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TAR Lazio, Sez. III, 26/3/2003 n. 2632
Sul se le società miste possano effettuare un'attività imprenditoriale sganciata dall'esercizio del servizio pubblico e se il vincolo funzionale, oltre che genetico, che le lega agli enti locali, vieti lo svolgimento di attività a favore di terzi.

Diritto a conseguire certificazione SOA per le società miste che gestiscono servizi pubblici locali. La deliberazione n. 325/2002 dell'Autorità di vigilanza per i lavori pubblici.

Deve affermarsi che la configurazione delle società in argomento nell'ambito degli organismi di diritto pubblico e degli enti aggiudicatori, tenuti al rispetto delle procedure dell'evidenza pubblica ai fini della stipula di contratti di appalto con terzi, e quindi sottoposti alla giurisdizione del giudice amministrativo, non può coartare la natura di tali società, facendole diventare, al pari delle aziende speciali, organi strumentali intimamente collegati all'ente territoriale, con gli stessi limiti di queste ultime.
L'unico limite, effettivamente prospettabile, è quello costituito dall'inerenza funzionale dell'attività alla cura degli interessi della collettività di riferimento, precisandosi che la determinazione del campo di azione della società può rappresentare il mezzo attraverso il quale potersi realizzare la soddisfazione degli interessi locali, attuata attraverso modelli di indole non pubblicistica.
L'affermato vincolo funzionale non deve, comunque, ricondurre l'utilità del modello societario prescelto alla sola maggiore agilità procedurale, precludendo del tutto al medesimo di prodursi in attività e confronti (che devono essere di natura concorrenziale, non potendosi ipotizzare uno schema legittimo di affidamento diretto - di servizio o di opus - a società mista costituita da altro Comune), al pari dei liberi soggetti economici. In altre parole il pur apprezzabile fine di non depotenziare lo scopo, per il quale la società è sorta, non può portare, a sua volta, a snaturare completamente il, seppur speciale, modello privatistico societario prescelto.
Il vincolo funzionale va dimensionato di volta in volta valutandone gli effetti, nel senso che occorre verificare concretamente se l'impegno extraterritoriale eventualmente distolga e in che rilevanza risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni di utilità (anch'essi da valutarsi in relazione all'impegno profuso e agli eventuali rischi finanziari corsi) per la collettività di riferimento.
Il vincolo funzionale opera in termini residuali, entrando in gioco solo qualora vi sia una distrazione di risorse e mezzi che sia effettivamente apprezzabile e che realisticamente possa portare pregiudizio alla collettività di riferimento.
Pertanto, innanzi tutto, la possibile funzione di stazione appaltante della società mista non può essere di ostacolo, allorché essa partecipa a gare indette da soggetti terzi.
In secondo luogo, il vincolo funzionale che la lega all'ente di riferimento non può costituire, a priori, un ostacolo per l'assunzione di attività che potrebbero essere compatibili con quella che la medesima è chiamata istituzionalmente a svolgere, da un lato, non comportando un'insostenibile distrazione di mezzi e di risorse, dall'altro, perché potrebbero innescarsi sinergie utili a migliorare la gestione del servizio stesso, assicurando anche un ritorno economico del capitale investito dai soci privati.

Materia: appalti / qualificazione delle imprese

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO, SEZIONE III, composto dai Magistrati:

Luigi COSSU                          PRESIDENTE

Vito CARELLA                      CONSIGLIERE

Antonino SAVO AMODIO    CONSIGLIERE rel.

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso n. 805 del 2002 Reg. Gen., proposto dalla Venezia Servizi Territoriali Ambientali – VE.S.T.A. S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Alfredo Biagini, con il quale elettivamente domicilia in Roma, Via di Porta Castello n. 33;

 

con l’intervento ad adiuvandum

della CONFSERVIZI (Confederazione Nazionale dei Servizi), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Gianni Zgagliardich e Francesco Lilli, con i quali elettivamente domicilia in Roma, Viale America n. 11;

 

contro

l’AUTORITA’ PER LA VIGILANZA SUI LAVORI PUBBLICI, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, con la quale elettivamente domicilia in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

 

e nei confronti

della EURO SOA – Società Organismo di Attestazione – S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita;

 

per l'annullamento

A) con il ricorso introduttivo:

1) della nota prot. N. 50604/01 del 28 settembre 2001 dell’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici;

2) del parere della Commissione consultiva dell’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici del 5 luglio 2001;

3) per quanto possa occorrere, della nota dell’8 novembre 2001 della Euro SOA S.p.a. che ha negato alla VE.S.T.A. il rilascio dell’attestazione necessaria per l’esecuzione dei lavori pubblici;

B) con i motivi aggiunti:

della deliberazione del Consiglio dell’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici del 26 febbraio 2002;

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici e l’interventore ad adiuvandum;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti di causa;

Nominato relatore il consigliere Antonino Savo Amodio e uditi, all’udienza del 30 ottobre 2002, l’avv Biagini, l’avv. dello Stato Corsini e l’avv. Zgagliardich;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

 

FATTO

La VE.S.T.A. S.p.a. (Venezia Servizi Territoriali Ambientali) espone di essere una società costituita dalla fusione di A.M.A.V. S.p.a. e di AS.P.I.V. S.p.a., a suo tempo trasformate in società di capitali.

In data 12 aprile 2001, l’A.M.A.V. richiedeva ad Euro Soa S.p.a. – Società Organismo di Attestazione l’attestazione di qualificazione per le categorie OG 12 – classifica III (2 miliardi di lire) ed OS 24 – classifica III (2 miliardi di lire).

Con nota dell’8 novembre 2001, la Soc. Euro Soa comunicava il rigetto dell’istanza, pur rilevando la sussistenza dei requisiti per il rilascio dell’attestazione richiesta, facendo riferimento ad una determinazione assunta dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, che, a sua volta, aveva recepito l’orientamento espresso dalla propria Commissione consultiva.

Di qui la proposizione del ricorso in esame, nel quale si deduce:

1) Eccesso di potere nelle forme della contraddittorietà ed illogicità. Violazione di legge e, in particolare, dell’art. 116 del D.L.vo 18 agosto 2000 n. 267, in quanto l’ordinamento riconoscerebbe alle società pubbliche ex art. 116 epigrafato la capacità di realizzare lavori per conto della P.A..

2) Ulteriore violazione della normativa innanzi epigrafata nonché dell’art. 22 della legge 8 giugno 1990 n. 142, non potendosi configurare limiti territoriali all’attività delle società in questione, con l’unico limite del possibile pregiudizio per l’erogazione del servizio a favore della collettività di riferimento.

3) Eccesso di potere e violazione dell’art. 2 comma 5 bis della legge 11 febbraio 1994 n. 109, atteso che la norma in epigrafe non sarebbe di ostacolo all’accoglimento della richiesta, in quanto, pur volendo ipotizzare una posizione di “ente aggiudicatore”, allorché la società agisce per l’ente di riferimento, con conseguente preclusione di una possibile assunzione diretta dei lavori connessi al servizio espletato, tale divieto non opererebbe nei confronti delle amministrazioni terze, i cui rapporti con le società ex art. 116 D.L.vo n. 267 del 2000 risulterebbero di natura esclusivamente privatistica.

Nessuna preclusione deriverebbe dalla natura di società di scopo dei soggetti in questione, tanto più che questi ultimi godrebbero dell’ordinaria capacità di agire.

Le considerazioni in ordine alla possibile alterazione del mercato non avrebbero una base positiva, riflettendo, piuttosto, perplessità di carattere politico per la cui vincolatività sarebbe necessario il preventivo varo di un’apposita normativa.

4) Violazione dell’art. 48 (ex art. 58) del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, atteso che l’interpretazione seguita dall’Autorità configgerebbe con il principio comunitario della libera prestazione dei servizi negli Stati aderenti all’Unione.

Avverso il diniego di attestazione, la Soc. V.E.S.T.A. proponeva reclamo all’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, che, ribadendo le considerazioni svolte in precedenza – e recepite nella determinazione negativa assunta dalla Euro Soa -, concludeva per il non luogo a procedere sull’atto portato al suo esame.

Di qui la proposizione di motivi aggiunti, nei quali si ribadiscono, ampliandole, anche alla stregua di una sentenza del Giudice di appello, intervenuta nelle more, le argomentazioni esposte nell’atto introduttivo del giudizio.

Si è costituita in giudizio l’Autorità per la vigilanza sui Lavori Pubblici che, in via preliminare, eccepisce l’inammissibilità del ricorso introduttivo e, conseguentemente, anche dei motivi aggiunti; nel merito, procede alla confutazione dei singoli motivi di doglianza.

Spiega un intervento ad adiuvandum la CONFSERVIZI (Confederazione Nazionale dei Servizi).

 

DIRITTO

1) Preliminare alle questioni di merito è l’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti.

Parte resistente sostiene il difetto di giurisdizione del T.A.R. a conoscere della determinazione assunta dalla Soc. Euro Soa, trattandosi di un atto che si inserirebbe in un rapporto tutto privatistico, la cui cognizione sarebbe perciò riservata al giudice ordinario. Conseguentemente, risulterebbero inammissibili anche i motivi aggiunti, siccome proposti nell’ambito di un procedimento male incardinato.

La premessa, da cui parte l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, è pienamente condivisibile, tant’è che la Sezione si è espressa in tal senso in una recente sentenza (16 ottobre 2002 n. 8722). In quella sede si è osservato che le determinazioni assunte dalle SOA (Società Organismo Attestazione) non configurano un provvedimento, soggettivamente ed oggettivamente, amministrativo, ma rappresentano l’adempimento di un’obbligazione assunta con uno specifico contratto, espressione dell’autonomia negoziale delle parti che lo sottoscrivono e, perciò, attratto nella giurisdizione del giudice ordinario.

La vicenda negoziale, peraltro, ha una seconda (possibile) fase dinanzi all’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, allorché l'impresa interessata richieda, in un termine prestabilito, di effettuare un controllo della determinazione assunta dalla SOA.

Tale procedura è contemplata dall’art. 16 del D.P.R. 25 gennaio 2000 n. 34, che ha così il duplice effetto di collegare il procedimento pattizio ad uno, successivo, di natura amministrativa, e, insieme, di demandare all’Autorità la decisione ultima in merito alla ricorrenza delle condizioni per il rilascio dell’attestazione, tant’è che il citato art. 16 conclude stabilendo che “l'Autorità, sentita l'impresa richiedente e la SOA e acquisite le informazioni necessarie, provvede entro sessanta giorni ad indicare alla SOA le eventuali condizioni da osservarsi nell'esecuzione del contratto stipulato”.

Sull’impugnabilità di tale atto dinanzi al giudice amministrativo, parte resistente non avanza dubbi; osserva, piuttosto, che i motivi aggiunti sarebbero stati proposti in un giudizio introdotto da un ricorso inammissibile ed il vizio di quest’ultimo finirebbe con il travolgere tutti gli atti processuali successivi e, in special modo, proprio quello che ha lo scopo di ampliare il thema decidendum.

Contro tale conclusione militano, peraltro, una pluralità di ragioni.

Da un lato, deve rilevarsi la sostanziale unitarietà del procedimento delineato dal D.P.R. n. 34 del 2000, che, pure svolgendosi in due fasi distinte e di diversa natura giuridica, è comunque destinato a concludersi con un atto amministrativo, di natura latamente discrezionale, quale quello con cui l’Autorità è chiamata a fornire indicazioni alle SOA.

Dall’altro, viene in evidenza la funzione, vitalizzata dalla legge 21 luglio 2000 n. 205, dei motivi aggiunti, cui è consentito di aggredire le ulteriori determinazioni amministrative, senza la necessità di instaurare un nuovo ed autonomo giudizio.

Infine, sul piano più propriamente sostanziale, i motivi aggiunti in nulla si differenziano dal ricorso ordinario, sia per quel che riguarda le forme e i termini di notificazione e deposito, sia, soprattutto, per quel che attiene alle regole di instaurazione del contraddittorio.

2) Nel merito, la questione è fondata.

Deve osservarsi, in via preliminare, che l’Autorità, successivamente all’udienza di discussione del ricorso prodotto dalla Soc. Vesta, ha radicalmente modificato l’avviso espresso nell’atto in esame: la deliberazione n. 325/02 del 20 novembre 2002 ha, infatti, affermato che anche le società miste che gestiscono lavori pubblici locali possono ottenere l’attestazione da parte delle SOA.

La rimeditazione è il frutto della presa d’atto dell’abolizione del cosiddetto “obbligo di esternalizzazione dei lavori pubblici”, espresso dall’art. 2 comma 5-bis della legge 11 febbraio 1994 n. 109 e venuto meno a seguito della riformulazione dell’art. 2 cit., operata dalla legge 1 agosto 2002 n. 166.

La novella legislativa, come ha precisato la stessa deliberazione n. 325/02 dell’Autorità, ha effetti solo dalla sua entrata in vigore (18 agosto 2002), sicché essa è insuscettibile di influire sull’atto impugnato, in base al principio secondo il quale la legittimità di un atto va valutata secondo le norme vigenti all’epoca della sua emanazione.

Il Tribunale ritiene comunque illegittima la determinazione assunta dall’Autorità ed oggetto del presente giudizio.

Occorre partire dalle ragioni addotte dal Consiglio dell’Autorità nella deliberazione assunta nell’adunanza 20 febbraio 2002:

a) il D. L.vo n. 267 del 2000 prevede l’affidamento del servizio alle società appositamente costituite per esso, senza l’esperimento di un’apposita gara ad evidenza pubblica;

b) la costituzione di tali società risponde ad una scelta organizzativa dell’ente, cui è indissolubilmente legata;

c) l’attestazione di qualificazione, rilasciata alle aziende speciali, comporta l’inammissibile cumulo in esse della qualità di ente aggiudicatore e di impresa appaltante;

d) le società miste non possono svolgere liberamente attività economico-imprenditoriali, in virtù del vincolo funzionale, oltre che spaziale, imposto ad esse dallo scopo per il quale le medesime sono sorte;

e) vi sono ragioni di opportunità che contrastano la tendenza espansiva delle società miste;

f) la possibilità di qualificare, ex art. 8 della citata legge n. 109 del 1994 e del D.P.R. n. 34 del 2000, un soggetto che può essere solo aggiudicatore, e non anche esecutore, male si concilia con la nozione di impresa contemplata dalla normativa appena citata.

Tutte le ragioni addotte dall’Autorità non risultano condivisibili.

Va premesso che la Soc. V.e.s.t.a. non fa questione circa la possibilità di effettuare i lavori pubblici intimamente connessi al servizio pubblico locale che svolge, per i quali assume la diversa funzione di stazione appaltante.

La sua pretesa è, piuttosto, di ottenere quella qualificazione che l’ordinamento richiede necessariamente a tutti gli aspiranti alla partecipazione alle gare ad evidenza pubblica indette da soggetti terzi.

L’oggetto del giudizio va, quindi, correttamente inquadrato nei termini appena indicati, fermo restando che l’esistenza nell’ordinamento del divieto, in capo alle società che gestiscono un servizio pubblico locale, di assunzione diretta di lavori connessi al servizio stesso, può produrre effetti inibitori, ma non quello addotto di impedire la partecipazione delle società stesse a licitazioni indette da una distinta stazione appaltante.

In fatto, inoltre, è incontroverso che la Soc. V.e.s.t.a. possiede i requisiti richiesti dalla legge per ottenere l’attestazione de qua.

Occorre, quindi, verificare se, alla stregua della normativa che le riguarda, le società miste, quale è la ricorrente, siano ontologicamente abilitate ad effettuare un’attività imprenditoriale sganciata dall’esercizio del servizio pubblico, per il quale sono nate, e, in ultima istanza, se il vincolo – funzionale, oltre che genetico – che le lega agli enti locali comporti un’esclusività che non lascia spazio per alcun altra attività svolta in favore di terzi.

L’indagine è favorita dallo stato attuale della giurisprudenza, che si è oramai espressa in maniera molto chiara sulle potenzialità operative dei soggetti in parola.

L’attenzione va posta, in particolare, alle conclusioni raggiunte dal Consiglio di Stato, V Sez., nella sentenza 3 settembre 2001 n. 4586, che appaiono decisive per la soluzione della controversia attualmente all’esame e che, pertanto, vanno riportate nella presente sentenza.

Il Giudice di appello si è espressamente occupato del possibile limite spaziale imposto ai soggetti in parola dalla circostanza di essere costituiti espressamente per la gestione dei servizi pubblici locali. La conclusione raggiunta in quella sede è che, a priori, non può affermarsi che il territorio (coincidente con quello dell’ente pubblico di riferimento) costituisca una barriera invalicabile per dette società.

Il primo problema affrontato è stato quello relativo al c.d. principio di strumentalità dell'attività di gestione, inteso come identificazione dello scopo sociale nella cura degli interessi delle comunità locali, perseguibili attraverso l'attività di gestione funzionalmente svolta dalla società nei settori dei servizi pubblici per i quali la stessa è stata costituita.

Il Legislatore, all’uopo, ha previsto la possibilità di far ricorso a due modelli gestionali alternativi: l’azienda speciale e la s.p.a. a partecipazione pubblica locale.

L'art. 22 della legge n. 142 del 1990 (ora art. 113 D.L. vo n. 267 del 2000), in particolare, consente di utilizzare quest’ultima «qualora sia opportuna, in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio, la partecipazione di più soggetti pubblici o privati».

In tal modo, si è inteso configurare un modulo privatistico, sia pure non del tutto alieno a finalità e connotati ancora sostanzialmente pubblicistici. Ciò è tanto vero che, con riferimento al riparto di giurisdizione, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la forma societaria assume veste neutrale ed il perseguimento di uno scopo pubblico non è di per sé in contraddizione con il fine societario lucrativo, descritto dall'art. 2247 Cod. civ. (cfr. Cons. Stato, VI Sez., 27 ottobre 1998 n. 1478 e più di recente 2 marzo 2001 nn. 1206 e 1207, e 2 aprile 2001 n. 1885).

Sviluppando quanto appena detto, deve affermarsi che la configurazione delle società in argomento nell'ambito degli organismi di diritto pubblico e degli enti aggiudicatori, tenuti al rispetto delle procedure dell'evidenza pubblica ai fini della stipula di contratti di appalto con terzi, e quindi sottoposti alla giurisdizione del giudice amministrativo, non può coartare la natura di tali società, facendole diventare, al pari delle aziende speciali, organi strumentali intimamente collegati all'ente territoriale, con gli stessi limiti di queste ultime.

Ciò comporta, per il modello societario di gestione dei servizi pubblici locali, una ben diversa modulazione sia dei vincoli funzionali che delle attività consentite, con riferimento anche all'interpretazione che va resa di queste ultime nozioni.

La conclusione è che l'unico limite, effettivamente prospettabile, è quello costituito dall'inerenza funzionale dell'attività alla cura degli interessi della collettività di riferimento, precisandosi che la determinazione del campo di azione della società può rappresentare il mezzo attraverso il quale potersi realizzare la soddisfazione degli interessi locali, attuata attraverso modelli di indole non pubblicistica.

L’affermato vincolo funzionale non deve, comunque, ricondurre l'utilità del modello societario prescelto alla sola maggiore agilità procedurale, precludendo del tutto al medesimo di prodursi in attività e confronti (che devono essere di natura concorrenziale, non potendosi ipotizzare uno schema legittimo di affidamento diretto – di servizio o di opus - a società mista costituita da altro Comune), al pari dei liberi soggetti economici. In altre parole il pur apprezzabile fine di non depotenziare lo scopo, per il quale la società è sorta, non può portare, a sua volta, a snaturare completamente il, seppur speciale, modello privatistico societario prescelto.

A questo punto il nocciolo della questione è individuare, cum grano salis, gli ambiti che devono essere residualmente concessi al vincolo funzionale che lega la società mista locale alla collettività di riferimento, tenendo conto che si ha a che fare sostanzialmente con un soggetto imprenditoriale di diritto privato, per lo più, come nella specie, destinato ad essere quotato in borsa e pertanto logicamente sensibile alle esigenze anche dei privati investitori, ma non del tutto alieno alle finalità pubblicistiche ed agli interessi pubblici della realtà territoriale che ha proceduto alla sua costituzione.

Il vincolo funzionale va dimensionato di volta in volta valutandone gli effetti, nel senso che occorre verificare concretamente se l'impegno extraterritoriale eventualmente distolga e in che rilevanza risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni di utilità (anch'essi da valutarsi in relazione all'impegno profuso e agli eventuali rischi finanziari corsi) per la collettività di riferimento.

Il vincolo funzionale opera in termini residuali, entrando in gioco solo qualora vi sia una distrazione di risorse e mezzi che sia effettivamente apprezzabile e che realisticamente possa portare pregiudizio alla collettività di riferimento.

I principi esposti hanno portato il Giudice di appello a concludere per la legittimità della partecipazione ad una gara per la gestione di servizio appaltato da altro ente pubblico, tanto più lecita in quanto, nella specie, la società mista limitava il suo impegno ad una partecipazione finanziaria nell'ambito di un consesso di ditte, risultate aggiudicatarie.

Il discorso appena riferito serve al Collegio per evidenziare come non possa escludersi, a priori, che la Società V.e.s.t.a. sia legittimata ad effettuare un’attività che non sia solo quella di gestione del servizio pubblico, in favore dell’ente che ha proceduto alla sua creazione.

La valutazione della compatibilità di un siffatto impregno con il suddetto vincolo funzionale non deve essere effettuata in questa sede, in quanto le S.O.A., prima, e l’Autorità in seconda battuta, sono chiamate a verificare la liceità e la possibilità, in astratto, dell’esercizio dell’attività, per la quale si richiede l’attestazione, e la sussistenza dei requisiti tecnici all’uopo richiesti.

Tutti i presupposti risultano ricorrere nella specie, a fronte di uno statuto societario che, nell’oggetto, ricomprende anche la possibilità di effettuare lavori pubblici.

In conclusione, tutte le ragioni addotte dall’Autorità a fondamento del suo diniego si rivelano superabili.

Innanzi tutto, la possibile funzione di stazione appaltante della Soc. Vesta non può essere di ostacolo, allorché essa partecipa a gare indette da soggetti terzi.

In secondo luogo, il vincolo funzionale che la lega all’ente di riferimento non può costituire, a priori, un ostacolo per l’assunzione di attività che potrebbero essere compatibili con quella che la medesima è chiamata istituzionalmente a svolgere, da un lato, non comportando un’insostenibile distrazione di mezzi e di risorse, dall’altro, perché potrebbero innescarsi sinergie utili a migliorare la gestione del servizio stesso, assicurando anche un ritorno economico del capitale investito dai soci privati.

Per converso, in sede di legittimità non possono assumere rilevanza alcuna le ragioni di opportunità addotte dall’Autorità.

In conclusione, il ricorso in esame si appalesa fondato e va accolto.

La novità della questione trattata porta a ritenere equo disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.

 

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. III, accoglie il ricorso in epigrafe indicato e, per l’effetto, annulla la deliberazione del Consiglio dell’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici del 26 febbraio 2002.

Compensa integralmente fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 30 ottobre 2002.

Luigi COSSU                          Presidente

Antonino SAVO AMODIO    Consigliere estensore

Articoli: Riflessioni sulla recente sentenza del Tar Lazio, sez. III, n. 2632, che annulla la delibera del consiglio dell'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici del 26/02/2002.
di Cecilia Laghi

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