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IL TRIBUNALE DI PESCARA
DECRETO
visto il ricorso con riserva di domanda di concordato depositato il 18 dicembre 2013 da omissis, con sede omissis e la contestuale istanza di concessione di termine per il deposito della proposta e della documentazione di legge a corredo;
----visto l'art. 161 co 5 e ss. L.F., come novellato dall'art. 33 DL 83/12 convertito con legge 134/12 e dall'art. 82 del DL 69/13;
----rilevato che la domanda è stata trasmessa al PM che, in data 07.01.2014 ha espresso parere favorevole all'ammissione alla procedura;
----preso atto che la presentazione della domanda risulta deliberata e sottoscritta ai sensi dell'art. 152 L.F.;
----verificato che con la domanda sono stati depositati i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti, secondo la previsione dell'art. 161 comma 6 L.F.;
----rilevato che il Tribunale è chiamato ad una valutazione preliminare di competenza e di sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi di accesso alla procedura;
----considerato che dalla documentazione allegata alla domanda emerge che la società ricorrente è imprenditore commerciale fallibile, versa in stato quantomeno di crisi ed ha la sede principale nel circondano di questo Tribunale.
Vanno, in proposito, svolte brevi considerazioni in ordine alla tematica della fallibilità delle società a partecipazione pubblica.
In argomento si sono contrapposte due impostazioni di fondo, volte rispettivamente ad affermare e a negare la soggezione a procedure concorsuali ditali società. Fra coloro che hanno ritenuto possibile una siffatta estensione dell'ambito di applicazione del primo comma dell'art. 1 l. fall., sono ulteriormente emersi due distinti orientamenti: il primo, che può essere definito tipologico, ha aderito alla tradizionale teoria degli indici sintomatici della pubblicità, in forza della quale la qualificazione (ai fini della disciplina applicabile, in senso privatistico o pubblicistico) di un ente pur formalmente definito società per azioni va operata caso per caso, dando prevalenza alla sostanza sulla forma e avendo riguardo al carattere strumentale o meno dell'ente societario rispetto al perseguimento di finalità pubblicistiche e all'esistenza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario. In quest'ordine di idee, l'applicazione analogica dell'art. 11. fall, ad un ente formalmente privato avviene sulla base di una riqualificazione pubblicistica operata in via interpretativa. Cosi, si è fatto riferimento ai c.d. indici esteriori sintomatici della pubblicità individuati, di volta in volta, nella costituzione ad iniziativa pubblica, nella nomina o designazione pubblica degli organi, nello scioglimento ad iniziativa pubblica, nella sottoposizione ad amministrazione straordinaria, nel controllo pubblico sul bilancio preventivo e sul conto consuntivo, o sullo statuto, o sul regolamento organico, nel finanziamento pubblico e nella titolarità dell'ente di potestà pubblicistiche. In sostanza si fa uso di un criterio di natura empirica.
Tuttavia, detta impostazione si scontra con il principio generale, tuttora vigente, stabilito dalla L. n. 70 del 1975, art. 4, che, nel prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge, evidentemente richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da una espressa disposizione di legge, debba quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco e, inoltre, si espone a due critiche, formulate e condivise da larga parte della dottrina: da un lato, non 6 dato capire quali siano le norme di diritto societario, derogate per le quali, una società per azioni da ente privato possa dirsi pubblico; dall'altro lato, non appare corretto ritenere la figura dell'ente pubblico "residuale" rispetto a quella della società per azioni (e dunque ricavata a contrario dalle deviazioni al regime tipico di quest'ultima).
La seconda impostazione ha, invece, teso all'individuazione della concreta disciplina applicabile all'ente, secondo un approccio "funzionale" ritenendo applicabile le disposizioni di diritto pubblico, qualora espressamente previste, e di diritto privato, in assenza di diverse previsioni, quando non vi sia ragione di derogare ad esse in considerazione degli interessi protetti.
In questa prospettiva l'esenzione dal fallimento di cui all'art. 1° l. fall. (intesa a sua volta come effetto della "necessità” dell'ente) viene considerata quale norma posta a garanzia della continuità di una determinata funzione, come tale suscettibile di applicazione analogica nei confronti di società per azioni, allorquando queste ultime siano destinate allo svolgimento di attività che abbiano rilievo pubblicistico.
Detta teoria, però, presuppone una lacuna nell'ordinamento che comporterebbe la " necessità di tutelare l'interesse pubblico mediante l'esenzione dal fallimento, ma non appare corretto supporre l'esistenza di tale lacuna, mentre la continuità dell'attività e l'esigenza di cura di interessi pubblici (soprattutto, con riferimento alla materia dei servizi pubblici locali) dovrebbero ad oggi ritenersi garantite da specifiche discipline, che prescindono dall'applicazione di istituti di privilegio quali l'esenzione dal fallimento e, dunque, non vi sarebbe spazio per una applicazione analogica dell’art. 1 L. Fall.
Secondo l'impostazione metodologica c.d. funzionale si è ritenuto, ancora, che l'applicazione della procedura fallimentare potrebbe comportare la lesione di interessi meritevoli di tutela, in tutti i casi in cui l'esistenza della società sia considerata necessaria dall'ente territoriale di riferimento. La necessità viene ancorata al dato dell'erogazione di un servizio pubblico essenziale, rispetto al quale, se intervenisse la dichiarazione di fallimento, si avrebbe un'inammissibile, sostituzione dell'autorità giudiziaria ordinaria all'autorità amministrativa nell'esercizio di poteri e facoltà di carattere pubblicistico, quali la decisione in ordine alla continuità o meno nella gestione del servizio.
Si sostiene che la procedura fallimentare, con il suo carattere di esecuzione generale ed il suo fine di tutela delle ragioni dei creditori, lederebbe in sostanza interessi pubblici, ponendo problemi di compatibilità con i principi costituzionali che regolano l'agire amministrativo, in ragione dei quali dovrebbero ritenersi non sottoposte a fallimento le società deputate all'erogazione di servizi pubblici essenziali.
Tuttavia, rispetto al requisito della necessità, va rilevato che a voler fondare l'esenzione dal fallimento sul contenuto e sulle caratteristiche dell'attività esercitata si dovrebbe prospettare - al di fuori di ogni previsione normativa - l'esclusione dal fallimento anche per soggetti sicuramente privati che eroghino, ad esempio in forza di una concessione, un servizio pubblico.
Con riferimento, invece, alla scelta di restringere l'applicazione analogica dell'art. 1 fall. ai soggetti esercenti servizi pubblici essenziali, non sembra vi sia un'incompatibilità ontologica fra erogazione di servizi pubblici essenziali e sottoposizione a fallimento in quanto l'esercizio provvisorio dell'impresa ex art. 104 l. fall., può essere visto quale "strumento temporaneo per non interrompere la gestione finché l'ente locale non provveda a nuove modalità di affidamento del servizio, con gara o mediante autoproduzione.
In tale prospettiva si è posta anche, recentemente, la Suprema Corte con la sentenza 22209 del 27 settembre 2013 negando, di fatto, il diverso indirizzo dottrinario per il quale una simile ipotesi non sarebbe praticabile sulla base della considerazione che l'esercizio provvisorio sarebbe legato esclusivamente all'interesse dei creditori del fallito, con la conseguenza che il Tribunale non potrebbe disporlo per garantire la continuità della prestazione del pubblico servizio, laddove ciò possa pregiudicare l'interesse dei creditori alla massimizzazione della loro percentuale di riparto e condividendo, invece, la tesi secondo cui nel valutare la ricorrenza di un danno grave, in presenza del quale autorizzare l'esercizio provvisorio, il tribunale può tenere conto non solo dell'interesse del ceto creditorio, ma anche della generalità dei terzi, fra i quali ben possono essere annoverati i cittadini che usufruiscono del servizio erogato dall'impresa fallita..
In detta pronuncia la Cassazione ha valorizzato, ai fini dell'applicazione dello statuto dell'imprenditore commerciale, non il tipo dell'attività esercitata, ma la natura del soggetto ed ha sottolineato le ragioni di tutela dell'affidamento dei terzi contraenti contemplate dalla disciplina privatistica. Ha affermato la Suprema Corte, secondo una impostazione condivisa da questo Tribunale, che "la scelta del legislatore di consentire l'esercizio di determinate attività a società di capitali - e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico - comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli strumenti di tutela posti a disposizione dall'ordinamento, ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con le stesse forme e con le stesse modalità."
Con particolare riguardo alla fattispecie della società c.d. in house, di cui al comma 13 dell'art. 4 della 1. 14 settembre 2011, n. 148 vi è da rilevare che qualunque sia l'indirizzo interpretativo che si intenda seguire in ordine alla qualificabilità di una società per azioni quale ente pubblico, alcuna conseguenza ne deriverebbe rispetto all'applicazione della legge fallimentare.
Appare al riguardo convincente ii ragionamento svolto dalla Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia nel parere 18-29 giugno 2009 n. 385 che, nell'affrontare la questione della legittimità della concessione di un mutuo da parte di un Comune nei confronti di una società in house, ha formulato principio secondo cui "la natura del rapporto funzionale con l'ente proprietario non si riflette nei rapporti con i terzi, né sulla disciplina normativa applicabile all'organizzazione societaria, che rimane quella ordinaria stabilita dal codice civile"(ritenendo dunque che al finanziamento concesso dal comune si applichi la postergazione prevista dagli artt. 2467 c.c. e 2497-quinquies c.c., "se avvenuto nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento").
Ciò afferma la Corte dei Conti pur riconoscendo validità al principio per il quale la società interamente partecipata dall'unico socio comunale è espressione organica dell'ente pubblico dal momento che "pur configurandosi sotto il profilo civilistico due soggetti giuridici distinti, alla luce della giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia C.E. sent. Teckal del 18 novembre 1999 causa C-107/98 , sent. 11 gennaio 2005 causa C-26/03 c.d. Stadt Halle, sent. 13 ottobre 2005 causa C-458/03 Parking Brixen, sent. 6 aprile 2006, causa C-410/06; sentenza 15 maggio 2006, causa C340/04) e del Consiglio di Stato (Ad. Plen. 3 marzo 2008 11.1; Sezione VI del 23 settembre 2008 n.4630), fra ente locale e società in house si realizza un modello di organizzazione meramente interno, regolato da un rapporto di vera e propria delegazione interorganica, laddove concorrano le seguenti condizioni: l'amministrazione esercita sulla società pubblica un controllo analogo a quello esercitato sui propri organi ed uffici; it soggetto affidatario del servizio pubblico deve svolgere la preponderante porzione della propria attività in favore e nell'interesse dell'ente pubblico cui appartiene. In ragione del controllo analogo e del criterio della destinazione prevalente dell'attività, ii soggetto in house non può ritenersi terzo rispetto all' amministrazione pubblica controllante, ma deve considerarsi quale strumento operativo proprio dell'ente (Corte dei conti, Sezione di Controllo per la Lombardia, deliberazione n.10/2008, relazione sulle società partecipate dalle province e dai comuni lombardi)."
Dunque, va valorizzata quella giurisprudenza, civile ed amministrativa (ribadita anche dalla già citata pronuncia della Sezione I della Cassazione n. 22209/13), per la quale la natura del rapporto funzionale con l'ente proprietario non si riflette sulla disciplina normativa applicabile all'organizzazione societaria, che rimane quella ordinaria prevista dal codice civile. Le società di capitali con partecipazione pubblica non mutano la loro natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato o gli enti pubblici (Comune, Provincia, etc.) ne posseggono le azioni, in tutto o in parte, non assumendo rilievo alcuno, per le vicende della medesima, la persona dell'azionista, dato che tale società, quale persona giuridica privata, opera "nell'esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l'ente pubblico" e gli strumenti utilizzati per regolare il rapporto tra società ed ente locale non possono essere quelli autoritativi di diritto pubblico spendibili nell'organizzazione diretta dell'ente, ma l'ente può avvalersi unicamente degli strumenti propri del diritto societario, da esercitare per il tramite dei membri di nomina pubblica presenti negli organi sociali (Cass. civ., sez. un., 15 aprile 2005, n. 7799; Tar Sicilia, Catania III, 13 agosto 2002, n. 1446; Tar Veneto, I, 4 aprile 2002, n. 1234).
Invero, la legge non prevede "alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, per le società miste incaricate della gestione di servizi pubblici istituiti dall'ente locale. La posizione del Comune all'interno della società è unicamente quella di socio di maggioranza, derivante dalla "prevalenza" del capitale da esso conferito; e soltanto in tale veste l'ente pubblico potrà influire sul funzionamento della società... avvalendosi non già dei poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società. (così, (Cass.civ., sez. un., 15 aprile 2005, n. 7799).
In conclusione si può affermare che il contemperamento fra tutela dei creditori e necessità di efficiente gestione del servizio non va cercato nell'applicazione di istituti di privilegio, tipicamente previsti per enti pubblici, che operano sul piano dell'attività (come l'esenzione dal fallimento);
rilevato che la domanda è stata comunicata all'Ufficio del P.M.;
----rilevato che la cancelleria ha verificato che non sono pendenti procedimenti per la dichiarazione di fallimento;
ritenuto che non può essere concesso un termine superiore a giorni 120 per il deposito della proposta e della documentazione di legge a corredo, termine eventualmente prorogabile di ulteriori giorni 60 previa precisazione, da parte della ricorrente, delle concrete ragioni sopravvenute che rendano giustificata la proroga e documentazione degli adempimenti e delle attività svolte nell'originario termine concesso per il deposito della proposta;
ritenuto che, per le situazioni particolari evidenziate dalla ricorrente, si giustifichi la concessione del termine massimo decorrente dalla pubblicazione della domanda di concordato nl registro delle imprese (10 gennaio 2014);
----ritenuto che in base alla concreta situazione patrimoniale e finanziaria emergente dalla documentazione contabile prodotta sia opportuno disporre sia la nomina di un commissario giudiziale ai sensi dell'art. 161, comma 6, come modificato dal D.L. n. 69/2013, con la conseguente fissazione di una cauzione per le spese di procedura; sia gli specifici obblighi informativi periodici di cui al comma 8 della citata disposizione, per brevità indicati direttamente in dispositivo
FISSA
Termine fino al 10 maggio 2014 per il deposito della proposta dì concordato preventivo, del piano e della documentazione di cui ai commi 11 e III dell'art. 161 L.F. o di una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione;
nomina un commissario giudiziale nella persona del Dott. omissis, il quale dovrà vigilare sull'attività che la società ricorrente andrà a compiere fino alla scadenza del suddetto termine, riferendo immediatamente al Tribunale ogni fatto costituente violazione degli obblighi di cui agli artt. 161 e 173 1.fall. e degli altri obblighi sottoindicati;
dispone che, nelle more del decorso del termine sopra indicato, l'imprenditore istante rispetti gli obblighi informativi depositando ogni 30 giorni:
a)-- prospetto aggiornato (che la Cancelleria dovrà provvedere a pubblicare sul Registro delle Imprese entro ii giorno successivo al deposito), con riferimento al 30 del mese precedente, delle operazioni attive e passive effettuate e degli oneri finanziari maturati nel periodo, con specifica attestazione che i pagamenti effettuati si riferiscono esclusivamente ad obbligazioni assunte dopo la presentazione della domanda;
b)—relazione accompagnatoria sintetica, trasmettendone una copia al commissario giudiziale, che evidenzi le finalità attuate con gli atti compiuti, nonché le ragioni gestorie e finanziarie che consentano di qualificare detti atti come di ordinaria amministrazione e pertinenti all'esercizio dell'impresa e che illustri lo stato di predisposizione della proposta definitiva, indicando tempi e modi degli specifici adempimenti compiuti. Il commissario giudiziale, esaminata tale documentazione, ne riferirà con motivata e sintetica relazione scritta al Tribunale solo ove ravvisi la violazione ad uno degli obblighi sotto indicati:
1) non possono essere effettuati pagamenti di crediti anteriori ;
2) non possono essere compiuti fino alla scadenza del termine atti di straordinaria amministrazione, se non previa autorizzazione del Tribunale e solo se ne siano documentati e motivati adeguatamente i caratteri di urgenza ed utilità;
3) occorre la specifica e previa autorizzazione del Tribunale anche per sospendere o sciogliere contratti pendenti ex art. 169-bis, e per contrarre eventuali finanziamenti, fatti salvi gli ulteriori requisiti previsti dall'art. 182-quinquies 1.fall.;
4) non devono comunque compiersi atti da considerarsi vietati ai sensi degli artt. 161, 169-his, 173 e 182-quinquies 1.fall.;
dispone che la società, entro ii termine di quindici giorni dall'avvenuta comunicazione del presente decreto depositi la somma di € 30.000,00 presumibilmente necessaria per effettuare ii pagamento del compenso dovuto al commissario giudiziale e per sostenere le altre eventuali spese del procedimento, effettuando ii relativo versamento su un conto corrente intestato alla procedura da aprire presso la BPER S.p.a.
II Tribunale disporrà l'immediata abbreviazione del termine nel caso in cui emerga che l'attività compiuta sia manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e/o del piano e verrà considerato elemento dimostrativo di tale inidoneità – tra l'altro -anche ii mancato deposito in termini della cauzione fissata da questo Tribunale;
Cosi deciso in Pescara nella camera di consiglio del 14 gennaio 2014
Il Giudice Est. Il Presidente
Depositato in cancelleria il 14.1.2014
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