Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 304 del 2013, proposto da:
MANTOVA AMBIENTE SRL, rappresentata e difesa dagli avv. Marcello Coffrini, Ermes Coffrini e Chiara Ghidotti, con domicilio eletto presso quest’ultima in Brescia, via Solferino 55;
contro
COMUNE DI SAN BENEDETTO PO, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Garò, con domicilio eletto presso la segreteria del TAR in Brescia, via Zima 3;
nei confronti di
APRICA SPA, rappresentata e difesa dall'avv. Alberto Salvadori, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via XX Settembre 8;
per l'annullamento
- della determinazione del responsabile del Settore Tecnico n. 23 del 21 febbraio 2013, con la quale è stato definitivamente aggiudicato alla società controinteressata il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati per il periodo 1 gennaio 2013 – 31 dicembre 2022;
- dei verbali della commissione giudicatrice e dell’aggiudicazione provvisoria;
- con richiesta di dichiarazione di inefficacia del contratto eventualmente stipulato;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Benedetto Po e di Aprica spa;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2014 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di San Benedetto Po con bando pubblicato sulla GUUE il 9 novembre 2012 ha indetto una procedura aperta per l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati per il periodo 1 gennaio 2013 – 31 dicembre 2022. Quale modalità di aggiudicazione è stato scelto il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (80 punti per il progetto tecnico, 20 punti per l’offerta economica).
2. Alla gara hanno partecipato tre imprese, tra cui la ricorrente Mantova Ambiente srl e la controinteressata Aprica spa. Con determinazione del responsabile del Settore Tecnico n. 23 del 21 febbraio 2013 il servizio è stato definitivamente aggiudicato alla controinteressata, collocatasi al primo posto in graduatoria con un totale di 79,63 punti (59,63 per il progetto tecnico e 20 per l’offerta economica). La ricorrente si è collocata al secondo posto con 65,76 punti complessivi (58,65 per il progetto tecnico e 7,11 per l’offerta economica).
3. Contro l’esito della gara la ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato il 22 marzo 2013 e depositato il 2 aprile 2013. Oltre all’annullamento degli atti impugnati, è stata chiesta la dichiarazione di inefficacia del contratto eventualmente stipulato. Le censure possono essere sintetizzate come segue:
(i) violazione dei principi comunitari in materia di affidamenti in house, che imporrebbero l’esclusione della controinteressata, in quanto la stessa, controllata al 100% da A2A spa, detiene ben 11 affidamenti diretti (su 74 complessivi), coinvolgendo in questa modalità di gestione circa la metà degli abitanti serviti (354.839 su 703.778);
(ii) ancora violazione dei principi comunitari in materia di affidamenti in house, perché l’elevata componente degli affidamenti diretti nel fatturato della controinteressata metterebbe la stessa in condizione di formulare offerte non replicabili dai concorrenti (nello specifico, la controinteressata ha indicato un ribasso del 20% sull’importo a base di gara, ottenendo il punteggio massimo collegato all’offerta economica, mentre la ricorrente, che ha indicato un ribasso del 7,11%, è rimasta notevolmente staccata nella graduatoria finale);
(iii) violazione del principio di segretezza delle offerte, in quanto i verbali di gara hanno descritto in dettaglio le modalità di custodia delle buste contenenti le offerte economiche, ma non hanno fatto altrettanto per il resto della documentazione.
4. Il Comune e la controinteressata si sono costituiti in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.
5. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:
Relativamente alla disciplina degli affidamenti diretti
(a) occorre precisare subito che, al contrario di quanto sembra sostenere il ricorso, l’affidamento diretto non presuppone necessariamente la qualifica di soggetto in house secondo la definizione elaborata dalla giurisprudenza comunitaria (v. C.Giust. Sez. III 29 novembre 2012 C-182/11 e C-183/11, Econord, punto 27; C.Giust. Sez. II 17 luglio 2008 C-371/05, Commissione/Italia, punti 27 e 31);
(b) la controinteressata, in particolare, non può essere considerata un soggetto in house, in quanto la controllante A2A spa è una società quotata in borsa. Questa circostanza, unitamente al fatto che l’oggetto sociale della controinteressata (v. art. 3 dello statuto) si concentra sui servizi pubblici relativi ai rifiuti e all’igiene ambientale, esclude poi l’applicabilità della normativa sulle società strumentali ex art. 13 del DL 4 luglio 2006 n. 223;
(c) gli affidamenti diretti di cui beneficia la controinteressata sono una componente del patrimonio che deriva, attraverso cessioni di rami d’azienda e accorpamenti di vecchie aziende municipalizzate, dal previgente regime dei servizi pubblici locali, nel quale le concessioni venivano attribuite senza alcuna procedura a evidenza pubblica. Tale prassi poteva essere considerata ammissibile, in quanto all’epoca non era ancora chiara la necessità di garantire trasparenza e parità di trattamento nella scelta dei concessionari dei servizi pubblici (la svolta può essere individuata in C.Giust. Sez. VI 7 dicembre 2000 C-324/98, Telaustria, punto 60; in proposito, v. C.Giust. Sez. II 17 luglio 2008 C-347/06, ASM Brescia, punto 58);
(d) il legislatore nazionale si è preoccupato negli ultimi anni di accelerare la fine delle gestioni originate da affidamenti diretti, ma con l’abrogazione dell’art. 23-bis del DL 25 giugno 2008 n. 112 per effetto del referendum del 12-13 giugno 2011, e poi con la cancellazione dell’art. 4 del DL 13 agosto 2011 n. 138 operata dalla Corte Costituzionale (v. sentenza 20 luglio 2012 n. 199), è caduta la possibilità di imporre agli enti locali un percorso ordinato e una tempistica certa verso l’apertura del mercato. Più precisamente, sono stati eliminati i due strumenti che, operando in modo combinato, avrebbero potuto scardinare le gestioni storiche (da un lato la fissazione di una scadenza anticipata ex lege, dall’altro la trasformazione dell’affidamento diretto da vantaggio comparativo a causa limitativa della capacità imprenditoriale, attraverso il divieto di partecipazione alle gare al termine del periodo transitorio). Il vuoto normativo provocato dal referendum e dalla sentenza n. 199/2012 non è stato colmato dalla reviviscenza di norme anteriori ma dall’estensione dei principi comunitari (v. TAR Brescia Sez. II 23 settembre 2013 n. 780; TAR Brescia Sez. II 21 febbraio 2013 n. 196);
(e) le indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria non impediscono ai titolari di affidamenti diretti di partecipare alle gare per l’aggiudicazione di servizi pubblici. È vero che grazie allo speciale rapporto con l’ente pubblico sussiste un vantaggio comparativo (il fatto stesso che un servizio sia affidato senza gara garantisce un flusso di utili non eroso dalla necessità di offrire, per prevalere sui concorrenti, una massa di controprestazioni ai limiti della sostenibilità economica). Tuttavia, anche ipotizzando che questo vantaggio rappresenti una forma di sovvenzione pubblica, i beneficiari non potrebbero essere colpiti dalla sanzione dell’esclusione. In effetti, poiché alle gare sono ammessi a partecipare gli stessi enti pubblici, in qualità di operatori economici, non sarebbe ragionevole allontanare i soggetti che dagli enti pubblici ricevono sovvenzioni (v. C.Giust. Sez. IV 23 dicembre 2009 C-305/08, Conisma, punto 40; C.Giust. Sez. VI 7 dicembre 2000 C-94/99, Arge, punti 28-32);
(f) come precisato da queste ultime sentenze, per disporre l’esclusione dalle gare dei beneficiari di sovvenzioni pubbliche non è sufficiente l’esistenza di tali sovvenzioni, ma occorre dimostrare che le stesse rappresentano aiuti di Stato non compatibili con l’ordinamento comunitario;
(g) poiché nell’art. 107 TFUE manca un’elencazione degli aiuti non compatibili, l’individuazione delle singole fattispecie non è agevole. Tuttavia, per quanto interessa il presente giudizio, si può ritenere che non possa essere qualificato in questo modo qualsiasi affidamento diretto di servizi pubblici. In realtà, se si tratta di affidamenti storici, ossia ottenuti quando ancora la giurisprudenza comunitaria non aveva stabilito l’obbligatorietà delle procedure a evidenza pubblica, e parimenti se si tratta di circoscritte proroghe dei suddetti affidamenti basate sull’esigenza di garantire la continuità del servizio in attesa dello svolgimento delle gare, non sembra possibile ravvisare alcun contrasto con i principi comunitari. Del resto, il riferimento temporale per individuare l’eventuale obbligo di indire una procedura a evidenza pubblica è costituito dalla data dell’aggiudicazione del servizio, con la sola eccezione di quelle situazioni in cui si possa ipotizzare un abuso del diritto (v. C.Giust. Sez. I 10 novembre 2005 C-29/04, Commissione/Austria, punto 38);
(h) in generale, poi, l’assimilazione di un affidamento diretto a un aiuto di Stato deve essere coordinata con il divieto di clausole di esclusione automatica. L’art. 55 della Dir. 31 marzo 2004 n. 2004/18/CE inserisce l’esame degli aiuti di Stato all’interno della fase di verifica di anomalia dell’offerta. L’esclusione può essere disposta solo in presenza di entrambe le seguenti condizioni: (1) se la stazione appaltante dimostra che l'offerta è anormalmente bassa perché l'offerente ha ottenuto un aiuto di Stato; (2) se l’offerente non riesce a provare che l'aiuto in questione era stato concesso legalmente, ovvero che era compatibile con l’ordinamento comunitario;
(i) per quanto riguarda la prima condizione, la controinteressata ha indicato un ribasso molto superiore a quello della ricorrente (e del terzo concorrente), ma non risulta (e nel ricorso non viene illustrato) un collegamento misurabile tra l’offerta economica e i ricavi ottenuti dagli affidamenti diretti. Il peso di questi affidamenti sul totale degli abitanti serviti è certamente considerevole, però non basta un simile dato per ritenere falsata la concorrenza in un vasto ambito territoriale, che nello specifico comprende numerosi comuni distribuiti sul territorio delle Province di Brescia, Bergamo e Mantova. Può infatti esservi l’impressione di una posizione dominante grazie agli affidamenti diretti, ma per arrivare all’esclusione dalle gare occorrerebbe dimostrare, con il grado di precisione della valutazione di anomalia, che senza questi affidamenti l’offerta non sarebbe sostenibile. A sua volta, questo percorso dimostrativo presupporrebbe che fosse quantificato il maggior livello medio di profitto di un servizio svolto in affidamento diretto (e dunque, verosimilmente, con minori obblighi nei confronti degli enti locali concedenti) rispetto a un analogo servizio aggiudicato in seguito a gara;
(j) per quanto riguarda la seconda condizione, gli affidamenti diretti, come si è visto sopra, non possono essere considerati in conflitto con l’ordinamento comunitario se anteriori al 7 dicembre 2000, in quanto la certezza del diritto circa la necessità di selezionare i concessionari dei servizi pubblici tramite gara risale a tale data;
(k) non vi sono quindi i presupposti per l’esclusione della controinteressata dalla gara in esame, né per sollevare una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia;
Sulla custodia delle buste
(l) passando all’ultimo motivo di impugnazione, occorre sottolineare che l’eventuale lacunosità della verbalizzazione circa le modalità di custodia delle buste contenenti le offerte non costituisce causa di invalidità della procedura di gara. Una simile conseguenza si verifica solo quando i beni giuridici dell’integrità delle offerte e della segretezza delle stesse risultino effettivamente, o verosimilmente, compromessi (v. CS Sez. IV 6 marzo 2013 n. 1380). L’onere della prova è a carico della parte ricorrente, e pertanto in mancanza di allegazioni specifiche si deve presumere l’assenza di manomissioni (v. CS Sez. V 24 aprile 2013 n. 2282);
(m) nello specifico, i verbali non presentano elementi che possano far sorgere sospetti sulle modalità di custodia delle buste. La correttezza formale del confezionamento esterno dei plichi pervenuti è accertata nella prima riunione della commissione (28 dicembre 2012), dove sono anche descritte le cautele seguite dai commissari nella chiusura a chiave dei locali e nello spostamento da un locale all’altro. Della presenza dei tre plichi sigillati contenenti le offerte tecniche si dà atto nella seconda riunione (7 gennaio 2013), nella terza (8 gennaio 2013), e nella quarta (ancora 8 gennaio 2013 – tardo pomeriggio). In quest’ultima viene anche accertata la regolarità della consegna e del confezionamento dei campioni allegati alle offerte. Nuovamente, la presenza dei tre plichi sigillati contenenti le offerte tecniche è annotata nella quinta riunione (14 gennaio 2013) e nella sesta (15 gennaio 2013), dove viene completato l’esame dei progetti tecnici. Infine, nella settima riunione (4 febbraio 2013) è accertata la presenza del plico sigillato nel quale erano stati deposti i tre plichi, a loro volta sigillati, contenenti le offerte economiche;
(n) è quindi documentato che le offerte sono state adeguatamente custodite nel corso dell’intera procedura. In particolare, le offerte tecniche, pur essendo state esaminate a più riprese, sono state ogni volta protette mediante sigillatura dei relativi plichi.
6. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
7. Le spese possono essere compensate nei confronti della controinteressata, la cui posizione di affidatario diretto di servizi pubblici ha costituito il principale elemento di controversia, mentre nei confronti del Comune seguono l’ordinario criterio della soccombenza e possono essere liquidate in € 3.500 oltre agli oneri di legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando:
(a) respinge il ricorso;
(b) condanna la società ricorrente a versare al Comune, a titolo di spese di giudizio, l’importo di € 3.500 oltre agli oneri di legge. Compensa le spese nei confronti della società controinteressata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere, Estensore
Stefano Tenca, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/04/2014, n. 415