Pubblicato il 11/11/2016
N. 04688/2016REG.PROV.COLL.
N. 01954/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1954 del 2016, proposto da:
Società Azionaria Gestione Aeroporto Torino s.p.a. - SAGAT, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Enrico Soprano, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via degli Avignonesi, 5;
contro
Città Metropolitana di Torino, in persona del vice sindaco pro tempore, in virtù di decreto del 16 marzo 2016, n. 98-6501, rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Emanuele Gallo e Alberto Romano, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Lungotevere Sanzio, 1;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE, SEZIONE I, n. 1739/2015, resa tra le parti, concernente alcuni provvedimenti per la dismissione della partecipazione azionaria della Provincia (ora Città metropolitana) di Torino nella società di gestione dell’aeroporto di Torino - SAGATs.p.a.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Città metropolitana di Torino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2016 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Soprano e Gallo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso proposto davanti al Tribunale amministrativo regionale del Piemonte la Società azionaria gestione aeroporto di Torino - SAGAT s.p.a. impugnava gli atti con cui la Provincia di Torino (ora città Metropolitana) aveva deciso di alienare la propria partecipazione al capitale sociale della ricorrente (pari al 5%), in quanto ritenuta «non strettamente necessari (a) per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali» (con delibera consiliare n. 19465 del 20 giugno 2012), in attuazione di quanto previsto dall’(allora vigente) art. 3, commi 27 – 29, della legge finanziaria per il 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244).
2. L’impugnazione, integrata da motivi aggiunti, era indirizzata sia al presupposto di legge sulla base del quale la Provincia aveva deliberato di dismettere la partecipazione, che, sotto plurimi profili, alle relative modalità. In particolare queste ultime sono consistite nella procedura aperta di cui al bando pubblicato in gazzetta ufficiale il 28 novembre, poi andata deserta (come peraltro una precedente svolta nel 2012); procedura a sua volta indetta in virtù della proroga fino al 31 dicembre 2014, introdotta dall’art. 1, comma 569, della legge di stabilità per il 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147), come modificato con decreto-legge 6 marzo 2014, n. 14 (recante disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche, convertito dalla legge 2 maggio 2014, n. 68).
Oltre a dedurre tali censure di legittimità, la SAGAT formulava in via subordinata una questione di incostituzionalità del meccanismo di recesso legale previsto dal citato art. 1, comma 569, della legge n. 147 del 2013, in virtù del quale partecipazione non alienata mediante procedura di evidenza pubblica «cessa ad ogni effetto» al termine della proroga riconosciute, e nei successivi 12 mesi alla cessazione la società partecipata è tenuta a liquidare in denaro il valore della quota del socio pubblico cessato, secondo i criteri stabiliti all'art. 2437-ter, comma 2, del Codice civile (relativa all’ipotesi di recesso volontario).
3. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito respingeva l’impugnazione, giudicando infondate tutte le censure dedotte dalla SAGAT.
4. Quest’ultima ha quindi proposto il presente appello, in cui ripropone i motivi di impugnazione già respinti in primo grado, ed al quale resiste la Città metropolitana di Torino.
DIRITTO
1. Con il primo motivo d’appello la SAGAT deduce le seguenti censure:
a) incompetenza della giunta provinciale a deliberare la dismissione della partecipazione, come invece avvenuto nel caso di specie (con delibera n. 34183 del 21 ottobre 2013, recante l’espressa autorizzazione ad alienare la quota detenuta dalla Provincia nella società appellante); si sarebbe così violata la competenza spettante all’organo consiliare ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. e), del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
b) insussistenza del presupposto di legge del carattere non strettamente necessario della partecipazione rispetto alle finalità istituzionali dell’amministrazione provinciale, ex art. 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007; in particolare nella citata delibera consiliare n. 19465 del 20 giugno 2012 quest’ultima avrebbe erroneamente ritenuto non più necessaria la propria partecipazione in SAGAT non già sulla base dell’oggetto sociale, ma dell’entità della partecipazione medesima (pari al 5%), e dalla contestuale perdita del governo societario per effetto della decisione assunta dal Comune di Torino di procedere a sua volta all’alienazione della propria quota del 28% e di non rinnovare il patto di sindacato con i soci pubblici (Comune di Torino che tuttavia, a quanto ulteriormente riferito dall’appellante, ha a posteriori deliberato di mantenere la propria quota nel capitale della SAGAT, pari al 10%: delibera consiliare n. 44 del 25 maggio 2015);
c) contraddittorietà di questa decisione con quella precedentemente assunta dalli stesso consiglio provinciale (delibera n. 64200 del 31 marzo 2009) di mantenere la medesima partecipazione in virtù del positivo riscontro dei presupposti della citata legge finanziaria per il 2008;
d) violazione dell’art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332 (recante norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni, convertito dalla legge 30 luglio 1994, n. 474), che sarebbe stata commessa con l’applicazione della regola del pubblico incanto prevista per i contratti attivi dal regolamento generale di contabilità dello Stato (regio decreto 23 maggio 1927, n. 824; artt. 73 e 76), trascurando la deroga espressamente prevista per il caso specifico di dismissione di partecipazioni azionarie di enti pubblici dal citato decreto-legge;
e) inadeguata pubblicità della procedura di alienazione, limitata alla sola pubblicazione del bando nell’albo pretorio della Provincia, sul sito internet istituzionale della stessa amministrazione, e sulla gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, escluse quindi la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale dell’Unione europea nonché – come avvenuto nella prima procedura di alienazione, svoltasi nel 2012 – su due quotidiani a diffusione nazionale e locale;
f) ritardo con cui la procedura è stata indetta, con bando pubblicato il 28 novembre 2014, a poco più di un mese dalla scadenza del termine di legge (ex art. 1, comma 569, l. n. 147 del 2013, come modificato dal d.-l. n. 16 del 2014), con conseguente eccessiva esiguità del termine di presentazione delle offerte (venti giorni);
g) irrazionalità della base d’asta e del criterio di selezione delle offerte, l’una fondata sul valore patrimonio netto della società corrispondente alla quota ceduta anziché sul valore nominale delle azioni; valore patrimoniale - determinato in € 7.600.000 sulla base di una perizia di stima affidata dalla giunta provinciale con delibera del 20 giugno 2014, n. 20745 ad una società terza, Alcam Italia s.r.l. - che per giunta sarebbe sovrastimato rispetto al valore effettivo delle azioni; l’altro consistente nel massimo rialzo, anziché al massimo ribasso; per effetto di tutte queste circostanze – soggiunge l’appellante – il confronto concorrenziale sarebbe stato compresso, come testimoniato dal fatto che la gara è andata deserta.
2. Con i successivi motivi la SAGAT ripropone la censura secondo cui nel procedimento di dismissione azionaria non le sarebbe stata assicurata un’adeguata partecipazione ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 (II motivo) e, in via subordinata, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 569, l. n. 147 del 2013, come successivamente modificato (III motivo).
3. Tanto premesso, la censura di ordine procedimentale di cui al II motivo è inammissibile per difetto di specificità ai sensi dell’art. 101 Cod. proc. amm., e cioè di una critica puntuale all’articolata motivazione della pronuncia di primo grado.
Ivi è innanzitutto statuito che SAGAT «è stata coinvolta sin dal principio nel procedimento di dismissione, anche mediante comunicazioni individuali degli atti via via adottati dall’amministrazione, ma ha sempre opposto un radicale rifiuto ad ogni ipotesi di dismissione e di conseguente liquidazione della quota»; e inoltre che ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della citata legge n. 241 del 1990 l’eventuale apporto partecipativo non comunque avrebbe avuto alcun esito sul contenuto delle determinazioni assunte della Città metropolitana impugnate nel presente giudizio.
Ciò precisato, il motivo non reca alcuna puntuale censura né al primo né al secondo punto del ragionamento logico-giuridico della sentenza impugnata, ma si sostanzia nella mera riproduzione del corrispondente motivo contenuto nel ricorso di primo grado. In questo modo la SAGAT ha articolato il proprio mezzo di impugnazione in violazione del citato art. 101, comma 1, del Codice del processo amministrativo, come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, cui si fa integrale rinvio ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d), del medesimo Codice (in particolare, solo per citare le più recenti pronunce espressive dell’indirizzo richiamato:III, 10 agosto 2016, n. 3586, 16 giugno 2016, n. 2682; IV, 26 settembre 2016, n. 3936; V, 31 agosto 2016, n. 3746, 26 luglio 2016, n. 3346, 31 marzo 2016, n. 1268; VI, 31 agosto 2016, n. 3767, 30 giugno 2016, n. 2947, 28 giugno 2016, n. 2851, 23 giugno 2016, nn. 2782 e 2808, 19 gennaio 2016, n. 158).
4. Passando quindi all’articolato I motivo d’appello, deve essere esaminata innanzitutto la censura di incompetenza sub a), secondo la tassonomia delle questioni stabilita dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (sentenza 27 aprile 2015, n. 5).
5. La censura è infondata.
Come correttamente rilevato dal Tribunale amministrativo, la Provincia di Torino ha assunto la decisione di dismettere la partecipazione in SAGAT a mezzo dell’organo titolare della relativa competenza ex art. 42, comma 2, lett. e), d.lgs. n. 267 del 2000, e cioè il consiglio comunale.
6. Più precisamente, questa decisione è stata assunta con la deliberazione n. 19465 del 5 giugno 2012, mentre le successive delibere di giunta si collocano nel solco dell’attuazione dell’indirizzo strategico formulato dall’organo di indirizzo politico-amministrativo. Tra queste ultime è compresa la delibera n. 34183 del 21 ottobre 2014 – su cui si imperniano le censure della società appellante - con cui è stata indetta la procedura di gara per la cessione della partecipazione, poi andata deserta e che dunque, lungi dal porsi come espressiva dell’indirizzo dell’ente sulla questione, ne costituisce appunto la relativa e doverosa attuazione, nel pieno rispetto dei rapporti tra i due organi di governo locale.
7. In particolare, il dispositivo della delibera consiliare n. 19465 del 5 giugno 2012 reca la dichiarazione di insussistenza dei presupposti ex art. 3, comma 27, l. n. 244 del 2007 della partecipazione in SAGAT (punto 6), mentre la motivazione contiene l’esplicitazione delle sottostanti ragioni (per circa due pagine).
Inoltre, come del pari puntualmente evidenziato dal giudice di primo grado, lo stesso consiglio provinciale di Torino ha poi rinnovato il giudizio ai sensi della citata disposizione di legge finanziaria per il 2008, in seguito alle modifiche introdotte con la legge di stabilità per il 2014, pervenendo alle medesime conclusioni (delibera consiliare n. 12254 del 6 maggio 2014) e dando così nuovo impulso alla dismissione azionaria in esecuzione del quale è stata indetta la procedura di gara contestata nel presente giudizio dalla SAGAT.
Alla luce di tali inequivoche risultanze documentali non sussiste dunque alcuna incompetenza.
8. Venendo alla censura sub b), diretta a contestare la sussistenza del presupposto dell’obbligo di dismissione, e cioè il carattere non necessario della partecipazione in SAGAT rispetto alle finalità istituzionali della Provincia di Torino (ai sensi del più volte citato art. 3, comma 27, l. n. 244 del 2007), si ritiene che anch’essa sia infondata.
In particolare, non può essere condiviso l’assunto su cui la stessa si impernia, e cioè che ai fini del giudizio richiesto dalla disposizione di legge finanziaria in esame si sarebbe dovuto avere esclusivo riguardo al tipo di attività svolta dalla società partecipata e non anche all’entità della partecipazione in essa.
9. In contrario va evidenziato che il rapporto di strumentalità di un ente societario, formalmente privatistico e naturalmente operante nel mercato, rispetto ai fini di interesse pubblico devoluti alla cura dell’amministrazione partecipante non dipende dal solo oggetto sociale, ma anche dalle modalità con le quali quest’ultima può esercitare le proprie prerogative di azionista ed indirizzarne e coordinarne l’attività. In altri termini, per un’autorità amministrativa ha rilievo non solo “se” una società di diritto privato esercita un’attività economica e se pertanto è opportuno partecipare al suo capitale, ma anche “come” questa attività viene svolta, e quindi quale influenza sulla stessa è possibile esercitare, per assicurarne la coerenza con finalità di interesse pubblico.
10. A questo riguardo, come ricordato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, l’art. 3, comma 27, l. n. 244 del 2007 è indice di «un evidente disfavore del legislatore nei confronti della costituzione e del mantenimento da parte delle amministrazioni pubbliche (ivi comprese le Università) di società commerciali con scopo lucrativo, il cui campo di attività esuli dall’ambito delle relative finalità istituzionali, né risulti comunque coperto da disposizioni normative di specie (secondo il modello delle c.d. ‘società di diritto singolare’) » (Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2010, n. 11). La pronuncia ha ricordato che anche prima della norma di legge finanziaria per il 2008 in esame l’ordinamento giuridico era connotato dai seguenti principi generali in materia di l’esercizio dell’attività di impresa da parte degli enti pubblici: «a) l’attività di impresa è consentita agli enti pubblici solo in virtù di espressa previsione; b) l’ente pubblico che non ha fini di lucro non può svolgere attività di impresa, salve espresse deroghe normative; c) la possibilità di costituzione di società in mano pubblica, operanti sul mercato, è ordinariamente prevista da espresse disposizioni legislative»; e che rispetto a questi limiti diverso e rispondente a regole non coincidenti è il fenomeno della costituzione o partecipazione di una pubblica amministrazione in una società in house «che è in sé un modulo organizzativo neutrale, che rientra nell’autonomia organizzativa dell’ente, con il limite intrinseco che ogni forma organizzativa è sempre e necessariamente strumentale al perseguimento dei fini istituzionali dell’ente medesimo, e salvi
specifici limiti legislativi».
11. L’Adunanza plenaria ha in sostanza enucleato le principali caratteristiche che può assumere la partecipazione di enti pubblici in società commerciali, distinguendo (sulla scia della sentenza della Corte costituzionale 1° agosto 2008, n. 326) l’ipotesi in cui finalità perseguita sia quella di esercitare (o concorrere ad esercitare) un’impresa da quella in cui la società pur formalmente privata sia in realtà uno strumento formale dell’amministrazione per le finalità sue proprie.
Ma per così realisticamente distinguere non basta guardare alle attività, occorre anche considerare se esistono, sul piano del capitale sociale o organizzativo, i mezzi giuridici sufficienti e utili a condurre un tale “strumento” verso quelle finalità. Diversamente, il discrimine posto per dar corso all’obbligo di dismissioni di cui all’art. 3, comma 27, l. n. 244 del 2007 sarebbe eluso e frustrato, perché si lascerebbe nella mano pubblica un’onerosa e immobile partecipazione, in realtà non in grado di perseguire le necessarie «finalità istituzionali» dell’ente.
Ciò che allora davvero rileva sotto quest’ultimo profilo è non tanto l’oggetto sociale, quanto l’entità concreta della partecipazione o dei particolari poteri e diritti, vale a dire la capacità per l’ente di assicurarsi un’incidenza determinante sul governo della società partecipata:in particolare se questa partecipazione -eventualmente insieme o in alternativa a speciali diritti di socio o riserve di amministratore, ovvero a particolari rapporti contrattuali tra la società e l’amministrazione pubblica partecipante -sia tale da consentire all’ente pubblico di governare verso quei fini la società partecipata o meglio la sua attività, in ipotesi anche sulla base di caratterizzazioni esterne di matrice pubblicistica e derogatorie degli ordinari dispositivi di funzionamento propri del modello societario definito dal Codice civile.
Laddove questo governo non sia possibile, la partecipazione dell’ente pubblico assume nei fatti le incongrue ed elusive caratteristiche di un mero sostegno finanziario a un’attività di impresa, che si realizza attraverso la sottoscrizione di parte del capitale ma che non si accompagna alla possibilità di indirizzarla verso finalità di interesse pubblico. Viene meno, dunque, la ragion d’essere di quella stessa partecipazione, che resta del tutto passiva.
In questo caso la partecipazione assume dunque le caratteristiche effettive di un investimento con scopo di lucro, che norme quali l’art. 3, comma 27, l. n. 244 del 2007 hanno ormai inteso contrastare.
12. Ancora sul punto, può essere ricordato che l’evoluzione dei criteri che connotano lo schema dell’affidamento in house– ma anche la configurazione,statutaria o legale,della riserva di speciali poteri pubblici per ragioni di interesse pubblico(c.d. golden share) – segna al fondo questa linea di definizione dei rapporti propri di un ente pubblico in partecipazione societaria.
Nella complessità di queste combinazioni tra forme giuridiche eterogenee e di originaria diversa finalità, al centro sta il tema dell’ampiezza delle deroghe per esigenze pubblicistiche alle forme di controllo societario di diritto comune. La complessità della tematica indica comunque che per un’autorità amministrativa ciò che rileva e che giustifica una sua partecipazione al capitale di una societàè la funzionalizzazione dello strumento societario alle proprie ragioni d’ufficio: sicché ciò che conta è soprattutto il tipo di indirizzo o di influenza che sulla società l’ente pubblico può davvero esercitare per assicurarne l’irrinunziabile coerenza con le proprie finalità istituzionali.
13. Bene la Città metropolitana di Torino evidenzia, con specifico riferimento al caso di specie, che rispetto ad un ente pubblico che si assume “a fini generali”, il criterio meramente oggettivo del tipo di attività non è idoneo ad esprimere in modo effettivo il rapporto di stretta necessarietà previsto dalla norma di legge finanziaria tra l’attività medesima e le finalità di sviluppo economico e sociale della collettività di cui l’ente locale è esponenziale. Per contro, rilevainvece se e in che misura l’ente locale possa effettivamente governare la società attraverso la propria partecipazione, eventualmente in modo congiunto con altri enti pubblici, al fine di indirizzare la gestione sociale al raggiungimento di obiettivi di interesse generale.
14. Tutto ciò precisato, la delibera consiliare n. 19465 del 5 giugno 2012 impugnata dalla SAGAT, che ha espresso il giudizio di “non strategicità” della partecipazione in essa della Provincia (ora Città metropolitana) di Torino ben si inquadra nello schema finora descritto.
Nella motivazione del provvedimento, l’amministrazione provinciale dà innanzitutto atto della decisione assunta dal Comune di Torino, già formalizzata, di cedere la propria partecipazione nel capitale dell’odierna appellante – pari come già riferito al 28% - e di non rinnovare il patto parasociale tra i soci pubblici. Sulla scorta di questa circostanza, la Provincia trae la conseguenza che «l’esigua partecipazione azionaria di minoranza, pari al 5% del capitale sociale, non consentirà in alcun modo di influenzare la politica e le scelte strategiche di sviluppo territoriale e di investimento della Società, nonché di tutela dei lavoratori e delle loro famiglie, né di esercitare i diritti che la normativa civilistica riconosce in capo agli azionisti, stante anche il diniego da parte della Società di fornire informazioni infrannuali al di fuori del contesto dell’assemblea sociale». In questo mutato scenario, l’amministrazione appellata giunge alla conclusione che per effetto di queste vicende «verranno meno i presupposti che hanno giustificato la strumentalità e la necessità delle attività realizzate da SAGAT s.p.a. rispetto alle attività istituzionali della Provincia di Torino».
15. Analoghe considerazioni sono svolte dalla medesima amministrazione nella successiva delibera consiliare, già menzionata, n. 12254 del 6 maggio 2014.
Più precisamente, nell’allegata relazione previsionale e programmatica 2014 – 2016 la Provincia ricorda di avere partecipato alla costituzione della SAGAT allo scopo «di incrementare il traffico aereo della Regione con i principali centri nazionali ed esteri e di contribuire allo sviluppo economico e turistico di Torino e del Piemonte», ma che, tuttavia, per effetto della scelta del Comune di Torino di dismettere la propria quota azionaria e di non rinnovare il patto parasociale di controllo della società partecipata sono venuti meno «i presupposti richiesti dalla Legge Finanziaria 2008 per il mantenimento della partecipazione provinciale».
16. Nel prosieguo della relazione si dà conto della proroga del termine per la dismissione delle partecipazioni non strategiche, originariamente fissato dall’art. 3, comma 29, della citata legge finanziaria al 31 dicembre 2011 (36 mesi), e poi prorogato dall’art. 1, comma 569, della legge di stabilità per il 2014, come modificata dal decreto-legge n. 16 del 2014.
Per effetto di queste novità legislative, il consiglio provinciale reitera l’indirizzo programmatico di cedere la partecipazione in SAGAT ormai ritenuta non più strategica, dando in particolare rilievo all’opportunità di valorizzare il cespite patrimoniale «mediante cessione e/o dismissione».
17. Sulla base di queste evidenze deve quindi essere esclusa l’insussistenza del presupposto di legge per la scelta di alienare la partecipazione.
L’organo di indirizzo politico-amministrativo della Provincia non appare essersi sottratto dalla doverosa applicazione delle norme di finanza pubblica, ma anzi aver valorizzato una circostanza determinante ai fini della scelta di dismissione, costituita dalla perdita del reale controllo sulla società un tempo esercitato attraverso la congiunta partecipazione al patto parasociale con gli altri soci pubblici, tra cui in primis il Comune di Torino.
Questa circostanza è quella che causa, ai sensi della norma di legge finanziaria per il 2008,la perdita della stretta correlazione tra la partecipazione societaria e le finalità istituzionali dell’amministrazione.
18. Al riguardo la SAGAT deduce che quest’ultima amministrazione ha infine mutato indirizzo, formalizzando nel 2015 la propria scelta di non dismettere la propria partecipazione nella medesima società (delibera consiliare n. 44 del 25 maggio 2015, già citata).
Sennonché, in disparte il fatto che secondo quanto deduce la stessa appellante, la quota di capitale detenuta dal Comune di Torino risulta essersi ridotta al 10% rispetto al 28% originario - per cui non è chiaro (nulla essendo riferito al riguardo dall’appellante) se per effetto di ciò la partecipazione di quest’ultima amministrazione le consente tuttora di governare la SAGAT - il nuovo indirizzo del Comune è in ogni caso sopravvenuto agli atti impugnati, cosicché da esso non può ricavarsi una ragione di illegittimità di quanto qui impugnato, in conformità al principio tempus regit actum (correttamente richiamato dall’appellata in memoria di replica e affermato in modo costante dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato: da ultimo: Cons. Stato, IV, 28 giugno 2016, n. 2892)).
19. Infondata è inoltre la censura sub c), con cui la SAGAT lamenta che le scelte strategiche espresse dalla Provincia nelle delibere impugnate si porrebbero in contraddizione con quelle invece espresse all’indomani dell’entrata in vigore della legge finanziaria per il 2008, e cioè di mantenere la partecipazione (delibera consiliare n. 64200 del 31 marzo 2009).
Determinante, invero, nel mutamento di indirizzo è stata la decisione del Comune di Torino di dismettere la propria partecipazione e così di non concorrere più al governo pubblico della società di gestione dell’aeroporto attraverso il patto parasociale un tempo vigente con gli altri soci pubblici. Di questa circostanza si dà inoltre ampio risalto nella motivazione delle delibere del 2012 e 2014 sopra esaminate, per cui l’infondatezza del motivo è manifesta.
20. Deve poi essere respinta anche la censura di violazione dell’art. 1 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, asseritamente commessa della Provincia di Torino per avere fatto ricorso ad una procedura aperta per la dismissione azionaria, in dichiarata applicazione delle norme di contabilità generale dello Stato (in particolare gli artt. 73 e 76 del sopra citato regio decreto 23 maggio 1924, n. 827), anziché essersi avvalsa della deroga a tali disposizioni prevista ai fini dell’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni dal 1 comma dell’art. 1 del decreto-legge, in favore delle «modalità trasparenti e non discriminatorie» previste dal comma 2 della medesima norma di deroga.
A prescindere dalla contraddittorietà di tale doglianza con quelle successive, con cui la SAGAT lamenta che la gara sia stata preceduta da una pubblicità inadeguata e che in generale il confronto concorrenziale non sia stato assicurato con pienezza, in realtà risulta che la Provincia si è conformata alle norme applicabili al caso di specie. Infatti, sia l’art. 3, comma 29, l. n. 244 del 2007 che il successivo art. 1, comma 569, l. n. 147 del 2013 impongono di dismettere le partecipazioni non più strategiche «mediante procedura di evidenza pubblica».
21. Al riguardo, in un altro recente caso di dismissione azionaria questa Sezione ha ritenuto illegittimo per contrasto con la norma di legge di stabilità per il 2014 ora richiamata il ricorso ad una procedura negoziata senza bando ex art. 57, comma 6, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, «cioè di un metodo sostanzialmente assimilabile a quella che in passato era la mera trattativa privata, dalla scelta diretta e riservata del contraente; e che è antitetico ai principi di ordinaria trasparenza, di par condicio tra gli operatori e di libertà di concorrenza, e che essendo privo di selezione in itinere non garantisce la scelta del miglior contraente, dunque nega sia la concorrenza che il mercato e contrasta la detta prescrizione di legge» (Cons. Stato, V, 7 giugno 2016, n. 2424).
Nella pronuncia ora richiamata la Sezione ha anche precisato che l’obbligo imposto dalla legge di stabilità per il 2014 costituisce l’evoluzione del principio sancito dall’art. 1 del citato decreto-legge n. 332 del 1994, secondo cui l’alienazione delle partecipazione pubbliche avrebbe dovuto essere effettuata «con modalità trasparenti e non discriminatorie, finalizzate anche alla diffusione dell’azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli investitori istituzionali» (da fissare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri), e cioè una più compiuta realizzazione delle modalità prefigurate dal decreto-legge in questione, nella direzione di una di una più ampia apertura alla concorrenza,
22. Con riguardo alle restanti censure afferenti alle modalità con le quali la procedura di dismissione ed in particolare l’asserita insufficiente pubblicità del bando di gara (sub e), essa non attinge la legittimità dell’azione amministrativa, ma a scelte di convenienza ed opportunità della Provincia insindacabili ex art. 134 Cod. proc. amm. nella presente sede giurisdizionale, considerato in particolare che – come dedotto dall’amministrazione e non ex adverso contestato - non si trattava di una “gara europea” per la quale era richiesta per legge la pubblicazione nella gazzetta ufficiale delle Unione;
23. Per considerazioni analoghe è infondata anche la censura con cui si censura il ritardo con cui la Provincia ha indetto la gara (sub f).
Sul punto si rileva innanzitutto che il ritardo del compimento di un provvedimento non attiene in linea di principio alla sua legittimità, mentre può dare luogo a rilievi di responsabilità degli organi competenti,salvi i casi di termini espressi o in cui sia previsto il requisito dell’urgenza. Nel caso di specie tuttavia il termine di legge - dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità n. 147 del 2013 e cioè: 31 dicembre 2014 - è stato rispettato, mentre il precedente di questa V Sezione invocato in memoria conclusionale da SAGAT a sostegno di tale censura (la già citata sentenza del 7 giugno 2016, n. 2424) riguarda un caso diverso, dove si era derogato all’obbligo dell’evidenza mediante una procedura negoziata senza bando ex art. 57, comma 6, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, a fronte d’urgenza non derivante da ragioni obiettive, ma risultata imputabile all’amministrazione stessa.
24. Quanto all’asserita esiguità del termine di presentazione delle offerte, esso risulta invece giustificabile proprio per l’imminente scadenza fissata dal legislatore, come rilevato dal Tribunale amministrativo, e comunque nessuna illegittimità risulta configurabile a causa dell’assenza di un parametro normativo cogente per la tipologia di gara in contestazione.
25. Proseguendo nell’esame delle censure formulate dalla SAGAT (sub g)), non sono illegittimi o irrazionali né il criterio seguito per la determinazione della base d’asta e fondato sul valore di mercato delle azioni (secondo la perizia di stima del 1° ottobre 2014 della Alcam Italia s.r.l., appositamente incaricata dalla Provincia: dalla), né tanto meno il criterio di selezione delle offerte al massimo rialzo.
Con riguardo al primo profilo si evidenzia che il valore di mercato esprime il valore ritraibile da una normale cessione di un bene, che anche l’amministrazione pubblica deve tendere a conseguire, non solo ad evitare depauperamenti patrimoniali fonte di eventuale responsabilità erariale, ma nel rispetto dei canoni generali di efficacia ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1 l. 7 agosto 1990, n. 241) e di valorizzazione dell’azionariato pubblico, che tipicamente connotano i processi di dismissione imposti da esigenze di raggiungimento di obiettivi di finanza pubblica quale quello in esame (salva la verifica della corretta determinazione di tale valore, per il quale v. infra).
Prova di ciò si ricava dall’art. 1, comma 569, l. n. 147 del 2013, in particolare dal criterio previsto per il recesso (legale) del socio pubblico laddove le procedure a evidenza pubblica per la collocazione delle partecipazioni sul mercato – che configura essa stessa un micro-mercato che riflette il più generale mercato - non sortisca esito.
Infatti, la disposizione rinvia per questa ipotesi all’art. 2437-ter, comma 2, del Codice civile, a mente del quale la liquidazione delle azioni in favore del socio receduto è effettuata «tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni». Dacché è evidente che l’amministrazione partecipante deve cercare di ottenere dalla procedura di dismissione a privati un risultato quanto meno analogo a quello previsto per l’ipotesi di recesso legale.
26. Per quanto concerne invece il criterio del massimo rialzo, l’incensurabilità della scelta della Provincia si pone in termini altrettanto evidenti, dal momento che si tratta del criterio usualmente adottato per l’aggiudicazione di contratti attivi, dai quali l’amministrazione si propone di reperire un’entrata di carattere patrimoniale quale corrispettivo della cessione.
In particolare, il criterio del massimo rialzo è funzionale a stimolare la competizione dei privati interessati all’acquisto sulla base minima data dal valore di mercato delle azioni oggetto di dismissioni, mentre l’opposto criterio, propugnato dall’appellante, del massimo ribasso, finirebbe in modo paradossale per premiare l’offerta peggiore per l’amministrazione.
27. In realtà le censure da ultimo esaminate appaiono non collocarsi sul piano della legittimità dell’azione amministrativa (tant’è che in esse non viene dedotta la violazione di norme di legge e nemmeno vi si prospetta uno sviamento dai fini tipici del potere pubblico) ma ancora una volta risolversi in una critica di opportunità rispetto a valutazioni dell’amministrazione non imposte dalla legge, ma rimesse agli apprezzamenti discrezionali di quest’ultima. Di questo si trae conferma dal fatto che nel presente appello SAGAT imputa alla Provincia (ora Città metropolitana) di avere cercato di perseguire «il solo interesse proprio», senza tenere conto delle contrapposte ragioni della propria partecipata, consistenti nella ricerca delle condizioni migliori per stimolare la concorrenza privata rispetto all’acquisto delle azioni detenute dall’amministrazione al fine di evitare la conseguenza legislativamente prevista del recesso legale alla scadenza del 31 dicembre 2014.
Tuttavia, a confutazione di queste doglianze, va sottolineato che la massimizzazione del ricavo ritraibile come corrispettivo per la cessione è in realtà l’obiettivo che qualsiasi soggetto pubblico titolare di partecipazioni in forme societarie è tenuto a perseguire in forza dei principi generali poc’anzi richiamati,sempre validi in caso di alienazione di cespiti patrimoniali:la concorrenza riguardo a beni di titolarità pubblica collocati sul mercato deve svolgersi in modo pieno ed effettivo, non artificialmente distorta da un’indebito deprezzamento dei beni oggetto di dismissione, quand’anche quest’ultimo possa assicurare un esito positivo della gara e l’acquisizione di un nuovo socio privato.
28. Per le considerazioni da ultimo svolte è invece fondata l’ultima censura di cui il primo motivo d’appello si compone, e cioè quella in cui SAGAT deduce che la base d’asta di € 7.600.000 era sopravvalutata, dal momento che la concorrenza non può nemmeno essere compressa attraverso la fissazione di un valore “fuori mercato” del bene da dismettere.
Sul punto, è dato ricavare una sufficiente dimostrazione di una siffatta sopravvalutazione da due elementi di carattere indiziario, che valutati congiuntamente risultano avvalorare, ai sensi dell’art. 2729 Cod. civ., gli assunti dell’appellante.
29. Il primo elemento è la circostanza che la gara indetta dalla Provincia è andata deserta.
Il secondo elemento è la notevole differenza di valore delle azioni cui invece è pervenuto l’«esperto» nominato dal Tribunale civile di Torino,ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2437-ter Cod. civ., per la liquidazione in favore dell’amministrazione medesima delle quote in SAGAT (perizia prodotta solo in appello, e che dunque il Tribunale amministrativo non ha potuto valutare, ma che è successiva al giudizio di primo grado, recando la data del 18 luglio 2016, ed è quindi indispensabile ai sensi dell’art. 104, comma 2, Cod. proc. amm.).
In questa seconda perizia di stima, assai più analitica della prima, il valore della quota azionaria di proprietà della Provincia è stato stimato in € 5.300.000. Questa significativa differenza rispetto alla valutazione effettuata dalla società incaricata dalla SAGAT in vista della procedura di dismissione, pari ad oltre il 30%, unitamente alla diserzione della gara, denotano una valutazione evidentemente non congrua da parte del consulente dell’amministrazione, che si può ragionevolmente presumere possa avere scoraggiato potenziali investitori privati: del resto, come si è rilevato, la gara configura essa stessa un micro-mercato e se la risposta è stata la diserzione, evidentemente la stima non era tale per cui l’offerta poteva incontrare una domanda.
30. In conclusione, l’appello è fondato nei termini esposti, cioè limitatamente alla censura con cui SAGAT ha dedotto che la base d’asta della procedura per l’alienazione della partecipazione azionaria in essa detenuta dalla Provincia (ora Città metropolitana) di Torino è stata sopravvalutata. Pertanto, in riforma parziale della sentenza di primo grado, il ricorso della società va accolto entro questi limiti, a partire dal bando di gara.
In esecuzione di questa sentenza l’amministrazione dovrà indire una nuova procedura di dismissione, sulla base del valore delle azioni di cui alla perizia di stima disposta dal Tribunale di Torino ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2437-ter del Codice civile.
L’indubbia complessità delle questioni controverse giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, annulla gli atti impugnati da SAGAT s.p.a. nei termini parimenti specificati in motivazione.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Fabio Franconiero
Giuseppe Severini
IL SEGRETARIO
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