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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio, Sez. II Bis
SENTENZA
sul ricorso n. 11789/02 proposto dal CONSORZIO G.f.M., in persona del legale rappresentante pro tempore sig. Alvaro Mazza, rappresentato e difeso dall’Avv. F.A. Caputo ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via Sebino, 11;
contro
IL COMUNE DI POMEZIA, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dal Prof.Avv. F.G. Scoca ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, via G. Paisiello, 55;
e nei confronti
- del Dirigente del Settore tecnico – sezione tutela dell’ambiente – del Comune intimato, non costituito in giudizio;
- della società C.I.C. – CLIN INDUSTRIE CITTA’ s.p.a., costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv.ti F. Sorrentino e G.Naccarato ed selettivamente domiciliata presso gli stessi in Roma, Lungotevere delle Navi, 30;
per l'annullamento
del bando di gara per l’affidamento dei servizi di nettezza urbana e complementari di igiene, nonché dei correlati capitolati – d’oneri e dei servizi da espletare – e di tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali, fra cui in particolare la delibera consiliare n. 29 del 2.8.2002, con la quale si disponeva la revoca parziale della delibera consiliare n. 160 in data 11.12.2000, come modificata con delibera consiliare n. 171 del 22.12.2000, nonché la prodromica proposta n. 11 del 30.7.2002 e – in via subordinata – per l’annullamento del capitolato dei servizi da espletare, nella parte in cui prevede l’integrazione e/o la riparazione dei contenitori mancanti o non efficienti, con onere a carico del precedente appaltatore
nonché per l’accertamento
del diritto della medesima ricorrente al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 35 D.Lgs. n. 80/98, come sostituito dall’art. 7 L. n. 205/2000, con le consequenziali statuizioni di condanna;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune intimato e della società controinteressata;
Visti i motivi aggiunti di gravame, notificati il 7.1.2003, attraverso i quali si impugnano il verbale di aggiudicazione definitiva, di cui alla determinazione dirigenziale n. 90 R.G. 1965 del 27.12.2002 ed il relativo atto di comunicazione n. prot. 3447 del 28.12.2002;
Visto il ricorso incidentale, notificato il 2 e il 9 gennaio 2003 da CLIN Industrie Città s.p.a.;
Viste le memorie depositate dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 16 gennaio 2003, il Consigliere G. De Michele, uditi gli Avvocati F.A. Caputo per la ricorrente, F.G.Scoca per il Comune resistente e F. Sorrentino per la parte controinteressata;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Attraverso il ricorso in esame, notificato in data 8.11.2002 - nonché attraverso motivi aggiunti di gravame, notificati il 7.1.2003 - il Consorzio G.f.M., già affidatario del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani - impugnava gli atti (meglio specificati in epigrafe) attraverso cui il Comune di Pomezia aveva revocato la precedente determinazione di costituire, per il servizio in questione, una società mista (s.p.a. a prevalente capitale pubblico, a cui il ricorrente consorzio era vincolato a partecipare e che avrebbe dovuto essere operativa, a partire dal mese di dicembre 2002), con successiva emanazione di un bando di gara, per l’affidamento del medesimo servizio.
Avverso i provvedimenti sopra indicati e, in via subordinata, avverso l’addebito al ricorrente – in base al capitolato di gara – delle spese da sostenere per la sostituzione o la riparazione dei contenitori mancanti o non più efficienti, nonché per l’accertamento del diritto al risarcimento del danno, nell’impugnativa venivano prospettati i seguenti motivi di gravame:
1) illegittimità derivata del bando di gara, alla stregua delle motivazioni assunte nei prodromici provvedimenti vincolanti, illegittimi per errata applicazione della normativa, di cui all’art. 35 L. n. 448/01, tenuto conto del previsto regolamento e dei profili transitori vincolanti, assoluta incongruità delle motivazioni, anche con riferimento alla legge della Regione Lazio 22.7.2002, n. 22, in quanto le disposizioni della legge finanziaria 2002, modificative dell’art. 113 T.U. n. 267/2000 non potrebbero incidere su “consolidate situazioni pregresse e in stato di attuazione”, a pena di incostituzionalità delle nuove norme, per violazione del principio di uguaglianza e per il “generalizzato monito di ultrattività della norma”;
2) violazione di legge, del principio dell’affidamento in combinato disposto con l’art. 41 della costituzione, dei principi di buona fede che regolano i rapporti contrattuali, sotto il profilo della disapplicazione degli obblighi assunti dall’appaltante “ora e per allora”, essendo la gravata procedura lesiva dell’affidamento dell’attuale ricorrente, la cui libera iniziativa economica non avrebbe potuto subire restrizioni – in ordine alla sottoscrizione di quote della costituenda Società mista – nell’ambito della fase transitoria, prefigurata dallo stesso art. 35 L. n. 448/01;
3) ancora violazione di legge; indebita ingerenza della nuova procedura rispetto alla precedente commessa, in base al terzo e quarto comma del capitolato dei servizi da espletare, nonché violazione del principio “tempus regit actum” e del relativo affidamento sotto ulteriore profilo, con riferimento alla pretesa del Comune intimato di “dirimere eventuali questioni, afferenti il precedente appalto, attraverso un’atecnica ipotesi di responsabilità oggettiva, devoluta ad un procedimento e ad un rapporto a sé stante”, mentre avrebbero dovuto essere applicate procedure e penalità, previste dai precedenti accordi fra le parti in causa.
Attraverso i motivi aggiunti di gravame, il medesimo Consorzio G.f.M. impugnava poi il verbale di aggiudicazione definitiva alla controinteressata società C.I.C. della gara di cui trattasi, aggiudicazione disposta con determinazione dirigenziale n. 90 R.G. 1965 del 27.12.02 e comunicata con atto n. prot. 3447 del 28.12.2002.
Avverso tali atti venivano prospettate le seguenti censure:
1) illegittimità derivata, per i vizi già evidenziati in rapporto agli atti presupposti, vizi di cui si riepilogavano gli estremi, anche con riferimento alla già citata legge regionale n. 22/02, che all’art. 3, comma 1, lettera n) promuove interventi per la stabilizzazione occupazionale dei lavoratori socialmente utili, proprio a mezzo della costituzione di società di capitali miste, rendendo più evidente l’erroneità della motivazione dell’atto di revoca impugnato, che illegittimamente avrebbe scalfito l’affidamento dell’appaltatore, il quale avrebbe accettato per due anni condizioni contrattuali sfavorevoli, solo sul presupposto di essere parte della costituenda società mista; illegittimamente, pertanto, si sarebbe impedito al Consorzio ricorrente di sottoscrivere le quote della predetta società, derogando surrettiziamente dagli obblighi, correlativi ad un procedimento amministrativo in corso.
Le parti intimate, costituitesi in giudizio, chiedevano il rigetto dell’impugnativa, perché infondata.
Il Comune di Pomezia, in particolare, sottolineava come – con determinazione consiliare n. 94 del 30.7.99 – fosse stata programmata la costituzione della società mista di cui si discute, per la gestione dei servizi pubblici nel settore ambiente e manutenzione (con affidamento, nel frattempo, dei servizi in questione al ricorrente Consorzio G.f.M., ex art. 10, c. 1, lett. b) del D.L. n. 468/97).
Inoltre, con protocolli di intesa in data 5 gennaio e 15 settembre 2000, il medesimo Consorzio si impegnava a far parte della costituenda società.
Il predetto indirizzo era confermato con delibere consiliari nn. 160 in data 11.12.2000 e 171 del 22.12.2000; dopo l’entrata in vigore dell’art. 35 della legge 28.12.2001, n. 448, tuttavia, il citato Comune riteneva doveroso mutare il proprio indirizzo, non essendo più possibile la costituzione di società miste, per i fini di cui trattasi, senza previo esperimento di procedure concorsuali ad evidenza pubblica, con ulteriore previsione di “scadenza o anticipata cessazione della concessione, rilasciata con procedure diverse”; il Consiglio Comunale, pertanto, avrebbe inteso “eliminare il contrasto normativo…rispetto alle disposizioni nel frattempo intervenute”.
La parte controinteressata (Clin Industrie Città – C.I.C.), a sua volta, prima con memoria di costituzione, e poi con ricorso incidentale (quest’ultimo avverso gli atti di revoca, in quanto non emessi come vero e proprio annullamento, nonché avverso le delibere di affidamento al Consorzio G.f.M. di servizi comunali), sottolineava come l’Amministrazione non avesse ritenuto la costituzione della società mista contrastante con la nuova normativa, ritenendo piuttosto opportuno riconsiderare le proprie scelte al riguardo, tenuto conto dell’incertezza sulla disciplina da applicare in materia.
Sempre secondo la controinteressata, non solo dagli atti di causa non sarebbe emerso un impegno irrevocabile del Comune a far partecipare l’attuale ricorrente alla società mista, ma le determinazioni, al riguardo assunte, dovrebbero ritenersi frutto di un ingiustificato e illegittimo trattamento di favore, con violazione delle regole dell’evidenza pubblica e del principio di buon andamento dell’Amministrazione.
DIRITTO
La questione sostanziale, sottoposta all’esame del Collegio, concerne la sussistenza – o meno – di un interesse protetto del Consorzio G.f.M. (attuale ricorrente), in ordine alla costituzione di una società mista, a prevalente capitale pubblico, per la gestione di servizi ambientali e manutentivi, società di cui il medesimo Consorzio avrebbe dovuto fare parte.
Ove detto interesse fosse riconosciuto, quindi, dovrà essere accertata la legittimità della delibera consiliare n. 29 del 2.8.2002, con la quale viene revocata la determinazione (n. 160 in data 11.12.2000, come modificata con delibera consiliare n. 171 del 22.12.2000), concernente la costituzione della predetta società mista e si prevede l’avvio di una procedura di gara, per l’affidamento del servizio in questione.
Al primo quesito il Collegio ritiene di poter dare risposta positiva.
La costituzione di una società mista, per la gestione di un sevizio pubblico quale quello della raccolta dei rifiuti e di altri servizi ambientali, infatti, era senz’altro rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione: una discrezionalità assai ampia sull’ “an e sul quomodo”, ovvero sull’adozione o meno del modello operativo in questione e sulle relative caratteristiche.
Attraverso le delibere consiliari sopra citate tuttavia, nonché a seguito del verbale in data 5.1.2000 – in cui si recepisce l’accordo, al riguardo intervenuto fra il Comune di Pomezia e il Consorzio G.f.M. – risulta in effetti intervenuta quella autodeterminazione vincolistica, che è normalmente ritenuta idonea ad instaurare un rapporto di potestà/interesse protetto fra Amministrazione e amministrati, in ordine al corretto espletamento della procedura autodeterminata.
Quanto sopra non implica la sussistenza di diritti e di obblighi, quali sarebbero scaturiti dalla effettiva costituzione di detta società, ma consente alla parte, che si era impegnata all’”adesione alle quote azionarie stabilizzate nella costituenda società mista” – assumendo il servizio in via temporanea, e procedendo alla assunzione dei lavoratori indicati dall’Amministrazione – di verificare la legittimità delle scelte e la coerenza delle motivazioni, attraverso cui il citato Comune di Pomezia si era impegnato, in un primo tempo, ad “approvare lo statuto della costituenda società mista a prevalente capitale pubblico, per la gestione dei servizi ambientali e manutentivi, che dovrà essere operante, qualora ricorrano le condizioni, a partire dal mese di dicembre 2002”, per poi decidere – attraverso l’impugnata delibera n. 29/02 – di emanare un bando di gara ai fini dell’affidamento del servizio in questione, previa revoca di quanto precedentemente deliberato e pattuito.
Le ragioni della revoca sono ricondotte all’art. 35 della legge 28.12.2001, n. 448, destinato a regolare i servizi pubblici locali di rilevanza industriale, anche sulla base di un regolamento non ancora emanato; in tale situazione, come si legge nell’atto di revoca impugnato, non sarebbe “possibile individuare la disciplina legislativa da applicare al servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani” e risulterebbe di conseguenza “inattuabile promuovere la costituzione di una società mista a prevalente capitale pubblico, senza la certezza che essa possa legittimamente gestire il servizio in questione”.
In effetti, il secondo comma del citato art. 35 L. n. 448/2001 prevede che un regolamento – da emanare ai sensi del comma 16 del medesimo articolo – fissi termini di scadenza o anticipata cessazione delle concessioni, rilasciate “con procedura diversa dall’evidenza pubblica” e prevede, ulteriormente, che solo “a valere da tale data” (quella, dovrebbe logicamente intendersi – nonostante una certa ambiguità nella formulazione letterale della norma – di compiuta definizione regolamentare del sistema) si applichi il divieto, di cui al comma 6 del novellato art. 113 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, che reitera per tutti i servizi pubblici di rilevanza industriale, nell’ambito di tali enti, il divieto di partecipazione alle gare delle società che, “in Italia o all’estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi”.
La stessa individuazione dei servizi, di cui alla predetta norma e in definitiva l’operatività della medesima, tuttavia, sono demandate al regolamento in questione, da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 1, della legge 23.8.88, n. 400, “sentite le Autorità indipendenti di settore e la Conferenza unificata, di cui all’art. 8 del D.-Lgs. 28.8.97, n. 281”.
In tale situazione, il Consorzio ricorrente ritiene che la nuova disciplina non fosse ancora applicabile e che non sussistessero ostacoli normativi, perché si desse attuazione alle intese intercorse, con conseguente illegittimità sia della relativa revoca che degli atti ulteriori e consequenziali (bando di gara e successiva aggiudicazione alla parte controinteressata)..
Per una corretta impostazione della problematica, posta dalla nuova disciplina, non possono però venire ignorati i precetti comunitari, che ne costituiscono il presupposto (cfr. al riguardo, in particolare, la Direttiva n. 92/50/CEE del 18.6.1992, recepita con D.Lgs. 17.3.1995, n. 157, come modificata dalla direttiva n. 97/52/CE, recepita con D.Lgs. 25.2.2000, n. 65).
Detti principi riconoscono come espressione dell’autonomia degli enti pubblici locali la scelta circa le modalità di svolgimento dei servizi pubblici, riferibili a tali enti, potendo questi ultimi gestire direttamente i servizi stessi o affidarli a terzi.
Nella seconda ipotesi, alle garanzie sugli standards qualitativi dei servizi in questione si affiancano le garanzie di tutela della concorrenza, quale mezzo per raggiungere il maggior benessere dei consociati attraverso un meccanismo di selezione, tale da consentire il perseguimento del migliore possibile rapporto fra costi e risultati.
Anche prima della emanazione della citata legge n. 448/2001, la Commissione Europea aveva contestato – mediante procedura di infrazione – la prassi italiana di affidare a società miste la gestione dei servizi pubblici locali attraverso forme di affidamento diretto.
La normativa interna, al riguardo applicabile, era stata dunque chiarita con circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento delle Politiche Comunitarie) n. 12727 del 19.10.2001, nella quale si ribadisce come l’affidamento dei servizi di cui trattasi debba avere luogo tramite procedure ad evidenza pubblica.
Lo stesso articolo 113 del D.Lgs. n. 267/2000 (nel testo sostituito ex art. 35 L. n. 448/2001), a sua volta, dispone che restino “ferme le disposizioni previste per i singoli settori e quelle nazionali di attuazione delle normative comunitarie”.
La nuova disciplina, riconducibile al medesimo art. 113, poi, avvia un più ampio progetto di revisione, in primo luogo operando una distinzione fra gestione delle reti e degli impianti ed erogazione del servizio pubblico (quanto sopra, poiché alla privatizzazione e liberalizzazione in atto debbono affiancarsi idonee misure, atte ad evitare distorsioni alla concorrenza, per effetto dei vantaggi riconducibili alla disponibilità delle reti ed ai diritti di esclusiva, di cui avevano usufruito i monopolisti: in altre parole, affinché ai monopoli pubblici non subentrino monopoli privati, si comincia con l’imporre una separazione, fra soggetti che svolgono attività, già suscettibili di essere svolte in regime di concorrenza e soggetti, che ancora si trovino in una posizione di monopolio naturale).
Solo per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali – ove separata dall’attività di erogazione dei servizi – è previsto nel quarto comma, lettera b) del novellato art. 113 D.Lgs. n. 267/2000 che gli enti locali possano avvalersi “di soggetti allo scopo costituiti”, nella forma di società di capitali con partecipazione pubblica maggioritaria, con affidamento anche diretto a tali soggetti dell’attività gestionale in questione.
Nella situazione in esame, sembra al Collegio che si possa prescindere da una valutazione, circa l’immediata applicabilità della norma sopra riportata (in considerazione sia del necessario regolamento attuativo, sia delle ulteriori scelte, che debbono essere operate al riguardo dagli enti locali), così come non sembrano rilevanti i dubbi di compatibilità con le norme comunitarie, che la norma stessa pone: nel caso di specie, infatti, si discute di servizi ambientali, senza distinzioni fra gestione degli impianti ed erogazione dei servizi stessi.
Alla data di emanazione delle delibere, concernenti la costituzione della società mista di cui si discute, risultava ampiamente diffusa – in effetti – la prassi di individuare senza procedure concorsuali ad evidenza pubblica i soggetti partecipanti a società di tal genere: tale prassi, tuttavia, era come già ricordato oggetto di procedura di infrazione a livello comunitario.
Alla data di emanazione dell’atto di revoca, in questa sede impugnato, era già stata emanata la ricordata circolare interpretativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 12727/2001, che sottolineava l’obbligatorietà della scelta del contraente o del socio privato tramite gara.
Discende da quanto sopra la fondatezza delle preoccupazioni del Comune di Pomezia, circa la legittimità non tanto della costituzione di una società mista, quanto della già concordata (per quanto in forma indiretta, con apparente impegno della sola parte privata) sottoscrizione delle relative quote da parte del Consorzio G.f.M.
La non solare chiarezza della motivazione (riferita a impossibilità di individuare la disciplina legislativa applicabile ed a giuridica impossibilità di costituire una società mista “…senza la certezza che essa possa legittimamente gestire il servizio in questione”) trova in qualche modo contemperamento nella esigenza – correttamente enunciata – di concludere le procedure di evidenza pubblica per assicurare la continuità del servizio, entro la data (31.12.2002) di scadenza del precedente affidamento diretto al Consorzio G.f.M.: una accezione che – come sottolineato nel ricorso incidentale, proposto dalla controinteressata Clin Industrie Città s.p.a. – riconduce l’atto di revoca impugnato, al di là del formale “nomen iuris” del medesimo, ad un annullamento in via di autotutela.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, le prime due censure prospettate dalla parte ricorrente non appaiono meritevoli di accoglimento, in quanto riferite univocamente alla non incidenza della nuova disciplina sugli accordi pregressi e sull’affidamento dai medesimi scaturito.
Al di là delle ancora controverse dimensioni della nuova disciplina, invece, i principi comunitari, come richiamati dalle specifiche norme di settore e dallo stesso art. 113, primo comma, D.Lgs. n. 267/2000, nel testo introdotto dal più volte citato art. 35 L. n. 448/2001, rendevano non legittima l’istituzione della programmata società mista, con individuazione diretta del socio privato, già impegnatosi a sottoscrivere le relative quote.
Le altre argomentazioni, riferite ai principi di buona fede che regolano i rapporti contrattuali, appaiono collegate anche alla domanda risarcitoria, proposta dal medesimo ricorrente ed al pari di questa non risultano condivisibili.
In presenza di un contrasto con i principi comunitari, infatti, e in un contesto di riforma, chiaramente non conforme alle modalità di gestione del servizio di cui trattasi, nei termini in precedenza programmati, non poteva ritenersi sussistente un obbligo di esecuzione delle precedenti intese, non ancora compiutamente formalizzate, né la mera, precedente preordinazione di determinate modalità di gestione del servizio stesso concretizza i presupposti per un risarcimento dei danni, nella prospettiva recentemente riconosciuta dalla giurisprudenza (Cass. SS.UU., 22.7.1999, n. 500).
Appare condivisibile, infatti, il primo indirizzo giurisprudenziale, che ricollega la nuova fattispecie risarcitoria a violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, cui è preordinata l’azione dei pubblici poteri; non integra tale fattispecie una fase di riesame, che induca l’Amministrazione a mutare una linea di indirizzo non ancora compiutamente attuata, quando le circostanze oggettive, in cui si è verificata tale condotta, appaiano ispirate ad una ricerca di soluzioni legittime ed a corretto bilanciamento degli interessi pubblici e privati.
Nel caso di specie il Comune di Pomezia ha ritenuto opportuno non dare seguito ad una prassi (costituzione di società miste ,con individuazione non concorsuale del socio privato) piuttosto diffusa in sede locale, ma non conforme, in primo luogo, ai principi comunitari, come recepiti anche dalle norme nazionali.
Quanto sopra, in un quadro di evoluzione normativa, che rendeva più evidente l’impraticabilità delle scelte, in precedenza effettuate, nonché – come risulta dagli atti – in un contesto che vedeva compromesso il rapporto fiduciario con il soggetto, già affidatario del servizio (essendo quest’ultimo coinvolto in vicende penali, legate proprio ai precedenti rapporti intercorsi con l’Amministrazione).
Sembra appena il caso di precisare, poi, che l’ipotesi di costituzione di una società mista, con individuazione tramite gara del socio privato, in luogo del mero appalto del servizio, costituiva alternativa discrezionale, su cui il Consorzio - che alla gara ha comunque partecipato - non prospetta argomentazioni specifiche, essendo indirizzato il petitum all’affidamento diretto.
Appaiono, conclusivamente, da respingere sia i motivi di ricorso, proposti avverso l’atto di revoca n. 29 del 2.8.2002, nonché – per illegittimità derivata – avverso il bando di gara per l’affidamento del medesimo servizio, sia l’istanza risarcitoria, proposta con riferimento alla vicenda contestata.
La terza censura – che investe il terzo e il quarto comma del capitolato dei servizi da espletare, in base all’impugnato bando di gara, “per indebita ingerenza della nuova procedura rispetto alla precedente commessa” – appare a sua volta infondata.
La parte ricorrente, infatti, contesta la prevista sostituzione o riparazione dei contenitori mancanti o lesionati, con onere a carico del precedente appaltatore, come se detto onere potesse prescindere dai precedenti accordi, col medesimo intercorsi.
Una corretta lettura del capitolato – nella interpretazione avallata dallo stesso Comune resistente – vuole invece che la nuova ditta aggiudicataria sia chiamata agli interventi sopra precisati, con obbligo di rimborso da parte del Comune, fatto salvo il diritto di rivalsa di quest’ultimo nei confronti del precedente appaltatore, ovvero del Consorzio ricorrente, ma ovviamente nell’ambito delle obbligazioni e delle penali per mancati servizi, che siano opponibili al medesimo in base al contratto intercorso.
Nei termini sopra precisati, le clausole del capitolato d’oneri contestate non appaiono censurabili, né lesive dei diritti del ricorrente.
Quanto ai motivi aggiunti di gravame, che investono sia l’esclusione del ricorrente dalla gara espletata, sia l’aggiudicazione di quest’ultima alla società Clin Industrie Città s.p.a., non possono individuarsi ragioni di accoglimento, in quanto detti motivi – come illustrato nella parte in fatto della presente decisione – ripropongono sostanzialmente le medesime doglianze, riducendosi ad una sostanziale censura di illegittimità derivata, il cui rigetto appare consequenziale alle argomentazioni già svolte.
Il ricorso in esame deve, per quanto sopra, essere respinto, con assorbimento delle ulteriori controdeduzioni, formulate nelle memorie difensive delle parti resistenti e nel ricorso incidentale; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio ne ritiene equa la compensazione.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, (Sez. II bis), RESPINGE il ricorso n. 11789/02, specificato in epigrafe; COMPENSA le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio in data 16 gennaio e 20 febbraio 2003 con l'intervento dei Magistrati:
Presidente f.f. Evasio Speranza
Consigliere Giancarlo Tavarnelli
Consigliere est. Gabriella De Michele
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 22 marzo 2003
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