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Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana - sez. giurisdizionale, 23/4/2015 n. 365
Sulle modalità di scioglimento e liquidazione di un'azienda speciale.

Il modello di scioglimento e liquidazione di un'azienda speciale originariamente disposto nel 1986 dall'art. 85 del D.P.R. n. 902, è stato superato dai principi che hanno ispirato le fondamentali modifiche negli ordinamenti degli Enti locali a partire dalla l. n. 142/1990 e dal D.Lgs n. 267/2000, successivamente introdotti dal legislatore; sollecitando così, ovvero giustificando, altre modalità di regolazione della fase di liquidazione delle aziende speciali.

Materia: aziende speciali / lavoro

N. 00365/2015REG.PROV.COLL.

 

N. 00216/2013 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

sul ricorso n. 216/ del 2013 R.G. proposto da:

AZIENDA SERVIZI MUNICIPALIZZATA ( A. S. M.) TAORMINA . – in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Amato, con domicilio eletto presso la Segreteria Amministrativa del Consiglio di Giustizia Amministrativa della regione Siciliana, in Palermo, via F. Cordova n. 76;

 

contro

COMUNE DI TAORMINA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro De Luca, con domicilio eletto presso lo studio legale Domenico Cantavenera in Palermo, via Notarbartolo, n. 5;

TAJANA dott. CESARE

 

per la riforma

della sentenza del TAR SICILIA - CATANIA (Sez. III) n. 03040/2012, resa tra le parti, concernente: Liquidazione A. S. M. TAORMINA e nomina di Liquidatore

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2014 il Consigliere Giuseppe Mineo e uditi per le parti gli avvocati F. Amato e P. De Luca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Viene in discussione l’appello avverso la sentenza citata in epigrafe, la quale ha respinto il ricorso principale ed il ricorso per motivi aggiunti proposti dall’Azienda Servizi Municipalizzata (A.S.M.) Taormina, in persona del legale rappresentante pro tempore, contro il Comune di Taormina per l’annullamento: quanto al ricorso principale, della delibera di C.C. n. 32 del 7.07.2011, con la quale è stato modificato l’art. 64 bis dello statuto di A.S.M. ; quanto al ricorso per motivi aggiunti, della delibera del Consiglio Comunale n. 36 del 22.09.2011 che dispone la liquidazione dell’Azienda Speciale A. S. M. Taormina e la nomina del liquidatore dell’ente pubblico nella persona del dr. Cesare Tajana, nonché di ogni altro atto relativo e consequenziale, fra i quali l’insediamento del liquidatore in assenza di provvedimento notificato ai vertici di A. S. M. e di ogni altro successivo atto adottato.

Per resistere all’appello si è costituito nel giudizio il Comune di Taormina, che in vista dell’udienza pubblica, ha depositato memoria il 5 febbraio 2014.

Nell’udienza del 19 marzo 2014 l’appello è stato trattenuto per la decisione.

 

DIRITTO

Con ricorso n. 2714/2011 R.G. l’Azienda appellante, ente pubblico economico per la gestione di numerosi servizi del Comune di Taormina, impugnava i provvedimenti citati in epigrafe, con i quali il Consiglio Comunale di Taormina disponeva, con la delibera n. 32/2011, la modifica dell’art. 64 dello statuto dell’Azienda e l’introduzione dell’art. 64 bis., e con la delibera n. 36/2011 lo “scioglimento e messa in liquidazione dell’A.S.M. Taormina” in applicazione dei novellati artt. 64 e 64 bis dello statuto dell’A. S. M., e nomina del Liquidatore dell’Azienda nella persona del dott. Cesare Tajana.

Il Comune intimato, costituitosi nel giudizio, eccepiva puntualmente la infondatezza di tutte le censure.

Allo stesso modo, il Liquidatore dell’Azienda, dott. Tajana, costituitosi nel giudizio, eccepito in limine il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, ha quindi denunciato la inammissibilità del ricorso perché con esso si contestavano provvedimenti rientranti nella potestà discrezionale del Comune intimato di scelte gestionali ad esso riconosciuta ex lege ( D. Lgs. n. 267/2000: artt. 113 ss.), nonché il difetto di legittimazione processuale dei ricorrenti perché carenti di interessi legittimi suscettibili di essere lesi dai provvedimenti impugnati.

Il primo Giudice, rivendicata la propria giurisdizione e respinte tutte le altre eccezioni sollevate dalla parte ricorrente e dalle controparti, ha poi dichiarato infondato il merito del ricorso, all’esito di una analitica ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale dal quale ha attinto i principi e le regole per confutare l’assunto di base dal quale la difesa dell’Azienda muoveva per denunciare la violazione dell’art. 85 D.P.R. n. 902/1986 consumata dalle modifiche statutarie introdotte dalla delibera n. 32/2011 e n. 36 /2001.

Avverso la sentenza così resa, la difesa dell’Azienda qui appellante ha proposto una articolata censura per confutare il merito della decisione, dopo averne preliminarmente eccepito la nullità attesa la irrituale pubblicazione anticipata del dispositivo, decisa d’ufficio dal primo Giudice sulla base di una erronea applicazione dall’art. 119, comma 5°, c. p.a., ovvero senza previa richiesta di almeno una delle parti.

L’eccezione di nullità mossa dalla difesa di parte appellante con il primo motivo di appello è infondata. Oltre al fatto che la denunciata “scarsa ponderazione dei termini esatti del contendere per intempestività della pubblicazione” non rientra in alcuna delle ipotesi di nullità e rinvio previste dall’art. 105 c. p. a. ( “ 1. Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio”), così come pure eccepito dalla difesa del Comune, vale comunque osservare che, a giudizio di questo Collegio, la decisione di pubblicare anticipatamente il dispositivo della sentenza non è sempre e comunque subordinata alla domanda “di almeno una delle parti”, secondo la lettura data dalla difesa degli appellanti dell’art. 119, comma 5°, c. p. a. Se è vero, infatti, che in tali casi - così come per quelli previsti dall’art. 120, comma 9, c. p. a. (secondo il quale “il dispositivo del provvedimento con cui il Tribunale Amministrativo Regionale definisce il giudizio è pubblicato entro sette giorni dalla data della sua deliberazione” per i giudizi che riguardano “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture…”, di cui all’art. 119, comma 1, lett. a), il Collegio è tenuto a pubblicare anticipatamente il dispositivo nei termini previsti, ciò non esclude affatto che possa altrimenti decidere circa l’opportunità della pubblicazione anticipata, qualora ritenesse - in relazione alla natura dei soggetti, alla materia in contenzioso ovvero alle vicende e circostanze lato sensu ambientali che fanno da corredo alla controversia e la possono sollecitare - che rispetto ai termini ordinari di pubblicazione l’anticipazione dell’esito della causa possa servire a dare il massimo di efficacia alla decisione adottata. In questo senso, rispetto a quanto previsto in materia dall’ordinamento precedente - che rendeva sempre obbligatoria la pubblicazione anticipata dei giudizi presso il TAR ai sensi dell’art. 23 bis Legge TAR – si deve ritenere che il mutamento di indirizzo segnato in materia dal codice di procedura amministrativa abbia inteso ampliare la valutazione discrezionale del Decidente sul punto, circoscrivendo soltanto ai casi espressamente previsti dall’art. 119 e 120 c.p.a. l’obbligo della pubblicazione anticipata, senza precluderla ogniqualvolta fosse ritenuta opportuno dalla cura dell’interesse pubblico oggetto della decisione.

Respinta la esaminata pregiudiziale, sul fondamento dei motivi di merito sollevati dalla difesa di parte appellante vale osservare quanto segue.

Il nucleo centrale delle censure ruota attorno al convincimento che, rispetto a quanto prescritto dall’art. 85 D.P.R. n. 902/1986, le modifiche apportate allo statuto dell’A. S. M. dalla delibera consiliare n. 32/2011, abbiano “introdotto una anomala modalità di ‘liquidazione’ di un Ente pubblico economico, modificando peraltro del tutto le maggioranze richieste in precedenza dalla norma ed eliminando il profilo del ricorso al referendum popolare consultivo, posto a garanzia del diritto ai servizi resi dall’Azienda a favore dei cittadini”. In questo senso, la sentenza impugnata viene censurata: a) perché avrebbe indebitamente omesso di considerare che l’art. 85 del D.P.R. n. 902/1986 prevede che alcuni poteri restino in capo al C d. A dell’Azienda ed al Direttore Generale, figure destinate così a permanere in carica anche durante lo stato di liquidazione; b) perché ha considerato legittima la nomina del dott. Tajana “il quale non è un dirigente pubblico ma un libero professionista, un privato cittadino privo di immedesimazione organica con la P.A…” e pertanto “non potrebbe fregiarsi del titolo di ‘commissario’ pubblico...”; e, comunque, c) perché l’art. 85 del D.P.R. n. 902/1986, in quanto norma ‘speciale’ pertinente la liquidazione delle c.d. Aziende speciali, è per principio insuscettibile di essere derogata e/o superata dalla sopravvenienza di una disciplina ‘generale’ (quale devono reputarsi la legge n. 142/1990 ed il D. Lgs n. 267/2000, in ordine alla riforma degli ordinamenti locali), mentre la c.d. “interpretazione evolutiva” invocata dal primo Giudice per giustificare la decisione adottata si basa su una errata comprensione della sentenza n. 140/1998, perché riferita dalla Corte Costituzionale a materia totalmente estranea a quella oggetto di ricorso.

A fronte di tali censure, vale osservare che questo Consiglio condivide la valutazione storica del quadro normativo con la quale il primo Giudice ha inteso circoscrivere temporalmente i significati operativi da attribuire alle disposizioni poste dall’art. 85 D.P.R. n. 902/1986, altrimenti invocato dalla difesa appellante per giustificare le proprie censure alla impugnata delibera n. 32/2011, con la quale il Consiglio Comunale di Taormina ha deliberato la modifica dello statuto dell’Azienda nei termini sopra riferiti.

L’art. 85 citato, nel testo che la difesa appellante ritiene ancora vincolante per regolare la fase di liquidazione dell’Azienda prevede infatti: che “il Consiglio Comunale delibera la soppressione del servizio…”, e che, in tal caso “la liquidazione è affidata alla Giunta Municipale e compiuta entro il termine fissato dal Consiglio stesso, salvo le proroghe eventualmente necessarie….”; - che “la Giunta municipale cura la gestione ordinaria dell’azienda senza intraprendere alcuna nuova operazione …”, procedendo, nell’ambito di dette competenze, alla sollecita definizione “degli affari pendenti, alla riscossione dei crediti liquidi.. (oltre che al compimento degli) gli atti conservativi necessari e …all’alienazione dei beni soggetti a facile deperimento”; ovvero a predisporre “lo stato attivo e passivo dell’Azienda e un progetto generale di liquidazione che sottopone al Consiglio Comunale corredandolo di una relazione esplicativa…”: progetto che, poi, è nel potere del Consiglio Comunale “con l’intervento della maggioranza dei consiglieri assegnati al Comune.. di approvare, ovvero di modificare”, stabilendo altresì “quali beni dell’Azienda cessata debbano passare a far parte del patrimonio comunale e quali debbano essere alienati” ; - ed infine, che “la Commissione amministratrice, nei limiti del piano approvato, ha facoltà di disporre pagamenti, concludere transazioni, procedere ad atti di liquidazione e promuovere giudizi, osservando le norme previste dal presente regolamento e dal regolamento speciale…”.

Richiamando i principi e la formulazione dell’art. 85, in effetti, l’art. 64 dello Statuto dell’A. S. M. di Taormina nel suo testo originario prevedeva come regolamento della fase di liquidazione dell’Azienda una articolazione di competenze e procedure per le quali, attesa la competenza del Consiglio Comunale con le prescritte maggioranze a deliberare “la soppressione” dell’Azienda, spettava quindi alla Giunta Municipale la “gestione” della fase di liquidazione e la relativa predisposizione del progetto di liquidazione, che poi la “Commissione amministratrice”, cioè gli stessi organi dell’Azienda da liquidare, dovevano porre in esecuzione provvedendo alle relative iniziative di natura reale, finanziaria e processuale.

Questa articolazione di funzioni e competenze e, in particolare, i compiti attribuiti alla Giunta Municipale, non può essere più riproposta dopo l’entrata in vigore dei principi di separazione tra funzioni di indirizzo politico amministrativo e di controllo, e funzioni più propriamente gestorie, che hanno ispirato la legge n. 142/1990 e le discipline di riforma degli ordinamenti locali poi confluite nel T.U. n. 267/2000; - riservando le prime agli organi di governo locale (Sindaco e Giunta Municipale), mentre, per come dispone l’art. 48, comma 2 del T.U.E.L. n.267 /2000 spettano esclusivamente ‘’ ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale …”.

Definiti così gli ambiti funzionali tra i diversi organi e soggetti protagonisti del governo locale, consegue in effetti che il modello di scioglimento e liquidazione originariamente disposto nel 1986 dall’art. 85 del D. P. R. n. 902, così come preteso dalla difesa dell’Azienda appellante, appare comunque superato dai principi che hanno ispirato le fondamentali modifiche negli ordinamenti degli Enti locali, successivamente introdotti dal legislatore; sollecitando così, ovvero giustificando, altre modalità di regolazione della fase di liquidazione delle Aziende speciali.

D’altra parte, la cristallizzazione del modello disegnato nel 1986 non può essere rivendicata, come altrimenti preteso dalla difesa appellante, per la presunta ‘specialità’ della disciplina posta dal cit. art. 85, la quale, per tali caratteristiche, resisterebbe ai mutamenti introdotti dalla sopravvenuta legge ‘generale’n. 142/1990 e dal D.Lgs n. 267/2000. La contestualizzazione storica delle due discipline ci induce a ritenere, infatti, che l’art. 85 esprimeva una disciplina compatibile con gli indirizzi che all’epoca della sua emanazione presidiavano in generale al c.d. governo pubblico dell’economia, mentre la soluzione adottata dal Consiglio Comunale con la modifica aggiunta allo statuto dell’A.S.M. mediante la delibera n. 32/2011 trova fondamento e legittimazione in un nuovo ‘spazio giuridico’ segnato dai principi che a partire dalla legge n. 142/1990 hanno presieduto alla riforma degli ordinamenti locali. Sicché anche il ricorso ad un “professionista” in veste di commissario liquidatore, oltre che nella piena competenza del Consiglio Comunale per le osservazioni dette in precedenza, appare oltremodo in sintonia con l’anima ‘aziendale’ del soggetto da liquidare, perché ha provveduto - quali che siano state le ‘occasioni’ contingenti che possono averla ispirata, e sulle quali, invero, ampiamente si sofferma la difesa appellante – a superare la commistione tra momento politico amministrativo e momento gestorio fino allora coltivata, giudicata non più utile né sostenibile dopo le riforme degli ordinamenti locali consolidate nel T.U. n. 267/2000.

Sotto il profilo funzionale la delibera n. 32/2011 appare dunque congrua e resiste alle censure mosse con il secondo ed il terzo motivo di appello.

Riguardo agli altri motivi, si osserva quanto segue.

Con il quarto motivo, la difesa di parte appellante denuncia “Violazione di legge ed eccesso di potere. Violazione di motivazione in relazione al parere negativo di regolarità tecnica. Carenza di potere di regolarità contabile”. Si censura, in particolare, l’errore di prospettiva ed il travisamento dei fatti in cui sarebbe incorso il primo Giudice per aver ritenuto compatibili con la regolarità della delibera n. 32/2011, sia il parere “negativo” di regolarità tecnica, espresso dal Responsabile del Settore Affari, sia la ‘mancanza’ di parere di regolarità contabile, giustificato dal Responsabile dei Servizi Finanziari del Comune per la assenza nell’atto di aspetti di natura contabile e finanziaria che potessero renderlo necessario.

Circa il ‘parere’ di regolarità c.d. tecnica, si rileva: che come riconosciuto dalla stessa difesa appellante, trattasi di parere obbligatorio, ma non vincolante; e che il contrario avviso espresso dal Consiglio Comunale è suffragato dalla ampia e puntuale relazione del 29.06.2011, allegata alla delibera consiliare n. 32/2011, relativa a fatti e circostanze che, indipendentemente dalla valutazione del merito, di competenza dell’organo consiliare, rendono comunque non arbitraria, né manifestamente illogica la decisione. Trattasi perciò , d’altra parte, di elementi non altrimenti contestati dalla difesa appellante, che perciò escludono sotto questo profilo i vizi dell’atto così come denunciati.

Allo stesso modo, privo di pregio deve reputarsi la censura rivolta alla motivazione con la quale è stato giustificato la mancanza del parere di regolarità c.d. contabile, nei termini con i quali la difesa di parte appellante ha ritenuto viziante tale omissione, denunciando che “ (non potrebbe reputarsi) serio sostenere che la liquidazione e lo scioglimento del principale ente pubblico comunale, datore di lavoro di 75 persone ecc., gestore di parcheggi multipiano, funivia, autobus, scuolabus, acquedotto ecc.,… sia priva di conseguenze economiche per il Comune..”. Così argomentando, in realtà, la difesa appellante confonde le conseguenze di ordine socio economico che la decisione consiliare in thesi avrebbe potuto determinare: giudizio di esclusiva competenza consiliare; con la rilevanza “contabile e/o finanziaria” che la stessa potrebbe immediatamente assumere sul bilancio comunale, per quanto riguarda, in particolare, le maggiori spese ovvero i minori introiti determinati dalla decisione di scioglimento: profili sui quali, per contro, la difesa non produce alcuna critica pertinente.

Per le ragioni sopra evidenziate, pertanto, anche il quarto motivo di censura deve reputarsi infondato.

Con il quinto motivo di censura, si denuncia “Incompetenza del Consiglio Comunale in materia di soppressione di aziende speciali del Comune. Conflitto interorganico. Violazione dell’art. 28 dello statuto comunale”. Con questo motivo, nella sostanza, si evidenzia come la rimessione al Consiglio Comunale dello scioglimento dell’Azienda avrebbe, nei fatti, determinato l’anomalia per la quale gli organi amministrativi dell’A. S. M., già nominati dal Sindaco, sono stati rimossi da un altro organo (Consiglio Comunale): atteso che, come già eccepito nel ricorso principale “ai sensi dell’art. 14 del Regolamento Comunale la competenza del Consiglio Comunale è limitata alla disciplina dello statuto delle Aziende speciali, senza alcun riferimento al loro scioglimento ed alla nomina del Liquidatore in sostituzione degli organi dell’Ente, poteri che sarebbero semmai di competenza della Giunta Comunale o del Sindaco..” ; ovvero – si sostiene ancora - anche ad ammettere quanto ritenuto sul punto dal primo Giudice ai sensi dell’art. 42 T.U.E.L. circa la competenza del Consiglio Comunale così come di “costituire”, anche “di sciogliere e liquidare” le Aziende speciali – anche ad ammettere tutto ciò, resterebbe comunque il fatto che “la nomina del Liquidatore, come tutte le altre nomine nell’ambito del Comune, sia di competenza del Sindaco ex L. reg. n. 32/1994, art. 4”.

Si osserva, invero, che così come non si può dubitare, per quanto già rilevato dal primo Giudice, circa la competenza del Consiglio Comunale, allo stesso modo rileva che, nella fattispecie, il provvedimento trova la sua ‘causa’ nella scelta di merito amministrativo di provvedere allo scioglimento di una Azienda speciale, pertinente con le scelte di organizzazione del profilo operativo dell’attività di servizio resa dal Comune. Tale ragione, pertanto, conferisce al provvedimento una obiettiva giustificazione che può prescindere anche dai risultati della gestione aziendale: sui quali, invero, con opposti argomenti e conclusioni, molto si affaticano le opposte difese delle parti.

Quanto sopra rappresentato rende pertanto priva di rilievo il motivo di censura qui trattato, giacché, come altrimenti eccepito dalla difesa del Comune, rispetto a quella che costituisce la ‘ragione’ giustificativa della decisione consiliare di scioglimento e liquidazione, il venire meno degli organi di gestione, non si configura più come provvedimento di ‘revoca’, bensì come conseguenza fisiologica, insuscettibile perciò di essere valutata ai sensi dell’art. 4 della L. reg. n. 32/1994.

Anche questo motivo di cesura pertanto appare infondato.

Con gli ulteriori motivi di censura, la difesa di parte appellante ha partitamente denunciato:

- 6 °: “Violazione dell’art. 18, comma 3, R.D. n. 2578/1925, a norma del quale è necessaria la maggioranza dei 2/3 del Consiglio Comunale per operare lo scioglimento della commissione amministratrice (C.d. A) di A.S.M.”.

- 7 °: “Violazione di legge ed eccesso di potere. Omessa motivazione sul profilo dell’eliminazione del referendum popolare”.

- 8 °: “Violazione di legge ed eccesso di potere con riferimento alla figura del liquidatore di Ente pubblico, non prevista da nessuna norma di legge” .

- 9°: “Violazione di legge e di statuto: art. 236 D. Lgs n. 267/2000, art. 1, comma 734, legge n. 296/2006 e art. 30 Statuto A.S.M.. Incompatibilità del dr. Cesare Tajana alla carica ed inammissibilità della figura del “ liquidatore” privato di Ente Pubblico”.

- 10°: “Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di motivazione ed errata valutazione di A.S.M. Taormina. Incongruenza, illogicità e sviamento di potere”.

Si rileva preliminarmente che l’insieme dei motivi sopra rubricati investono, sotto altri profili, la competenza del Consiglio Comunale a modificare lo statuto dell’A.S.M. relativamente al caso di scioglimento e liquidazione dell’Azienda, nei termini disposti dalla delibera consiliare n. 32/2011, con la conseguente previsione della figura del ‘liquidatore’ per la gestione della fase; ovvero della persona stessa del dott. Tajana, nominato allo scopo con l’impugnata delibera consiliare di n. 36/2011. Trattasi, invero, di motivi che in parte risultano già infondati per quanto finora rilevato sulla indubbia competenza del Consiglio Comunale a deliberare il tipo di modifiche apportate allo statuto A.S.M. in ordine allo scioglimento e liquidazione dell’Azienda ed alla nomina del liquidatore, mediante provvedimenti che possono ‘anche’ prescindere dallo stato di salute aziendale: e, dunque, senza che la decadenza degli organi di gestione dell’azienda possa assurgere ad elemento qualificante dei provvedimenti impugnati, rispetto al ‘merito’ politico amministrativo oggettivamente configurato dal tipo di provvedimento adottato.

Richiamati i punti salienti delle decisioni finora adottate, in ordine agli ulteriori motivi di censura sopra calendati si osserva quanto segue.

Con il sesto motivo si eccepisce la legittimità della ‘nuova’ maggioranza semplice disposta dalla modifica statutaria per consentire al Consiglio Comunale di deliberare lo scioglimento e liquidazione dell’Azienda. Il motivo, invero, si sorregge sull’assunto che la nuova regola si pone in insanabile contrasto con l’art. 18, comma 3 del R. D. n. 2578/1925, che prevede la maggioranza dei 2/3 del Consiglio Comunale per procedere allo scioglimento della Commissione Amministratrice (ovvero, del suo C.d. A) di una Azienda Speciale. Infatti, poiché lo scioglimento dell’Azienda, così come ridefinita dalla ‘novella’ statutaria disposta dalla delibera consiliare n. 32/2011, comporta anche quello dei suoi organi di amministrazione e la nomina del liquidatore, consegue, secondo la difesa appellante, che “con l’escamotage della ‘liquidazione si consente …un sostanziale aggiramento delle maggioranze (“2/3”) prevista dalla norma sopra calendata, oltre ad apparire del tutto irragionevole…che per la liquidazione dell’Ente basti la maggioranza semplice, mentre per il solo cambio del c.d.a. servono i due terzi”.

La censura così mossa non trova base testuale neppure nell’art. 85 del D.P.R. n. 902/1986 - altrimenti evocato dalla difesa appellante a supporto dell’intero ricorso – il quale si limita a dettare che: “il Consiglio Comunale delibera la soppressione del servizio…”, senza determinare affatto la soglia di maggioranza richiesta allo scopo. Come sopra riferito, peraltro, la difesa appellante sembra consapevole della carenza di base testuale, tant’è che affida la censura all’argomento secondo il quale la nuova maggioranza consentirebbe di “aggirare” il quorum richiesto altrimenti per lo scioglimento degli organi di amministrazione dall’art. 18, comma 3 del R. D. n. 2578/1925. Anche questo argomento, tuttavia, risulta tuttavia privo di pregio alla stregua di quanto già osservato trattando il secondo motivo di censura, dove si è ritenuto, in particolare, che con la modifica apportata dalla delibera n. 32/2011 il Consiglio Comunale ha provveduto a delineare un tipo di procedura di scioglimento e liquidazione dell’A.S. M. che trae direttamente la propria giustificazione dai principi che ispirano le modifiche degli ordinamento degli enti locali segnate dalla legge n. 142/1990 e dal D.P.R. n. 276/2000, ovvero dalla stessa ‘autonomia aziendale’ utilizzata come modulo di organizzazione e svolgimento dei servizi comunali. Sicché, a ben vedere, oltre che riferite ad ‘oggetti’ differenti: trattandosi, nella fattispecie ‘de qua’ di maggioranze dettate per lo scioglimento dell’Azienda (possibilmente collegata ad una più ampia scelta di mutamento delle formule organizzative utilizzate dall’Ente Locale per prestare i propri servizi alla collettività di riferimento), e non già di revoca/sostituzione degli organi di amministrazione dell’Azienda; resta il fatto – pure altrimenti evidenziato dal primo Giudice - che una comparazione tra i due

sistemi risulta preclusa, atteso che ciò che può avere un senso nel sistema originario disegnato dall’art. 85 del D.P.R. n. 902/1986, non può essere riproposto all’interno dei principi e delle regole ai quali si è ispirato il modello disegnato dalla delibera consiliare n. 37/2011.

Questo vale anche per giudicare la censura mossa con il settimo motivo, con il quale, in particolare, la difesa dell’Azienda appellata, lamentando la violazione del ‘principio di sussidiarietà orizzontale’, ha denunciato che, con la delibera adottata, il Consiglio avrebbe sottratto ai cittadini la possibilità di intervento tramite referendum popolare, previsto dall’art. 64 dello Statuto dell’Azienda prima che intervenisse la delibera n. 37/2011, senza peraltro fornire alcuna “motivazione” per tale soppressione, che pertanto renderebbe illegittimo il provvedimento.

La censura, per come è formulata, confonde tra merito ‘politico’ e merito ‘amministrativo’ e, a tale stregua, non indica su quale base normativa il Consiglio avrebbe dovuto altrimenti motivare la soppressione del referendum. La qual cosa, come già rilevato dal primo Giudice, rende priva di pregio la censura.

Allo stesso modo, per quanto già rilevato, risulta infondato l’ottavo motivo di censura, con il quale la denuncia dell’eccesso di potere viene fondata sulla assenza di una norma di legge che attribuisca alla P.A. la facoltà di creare la figura del ‘liquidatore’ di un ente pubblico, dotato di una propria disciplina – il citato D.P.R. n. 902/1986 - anche per i casi di scioglimento e liquidazione.

Invero, tale motivo, a prescindere dalla sostanziale assenza di ogni supporto argomentativo, in realtà muove dai medesimi erronei assunti sui quali si ritiene di vincolare l’ente comunale ad organizzare lo scioglimento dell’A.S.M. esclusivamente al modello normativo fornito dal più volte citato art. 85 D.P.R. n. 902/1986; omettendo di considerare, anche sotto il profilo qui censurato, che il ricorso al ‘liquidatore’, nella sua configurazione civilistica, oltre che giustificabile ai sensi dell’art. 42, lett. m), del T.U.E.L, corrisponde pienamente sia alla natura ‘aziendale’ dell’A.S.M. che al tipo di atti ‘commerciali’ che il soggetto incaricato dovrà compiere per assolvere al compito che gli è stato conferito.

Nessun pregio infine può essere riconosciuto al decimo ed ultimo motivo di appello. Come già rilevato, in realtà una decisione volta a determinare lo scioglimento e la liquidazione di una ‘Azienda speciale’ del tipo di quella espressa dall’A.S.M. di Taormina ha di per se stessa una giustificazione di natura politico amministrativa che può ben prescindere dall’andamento economico della sua attività. Sicché ogni ulteriore considerazione, del tipo di quelle sulle quali si affaticano le rispettive difese delle parti coinvolte nel presente contenzioso appare irrilevante nel giudicare sul ‘merito’ della decisione consiliare adottata.

In conclusione, ritenuti infondati o altrimenti inammissibili tutti i motivi di censura proposti, l’appello deve essere respinto.

La particolare natura della controversia può giustificare la compensazione delle spese processuali tra le parti.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,

definitivamente pronunciando, respinge l'appello, come in epigrafe proposto, e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella Camera di Consiglio del giorno 19 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:

Raffaele Maria De Lipsis,      Presidente

Antonino Anastasi,    Consigliere

Marco Buricelli,          Consigliere

Giuseppe Mineo,        Consigliere, Estensore

Giuseppe Barone,       Consigliere

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/04/2015

 

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

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