come aiuti di Stato dalla decisione della Commissione europea n. 2003/7 93/CE. Il recupero è escluso solo nell'ipotesi che si tratti di aiuti, comunque determinati nella comunicazione di ingiunzione notificata al soggetto beneficiario, rientranti nell'ambito di applicabilità della regola "de minimis", esclusi i settori disciplinati da norme comunitarie speciali in materia di aiuti di Stato emanate sulla base dal Trattato che istituisce la Comunità economica europea o del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, vigenti nel periodo di riferimento. Spetta alla società destinataria dell'ingiunzione eccepire, e provare, che l'aiuto ricevuto appartenga all'ambito di applicabilità della regola "de minimis", mentre all'amministrazione incombe l'onere di provare che detta società sia una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990 e che abbia effettivamente usufruito dell'agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario. Tali elementi, unitamente all'invito ad avvalersi della eccezione relativa al l'appartenenza dell'aiuto all'ambito di applicabilità del la regola "de minimis" esauriscono la motivazione necessaria dell'ingiunzione", (cfr. Corte cass. 5 Sez. 19.11.2010 n. 23414).
6. L'accoglimento del ricorso principiale rende necessario l'esame dell'unico motivo proposto dalla società resistente a sostegno della impugnazione incidentale, con il quale si deduce il vizio di violazione del D.L. n. 10 del 2007, art. 1 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e si censura la sentenza di appello nella parte in cui:
a) ha qualificato "non tributario" il credito restitutorio fatto valere dalla Amministrazione finanziaria con la ingiunzione opposta, ritenendo che le somme erano richieste non a titolo di imposte ma di aiuto di Stato indebitamente erogato e dunque trattavasi "di importo pari alle imposte non corrisposte, ma certamente di diversa natura";
b) ha tratto dalla predetta qualificazione iLnon tributaria" del credito la conseguenza della applicazione al diritto al recupero dell'aiuto, del termine di prescrizione decennale, di cui all'art. 15 del reg. CE n. 659/99 del 22.3.1999, decorrente dal giorno in cui l'aiuto era stato concesso al beneficiario, sul presupposto della prevalenza della indicata norma comunitaria su quella statale (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43).
6.1 La società contesta la erronea qualificazione della natura non tributaria del credito compiuta dai Giudici di appello, sostenendo che, dalla disciplina normativa statale vigente al tempo della notifica del provvedimento di recupero, ed in particolare dal D.L. n. 10 del 2007, art. 1 conv. in L. n. 46 del 2007, emergerebbe in modo inequivoco che il Legislatore ha modulato la procedura di riscossione in conformità a quella prevista per l'accertamento e la riscossione delle imposte sul reddito, con la conseguenza che, da un lato, trovavano applicazione i termini di decadenza dal potere di accertamento fiscale previsti in materia di impose sui redditi dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43; dall'altro, avendo la società "con riferimento all'anno 1998" presentato dichiarazione integrativa ai fini del condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9 - e non trovando applicazione quindi la proroga dei termini di accertamento disposta dalla medesima L. n. 289 del 2002, art. 10, è dalla data di presentazione di tale dichiarazione integrativa che iniziava a decorrere il termine di decadenza quinquennale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 essendo tenuta l'Amministrazione ad esercitare il potere di accertamento impositivo entro il 31.12.2004. In conseguenza - prosegue la ricorrente incidentale, con riferimento all'aiuto fruito nell'anno 1997, risultavano ampiamente decorsi, al tempo della notifica della ingiunzione, i termini di decadenza del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 non essendo consentite alla normativa sopravvenuta, volta a disciplinare il recupero dell'aiuto, proroghe di termini già scaduti.
6.2 Il motivo è infondato, dovendo essere confermato il dispositivo della sentenza previa correzione della motivazione.
Occorre premettere che il D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 2 conv.
in L. n. 46 del 2007 qualifica espressamente la "comunicazione contenente a ingiunzione al pagamento delle some dovute a titolo di restituzione dell'aiuto" come "atto impugnabile davanti alle Commissione tributarie, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19 e successive modificazioni.
Nel precedente comma 1, viene attribuita alla Agenzia delle Entrate la competenza ad adottare gli atti di recupero dell'aiuto illegittimo (in base alle dichiarazioni dei redditi presentate per gli anni interessati dalle società beneficiarie: ovvero di ufficio - in caso di mancata presentazione della dichiarazione - alla stregua degli elementi direttamente acquisiti), ed ancora nel comma 2 viene espressamente individuato il tipo di provvedimento che deve essere emesso (comunicazione-ingiunzione di pagamento), viene individuata la forma del titolo esecutivo stragiudiziale (iscrizione a ruolo della somma dovuta), e viene esclusa la applicazione di sanzioni "di natura tributaria e di ogni altra specie".
Tanto premesso la individuazione del termine di decadenza o di prescrizione da applicare alle azioni recuperatorie degli aiuti di Stato dichiarati illegittimi con decisione della Commissione ex art. 88 Trattato, prescinde dalla natura tributaria o meno della pretesa, dovendo rinvenirsi invece o nelle norme comunitarie - ove da queste direttamente disciplinato - o nelle norme dell'ordinamento interno, in quest'ultimo caso tenendo conto del carattere incondizionato dell'obbligo di ripristino dello "status quo ante" imposto allo Stato membro dalla decisione 2003/193/CE in data 5.6.2002 della Commissione come sanzionato dalla pronuncia del Giudice comunitario in data 1.6.2006 emessa nei confronti della Repubblica italiana (in causa C- 207/05).
Il principio di effettività dell'ordinamento comunitario, applicato in materia di aiuti di stato illegittimi, non consente, infatti, allo Stato membro di astenersi dalla esecuzione del recupero dei vantaggi - lesivi della concorrenza - erogati a favore di determinate categorie economiche, nè di trincerarsi dietro impedimenti di diritto sostanziale o processuale determinati dalle norme dell'ordinamento interno.
Inequivoco a tal fine il disposto dell'art. 14, comma 3 del regolamento CE n. 659/1999 del 22.3.1999 secondo cui "il recupero va effettuato secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l'esecuzione immediata ed effettiva della decisione" (costante è la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla necessaria disapplicazione delle regole processuali di diritto interno che impediscano il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario: Corte cass. SU 18.12.2006 n. 26948; id. 5 sez. 9.9.2008 n. 22705; id. 5 sez. 23.6.2010 n. 15190; id. 5 sez. 29.12.2010 n. 26285 - che ha ritenuto non applicabile il termine di decadenza per la proposizione del gravame da parte dell'Ufficio finanziario che agiva per il recupero dell'aiuto).
Ne segue logicamente che l'applicazione del termine di decadenza D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 - ricollegandone la decorrenza all'anno 1997 di percezione dell'aiuto illegale, verrebbe evidentemente ad impedire l'effettività del diritto comunitario come affermato dalla decisione della Commissione, tenuto conto che tale decisione, con la quale è stata dichiarata la illegittimità degli aiuti di Stato, è stata emessa in data 5.6.2002, notificata allo Stato italiano il 7.6.2002 e pubblicata nella GUCE L 77/21 in data 24.3.2003 e che l'aiuto non diviene illegale fintantochè la Commissione non ne abbia constato la incompatibilità con il mercato comune" (cfr. Corte giustizia CEE del 30.6.1992 in causa C-47/91 Italia c/ Commissione; Corte giustizia CE, 6 sez., del 29.4.2004 in causa 298/00 Rep. Italiana c/ Commissione).
La diversa soluzione prospettata dalla ricorrente incidentale si porrebbe, altresì, in manifesto ed insanabile contrasto con la giurisprudenza comunitaria, secondo la quale i vantaggi indebitamente erogati in violazione del principio di concorrenza debbono sempre e comunque essere "effettivamente" recuperati (cfr. Corte giustizia 12.5.2005 in causa C-415/03), non potendo trincerarsi lo Stato membro neppure sotto l'egida della intangibilità del giudicato (cfr. Corte giustizia 18.7.2007, in causa C-119/05; id. 3.9.2009 , in causa C- 2/08), nè invocando la decorrenza dei termini posti dall'ordinamento a salvaguardia della certezza dei diritti in quanto "sebbene non contrasti con l'ordinamento giuridico comunitario una legislazione nazionale che garantisce la tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto in materia di ripetizione, si deve tuttavia rilevare che, tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell'art. 93 del Trattato......in materia di aiuti di Stato dichiarati incompatibili, il compito delle autorità nazionali......consiste solo nel dare esecuzione alle decisione della Commissione...35 Quando l'autorità nazionale (ascia, nondimeno, scadere il termine stabilito dal diritto nazionale per la revoca ndr dell'aiuto..., la situazione non può essere equiparata a quella in cui un operatore economico ignora se l'amministrazione competente intenda pronunciarsi e il principio della certezza del diritto impone e si metta fine a questa incertezza allo scadere di un determinato termine. 36 Considerata la mancanza di potere discrezionale dell'autorità nazionale, il beneficiario dell'aiuto illegittimamente attribuito cessa di trovarsi nella incertezza non appena la Commissione adotta una decisione che dichiari fa incompatibilità dell'aiuto e ne ordini il recupero. 37.
Il principio della certezza del diritto non può quindi precludere la restituzione dell'aiuto per il fatto che le autorità nazionali si sono conformate con ritardo alta decisone che impone tale restituzione. In caso contrario, il recupero delle somme indebitamente versate diverrebbe praticamente impossibile e le disposizioni comunitarie relative agli aiuti di Stato sarebbero private di ogni effetto utile..." (cfr. Corte giustizia CE 20.3.1997 in causa C-24/95 Land Rheinald Pfalz d Alcan). Come bene evidenziato dalla sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 19 settembre 2002 in causa C-330/00, Republik Osterreich contro Martin Huber (che richiama il precedente del 9 ottobre 2001, cause riunite da C-80/99 a C-82/99, Flemmer e a...punto 55), "risulta da una giurisprudenza costante che, qualora il diritto comunitario, ivi compresi i principi generali dello stesso, non contenga norme comuni, le autorità nazionali competenti, per attuare una normativa comunitaria, devono agire applicando le norme formali e procedurali del diritto dello Stato membro interessato. Tuttavia, come già dichiarato dalla Corte, è possibile valersi delle norme nazionali solo nella misura necessaria per l'attuazione delle disposizioni di diritto comunitario e sempre che l'applicazione delle norme nazionali non menomi la portata e l'efficacia del diritto comunitario stesso, ivi compresi i suoi principi generali".
6.3 Deve quindi riconoscersi che la vicenda normativa avente ad oggetto la disciplina delle modalità di recupero degli aiuti di Stato dichiarati illegittimi con la decisione 2003/193/CE, attiene a fenomeno giuridico del tutto distinto da quello dell'accertamento e della riscossione del tributo, in quanto finalizzato non a colpire il reddito prodotto dal contribuente al verificarsi del presupposto normativo d'imposta, ma a privare il beneficiario del vantaggio di cui aveva fruito su mercato rispetto ai suoi concorrenti, in modo da ripristinare la situazione esistente prima della corresponsione dell'aiuto di Stato illegittimo (cfr. Corte giustizia 4.4.1995, in causa C-350/93, Commissione c, Italia; Corte giustizia 29.4.2004, in causa C-298/00).
Ne consegue che la normativa statale di attuazione della decisione comunitaria (nella specie il D.L. 15 febbraio 2007, n. 10 conv. in L. 6 aprile 2007, n. 46) viene ad introdurre nell'ordinamento statuale "disposizioni di natura speciale" che si inseriscono nella procedura comunitaria di verifica della compatibilità degli aiuti concessi dagli Stati membri realizzando un "continuum" con il precetto contenuto nella decisione adottata dalla Commissione, con il logico corollario per cui eventuali lacune nella disciplina delle modalità di recupero degli aiuti illegali bene possono essere integrate ricorrendo ad altre normative interne dello Stato membro, ma pur sempre in conformità ai principi del diritto comunitario che regolano la materia e dei quali anche le "norme integrative" vengono a costituire diretta applicazione, in funzione dei risultato - ripristino dello "status qua ante" - che deve essere raggiunto per assicurare il principio di effettività dell'ordinamento comunitario.
Pertanto non può essere condiviso il richiamo puro e semplice, operato dalla società resistente in virtù della pretesa natura "tributaria" della pretesa avente ad oggetto il recupero dell'aiuto, ad un sistema normativo chiuso, qual è il D.P.R. n. 600 del 1973 in materia di accertamento delle imposte sui redditi, che risulta estraneo allo scopo sopra indicato e che prevede, anzi, norme, come l'art. 43, che debbono essere ritenute incompatibili con l'attuazione della ripetuta decisione della Commissione in quanto, anzichè integrare le lacune della disciplina legislativa volta al recupero dell'aiuto di Stato ne determinano la sostanziale inapplicabilità.
La circostanza che, nella specie, i vantaggi indebitamente conseguiti dalle società ex L. n. 142 del 1990 corrispondano ad esenzioni fiscali (D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 1 definisce gli aiuti "equivalerti alle imposte non corrisposte"), non modifica le conclusioni raggiunte in quanto, se il recupero dell'aiuto di Stato illegale si risolve nell'assoggettare "ora per allora" ad imposizione fiscale il reddito prodotto dalle società negli anni in cui hanno beneficiato della esenzione, tale risultato è stato ritenuto compatibile dalla Corte costituzionale sia con il principio della capacità contributiva ex art. 53 Cost., che con i principi di imparzialità e buon andamento della PA ex art. 97 Cost., alla stregua delle seguenti considerazioni: a) "la denunciata efficacia retroattiva delle norme censurate trova giustificazione sia nell'art. 117 Cost., comma 1, in conseguenza dell'obbligo imposto dall'ordinamento comunitario al legislatore italiano di procedere al recupero delle some corrispondenti alle agevolazioni fiscali non compatibili con la normativa comunitaria; sia nell'art. 3 Cost., data la esigenza di ricondurre ad uguaglianza la posizione dei contribuenti, eliminando sin dall'origine gli effetti economici illegittimamente accordati ad alcuni di essi, i quali, come si è visto, non possono invocare, di regola, alcun legittimo affidamento nel godere di aiuti di Stato non compatibili con l'ordinamento comunitario; b) il prelievo fiscale "costituisce un recupero dell'ammontare della esenzione fiscale indebitamente concessa, e non è effetto di un'ulteriore imposta ad efficacia retroattiva"; c) il recupero dell'aiuto di Stato "comporta la sottoposizione ad imposta di redditi che......all'epoca della loro formazione erano già imponibili, con la conseguenza che tale recupero non lede ma al contrario attua gli evocati principi costituzionali di imparzialità e buon andamento" (cfr. Corte cost. sentenza 6.2.2009 n. 36).
Le conclusioni raggiunte in ordine alla inapplicabilità del termine di decadenza previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 per l'esercizio della potestà impositiva, in quanto, da un lato, concernente fattispecie giuridica distinta da quella attinente il recupero dell'aiuto illegale, dall'altro incompatibile con l'azione di recupero dell'aiuto imposta dalla decisione comunitaria, trovano ulteriore conferma nella consolidata giurisprudenza di questa Corte, adesiva a quella comunitaria, secondo cui eventuali termini di decadenza o di prescrizione previsti dall'ordinamento interno in relazione alle controversie relative alla restituzione degli importi indebitamente concessi in forza del diritto comunitario, pur se espressione dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento (che appartengono anche all'ordinamento comunitario: Corte giustizia sentenze 21 settembre 1983, cause riunite da 205/82 a 215/82, Deutsche Milchkontor; Corte giustizia 9 ottobre 200), cause riunite da C-80/99 a C-82/99, Flemmer ed altri), non potrebbero, comunque, pregiudicare l'azione di recupero dell'aiuto illegale erogato o fruito dal beneficiario (cfr. Corte cass. 5 sez. 19.11.2010 n. 23418; id. 5 sez. 29.12.2010 n. 26286; id.
5 sez. 20.5.2011 n. 11228, tutte conformi al principio secondo cui "le formalità stabilite dal diritto nazionale non devono risolversi nel rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile la restituzione degli aiuti non dovuti e che l'applicazione delle norme interne deve avvenire in modo non discriminatorio rispetto alle procedure intese alla definizione di controversie nazionali dello stesso tipo" - cfr. Corte giustizia 19.9.2002 in causa C-336/00, Republik Osterreich c/Martin Huber; Corte giustizia 5.10.2006 C- 368/04, Transalpine Olleitung).
6.4 Se dunque appare corretta la soluzione adottata dai Giudici di merito che hanno considerato recessivo il termine di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 rispetto al diverso termine prescrizionale ritenuto applicabile alla fattispecie in esame, non può invece condividersi la individuazione di tale termine in quello decennale stabilito dall'art. 15 reg. CE n. 659/99 del 22.3.1999 per 1"esercizio dei "poteri della Commissione per quanto riguarda il recupero degli aiuti decorrente dal giorno in cui l'aiuto illegale viene concesso al beneficiario.
Il termine indicato, infatti, non disciplina direttamente le azioni e le misure intraprese dallo Stato membro volte al recupero presso i terzi beneficiari degli aiuti dichiarati illegittimi, ma trova applicazione esclusivamente con riferimento all'esercizio dei poteri attribuiti alla Commissione europea ("i poteri della Commissione per quanto riguarda il recupero degli aiuti sono soggetti ad un periodo limite di dieci anni": art. 15, comma 1 reg. n. 659/99) esaurendo la propria funzione di certezza del diritto (vedi quattordicesimo considerando) nell'ambito della tempestiva definizione del procedimento ex art. 93 (ora 88) del Trattato, volto alla verifica di compatibilità dell'aiuto di Stato e che si conclude - in caso accertata illegittimità - con la decisione che "impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l'aiuto" (art. 14, comma 1), estrinsecandosi tale dispositivo in una vera e propria ingiunzione che ha come destinatario esclusivo lo Stato membro in quanto unico soggetto che acquista la posizione di parte del procedimento (cfr. Corte giustizia 6.10.2005 in causa C-276/03, Scott s.a. c/Commissione - che ne trae la conseguenza secondo cui il termine prescrizionale decennale può essere interrotto da qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o "da uno Stato membro che agisca su richiesta della Commissione" senza che occorra per il perfezionamento dell'effetto interruttivo la necessità della previa notifica di tale atto anche al beneficiario), non essendo questo svolto "anche" nei confronti dei beneficiari dell'aiuto (cfr. Corte giustizia 24.9.2002 in cause riunite C-74/00 e C-75/00 Falck Acciaierie c/ Commissione).
Non rileva, in contrario, ai fini della estensione del termine prescrizionale di cui all'art. 15 reg. CB n. 659/99 anche alle azioni di recupero svolte dallo Stato membro, la relazione che viene ad istituirsi tra la Commissione e lo Stato membro destinatario della decisione dichiarativa della illegalità dell'aiuto di Stato, che bene può essere sussunta - in quanto attinente al momento esecutivo della decisione comunitaria - in uno schema latamente delegatorio (sia pure caratterizzato da ampia discrezionalità nella scelta dei mezzi di attuazione del recupero, purchè reso effettivo) nel quale lo Stato membro adempie all'incarico ricevuto nella qualità quasi di "commissario ad acta" della Istituzione comunitaria, rimanendo vincolato al risultato di scopo predeterminato dalla Commissione e che non può essere posto nuovamente in discussione attraverso la verifica in concreto della sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione della decisione.
Il procedimento di verifica della compatibilità dell'aiuto, infatti, si esaurisce interamente nell'ambito del diritto comunitario ed attiene ad una fase distinta - anche cronologicamente - dal rapporto amministrativo e dalla eventuale controversia giudiziaria che si instaura tra lo Stato membro ed il terzo beneficiario e che è regolata - nei limiti sopraindicati - "secondo le procedure previste dalla legge ndr. sostanziale e processuale dello Sfato membro interessato" (art. 14, comma 3), non essendo interscambiabili i termini stabiliti in funzione della garanzia della certezza del diritto dai rispettivi ordinamenti comunitario e nazionale, trattandosi di ordinamenti giuridici che se pure coordinati rimangono configurati pur sempre come autonomi e distinti secondo la ripartizione di competenze attuata dal Trattato (cfr. Corte cost.
ord. 125/2009 cit.), dovendo in conseguenza rinvenirsi "aliunde" il termine di decadenza/prescrizione applicabile alle pretese patrimoniali fatte valere dallo Stato membro nei confronti dei singoli beneficiari (in tal senso vedi Corte cost. ord. 30.4.2009 n. 125 che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, lett. a) e comma 10 in combinato disposto con l'art. 15 reg. CE n. 659/99. non avendo il giudice a quo valutato che la norma comunitaria "non ha inteso riferirsi alle azioni di recupero avviate nell'ambito degli ordinamenti nazionali bensì alle iniziative intraprese sempre dalla medesima Commissione, che ben può chiedere informazioni, chiarimenti, indagini agli Stati membri per pervenire alle proprie determinazioni").
Il termine in questione, da applicare alle azioni e misure restitutorie adottate esclusivamente dagli Stati membri (e non anche direttamente dalla Commissione) nei confronti dei soggetti beneficiari, deve essere ravvisato in quello ordinario di prescrizione stabilito dall'art. 2946 c.c., in tal senso dovendo correggersi la motivazione della sentenza impugnata, in quanto idoneo a garantire entrambi gli interessi pubblico (realizzare il principio di effettività del diritto comunitario assicurando il ripristino dello "status quo ante" alla violazione della concorrenza) e privato (evitare di rimanere assoggettato indefinitamente all'azione di recupero dell'aiuto illegittimo fruito) coinvolti.
Logico corollario è la individuazione del "dies a quo" di decorrenza della prescrizione con riferimento al momento in cui la pretesa di recupero può essere fatta valere, momento che va fissato alla notifica della decisione della Commissione allo Stato membro destinatario, atteso che solo all'esito del procedimento di verifica, definito con decisione negativa della Commissione, l'aiuto di Stato fino allora erogato a favore dei beneficiari può essere qualificato illegale (non jure). Deve escludersi una diversa soluzione che faccia coincidere la decorrenza del termine prescrizionale con la effettiva erogazione/fruizione dell'aiuto di Stato (analogamente a quanto previsto dall'art. 15 reg. CE n. 659/99) non essendo equiparabile, nel caso di specie, l'azione di recupero dell'aiuto illegale (che come si è visto si risolve nell'assoggettamento ad imposta dei redditi prodotti dalle società negli anni in cui hanno goduto della esenzione fiscale) a quella di ripetizione dell'indebito (art. 2033 c.c.) che presuppone una prestazione di "tacere" - pagamento - non verificatasi con la concessione della misura fiscale agevolativa, non avendo lo Stato erogato alcuna somma alle imprese beneficiarie dell'aiuto.
6.5 In conseguenza risulta tempestiva l'azione di recupero dell'aiuto di Stato illegittimo, fruito nell'anno 1997, promossa dall'Agenzia delle Entrate nei confronti di Morrovalle Ambiente s.p.a.. La notifica della ingiunzione in data 10.5.2007, deve ritenersi tempestiva ex art. 2946 c.c. tenuto conto: a) da un lato, che il termine di cui all'art. 15 reg. CE n. 659/1999 risulta nella fattispecie interrotto dalla lettera della Commissione - comunicazione della decisione di avvio del procedimento ex art. 88 paragr. 2 del Trattato- in data 17.5.1999 trasmessa allo Stato italiano e pubblicata in GUCE n. 220 del 31.7.1999, e quindi nuovamente interrotto dalla decisione "negativa" n. 2003/193/CE del 5.6.2002 - che ha definito il procedimento - pubblicata in GUCE n. 77 in data 24.3.2003; b) che la decisione della Commissione è stata notificata allo Stato italiano in data 7 giugno 2002 - come risulta anche dalla sentenza Corte giustizia 1.6.2006 in causa C-207/05 cit.- termine dal quale soltanto poteva iniziare a decorrere la prescrizione ordinaria decennale.
7. In conclusione, accolto il ricorso principale e rigettato il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Marche che, attenendosi al principio di diritto enunciato al paragr. 5 della motivazione, provvederà a nuovo esame ed a liquidare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di cassazione:
- accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Marche che, attenendosi al principio di diritto enunciato al paragr. 5 della motivazione, provvederà a nuovo esame ed a liquidare le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria
il 12 settembre 2012
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