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TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 11/2/2013 n. 93
Sulla legittimità della scelta di un'amministrazione comunale di aderire ad una "società per azioni" mista a prevalente capitale privato, per l'affidamento alla stessa del servizio di gestione delle farmacie comunali.

Il modello privatistico di esercizio del servizio farmaceutico a mezzo di società mista determina una scissione tra la titolarità del servizio e la gestione dello stesso.

E’ legittima la scelta di un’amministrazione comunale di aderire ad una «società per azioni» mista a prevalente capitale privato, per l’affidamento alla stessa del servizio di gestione delle farmacie comunali, in quanto rientra nell’àmbito di applicazione dell’art. 4, c. 1, del d.P.R. n. 533 del 1996 (“Regolamento recante norme sulla costituzione di società miste in materia di servizi pubblici degli enti territoriali”), che stabilisce “l’ingresso di altri enti locali nella società già costituita avviene mediante un corrispondente aumento del capitale sociale”, secondo uno schema che evidentemente prescinde da procedure di evidenza pubblica e che dalla mera sottoscrizione di quote del capitale sociale ad opera di altro ente locale fa automaticamente scaturire l’affidamento della gestione dei relativi servizi pubblici alla società cui l’ente ha aderito, così equiparando agli enti locali promotori quelli successivamente aggregatisi nella compagine sociale.

Il modello privatistico di esercizio del servizio farmaceutico a mezzo di società mista determina una scissione tra la titolarità del servizio e la gestione dello stesso, trattandosi di società che operano in un rapporto di stretta strumentalità rispetto all’ente pubblico che le costituisce e agli interessi di cui esso è attributario, alla stregua quindi di soggetti in relazione di ausiliarietà con l’amministrazione titolare del servizio, alla quale vengono imputati i risultati dell’attività nell’àmbito di un rapporto caratterizzato dal permanere della natura pubblicistica della sede farmaceutica e dalla conseguente compatibilità del modello di gestione societaria con la titolarità comunale della farmacia. Pertanto, poiché a tale schema si è uniformato l’agire dell’amministrazione allorché essa ha aderito alla società di che trattasi, non v’è ragione per prefigurare una sorta di dismissione temporanea della titolarità del servizio da parte dell’ente locale, posto che le attività di “vigilanza e controllo comunale sull’erogazione del servizio” previste nel contratto di servizio costituiscono strumenti di verifica che, se adeguatamente svolti, consentono all’ente titolare delle farmacie l’adozione delle misure necessarie a correggere eventuali distorsioni del servizio, fino a giungere alla risoluzione del contratto in presenza di intollerabili irregolarità.



Sono infondate le eccezioni di incostituzionalità di alcune disposizioni della normativa di settore (artt. 7 e 12 della l.n. 362 del 1991, art. 12 della l.n. 475 del 1968 e artt. 113 e 116 del d.lgs. n. 267 del 2000, in relazione agli artt. 3, 11, 32 e 41 Cost.), in quanto esse muovono, in parte, dall’erroneo presupposto che la partecipazione privata maggioritaria alle società miste comporti il venir meno della titolarità del servizio in capo all’amministrazione comunale – che invece affida alla società solo la gestione delle farmacie – e fanno perciò ingiustificatamente valere una compressione dei diritti dei singoli farmacisti in realtà non configurabile, anche per non essere tra loro comparabili, a fronte della intrinseca diversità di situazioni, il trasferimento di una farmacia privata da un farmacista all’altro e le forme giuridiche con cui l’ente locale gestisce le farmacie di cui ha la titolarità.


Materia: servizio farmaceutico / disciplina

N. 00093/2013 REG.PROV.COLL.

 

N. 01880/2000 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso n. 1880 del 2000 proposto da Federfarma - Federazione Nazionale Unitaria dei Titolari di Farmacia Italiani, da Federfarma Emilia-Romagna - Unione sindacale delle Associazioni provinciali fra i Titolari di Farmacia dell’Emilia-Romagna e da Federfarma Bologna - Associazione Sindacale dei Titolari di Farmacia della Provincia di Bologna, in persona dei rispettivi Presidenti p.t., nonché da Fabrizia Pesci e Brunella Tosi, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe De Vergottini, dall’avv. Agostino Gambino e dall’avv. Massimo Luciani, e presso il primo elettivamente domiciliati in Bologna, via S. Stefano n. 16;

 

contro

il Comune di Castel San Pietro Terme, in persona del Sindaco p.t.. rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Delucca e dall’avv. Giancarlo Fanzini, e presso quest’ultimo elettivamente domiciliato in Bologna, via S. Stefano n. 43;

 

nei confronti di

AFM S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t. difesa e rappresentata dagli avv. Nicola Alessandri, dall’avv. Renzo Costi e dall’avv. Costantino Tessarolo, e presso il primo elettivamente domiciliata in Bologna, viale Gozzadini n. 19;

 

 

per l'annullamento

della deliberazione n. 98 in data 27 settembre 2000 del Consiglio comunale di Castel San Pietro Terme.

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

 

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Castel San Pietro Terme e di AFM S.p.A.;

 

Visto l’atto di “motivi aggiunti” depositato il 17 ottobre 2003;

 

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

 

Visti gli atti tutti della causa;

 

Nominato relatore il dott. Italo Caso;

 

Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 24 gennaio 2013 i difensori come specificato nel verbale;

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO e DIRITTO

Con deliberazione n. 98 in data 27 settembre 2000 il Consiglio comunale di Castel San Pietro Terme disponeva l’adesione alla società AFM S.p.A., l’affidamento alla stessa del servizio di gestione delle farmacie comunali con concessione in uso per 15 anni del complesso dei relativi beni, l’approvazione dello schema di contratto di servizio.

 

Avverso tale provvedimento hanno proposto impugnativa i ricorrenti, alcuni in veste di associazioni di categoria dei farmacisti privati, altri in veste di titolari di farmacie private ubicate nel territorio del Comune di Castel San Pietro Terme. Adducono in tal modo illegittimamente disposto senza gara l’affidamento di un pubblico servizio, posto che l’assegnazione diretta della gestione della relativa attività alla società costituita per l’esercizio di servizi pubblici locali si giustifica solo all’atto della formazione della società stessa – allorché la gara riguarda però la scelta del socio privato (art. 1, comma 4, d.P.R. n. 533/1996) –, mentre una volta che la società è stata costituita ed opera sul mercato il conseguimento della concessione di pubblici servizi riguardanti ulteriori enti locali non può avvenire con affidamento diretto ma richiede che la società concorra, come qualsiasi altro operatore privato, nell’àmbito di una procedura di evidenza pubblica, in applicazione del generale principio concorsuale codificato per le concessioni di servizio pubblico locale nell’art. 267 del r.d. n. 1175 del 1931; denunciano, ancora, che l’indebito intento di sottrarsi alla gara emerge dal richiamo operato dalla deliberazione consiliare ad una parte solamente dell’art. 12 della legge n. 498 del 1992, per evitare quella parte che impone la procedura di evidenza pubblica per la scelta dei soci privati e differenzia il regime delle società a capitale pubblico minoritario dagli altri strumenti privatistici di gestione dei servizi pubblici locali; si dolgono, poi, dell’omessa considerazione che dal combinato disposto degli artt. 113, 116 e 274 del d.lgs. n. 267 del 2000 deriva il venir meno della possibilità di deroga alla norma secondo cui le farmacie comunali possono essere gestite a mezzo di società costituite esclusivamente con i farmacisti dipendenti (norma contenuta nell’art. 9 della legge n. 475 del 1968 e resa derogabile dall’art. 12 della legge n. 498 del 1992, disposizione quest’ultima però abrogata dall’art. 274 del d.lgs. n. 267 del 2000), sicché illegittimo sarebbe l’affidamento della gestione delle farmacie comunali di Castel San Pietro Terme ad una società di tipo diverso da quello previsto dall’art. 9, comma 1, lett. d), della legge n. 475 del 1968; imputano, altresì, all’Amministrazione comunale di avere dato vita ad una privatizzazione che, per l’assenza di effettivi poteri di vigilanza e di controllo, si è risolta nel temporaneo trasferimento ad un operatore privato della titolarità, e non solo della gestione, del complesso aziendale costituito dalle farmacie comunali, con il risultato di violare la normativa di settore, mettendo a rischio la qualità e l’efficacia del servizio farmaceutico e compromettendo di conseguenza il primario interesse alla tutela della salute dei cittadini ex art. 32 Cost., senza avere peraltro neppure adeguatamente motivato le scelte compiute, incomprensibili anche quanto alla mancata valutazione della possibilità di trasferimento delle farmacie comunali a singoli farmacisti ex art. 15-quinquies, comma 2, del decreto-legge n. 415 del 1989 (nel testo risultante dalla legge di conversione n. 38/90) e oltretutto lesive delle aspettative dei farmacisti che avrebbero potuto esercitare il diritto di prelazione ex art. 12, comma 2, della legge n. 362 del 1991; lamentano, ancora, che l’Amministrazione comunale abbia aderito ad una società che, per essere partecipata in via maggioritaria da una impresa multinazionale di distribuzione all’ingrosso dei farmaci, si connoterebbe per un conflitto di interessi pregiudizievole per il diritto alla salute ex art. 32 Cost.; deducono, infine, l’illegittimità costituzionale degli artt. 7 e 12 della legge n. 362 del 1991, dell’art. 12 della legge n. 475 del 1968 e degli artt. 113 e 116 del d.lgs. n. 267 del 2000, in relazione agli artt. 3, 11, 32 e 41 Cost., per essere la gestione delle farmacie in forma societaria uno strumento che vanifica il diritto di prelazione dei farmacisti dipendenti, per essere tale modello operativo palesemente pregiudizievole delle posizioni dei farmacisti privati e ingiustificatamente derogatorio dei vincoli di trasferimento previsti a carico delle farmacie private, per essere incompatibile con la tutela del diritto alla salute ex art. 32 Cost. il fatto che viene consentito che il servizio farmaceutico sia gestito da società partecipate da imprese che operino nel campo della distribuzione dei farmaci. Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Castel San Pietro Terme e la AFM S.p.A., resistendo al gravame.

L’istanza cautelare dei ricorrenti veniva respinta dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 17 gennaio 2001 (ord. n. 61/2001).

Successivamente, a séguito della pronuncia con cui la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 362 del 1991 nella parte in cui non prevedeva che la partecipazione a società di gestione di farmacie comunali fosse incompatibile con qualsiasi altra attività nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco (sent. n. 275/2003), i ricorrenti depositavano in data 17 ottobre 2003 un atto di “motivi aggiunti”. In particolare, richiamando la circostanza che la AFM S.p.A. è controllata dalla GEHE Italia S.p.A. e che questa opera nel settore della distribuzione farmaceutica, essi hanno denunciato l’illegittimità e la nullità ab origine dell’atto impugnato, per violazione dell’art. 8, comma 1, lett. a), della legge n. 362 del 1991, quale risultante dalla pronuncia del giudice di costituzionalità.

La nuova istanza cautelare dei ricorrenti veniva respinta dalla Sezione alla Camera di Consiglio del 6 novembre 2003 (ord. n. 775/2003).

Dichiarata la perenzione del ricorso con decreto n. 87 del 28 marzo 2012, il Presidente del Tribunale ha in sèguito revocato il decreto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, dell’all. 3 al d.lgs. n. 104 del 2010, e ha disposto la reiscrizione della causa sul ruolo di merito (v. decreto n. 934 del 2 ottobre 2012).

All’udienza del 24 gennaio 2013, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.

L’infondatezza del ricorso induce il Collegio a prescindere dal vaglio dei profili di difetto di legittimazione ad agire e di carenza o sopravvenuta carenza di interesse al ricorso, dedotti dalle parti sotto vari aspetti.

Una prima serie di questioni è imperniata sulla mancanza di una procedura di evidenza pubblica, mancanza che i ricorrenti ritengono giustificata solo quando viene costituita la società di cui l’ente locale intende avvalersi per l’esercizio di un pubblico servizio – essendo però in questa fase necessaria la gara per la scelta del socio privato –, laddove un affidamento diretto non sarebbe più consentito una volta che la società ha iniziato ad operare sul mercato e, come qualsiasi altro operatore privato, dovrebbe a questo punto sottoporsi ad una selezione aperta a tutti i soggetti interessati ad acquisire la gestione dei servizi pubblici di ulteriori enti locali, in ossequio al generale principio concorsuale codificato per le concessioni di servizio pubblico locale nell’art. 267 del r.d. n. 1175 del 1931. Peraltro, il richiamo operato dall’atto impugnato all’art. 22, comma 3, lett. e), della legge n. 142 del 1990, e solo in parte all’art. 12, comma 1, della legge n. 498 del 1992, rivelerebbe ulteriormente il tentativo di sottrarsi all’obbligo di scelta dei soci privati a mezzo di procedure di evidenza pubblica – ivi espressamente previsto –, ma anche la volontà di ignorare il differente regime delle società a capitale pubblico minoritario rispetto agli altri strumenti privatistici di gestione dei servizi pubblici locali.

 

Le doglianze sono infondate.

 

Il caso di specie si connota per l’adesione dell’Amministrazione comunale ad una «società per azioni» mista a prevalente capitale privato, per la quale opera – come già rilevato dalla Sezione in una precedente controversia (v. sent. n. 271/1998) – la disciplina di cui al d.P.R. n. 533 del 1996 (“Regolamento recante norme sulla costituzione di società miste in materia di servizi pubblici degli enti territoriali”), disciplina peraltro richiamata dagli stessi ricorrenti, che ne ammettono l’applicabilità alla vicenda in esame (v. pag. 8 dell’atto introduttivo della lite), ed in particolare ricordano che l’art. 1, in relazione alle funzioni conferite a simili figure imprenditoriali (il comma 1 dispone che “per l’esercizio di servizi pubblici e per la realizzazione delle opere accessorie connesse, necessarie al loro corretto svolgimento, la costituzione delle società di cui all’art. 12, comma 1, della L. 23 dicembre 1992, n. 498, ed all’art. 4 del D.L. 31 gennaio 1995, n. 26, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 marzo 1995, n. 95, è promossa da uno o più enti locali. Di tali società possono essere soci le regioni, altre amministrazioni pubbliche, anche statali, e società a partecipazione pubblica”), prevede al comma 4 l’obbligo della gara per l’individuazione del socio privato di maggioranza (“La partecipazione azionaria di maggioranza delle società di cui al comma 1, non inferiore al cinquantuno per cento, è assunta da imprenditori individuali o da società, singolarmente o raggruppati per lo scopo. Il socio privato di maggioranza è scelto dall’ente o dagli enti promotori mediante una procedura concorsuale ristretta, assimilata all’appalto concorso di cui al D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157 …”). Orbene, il successivo art. 4, comma 1, stabilisce che “l’ingresso di altri enti locali nella società già costituita avviene mediante un corrispondente aumento del capitale sociale”, secondo uno schema che evidentemente prescinde da procedure di evidenza pubblica e che dalla mera sottoscrizione di quote del capitale sociale ad opera di altro ente locale fa automaticamente scaturire l’affidamento della gestione dei relativi servizi pubblici alla società cui l’ente ha aderito, così equiparando agli enti locali promotori quelli successivamente aggregatisi nella compagine sociale. Né rileva che nella circostanza l’Amministrazione comunale avrebbe operato un richiamo parziale della normativa relativa alle società di gestione dei servizi locali con capitale pubblico minoritario (art. 12 legge n. 498/92), in quanto – quale che sia la ragione di tale scelta – è notorio che la mancata o erronea indicazione delle norme di legge su cui si fonda il provvedimento amministrativo non costituisce ex se ragione di invalidità dell’atto, potendo al più trattarsi di mera irregolarità, che non influisce in alcun caso sul contenuto del provvedimento come definito dal giudice, il quale, qualificando i fatti e individuando le norme applicabili, non integra la motivazione del provvedimento portato al suo esame, ma applica il principio iura novit curia (v., ex multis, TAR Emilia-Romagna, Parma, 25 maggio 2011 n. 154); come si è detto, la fattispecie rientra nell’àmbito di applicazione dell’art. 4, comma 1, del d.P.R. n. 533 del 1996 e in tale norma trova il proprio fondamento, senza peraltro che emergano profili di incompatibilità con la disposizione secondo cui “…Gli enti interessati provvedono alla scelta dei soci privati … con procedure di evidenza pubblica …” (art. 12, comma 1, della legge n. 498 del 1992), per trattarsi di prescrizione relativa alla fase iniziale di costituzione della società, così come poi più dettagliatamente regolata dal d.P.R. n. 533 del 1996.

 

Quanto, poi, al dedotto venir meno della possibilità di deroga (prevista dall’art. 12, comma 1, della legge n. 498 del 1992) all’obbligo di costituire solo con i farmacisti dipendenti le società deputate alla gestione delle farmacie comunali (secondo la disciplina risalente all’art. 9, comma 1, lett. d), della legge n. 475 del 1968, come modificato dall’art. 10 della legge n. 362 del 1991), osserva il Collegio che la deliberazione oggetto della controversia è stata adottata il 27 settembre 2000, mentre l’invocata riforma di cui al d.lgs. n. 267 del 2000 è entrata in vigore solo dopo la vacatio legis susseguente alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 28 settembre 2000, e ciò di per sé priva di rilevanza nel presente giudizio lo ius superveniens. In ogni caso, la giurisprudenza ha chiarito che il testo unico n. 267 del 2000 ha regolato l’intera materia delle forme giuridiche di prestazione dei servizi pubblici locali, determinando l’abrogazione delle leggi anteriori che regolavano le forme di prestazione di singoli servizi, come appunto l’art. 9, primo comma, della legge n. 475 del 1968 (v. Cons. Stato, Sez. V, 8 maggio 2007 n. 2110), sicché è comunque venuto meno l’obbligo di costituzione di società di capitali solo con i farmacisti dipendenti del comune stesso, e ciò indipendentemente dai successivi e più recenti interventi del legislatore in materia, non riferibili – come è ovvio – alla presente controversia.

 

Altre censure si incentrano sull’inesistenza di effettivi poteri di vigilanza dal parte dell’Amministrazione comunale – che avrebbe in tal modo dato luogo all’indebito trasferimento alla società della titolarità stessa delle farmacie comunali e non solo della loro gestione –, sul conseguente pregiudizio per il regolare esercizio del servizio farmaceutico avente rilevanza ex art. 32 Cost., sull’insufficiente motivazione delle scelte compiute, sulla lesione altresì delle aspettative dei farmacisti che avrebbero potuto fruire del trasferimento delle farmacie comunali ai sensi dell’art. 15-quinquies, comma 2, del decreto-legge n. 415 del 1989 (nel testo risultante dalla legge di conversione n. 38/90) e dei farmacisti che avrebbero potuto esercitare il diritto di prelazione ex art. 12, comma 2, della legge n. 362 del 1991.

 

Le questioni si presentano tutte infondate.

 

La giurisprudenza ha avuto modo di rilevare che il modello privatistico di esercizio del servizio farmaceutico a mezzo di società mista determina una scissione tra la titolarità del servizio e la gestione dello stesso, trattandosi di società che operano in un rapporto di stretta strumentalità rispetto all’ente pubblico che le costituisce e agli interessi di cui esso è attributario, alla stregua quindi di soggetti in relazione di ausiliarietà con l’Amministrazione titolare del servizio, alla quale vengono imputati i risultati dell’attività nell’àmbito di un rapporto caratterizzato dal permanere della natura pubblicistica della sede farmaceutica e dalla conseguente compatibilità del modello di gestione societaria con la titolarità comunale della farmacia (v. TAR Puglia, Bari, Sez. I, 12 aprile 2000 n. 1530); poiché, pertanto, a tale schema si è uniformato l’agire dell’Amministrazione allorché essa ha aderito alla società di che trattasi, non v’è ragione per prefigurare una sorta di dismissione temporanea della titolarità del servizio da parte dell’ente locale, posto che le attività di “vigilanza e controllo comunale sull’erogazione del servizio” previste dall’art. 13 del contratto di servizio costituiscono strumenti di verifica che, se adeguatamente svolti, consentono all’ente titolare delle farmacie l’adozione delle misure necessarie a correggere eventuali distorsioni del servizio, fino a giungere alla risoluzione del contratto in presenza di intollerabili irregolarità, quali “gravi disfunzioni nella erogazione delle prestazioni farmaceutiche”, “chiusura di un esercizio farmaceutico per oltre 5 giorni non comunicata all’autorità sanitaria o da questa non autorizzata”, “reiterata vendita al pubblico di farmaci vietati” e “reiterata inosservanza delle disposizioni sulle sostanze stupefacenti” (v. art. 15 del contratto di servizio). Quanto alla motivazione delle scelte compiute, poi, l’atto impugnato reca argomentazioni che ben chiariscono le ragioni della decisione adottata (possibilità di ampliamento della gamma di servizi offerti, adeguatezza dello strumento sotto il profilo economico, flessibilità del modello organizzatorio della società mista, perseguimento di più elevati livelli di efficienza aziendale, ecc.), ovvero spiegazioni che ben si inseriscono in un quadro che, pur nel rispetto della fondamentale esigenza di assicurare alla popolazione un rifornimento di medicinali sicuro e di qualità, non può tuttavia prescindere da considerazioni circa l’efficacia ed utilità di schemi operativi di carattere imprenditoriale/aziendalistico. Quanto, infine, alla lesione delle aspettative dei farmacisti che avrebbero potuto acquisire la titolarità delle farmacie comunali, appare evidente che rientra nell’autonoma valutazione dell’Amministrazione, in presenza delle condizioni di legge, l’opzione per la dismissione delle proprie farmacie, scelta non operata nella circostanza perché si è preferito ricorrere ad uno strumento di gestione che non sottraesse il servizio alla titolarità dell’ente locale.

 

Non è fondata neppure la doglianza relativa alla presunta inidoneità sostanziale (per conflitto di interessi) della società mista – perché avente come socio di maggioranza una impresa multinazionale di distribuzione all’ingrosso dei farmaci –, trattandosi di aspetto che, indipendentemente da ogni indagine in merito alle effettive caratteristiche dell’impresa in questione, riguarda semmai la fase di ingresso di detta impresa nella società e le misure che quest’ultima deve assumere per la rimozione di eventuali cause di incompatibilità, non trattandosi invece di vicenda che incide sull’operatività (e legittimità) della società oramai in essere e sulla scelta di adesione alla stessa che nuovi enti locali ritengano di effettuare.

 

Le restanti censure sollevano eccezioni di incostituzionalità di alcune disposizioni della normativa di settore (artt. 7 e 12 della legge n. 362 del 1991, art. 12 della legge n. 475 del 1968 e artt. 113 e 116 del d.lgs. n. 267 del 2000, in relazione agli artt. 3, 11, 32 e 41 Cost.). Sennonché, esse muovono, in parte, dall’erroneo presupposto che la partecipazione privata maggioritaria alle società miste comporti il venir meno della titolarità del servizio in capo all’Amministrazione comunale – che invece affida alla società solo la gestione delle farmacie – e fanno perciò ingiustificatamente valere una compressione dei diritti dei singoli farmacisti in realtà non configurabile, anche per non essere tra loro comparabili, a fronte della intrinseca diversità di situazioni, il trasferimento di una farmacia privata da un farmacista all’altro e le forme giuridiche con cui l’ente locale gestisce le farmacie di cui ha la titolarità (su quest’ultimo punto, in termini di manifesta infondatezza della questione, v. Cons. Stato, Sez. V, 8 maggio 2007 n. 2110); per il resto, dette censure assumono contrastante con l’art. 32 Cost. la disciplina che ammette imprese di distribuzione di farmaci ad assumere il ruolo di socio privato di maggioranza di società miste affidatarie della gestione di farmacie comunali, questione che non è però rilevante nel presente giudizio, perché non incide direttamente né sull’adesione del Comune di Castel San Pietro Terme alla AFM S.p.A. né sul connesso affidamento del servizio, nel senso che il venir meno della norma di legge censurata non travolgerebbe automaticamente la società e non vizierebbe la deliberazione in questa sede impugnata, per attenere in realtà a fasi provvedimentali/negoziali estranee alla controversia ed anche a soggetti che non sono parte del giudizio, per i quali si porrebbe semmai un’esigenza di rimozione di eventuali cause di incompatibilità o l’adozione di misure di regolarizzazione del loro status. Pertanto, le eccezioni di incostituzionalità incorrono, per una parte, nella manifesta infondatezza e, per l’altra, nel difetto di rilevanza.

 

Un’ultima questione è quella dedotta con l’atto di “motivi aggiunti” depositato in data 17 ottobre 2003. I ricorrenti in tal modo invocano la sopraggiunta pronuncia della Corte costituzionale n. 275 del 2003 (con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 362 del 1991 nella parte in cui non prevede che la partecipazione a società di gestione di farmacie comunali è incompatibile con qualsiasi altra attività nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco), e ne fanno derivare l’illegittimità dell’atto impugnato in ragione della titolarità del pacchetto azionario di maggioranza della AFM S.p.A. in capo ad un’impresa che opera nel settore della distribuzione farmaceutica. Il Collegio deve ribadire, però, che le questioni relative ai soci privati della società mista non si ripercuotono sulla deliberazione comunale oggetto di impugnativa, in quanto le eventuali irregolarità riguardanti detti soci si sono concretizzate in una fase procedurale estranea a quella dedotta in giudizio e comunque attengono ad esigenze di regolarizzazione o di rimozione di cause di incompatibilità che, se effettivamente sussistenti, restano autonome rispetto all’adesione del Comune di Castel San Pietro Terme ad una società ascrivibile al genus degli strumenti operativi di cui al d.P.R. n. 533 del 1996.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza dei ricorrenti, e vengono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, nella misura complessiva di € 4.000,00 (quattromila/00) in favore del Comune di Castel San Pietro Terme e di € 4.000,00 (quattromila/00) in favore di AFM S.p.A., oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 24 gennaio 2013, con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Calvo, Presidente

Ugo Di Benedetto, Consigliere

Italo Caso, Consigliere, Estensore

 

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE    

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/02/2013

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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