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N. 03428/2015 REG.PROV.COLL.
N. 04507/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4507 del 2013, proposto dai sig.ri Filippo Monforte, Agatino Fresta e Biagio Susinni, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Antonino Lattuca e con questi elettivamente domiciliati in Roma, via Ennio Quirino Visconti n. 99, presso lo studio dell’avv. Antonino Palma,
contro
la Presidenza della Repubblica Italiana, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Catania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, sono per legge domiciliati, nonché,
nei confronti di
Comune di Mascali, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio,
Commissione straordinaria per la gestione del Comune di Mascali, nominata con d.P.R. 9 aprile 2013, non costituita in giudizio, dott.ri Enrico Gullotti, Francesco Milio e Giuseppe Chiofalo, tutti non costituiti in giudizio,
per l'annullamento, la nullità o la disapplicazione,
del d.P.R. 9 aprile 2013, recante “Nomina della Commissione straordinaria per la provvisoria gestione del Comune di Mascali (Catania)”, pubblicato in G.U.R.I. n. 94 del 22 aprile 2013, con il quale è stato disposto, per la durata di diciotto mesi, lo scioglimento del Consiglio comunale di Mascali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000, con contestuale nomina di una Commissione straordinaria per la gestione dello stesso Ente, fino all’insediamento degli organi a norma di legge, con le attribuzioni spettanti al consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco, nonché ogni altro potere ed incarico connesso alle medesime cariche; della deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 27 marzo 2013, avente ad oggetto lo scioglimento del Consiglio comunale di Mascali, sconosciuta nei contenuti; della Relazione del Ministro dell’Interno del 26 marzo 2013, allegata al citato d.P.R. 9 aprile 2013, contenente la proposta di scioglimento del Consiglio comunale di Mascali; della Relazione del Prefetto della Provincia di Catania del 27 febbraio 2013, avente ad oggetto “Amministrazione Comunale di Mascali (CT) - Richiesta di scioglimento ex art. 143, t.u. n. 267 del 2000”, allegata al citato d.P.R. 9 aprile 2013; della Relazione conclusiva svolta dalla Commissione d’indagine di accesso presso il Comune di Mascali (di seguito, anche “Commissione di accesso”) nominata con decreto prefettizio del 29 novembre 2012, ai sensi dell’art. 1, comma 4, d.l. n. 629 del 1982, non conosciuta; dell’eventuale nota del Prefetto della Provincia di Catania recante la richiesta al Ministro dell’Interno di autorizzazione all’esercizio dei poteri di cui all’art. 1, comma 4, d.l. n. 629 del 1982, per l’accesso presso il Comune di Mascali, non conosciuta; dell’eventuale provvedimento del Ministero dell’Interno, con il quale il Prefetto della Provincia di Catania è stato autorizzato all’esercizio dei poteri di cui all’art. 1, comma 4, d.l. n. 629 del 1982, di accesso presso il Comune di Mascali, non conosciuto; del decreto prefettizio del 29 novembre 2012, avente ad oggetto la designazione dei componenti della Commissione di accesso presso il Comune di Mascali, non conosciuto; di ogni altro atto o provvedimento presupposto, coevo, connesso o conseguenziale, anche non conosciuto, ivi compresi: i verbali e le eventuali ulteriori relazioni della Commissione di accesso; ove occorra e nei limiti dell’interesse; la circolare del Ministero dell’Interno - Gabinetto del Ministro prot. n. 7102/M/6 del 25 giugno 1991, avente ad oggetto “Metodologia applicativa delle disposizioni dell’art. 15 bis, l. 19 marzo 1990, n. 55, introdotto dall’art. 1, d.l. 31 maggio 1991, n. 164”.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza della Repubblica Italiana, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Interno e della Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Catania;
Viste le memorie prodotte dalle parti in causa costituite a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 25 febbraio 2015 il Consigliere Giulia Ferrari; uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO
1. Con ricorso notificato in data 7 maggio 2013 e depositato il successivo 17 maggio 2013, i sig.ri Filippo Monforte (Sindaco del Comune di Mascali), Agatino Fresta (assessore dell’amministrazione comunale di Mascali) e Biagio Susinni (consigliere comunale e presidente del Consiglio dello stesso Comune di Mascali) hanno impugnato, tra gli altri, il d.P.R. 9 aprile 2013, recante “Nomina della Commissione straordinaria per la provvisoria gestione del Comune di Mascali (Catania)”, pubblicato in G.U.R.I. n. 94 del 22 aprile 2013, con il quale è stato disposto, per la durata di diciotto mesi, lo scioglimento del Consiglio comunale di Mascali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 143, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, con contestuale nomina di una Commissione straordinaria per la gestione dello stesso Ente, fino all’insediamento degli organi a norma di legge, con le attribuzioni spettanti al consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco, nonché ogni altro potere ed incarico connesso alle medesime cariche.
Espongono, in fatto, che il sig. Biagio Susinni ha ricoperto la carica di presidente del Consiglio fino al 6 dicembre 2012, data in cui ha presentato le proprie dimissioni volontarie, unitamente alla maggioranza assoluta degli altri consiglieri componenti il Consiglio; il Sindaco sig. Monforte e l’assessore Fresta hanno ricoperto la rispettiva carica fino alla notifica dell’impugnato decreto di scioglimento del consiglio comunale di Mascali, avvenuto in data 22 aprile 2013. Con decreto del 31 gennaio 2013 il Presidente della Regione Siciliana, preso atto della decadenza del Consiglio comunale, aveva nominato un commissario, con i poteri del Consiglio; successivamente il Prefetto di Catania, in data 27 febbraio 2013, ritenuti sussistenti i presupposti per l’adozione della misura di rigore prevista dall’art. 143, t.u. n. 267 del 2000, aveva proposto al Ministro dell’interno lo scioglimento del Consiglio comunale di Mascali; infine, con d.P.R. 9 aprile 2013, ad organo già decaduto, è stato disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Mascali, ex art. 143, t.u. n. 267.
2. Avverso i predetti provvedimenti la ricorrente è insorta deducendo:
a) illegittimità di tutti gli atti impugnati per mancanza del provvedimento ministeriale di autorizzazione al Prefetto di Catania, quale atto presupposto, ad esercitare i poteri di accesso presso il Comune di Mascali, come tassativamente previsto dall’art. 1, comma 4, d.l. n. 629 del 1982.
In mancanza di espresso preliminare provvedimento ministeriale, mai adottato o, comunque, allo stato sconosciuto ai ricorrenti, di autorizzazione al Prefetto di Catania ad esercitare i poteri di accesso presso il Comune di Mascali, direttamente o a mezzo di funzionari appositamente autorizzati, tutti i successivi provvedimenti impugnati appaiono radicalmente illegittimi per mancanza di delega.
b) Difetto di motivazione e perplessità della stessa, per la contemporanea deduzione di presupposti di legge tra loro alternativi e comunque inesistenti nel caso di specie, nonché mancanza del preliminare requisito dell’accertata diffusione sul territorio della criminalità organizzata di stampo mafioso e omissione della comunicazione di avvio del procedimento.
b1) Violazione degli artt. 1 e 3, l. n. 241 del 1990 - Violazione e falsa applicazione dell’art. 143, t.u. n. 267 - Violazione del diritto ad una buona amministrazione – Violazione del giusto procedimento - Violazione degli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113, 114 e 120 Cost. - Eccesso di potere per difetto e perplessità della motivazione; manifesta illogicità; difetto di presupposto; carenza di istruttoria.
L’impugnato decreto di scioglimento e gli atti ad esso presupposti non sono adeguatamente motivati. Motivazione tanto più necessaria perchè la relazione del Prefetto, che è parte integrante la proposta ministeriale, contiene numerosi “omissis” e addirittura i nominativi ivi indicati sono stati genericamente sostituiti da tre punti, sicché è assolutamente impossibile ricostruire i fatti e le persone coinvolte che, a dire dell’Amministrazione resistente, giustificherebbero il disposto scioglimento del Consiglio comunale di Mascali.
Aggiungasi che la proposta ministeriale di scioglimento del Consiglio comunale di Mascali e l’allegata relazione prefettizia sono irrimediabilmente viziate anche per perplessità della motivazione.
b2) Violazione degli artt. 1 e 3, l. n. 241 del 1990 - Violazione art. 143, t.u. n. 267 - Violazione e falsa applicazione dell’art. 416 bis c.p. - Violazione degli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113, 114 e 120 Cost. - Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, lett. e), d.P.R. n. 252 del 1998, ora confluito nell’art. 83, comma 3, lett. e), d.lgs. n. 159 del 2011 - Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità della loro valutazione; difetto di presupposto; contraddittorietà; carenza di istruttoria; difetto di motivazione.
Ai sensi dell’art. 143, t.u. n. 267, il potere di scioglimento costituisce la risultante di una valutazione la cui pre-condizione (e la cui stessa prospettabilità anche solo in astratto) è rappresentata, anzitutto, dall’accertata diffusione sul territorio della criminalità organizzata di stampo mafioso, circostanza questa non adeguatamente provata nel caso in esame.
In ogni caso, sono infondate le contestazioni che hanno indotto a sciogliere il Consiglio comunale di Mascali.
b3) In ulteriore subordine, violazione degli artt. 1, 3 e 7 ss., l. n. 241 del 1990 - Violazione del giusto procedimento e del principio di partecipazione - Violazione degli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113, 114 e 120 Cost. - Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto assoluto di motivazione.
Ai ricorrenti non è stata data la previa comunicazione di avvio del procedimento che avrebbe poi portato allo scioglimento del Consiglio comunale di Mascali.
b4) In via ancor più subordinata, violazione degli artt. 1 e 3, l. n. 241 del 1990 - Violazione e falsa applicazione degli artt. 77 e 143, t.u. n. 267 - Violazione degli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113, 114 e 120 Cost. - Eccesso di potere per sviamento; difetto assoluto di presupposto; travisamento dei fatti; difetto assoluto di motivazione.
L’Amministrazione resistente non ha individuato elementi “concreti, univoci e rilevanti”, così come richiesto dall’art. 143, comma 1, t.u. n. 267, né sotto il profilo dei pretesi collegamenti diretti o indiretti degli amministratori comunali con la criminalità organizzata, né sotto l’alternativo profilo delle asserite forme di condizionamento degli stessi.
b5) In via ancor più subordinata, violazione degli artt. 1 e 3, l. n. 241 del 1990 - Violazione e falsa applicazione degli artt. 77 e 143, t.u. n. 267 - Violazione degli artt. 3, 5, 24, 48, 51, 97, 113, 114 e 120 Cost. - Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erroneità della loro valutazione; difetto di presupposto - Contraddittorietà intraprocedimentale; carenza di istruttoria - Difetto di motivazione.
Dalla relazione ministeriale e prefettizia non è emerso nulla di sicuramente imputabile ai ricorrenti.
c) Sull’insussistenza di tutte le pretese irregolarità dell’attività amministrativa dell’ente riconducibili agli amministratori e sulla conseguente assenza di compromissione del regolare funzionamento della stessa. in ogni caso, sulla carenza dei requisiti della univocità e rilevanza e sul difetto del nesso eziologico tra le asserite ingerenze della criminalità organizzata e la pretesa compromissione del regolare funzionamento dell’ente.
Dalla relazione ministeriale non emergono elementi sintomatici gravi, precisi e concordanti di un generale contesto di illegalità e sviamento dell’attività amministrativa riconducibile ad un’indebita ingerenza della compagine politica sull’operato degli organi amministrativi, in contrasto con il principio di separazione dei poteri di indirizzo e programmazione propri degli organi politici rispetto a quelli gestionali imputabili all’apparato burocratico dell’ente, nell’adozione degli atti dirigenziali adottati ed ora oggetto di rilievi di illegalità dedotti nei provvedimenti impugnati.
3. Si sono costituiti in giudizio la Presidenza della Repubblica Italiana, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno e la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Catania. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno e la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Catania hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso essendo il provvedimento impugnato intervenuto allorchè il Consiglio comunale era già stato sciolto per dimissioni in massa dei suoi componenti; nel merito hanno sostenuto l’infondatezza del ricorso.
4. Il Comune di Mascali non si è costituito in giudizio.
5. La Commissione straordinaria per la gestione del Comune di Mascali, nominata con d.P.R. 9 aprile 2013, non si è costituita in giudizio.
6. Il dott. Enrico Gullotti, Commissario straordinario per la gestione del Comune di Ventimiglia, e i dott.ri Francesco Milio e Giuseppe Chiofalo, entrambi Commissari straordinari per la gestione del Comune di Mascali, non si sono costituiti in giudizio.
7. Con memorie depositate alla vigilia dell’udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive.
8. All’udienza del 25 febbraio 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Come esposto in narrativa, è impugnato, tra gli altri, il decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 2013, recante “Nomina della Commissione straordinaria per la provvisoria gestione del Comune di Mascali (Catania)”, pubblicato in G.U.R.I. n. 94 del 22 aprile 2013, con il quale è stato disposto, per la durata di diciotto mesi, lo scioglimento del Consiglio comunale di Mascali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 143, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, con contestuale nomina di una Commissione straordinaria per la gestione dello stesso Ente, fino all’insediamento degli organi a norma di legge, con le attribuzioni spettanti al consiglio comunale, alla giunta ed al sindaco, nonché con ogni altro potere ed incarico connesso alle medesime cariche.
Tale scioglimento è intervenuto nonostante in data 31 gennaio 2013 il Presidente della Regione Siciliana, preso atto della decadenza del consiglio comunale per dimissioni volontarie della maggioranza assoluta dei consiglieri, avesse già nominato un commissario con i poteri del Consiglio.
Il Collegio afferma l’ammissibilità del ricorso nonostante il Consiglio comunale fosse stato già disciolto a causa delle dimissioni contestuali della metà più uno dei consiglieri.
In disparte la circostanza che la durata della gestione commissariale ex art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000 è più ampia di quella prevista in caso di scioglimento per dimissioni, non può negarsi che le persone fisiche, già componenti o titolari degli organi disciolti, abbiano interesse, se non alla conservazione del pregresso assetto amministrativo (in quanto già disgregato per altra causa), all’esatta qualificazione della fattispecie di scioglimento, atteso il ben diverso presupposto fattuale rappresentato dal condizionamento ab externo da parte della criminalità organizzata (Tar Lazio, sez. I, 19 maggio 2008, n. 4463).
Nella specie, non può non riconoscersi un interesse concreto ed attuale dei ricorrenti a che il giudice adito affermi l’illegittimità del provvedimento impugnato per non essere legittime le affermazioni che legano la loro gestione e, ancora di più, le loro persone alla criminalità organizzata di stampo mafioso.
2. Ciò chiarito, può passarsi all’esame del merito, senza necessità per il Collegio di procedere ad una previa integrazione della documentazione, atteso che quella in atti è più che sufficiente per una corretta soluzione dei problemi che sono stati sottoposti al suo esame, considerato anche il contributo che, sotto il profilo conoscitivo e argomentativo, offre la relazione predisposta dal Ministero dell’interno per il Presidente della Repubblica, relazione che anche in questo caso svolge compiutamente il ruolo che le assegna una costante giurisprudenza (Tar Lazio, sez. I, 1 febbraio 2015, n. 999; Id., 21 novembre 2013, n. 9941; Id., 1 febbraio 2012, n. 1119), in essa identificando il momento centrale di rappresentazione analitica delle anomalie riscontrate nelle fasi antecedenti alla sua adozione, e, quindi, vero nucleo espressivo della determinazione tecnica sottostante allo scioglimento.
Carattere prioritario, nella disamina delle censure dedotte, spetta a quella che denuncia violazione del principio di partecipazione al procedimento finalizzato allo scioglimento del Consiglio comunale, che i ricorrenti relegano invece quasi a conclusione del loro argomentare, ma che per ragioni di ordine logico, riconnesse all’effetto che avrebbe un suo eventuale accoglimento, deve essere esaminata per prima.
Il motivo è privo di pregio. La giurisprudenza del giudice amministrativo ha infatti da tempo chiarito (Cons. St., sez. IV, 13 marzo 2007, n. 1222; Tar Lazio, sez. I, 21 gennaio 2015, n. 999; id. 5 novembre 2014, n. 12021; id. 3 giugno 2014, n. 5856; id. 6 maggio 2013 n. 4440) che la partecipazione al procedimento preordinato allo scioglimento del Consiglio comunale non solo non è prevista dall'art. 143, t.u.e.l. n. 267 del 2000, ma la sua mancanza è ampiamente giustificata dalla circostanza che si tratta di misura che, caratterizzandosi per il fatto di costituire la reazione dell'ordinamento alle ipotesi di attentato all'ordine e alla sicurezza pubblica, esige interventi rapidi e decisivi. Nel procedimento in questione ricorrono quelle particolari esigenze di celerità che, come stabilito dallo stesso art. 7, l. 7 agosto 1990, n. 241, giustificano l'esenzione dalle forme partecipative del soggetto privato. Aggiungasi che, come chiarito dal giudice amministrativo di appello (Cons, St., sez. III, 14 febbraio 2014, n 727), la non necessarietà della comunicazione dell’avvio del procedimento trova giustificazione anche nella circostanza che lo scioglimento del Consiglio comunale comporta un’attività di natura preventiva e cautelare, per la quale è escluso il momento partecipativo, anche per il tipo di interessi coinvolti, che non concernono, se non indirettamente, persone, ma gli interessi dell’intera collettività comunale.
3. Con il primo motivo parte ricorrente afferma che tutti i provvedimenti impugnati sono inficiati da un vizi di origine, e cioè l’aver il Prefetto di Catania proceduto senza una formale delega del Ministro dell’interno, conferita ai sensi dell’art. 1, comma 4, d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito dalla l. 12 ottobre 1982, n. 726.
Il motivo è infondato in punto di fatto, atteso che dalla relazione dello stesso Ministro dell’interno del 26 marzo 2013, allegata all’impugnato decreto del 9 aprile 2013, risulta che il Prefetto di Catania ha disposto l’accesso al Comune, per gli accertamenti di rito, ai sensi dell’art. 1, comma 4, d.l. n. 629 del 1982, che presuppongono, appunto, che tale attività sia stata demandata proprio dal Ministro dell’interno. Nella stessa relazione prefettizia del 27 febbraio 2013 si richiama la delega in questione. Ciò è sufficiente alla reiezione del motivo (sul quale peraltro parte ricorrente, nella puntuale memoria del 29 gennaio 2015, neppure insiste). Aggiungasi che nella sua ampia e puntuale memoria l’Amministrazione intimata ha chiarito che il documento in questione non è stato depositato soltanto perché rientrante nella categoria dei “documenti inaccessibili per motivi di ordine e sicurezza”, ma è pronta a depositarlo su ordine del Collegio giudicante.
4. Privo di pregio è anche il secondo motivo con il quale si deduce difetto di motivazione sul rilievo che la relazione del Prefetto, inviata al Ministro dell’interno con il parere di procedere allo scioglimento del Consiglio comunale di Mascali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000, sarebbe difficilmente comprensibile, contenendo parecchi omissis (o “tre punti”) che non consentono di comprendere fatti e persone cui si riferisce. E’ agevole osservare che i soggetti in questione sono facilmente individuabili dal lettore atteso che ad essi si accompagna sempre il fatto che li ha coinvolti e che è ampiamente descritto anche nell’atto di ricorso; in ogni caso è assorbente la considerazione che soggetti e fatti rilevanti al fine del decidere sono quelli riportati nella relazione del Ministro per il Presidente della Repubblica e facilmente identificabili. Di conseguenza nel caso in esame gli omissis non hanno affatto impedito di conoscere i fatti specifici che per l’Autorità amministrativa giustificano la misura contestata, come invece era accaduto nel caso al quale si riferisce il Cons. St., sez. V, ord., 21 settembre 2005, n. 4935, che i ricorrenti richiamano a supporto della loro tesi. Infine la doglianza di omessa indicazione nominativa, in quanto proposta nei riguardi anche della “persona del sindaco” e della “figura del dimissionario presidente del consiglio”, perché non nominativamente individuati, cioè dei soggetti ritenuti fra i massimi responsabili del “forte legame” fra l’amministrazione comunale e la criminalità organizzata di stampo mafioso, è inammissibile, non essendo chiaro l’interesse che induce i soggetti in questione a rivendicare il loro diritto ad essere individuati nominativamente.
In ogni caso, e per concludere sul punto, la riprova della sufficienza motivazionale degli atti impugnati nonostante le parti omissate è nella puntuale difesa che i ricorrenti hanno apprestato in relazione a ciascun episodio che ha concorso alla decisione di sciogliere il consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, come sarà meglio chiarito nell’esame dei singoli motivi proposti avverso ciascuno degli addebiti.
5. Prima di passare all’esame di tali motivi dedotti avverso le singole contestazioni, al fine del decidere appare al Collegio utile richiamare i principi che la giurisprudenza del giudice amministrativo di primo e di secondo grado e, innanzi tutto, quella del giudice delle leggi, hanno univocamente enunciato con specifico riferimento all’ipotesi di collegamenti diretti o indiretti degli amministratori comunali con la criminalità organizzata locale ovvero al condizionamento dei primi ad opera della seconda, il tutto per effetto della presenza di fenomeni criminali radicati e organizzati nel territorio:
a) ha premesso la Corte costituzionale 19 marzo 1993, n. 103 che lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali, per i quali siano emersi collegamenti con i fenomeni mafiosi, è volto ad evitare che il loro permanere alla guida degli enti esponenziali delle comunità locali sia di pregiudizio per i legittimi interessi di queste: lo scioglimento è perciò misura di carattere sanzionatorio, che ha come diretti destinatari gli organi elettivi, non i singoli componenti, anche se caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale. Il giudice delle leggi ha anche precisato che il potere di scioglimento in questione deve essere esercitato in presenza di situazioni di fatto che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi, suffragate da risultanze obiettive e con il supporto di adeguata motivazione; tuttavia, la presenza di risultanze obiettive esplicitate nella motivazione, anche ob relationem, del provvedimento di scioglimento non deve coincidere con la rilevanza penale dei fatti, né deve essere influenzata dall'esito degli eventuali procedimenti penali. Questi principi sono stati seguiti dal giudice amministrativo (Cons. St., sez. IV, 6 aprile 2005, n. 1573; id. 4 febbraio 2003, n. 562; sez. V, 22 marzo 1998, n. 319; id. 3 febbraio 2000, n. 585), che ha aggiunto che, in presenza di un fenomeno di criminalità organizzata diffuso nel territorio interessato, gli elementi proposti a conferma di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, poiché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per l’adozione della misura sanzionatoria.
In questa logica che, come acutamente osserva Cons. St., sez. V, 14 maggio 2003, n. 2590, non ha finalità repressive nei confronti di singoli, ma di salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata, trovano giustificazione i margini, particolarmente ampi, della potestà di apprezzamento di cui fruisce l'Amministrazione e la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali i vincoli di parentela o di affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni, ecc.;
b) lo scioglimento dell’organo elettivo si connota quale misura di carattere straordinario per fronteggiare un’emergenza straordinaria; di conseguenza sono giustificati margini ampi nella potestà di apprezzamento dell’Amministrazione nel valutare gli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori, anche quando, come si è detto sub a, il valore indiziario dei dati non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale, essendo asse portante della valutazione di scioglimento, da un lato, l’accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale. L’art. 143, d.lgs. n. 267 del 2000 delinea, in sintesi, un modello di valutazione prognostica in funzione di un deciso avanzamento del livello istituzionale di prevenzione con riguardo ad un evento di pericolo per l’ordine pubblico quale desumibile dal complesso degli effetti derivanti dai “collegamenti” o dalle “forme di condizionamento” in termini di compromissione della “libera determinazione degli organi elettivi, del “buon andamento delle amministrazioni”nonché del “regolare funzionamento dei servizi”, ovvero in termini di “grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”: perciò, anche per “situazioni che non rivelino né lascino presumere l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata”, giacché, in tal caso, sussisterebbero i presupposti per l'avvio dell'azione penale o, almeno, per l'applicazione delle misure di prevenzione a carico degli amministratori, mentre la scelta del legislatore è stata quella di non subordinare lo scioglimento del consiglio comunale né a tali circostanze né al compimento di specifiche illegittimità (Cons. St., sez. V, 15 luglio 2005, n. 3784; id., sez. IV, 10 marzo 2004, n. 1156). Come ripetutamente chiarito, rispetto alla pur riscontrata commissione di atti illegittimi da parte dell’Amministrazione, è necessario un quid pluris, consistente in una condotta, attiva od omissiva, condizionata dalla criminalità anche in quanto subita, riscontrata dall’Amministrazione competente con discrezionalità ampia, ma non disancorata da situazioni di fatto suffragate da obiettive risultanze che diano attendibilità alle ipotesi di collusione, così da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi della comunità locale il permanere alla sua guida degli organi elettivi. Ciò in quanto l’art. 143 t.u.e.l. precisa le caratteristiche di obiettività delle risultanze da identificare, richiedendo che esse siano concrete, e perciò fattuali, univoche, ovvero non di ambivalente interpretazione, rilevanti, in quanto significative di forme di condizionamento (Corte cost. 19 marzo 1993, n. 103; id., sez. IV, 10 marzo 2011, n. 1547; id. 24 aprile 2009, n. 2615; id. 21 maggio 2007, n. 2583; id., sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1547; id. 17 gennaio 2011, n. 227; id. 15 marzo 2010, n. 1490).
Peraltro, come chiarito dal Consiglio di Stato in un recente arresto (sez. III, 2 luglio 2014, n. 3340), proprio la straordinarietà di tale misura e la sua fondamentale funzione di contrasto alla ormai capillare diffusione della criminalità mafiosa sull’intero territorio nazionale hanno portato a ritenere che “la modifica normativa al t.u.e.l., per la quale gli elementi fondanti i provvedimenti di scioglimento devono essere ‘concreti, univoci e rilevanti’, non implica la regressione della ratio sottesa alla disposizione”, poiché “la finalità perseguita dal legislatore è rimasta quella di offrire uno strumento di tutela avanzata, in particolari situazioni ambientali, nei confronti del controllo e dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo” (Cons. St., sez. III, 23 aprile 2014, n. 2038). Ciò nell’evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie concrete forme di connessione o di contiguità e, dunque, di condizionamento fra le organizzazioni criminali e la sfera pubblica e nella necessità di evitare, con immediatezza, che l’amministrazione dell’ente locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata;
c) ha osservato Cons. St., sez. VI, 28 maggio 2009, n. 3331, che l’art. 143, t.u.e.l. n. 267 del 2000 - nella parte in cui prevede che i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati, emergono collegamenti diretti o indiretti degli stessi con la criminalità organizzata di tipo mafioso, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle Amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica - si pone in sintonia con l'impostazione del sistema normativo realizzato per combattere l'invasività del fenomeno mafioso, caratterizzato da un forte avanzamento del livello di prevenzione, che si concretizza su tre piani convergenti: attribuzione di rilevanza a fatti e circostanze spesso consistenti in evenienze di mero pericolo; ammissione sul piano probatorio di elementi indiziari di tipo logico o presuntivo; posizione di ampi margini di discrezionalità nell'esercizio dei relativi poteri;
d) l’operazione in cui consiste l’apprezzamento giudiziale delle collusioni e dei condizionamenti non può essere effettuata, come chiarito sub a), mediante l’estrapolazione di singoli fatti ed episodi, al fine di contestare l'esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di verifica del giudizio conclusivo sull'operato consiliare; ciò in quanto, in presenza di un fenomeno di criminalità organizzata diffuso nel territorio interessato dalla misura di cui si discute, gli elementi posti a conferma di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, poiché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per l’adozione della misura stessa (Cons. St., sez. III, 2 luglio 2014, n. 3340; id. 14 febbraio 2014, n. 727; id., sez. IV, 6 aprile 2005, n. 1573; id. 4 febbraio 2003, n. 562; id., sez. V, 22 marzo 1998, n. 319; id. 3 febbraio 2000, n. 585; Tar Lazio, sez. I, 4 luglio 2013, n. 6609);
e) peraltro, come recentemente chiarito (Tar Lazio, sez. I, 4 luglio 2013, n. 6609, ma v. anche Cons. St., sez. VI, 24 aprile 2009, n. 2615 e id. 6 aprile 2005, n. 1573), idonee a costituire presupposto per lo scioglimento dell’organo comunale sono anche situazioni che, di per sé, non rivelino direttamente, né lascino presumere, l'intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata;
f) in sostanza, il provvedimento di scioglimento degli organi comunali deve essere la risultante di una ponderazione comparativa tra valori costituzionali parimenti garantiti, quali l'espressione della volontà popolare, da un lato, e la tutela, dall'altro, dei principi di libertà, uguaglianza nella partecipazione alla vita civile, nonché di imparzialità, di buon andamento e di regolare svolgimento dell'attività amministrativa, rafforzando le garanzie offerte dall'ordinamento a tutela delle autonomie locali. Il livello istituzionale degli organi competenti ad adottare tale provvedimento (il provvedimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, formulata con apposita relazione di cui forma parte integrante quella inizialmente elaborata dal prefetto) garantisce l'apprezzamento del merito e la ponderazione degli interessi coinvolti. La giurisprudenza del Consiglio di Stato è andata oltre, osservando (sez. VI, 16 febbraio 2007, n. 665) che nel provvedimento di scioglimento non vi è contrapposizione, ma sostanziale identità di tutela tra diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità proprio perché la norma che legittima lo scioglimento dei consigli lo condiziona al presupposto dell'emersione, da un'approfondita istruttoria, di forme di pressione della criminalità che non consentono il libero esercizio del mandato elettivo (Tar Lazio, sez. I, 3 giugno 2014, n. 5856);
g) tutto quanto sopra chiarito spiega perchè nell’ipotesi di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità, considerato che non si richiede né che la commissione di reati da parte degli amministratori, né che i collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili, dimostrandosi sufficienti elementi univoci e coerenti volti a far ritenere un collegamento tra l’Amministrazione e i gruppi criminali. Il sindacato del giudice amministrativo sulla ricostruzione dei fatti e sulle implicazioni desunte dagli stessi non può quindi spingersi oltre il riscontro della correttezza logica e del non travisamento dei fatti, essendo rimesso il loro apprezzamento alla più ampia discrezionalità dell’autorità amministrativa (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2014, n. 4845). In sede giurisdizionale non è dunque necessario, come si è detto, un puntiglioso e cavilloso accertamento di ogni singolo episodio, più o meno in sé rivelatore della volontà degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, né delle responsabilità personali, anche penali, di questi ultimi (Cons. St., sez. III, 6 marzo 2012, n. 1266);
6. Tutto ciò premesso, si può ora passare all’esame dei singoli profili di doglianza rivolti ai diversi elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa, che sono alla base del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale di Mascali.
7. Contrariamente a quanto denunciano i ricorrenti il fatto che la commissione ministeriale, nel ricostruire la lontana nascita e il successivo sviluppo del fenomeno mafioso nel Comune di Mascali, abbia fatto richiamo alle elezioni amministrative del 1988, allo scioglimento nel 1992 del Consiglio comunale per collusione con la mafia locale, al rinvio a giudizio dei due amministratori dell’epoca e odierni ricorrenti Monforte e Susini, alla condanna penale comminata agli stessi il 29 gennaio 1994 dalla Corte d’appello di Catania per reati contro la Pubblica amministrazione (abuso continuato di atti d’ufficio), e invece abbia taciuto sul fatto che gli stessi sono stati successivamente riabilitati dall’Autorità giudiziaria competente, non sottintende affatto l’intento dell’Amministrazione di aumentare il carico di responsabilità degli odierni ricorrenti arricchendo la motivazione della determinazione ora adottata con riferimento anche a fatti ormai privi di rilevanza giuridica, ma solo di segnalare la fretta con la quale i soggetti in questione – “che si erano tenuti fuori dalla vita politica fino al 2008” – hanno deciso di partecipare alle prime elezioni politiche ad essi consentite.
8. La difesa dei ricorrenti non è condivisibile neppure quando tenta di dimostrare l’assenza di qualsiasi connotato di infiltrazione mafiosa o, comunque, di vicinanza alla criminalità organizzata dell’amministrazione locale nei singoli episodi contestati ovvero la loro estraneità agli stessi.
In particolare, per quanto attiene ai lavori di scavo per il movimento terra, affidati dall’aggiudicatario in subappalto ad altra impresa, il relativo nulla osta è stato rilasciato nonostante fosse risaputo il rapporto di stretta parentela intercorrente fra l’amministratore unico di detta impresa e il subappaltatore, noto pregiudicato con esso convivente e condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso. Ininfluente al fine del decidere è la circostanza che il nulla osta sia stato rilasciato da un dirigente amministrativo del Comune, come osservano i ricorrenti, essendo compito specifico degli amministratori vigilare sull’attività del personale dipendente, compito agevolato, nella specie, dalle ridotte dimensioni del Comune e dalle conoscenze dei suoi abitanti, ed intervenire repentinamente e senza indugio ove la condotta sia addebitabile non a mala gestio, anche denunciando agli organi competenti azioni o omissioni sospette.
Un forte legame fra amministrazione comunale e criminalità organizzata è stato ragionevolmente riscontrato nell’affidamento di servizi pubblici e di approvvigionamento di beni per esigenze del Comune ad una impresa il cui titolare era stato condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso. In effetti detta ditta operava sin dal 2008 in regime di monopolio per il servizio di manutenzione dei servizi antincendi e di revisione di tutte le apparecchiature antincendi presenti negli uffici comunali e nei plessi scolastici, ad esso assegnato senza previo espletamento di alcuna gara. Da tale ditta il Comune aveva anche acquistato, sempre in via diretta, le pedane antisdrucciolo necessarie per la realizzazione di passarelle a mare, ancorché si trattasse di prodotti estranei alla sua attività.
Un’altra irregolarità, per favorire l’impresa in questione, era stata commessa dal Comune nel 2009, con l’acquisto da essa di 84 estintori. In effetti il Comune in questo caso aveva interpellato a tal fine tre imprese, ma all’impresa che intendeva privilegiare aveva chiesto il preventivo solo dopo che le altre due erano state da tempo invitate a presentare il loro, ormai noto a tutti, e la fornitura era stata ad essa aggiudicata perché la sua offerta era inferiore di 7 centesimi di euro per estintore a quella presentata dalla seconda classificata, che però, come si è detto, su richiesta del Comune aveva inviato la sua offerta molti giorni prima.
Anche in questi casi non è assecondabile il tentativo dei ricorrenti di dimostrare la loro estraneità alle vicende innanzi richiamate. Ed invero, il fatto che l’acquisto delle pedane sia stato effettuato dal personale amministrativo e, comunque, qualche giorno prima dell’insediamento nel nuovo consiglio comunale non è circostanza che possa escludere responsabilità dello stesso, il quale poteva intervenire prima che gli uffici provvedessero a corrispondere al fornitore il prezzo concordato. Per quanto riguarda invece l’illegittimo acquisto degli estintori – senza gara – esso è avvenuto (2010-2012) quando i ricorrenti erano già da tempo titolari dei relativi poteri-doveri di amministratori comunali, che avevano il dovere di esercitare.
Altro indubbio esempio di malcostume amministrativo è agevolmente individuabile nella somma elargita su ordine del Sindaco ad un pregiudicato più volte arrestato per associazione a delinquere di stampo mafioso ed estorsione, il quale aveva motivato la propria istanza di sussidio con riferimento alle “gravi difficoltà economiche nelle quali si trovava perchè disoccupato e con moglie in gravi condizioni di salute”. Il Sindaco aveva ordinato agli Uffici di versare al soggetto in questione un contributo straordinario di € 1.000,00, “per prestazione lavorativa”, che il dirigente del settore di ragioneria aveva ridotto ad € 999,99 allo scopo di evitare la tracciabilità dei movimenti bancari ex art. 12, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201. L’illiceità della condotta tenuta dal Sindaco nella vicenda in questione risulta evidente anche ove si consideri anche che l’assegno concesso all’istante risulta emesso “per prestazione lavorativa” mai effettuata, mentre la richiesta del diretto interessato era “per gravi difficoltà economiche in cui verso perché disoccupato” e finanziato con i fondi di un capitolo di spesa diversi da quello previsto per i sussidi.
9. Rileva il Collegio che altro segno inequivocabile del collegamento con l’ambiente malavitoso è nei rapporti tra gli amministratori del Comune di Mascali e un pluripregiudicato, uomo di spicco del clan Cintorino, rapporti che emergono dalle intercettazioni telefoniche, puntualmente descritte nella relazione del Prefetto del 27 febbraio 2013 (depositata in atti dalle Amministrazioni resistenti il 3 febbraio 2015). Gli elementi di fatto risultanti dall’utilizzo di tale strumentazione resiste, infatti, all’archiviazione del procedimento penale in relazione al quale essa era stata autorizzata, e ciò perché, come già chiarito sub 5, a e b), ai fini della verifica di infiltrazione mafiosa nell’amministrazione dell’ente locale assumono rilievo situazioni tali da rendere nel loro insieme plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni), e ciò pur quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o per l’adozione di misure individuali di prevenzione (Cons. St., sez. III, 2 luglio 2014, n. 3340; id., sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1547).
Nella stessa citata relazione del Prefetto emergono altre occasioni di frequentazione tra gli amministratori del Comune di Mascali e esponenti della mala organizzata, contatti che da soli sarebbero sufficienti a giustificare, per la loro gravità, il provvedimento di scioglimento, perché in grado di rendere plausibile la vicinanza degli amministratori alla criminalità organizzata (Cons. St., sez. IV, 28 maggio 2009, n. 3331). Risulta in particolare (ma non solo) che il Presidente del consiglio comunale dimissionario ha avuto incontri non occasionali con appartenenti alla criminalità organizzata (in particolare con due soggetti condannati ai sensi del’artt. 416 bis c.p.), il che rende ancora più critica la (contestata) sua presenza negli uffici del consiglio anche dopo essersi dimesso, mentre il Sindaco, insieme ad un consigliere comunale, si è incontrato in un bar con un affiliato al clan dei Laudani.
Tutti questi elementi sopra analizzati, acquisiti e messi ben in evidenza sia dalla relazione prefettizia, sulla base dell’istruttoria condotta dalla Commissione d’accesso, che dalla relazione ministeriale, sono dal Collegio ritenuti espressivi di situazioni di condizionamento e di ingerenza, nella gestione dell’ente comunale, nonché rilevanti, in quanto produttivi di una azione amministrativa inadeguata a garantire gli interessi della collettività locale.
Rileva infatti il Collegio che gli stessi sono da soli sufficienti a supportare la decisione di applicare la misura di rigore prevista dal’art. 143, t.u. n. 267 del 2000, rappresentando lo scioglimento del consiglio comunale la risultante di una complessiva valutazione il cui asse portante è costituito, da un lato, dall’accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata; dall'altro, dalla carente funzionalità dell’ente in uno o più settori, sensibili agli interessi della criminalità organizzata, ovvero da una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica. Il che legittima l'intervento statale finalizzato al ripristino della legalità ed al recupero della struttura pubblica ai propri fini istituzionali, attività che non può evidentemente essere valutata alla luce delle sopravvenute sentenze penali, bensì con riguardo al determinato momento storico ed al vissuto, allora esistente, rispetto ai quali i fatti sintomatici o presuntivi si erano colorati.
Tale conclusione esonera il Collegio dall’esaminare gli altri specifici episodi individuati nella relazione prefettizia come sintomo della vicinanza dell’apparato amministrativo alla criminalità organizzata, in considerazione del principio, ricordato sub 5 a e c), secondo cui la valutazione del giudice adito delle acquisizioni probatorie non può arrestarsi ad una atomistica e riduttiva analisi dei singoli elementi, senza tener conto dell’imprescindibile contesto locale e dei suoi rapporti con l’amministrazione del territorio, ma deve basarsi sulla permeabilità degli organi elettivi a logiche e condizionamenti mafiosi sulla base di un loro complessivo, unitario e ragionevole vaglio, costituente bilanciata sintesi e non mera somma dei singoli elementi stessi (Cons. St., sez. III, 2 luglio 2014, n. 3340; id. 14 febbraio 2014, n. 727).
10. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.
La complessità della vicenda contenziosa giustifica la compensazione tra le parti in causa delle spese e degli onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giulia Ferrari, Presidente FF, Estensore
Raffaello Sestini, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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