REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO - Sezione I-bis
ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso n. 35 del 2003, proposto dalla S.p.A. MICCOLIS, in persona del legale rappresentante, in proprio e quale capogruppo mandataria dell’A.T.I. costituita con la MICCOLIS VIAGGI E TURISMO S.p.A., nonché della MICCOLIS VIAGGI E TURISMO S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentate e difese dall’avv. Salvatore Alberto Romano, presso il cui studio sono elettivamente domiciliate, in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 284
contro
il Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliato, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12
per l'annullamento
- del provvedimento di cui alla nota 4 novembre 2002, prot. n. IV/10/2/898 del Ministero della Difesa – Direzione Generale degli Armamenti Terrestri, con la quale l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 113 del R.D. 827/24, ha comunicato di non procedere alla stipula del contratto conseguente all’aggiudicazione della licitazione privata n. 073/02/315 per il servizio di conduzione di autoveicoli di proprietà dell’Amministrazione della Difesa, decretata il 30 luglio 2002 in favore dell’A.T.I. ricorrente;
- nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale
nonché per il risarcimento dei danni
come dalle domande formulate in via gradata nel presente ricorso.
Visto il ricorso con la relativa documentazione;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione resistente;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 16 giugno 2003 il Cons. Roberto POLITI; uditi altresì l'avv. Romano per la parte ricorrente e l'avv. dello Stato Cosentino per l'Amministrazione resistente.
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
Con bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. 114 del 14 giugno 2002 il Ministero della Difesa indiceva una licitazione privata per l’appalto del servizio di conduzione di autoveicoli di proprietà dell’Amministrazione stessa, per un importo massimo presunto di € 2.118.404,30 al netto dell’I.V.A. e per la durata di giorni 365.
L’A.T.I. ricorrente chiedeva di partecipare alla selezione come sopra indetta e risultava aggiudicataria della stessa; venendo conseguentemente invitata dalla procedente Amministrazione a costituire un deposito cauzionale definitivo, con riserva di successiva convocazione per la stipulazione del relativo contratto.
Inoltrata la richiesta documentazione, parte ricorrente sollecitava (nota del 28 ottobre 2002) l’Amministrazione al fine di pervenire al perfezionamento del vincolo negoziale.
Con comunicazione del 4 novembre 2002 (ora impugnata) il Ministero della Difesa rendeva noto di “non voler procedere alla stipula del contratto” in relazione alla “indisponibilità nel bilancio della Difesa per il 2002 della somma necessaria al pagamento del servizio di cui trattasi”; soggiungendo che il Raggruppamento odierno ricorrente avrebbe dovuto, conseguentemente, “ritenersi sciolto dall’obbligazione assunta con l’offerta presentata nella succitata gara”.
I dedotti motivi di gravame possono così riassumersi:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 113 del R.D. 23 maggio 1924 n. 827. Eccesso di potere per difetto di motivazione, errore nei presupposti di fatto e di diritto. Illogicità e contraddittorietà. Sviamento.
La norma epigrafata – dall’Amministrazione richiamata a sostegno dell’espresso diniego di stipulazione del contratto – consente il diniego di approvazione ai contratti in ragione della presenza di “gravi motivi di interesse pubblico o dello Stato”.
Nel caso di specie, difetterebbero i presupposti al fine dell’operatività della richiamata disposizione, atteso che la stessa Amministrazione ha affermato di non voler pervenire alla stipula del contratto onde trattasi in ragione di una originaria incapienza degli stanziamenti in bilancio.
L’Amministrazione procedente avrebbe dovuto premurarsi di verificare la presenza delle necessarie disponibilità finanziarie onde fronteggiare gli oneri rivenienti dall’aggiudicazione dell’anzidetta gara; contestandosi, in difetto di tale doveroso adempimento, che la parte pubblica possa, sulla base dell’indicato presupposto, limitarsi ad esternare la propria volontà di non addivenire al perfezionamento del vincolo contrattuale.
2) In via subordinata: domanda di risarcimento del danno per inadempimento
Nell’assumere che la condotta osservata dall’Amministrazione sia qualificabile quale comportamento inadempiente, chiede parte ricorrente il risarcimento del pregiudizio risentito, che viene quantificato nella somma di € 254.268,00.
3) In via ancora gradata: risarcimento del danno per illecito aquiliano (art. 2043 c.c.), Violazione dei principi di correttezza e di buona fede. Violazione del principio di affidamento del privato.
Sotto altro titolo, invoca la parte ricorrente – alla luce della condotta dell’Amministrazione, che si porrebbe in violazione dei fondamentali canoni di correttezza e buona fede, nonché di tutela dell’affidamento ingenerato nel privato – la condanna della P.A. la risarcimento del danno per atto illecito.
4) In via di ulteriore subordine: risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale. Violazione dei principi di correttezza e di buona fede. Violazione del principio dell’affidamento del privato.
Si sostiene, comunque, l’applicabilità del principio di responsabilità precontrattuale, atteso che il colposo comportamento posto in essere dall’Amministrazione avrebbe ingenerato l’affidamento della ricorrente, con conseguente pregiudizio causato dal diniego di stipula del contratto di che trattasi.
5) Eccesso di potere per errore nei presupposti. Sviamento di potere.
Nell’ipotizzare che l’Amministrazione, di seguito all’adozione dell’avversato provvedimento, abbia proceduto al soddisfacimento del pubblico interesse in ragione del quale era stata bandita la gara mediante ricorso a ditte esterne incaricate dell’espletamento dei relativi servizi, assume parte ricorrente che, ove tale circostanza risultasse confermata, verrebbe a configurarsi la presenza di un ulteriore profilo inficiante, secondo quanto al presente punto rubricato.
6) Violazione degli artt. 7 e ss. della l. 241 del 1990. Omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.
Da ultimo, rileva parte ricorrente come la determinazione impugnata non sia stata preceduta da alcun avviso circa l’inizio del relativo iter procedimentale, con riveniente impossibilità di esercizio delle facoltà riconosciute al privato interessato dallo svolgimento dell’azione amministrativa.
Con motivi aggiunti notificati alla controparte il 26 febbraio 2003, la Società ricorrente – in relazione al deposito documentale effettuato dalla resistente Amministrazione in sede di costituzione – ha dedotto le seguenti, ulteriori censure:
7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 113 del R.D. 23 maggio 1924 n. 827. Eccesso di potere per difetto di motivazione, errore nei presupposti di fatto e di diritto. Illogicità e contraddittorietà. Sviamento.
Ribadisce parte ricorrente, con tale ordine di doglianze, le già svolte considerazioni sui limiti intrinseci all’esercizio del potere di denegare l’approvazione ai contratti della P.A., in ragione dei relativi presupposti (nella fattispecie, asseritamente insussistenti).
8) Eccesso di potere per errore nei presupposti. Insufficienza di istruttoria. Carenza di motivazione.
L’Amministrazione procedente, preliminarmente all’aggiudicazione della gara alla quale la ricorrente ha preso parte e, comunque, prima dell’adozione della gravata determinazione, ha omesso di verificare la sussistenza di disponibilità finanziarie – atte a fronteggiare gli oneri rivenienti dalla disposta aggiudicazione – sul pertinente capitolo di spesa.
9) Violazione delle norme e dei principi in tema di contabilità pubblica.
Anche l’argomentazione esplicitata dall’Amministrazione – secondo la quale la gara sarebbe stata avviata di seguito alla positiva verifica circa la sussistenza della necessaria copertura finanziaria (la somma occorrente alla copertura dei relativi oneri essendosi solo successivamente resa indisponibile) – sarebbe smentita dalle evidenze documentali del procedimento.
10) Violazione dell’art. 97 della Costituzione e delle norme in tema di gare pubbliche per la stipulazione dei contratti.
11) Istanza istruttoria. Eccesso di potere per errore nei presupposti e di sviamento di potere.
Contesta poi parte ricorrente l’affermazione – di cui alla memoria della resistente Amministrazione depositata in vista della Camera di Consiglio del 27 gennaio 2003 – con la quale si è fatto riferimento – invero genericamente – all’esistenza di contratti di noleggio e di buoni taxi; al riguardo sollecitandosi lo svolgimento di approfondimenti istruttori preordinati ad appurare siffatte circostanze.
Conclude la parte ricorrente – dopo aver ribadito anche nei suddetti motivi aggiunti la richiesta risarcitoria già formulata in una con l’atto introduttivo del presente giudizio – insistendo per l'accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.
L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.
Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 16 giugno 2003.
Diritto
1. Viene in primo luogo in considerazione la lamentata violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, integrata, secondo quanto prospettato dalla parte ricorrente, dal mancato avviso di inizio del procedimento, stabilito dall'art. 7 della l. 7 agosto 1990 n. 241.
Va al riguardo osservato che un noto – ed ormai consolidato – orientamento giurisprudenziale ha delimitato l'ambito di applicazione della predetta disposizione – e, con esso, le ipotesi per le quali siffatto obbligo di comunicazione acquista rilievo ai fini della legittimità dello svolgimento dell'iter procedimentale – con riferimento alle sole fattispecie, comunque non attivate su iniziativa della stessa parte interessata, per le quali un apporto endoprocedimentale rivesta effettivo e concreto rilievo ai fini dell'adozione della conclusiva determinazione.
In tal senso, è stato affermato che l'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo (previsto dal richiamato art. 7 della legge n. 241 del 1990) sussiste solo quando, in relazione alle ragioni che giustificano l'adozione del provvedimento, e a qualsiasi altro possibile profilo, la comunicazione stessa apporti una qualche utilità all'azione amministrativa, affinché questa, sul piano del merito e della legittimità, riceva arricchimento dalla partecipazione del destinatario del provvedimento; in mancanza dell'illustrata utilità venendo meno l'obbligo della comunicazione onde trattasi (Cons. Stato, sez. V, 19 marzo 1996 n. 283).
Quanto alla fattispecie in esame, l'esercizio del potere di autotutela (sostanziatosi nell’espressa volontà di non procedere alla stipulazione del contratto) rientra (con riserva di successiva verifica circa il legittimo svolgimento di siffatta potestà) nel novero degli apprezzamenti astrattamente rimessi all'esclusiva volontà dell'Amministrazione procedente, rispetto ai quali non appare ipotizzabile alcun apporto da parte dell'amministrato.
Se, nondimeno, siffatto esercizio della pubblica potestà non sfugge allo svolgimento del sindacato giurisdizionale – la cui sollecitabilità risulta preordinata a promuovere la verifica giudiziale della correttezza dell'operato posto in essere dalla P.A. – va rilevato come non appaia configurabile, in relazione alle svolte considerazioni, alcun ipotizzabile margine di utilità, per l'azione amministrativa, riveniente dall'apporto endoprocedimentale ordinariamente consentito al soggetto nei cui confronti sono indirizzate le ricadute effettuali di quest'ultima: sì da indurre il Collegio ad escludere che, quanto alla fattispecie in esame, ricorressero i presupposti per rendere obbligatoria la comunicazione di avvio del procedimento di cui al ripetuto art. 7 della legge n. 241 del 1990.
2. Viene quindi in considerazione l'affermato difetto motivazionale che, secondo la prospettazione di parte ricorrente, inficerebbe l'impugnato provvedimento di autotutela, avuto particolare riguardo alla mancata emersione delle sottese ragioni di pubblico interesse.
2.1 Va innanzi tutto rammentato come la giurisprudenza si sia data carico di precisare, per quanto concerne le pubbliche selezioni per l'affidamento a privati di lavori o servizi, gli ambiti di legittima esercitabilità del potere di autotutela, avuto particolare riguardo allo svolgimento del relativo procedimento ed alla precisazione del contenuto dell'obbligo di esplicitare le connesse ragioni giustificative.
In primo luogo, è stato sottolineato come la P.A. che abbia dato avvio alla gara per l'aggiudicazione di un contratto assuma un vero e proprio impegno de contrahendo con i concorrenti prescelti, con conseguente insorgenza in capo all'Amministrazione, quando l'iter procedimentale abbia avuto inizio, dell'obbligo di proseguirlo in tutte le successive sequenze, fino alla definizione, a meno che non sussistano situazioni che obiettivamente ne impediscano la conclusione: restando tuttavia, in tal caso, a carico dell'Amministrazione stessa l'obbligo di precisarne l'esistenza e giustificare così il suo operato (T.A.R. Abruzzo, Pescara, 17 ottobre 1985 n. 447).
Conseguentemente:
- se va affermata la sussistenza di uno jus poenitendi da parte dell'Amministrazione – inteso come facoltà di revocare o annullare la gara – quando vi siano preminenti esigenze pubbliche che lo impongano, fatta salva (anche in considerazione della fase procedimentale più o meno avanzata, in cui le dette esigenze vengano rilevate) l'eventuale responsabilità pre-contrattuale ex art. 1337 c.c. (T.A.R. Toscana, sez. I, 30 maggio 1991 n. 313);
- la revoca degli atti di gara per l'aggiudicazione di un contratto è peraltro consentita soltanto laddove sussistano motivi di pubblico interesse, da indicare nel provvedimento, che sconsiglino la prosecuzione dell'iter concorsuale rendendone evidente l'opportunità: e ciò anche qualora vi sia già stata l'aggiudicazione, attraverso la non approvazione degli atti di gara e del relativo verbale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 1987 n. 890; nonché T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 13 maggio 1988 n. 286 e T.A.R. Sardegna, 30 luglio 1993 n. 969).
Analogamente, si ritenuto che, in materia di appalti pubblici e privati vige il principio del recesso ad nutum, che consente al solo appaltatore di liberarsi dal vincolo contrattuale quando siano venute meno le ragioni che lo avevano indotto al contratto; e pertanto, essendo tale principio applicabile anche in fase pre-contrattuale, è stato considerato legittimo il provvedimento di revoca della gara qualora la situazione di fatto sia medio tempore mutata rendendo superflua l'esecuzione dei lavori (T.A.R. Lazio, sez. I, 12 maggio 1987 n. 1020).
2.2 Può quindi convenirsi – in abstracto – circa l’immanenza, in capo alla Pubblica Amministrazione, della potestà di caducare gli atti della procedura di gara:
- oltre che nel caso di riscontrate illegittimità inficianti lo svolgimento della procedura (ipotesi che, più propriamente, sostanzia la fattispecie dell’annullamento),
- anche nel caso in cui sopravvengano circostanze che rivelino il mutamento dell'interesse pubblico all'espletamento della gara (facendosi luogo alla revoca dell'indetta selezione): di tale sopraggiunto mutamento l'Amministrazione dovendo nondimeno dare puntuale ed accurata motivazione nell'ambito del provvedimento di revoca (Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 1990 n. 28).
La puntuale applicazione di note coordinate interpretative ha indotto l'elaborazione giurisprudenziale – una volta affermata la generale esercitabilità, in subiecta materia, del potere di autotutela – a focalizzare l'attenzione sull’obbligo motivazionale, quale fondamentale elemento di riscontro (attraverso l'analisi delle ragioni giustificative al riguardo tenute presenti dall'Amministrazione) del corretto esercizio della relativa pubblica potestà.
In tal senso, trovasi affermato che nell'ambito del procedimento per la formazione dei contratti della P.A., affinché la revoca degli atti di gara possa ritenersi legittima, è necessario (e sufficiente) che sussistano fondati motivi di pubblico interesse – da indicare nel provvedimento – che sconsiglino la prosecuzione dell'iter concorsuale rendendone evidente l'inopportunità (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, n. 286 del 1988 cit.).
Conseguentemente, l'annullamento di un procedimento di gara mediante esercizio del potere di autotutela deve essere sorretto da adeguata motivazione in ordine alla natura delle anomalie riscontrate, alla gravità delle stesse, alla loro incidenza sul procedimento di gara e, soprattutto, circa la sussistenza di specifici vizi di legittimità che lo rendano necessario (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 14 novembre 1994 n. 407).
In altri termini, il principio secondo il quale nei contratti della Pubblica Amministrazione l'aggiudicazione, in quanto atto conclusivo del procedimento di individuazione del contraente, segna di norma il momento dell'incontro della volontà dell'Amministrazione di concludere il contratto e della volontà del privato manifestata con l'offerta giudicata migliore (da tale momento sorgendo il diritto soggettivo dell'aggiudicatario nei confronti della stessa P.A.), non esclude la possibilità per quest'ultima di procedere, con atto successivo, adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca d'ufficio ovvero alla non approvazione del relativo verbale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 1996 n. 1263 e sez. VI, 29 marzo 1996 n. 518, 30 aprile 1994 n. 652 e 16 novembre 1987 n. 890; nonché T.A.R. Campania, Napoli, 20 ottobre 1998 n. 3261).
2.3 Nondimeno, siffatta esigenza ha formato oggetto di diversificata considerazione in relazione alle diverse fasi di svolgimento dell'iter procedimentale di che trattasi, avuto riguardo alla complementare identificazione delle situazioni giuridiche soggettive riscontrabili in capo alla parte privata ed al connesso consolidamento di posizioni nei confronti delle quali l'ordinamento appresti un più o meno intenso grado di tutela.
Le ricadute di tale affermato principio sono rappresentate dalla nota affermazione per cui l’annullamento d'ufficio di una gara di appalto prima dell'aggiudicazione definitiva non richiede una specifica motivazione sull'interesse pubblico, giustificandosi ex se in base alla sola riscontrata e dichiarata esistenza di vizi di legittimità, in difetto di qualsiasi effetto di consolidamento dei risultati della gara (T.A.R. Umbria, 20 novembre 1994 n. 665).
Il depotenziato obbligo motivazionale in presenza del mancato consolidamento di posizioni soggettive è stato ulteriormente ribadito, allorché l’atto di autotutela adottato dalla P.A. è stato ritenuto sufficientemente motivato con il solo riferimento all'esistenza dei vizi riscontrati nell'atto da invalidare (Cons. Stato, sez. V, 30 luglio 1993 n. 803; T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Trento 4 luglio 1994 n. 306).
3. Se gli orientamenti da ultimo rammentati hanno riferimento, con ogni evidenza, all’annullamento della gara (non ancora sostanziatasi nella conclusiva aggiudicazione) in presenza di acclarati vizi di legittimità, ritiene nondimeno il Collegio che analoga latitudine espansiva del potere di autotutela non possa essere riconosciuta ove vengano in considerazione valutazioni di opportunità le quali, manifestatesi pur sempre anteriormente all'aggiudicazione, sconsiglino o addirittura impongano all'Amministrazione di caducare l'avviato procedimento di pubblica selezione mediante adozione di provvedimento di revoca.
E, a fortiori, la giustificazione della volontà di non addivenire al perfezionamento del vincolo negoziale – accessivo all’intervenuta aggiudicazione della gara – non può essere legittimamente evocata con riferimento a ragioni di pubblico interesse ove queste ultime si sostanzino (come reso evidente dall’atto impugnato con il presente gravame) nella rilevata indisponibilità delle risorse finanziarie necessarie al fine di fronteggiare gli oneri rivenienti dall’affidamento del servizio oggetto dell’indizione della gara.
Se è infatti vero che:
- nei contratti della P.A. l'aggiudicazione, in quanto atto conclusivo del procedimento di individuazione del contraente, segna di norma il momento dell'incontro della volontà dell’Amministrazione stessa di concludere il contratto e della volontà del privato manifestata con l'offerta accertata migliore;
- è altrettanto vero che la facoltà di non approvare un contratto di appalto di opere pubbliche, ai sensi dell'art. 113 del R.D. 23 maggio 1924 n. 827, deve essere esercitata con particolare cautela e sulla base di una esauriente giustificazione dei motivi di interesse pubblico che sottendono il diniego stesso (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 1983 n. 223; T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, 21 febbraio 1996 n. 49)
4. Tali considerazioni appieno persuadono della illiceità della condotta nella fattispecie posta in essere dalla resistente Amministrazione della Difesa, qualificabile alla stregua della violazione dei princìpi di correttezza e buon andamento – direttamente postulati dall’art. 97 della Costituzione – e di tutela dell’affidamento ingenerato nei terzi, quale principio cardinale dello svolgimento dell’attività negoziale.
L’avversata determinazione, con la quale soltanto nel novembre 2002 è stato comunicato all’odierna ricorrente l’intendimento di non addivenire alla stipula del contratto successivamente alla disposta aggiudicazione della licitazione privata indetta per l’affidamento del servizio sopra specificata (intervenuta nel precedente mese di luglio), non è infatti sorretta da alcuna giustificazione atta a consentire, in linea di principio, l’esercizio di uno jus poenitendi – o, comunque, di un potere latamente rientrante nel genus dell’“autotutela” – a fronte del quale la posizione giuridica vantata dal privato, in ragione della dimostrata preminenza dell’interesse pubblico, è suscettibile di assumere connotazione concretamente recessiva.
Diversamente, la sottoposta vicenda ha proposto all’attenzione della Sezione una condotta – quale quella osservata dalla Stazione appaltante – necessariamente stigmatizzabile in termini di illiceità, atteso che durante l’intero svolgimento della fase “pubblicistica” – preordinata alla selezione del miglior offerente e culminata poi con l’aggiudicazione in favore della ricorrente – la parte pubblica ha (evidentemente) omesso di porre in essere quei necessari accertamenti – direttamente conseguenti allo svolgimento di un comportamento “diligente” – volti ad appurare la concreta possibilità che il contratto (che avrebbe dovuto essere stipulato a seguito e per effetto dell’aggiudicazione stessa) avesse esecuzione; in primo luogo, mediante la verifica dell’effettiva disponibilità delle strumentali risorse finanziarie volte a fronteggiare gli oneri rivenienti dal pagamento della controprestazione pecuniaria in favore del soggetto aggiudicatario.
Di più, va ulteriormente rilevato che siffatta evidente – quanto ingiustificabile – omissione di “diligenza” si è ulteriormente protratta anche successivamente alla disposta aggiudicazione, atteso che la comunicazione di non voler procedere alla conclusione del negozio giuridico è intervenuta soltanto a seguito di reiterate sollecitazioni dalla S.p.A. Miccolis rivolte all’Amministrazione della Difesa al fine di promuovere la stipula del contratto.
Non è chi non veda come:
- se la comunicazione recante l’intendimento di non voler addivenire alla stipulazione del contratto onde trattasi reca sicuri profili di illegittimità, in quanto non sorretta da giustificabili ragioni di pubblico interesse atte a consentire all’Amministrazione di caducare l’intera procedura di selezione;
- la complessiva condotta di quest’ultima è caratterizzata da evidenti profili di illiceità, in quanto comprovante un atteggiamento colposamente negligente in ragione sia della mancata verifica della sussistenza dei presupposti per l’esecuzione di un vincolo contrattuale necessariamente riveniente dall’intervenuta aggiudicazione della gara, sia della tutela dell’affidamento ingenerato nel soggetto privato.
5. Gli atti con il presente gravame avversato vanno, dunque, annullati; residuando, ai fini di un’esaustiva delibazione del proposto thema decidendum, la valutazione della richiesta risarcitoria dalla parte ricorrente proposta.
E’ opportuno rammentare, al riguardo, come la pretesa onde trattasi sia stata dedotta con riferimento a tre distinte ipotesi (evidentemente alternative), sostanziate dalla configurabilità:
- di una responsabilità contrattuale per inadempimento;
- di una responsabilità extracontrattuale per illecito aquiliano;
- di una responsabilità precontrattuale per violazione dell’affidamento ingenerato nella ricorrente.
Si impone, per l’effetto, la qualificazione del genus al quale va ricondotta la pretesa risarcitoria onde trattasi, quale adempimento al Collegio necessariamente rimesso ai fini della successiva quantificazione – e liquidazione – del danno lamentato.
5.1 Va preliminarmente osservato come il modello interpretativo della responsabilità precontrattuale, di cui all’art. 1337 c.c., abbia ricevuto, da parte della dottrina e della giurisprudenza, significativi segnali di apprezzamento anche nell'ambito della sistematizzazione logico-ricostruttiva della fattispecie del rifiuto illegittimo, da parte dell’Amministrazione, di adozione di un provvedimento ampliativo dell’altrui sfera giuridica soggettiva.
In tal senso, è stata ipotizzata l’assimilabilità del procedimento amministrativo (proprio) alla fase formativa del contratto: la relazione tra le parti dimostrandosi preordinata alla adozione dell'atto conclusivo provvedimentale, e rivelandosi, conseguentemente, soggetta ai doveri di correttezza e di buona fede che regolano la fase delle trattative negoziali.
Anche prima di tale momento, l'Amministrazione, in quanto titolare del potere di regolare lo svolgimento del procedimento e di determinarne l'esito, è stata ritenuta obbligata a conformare la propria attività alle regole imposte dall'ordinamento per la protezione degli affidamenti incolpevoli dei soggetti coinvolti nel procedimento.
In tale prospettiva, le conclusioni in tema di definizione dell'elemento soggettivo dell'illecito (e del relativo onere probatorio) possono mutare in modo apprezzabile.
E’ vero che la responsabilità precontrattuale è tuttora ricondotta da taluni orientamenti giurisprudenziali al genus della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. (ex multis, si veda Cass., sez. I, 29 aprile 1999 n. 4299).
Tuttavia, l’elemento soggettivo di tale forma di responsabilità si risolve, frequentemente, nell'accertamento della violazione di regole obiettive concernenti il rispetto dei criteri della correttezza e della buona fede: l’inserimento sistematico nell'ambito della responsabilità precontrattuale di talune fattispecie potendosi risolvere, concretamente, in una agevolazione dell’assolvimento dell'onere probatorio concernente (la dimostrazione del)l’elemento della colpa dell’Amministrazione.
La tesi della responsabilità precontrattuale, poi, potrebbe avere ulteriori sviluppi seguendo le opinioni della dottrina volte ad inquadrare tale responsabilità nell'ambito di quella contrattuale.
Detti indirizzi fanno riferimento ad elaborate e diversificate teorie, come quella che attribuisce al “contatto sociale” fra diversi soggetti dell'ordinamento, qualificato dagli artt. 1337 e 1338 c.c., l'idoneità a costituire autonoma fonte di obbligazione, ai sensi dell'art. 1173 dello stesso codice.
Il “contatto” procedimentale, una volta innestato nell'ambito del rapporto amministrativo (caratterizzato da sviluppi istruttori e da un'ampia dialettica tra le parti sostanziali), impone al soggetto pubblico un preciso onere di diligenza, che lo rende garante del corretto sviluppo del procedimento e della sua legittima conclusione.
La misura della diligenza è dunque definita dalle regole che governano il procedimento amministrativo ed è attualizzata in funzione del concreto nesso tra le parti originato dall'iter provvedimentale e dal suo stato di attuazione.
Se la violazione di dette regole si traduce, in primo luogo, nella illegittimità dell'atto, esprime anche l'indice, quanto meno presuntivo, della colpa del soggetto pubblico; rimanendo salva, ovviamente, la possibilità di dimostrare che, in concreto, l'accertata violazione della regola è derivata da vicende estranee al normale limite di esigibilità imposto al soggetto pubblico secondo i parametri generali desumibili dal sistema.
5.2 Se il modello interpretativo fornito dalla responsabilità precontrattuale – alla luce dell’immanenza, in capo alla procedente Amministrazione, dei canoni comportamentali di “correttezza“, di “buona fede” e di “tutela dell’affidamento” – appare suscettibile di informare, alla luce di quanto esposto al precedente punto 5.1, anche le vicende originate dall’esercizio della potestà pubblicistica esprimentesi (in esito allo svolgimento del procedimento amministrativo) in una effusione determinativa avente sostanza provvedimentale, a fortiori considerazioni in tutto analoghe vanno rassegnate ove ci si trovi – come appunto nella fattispecie all’esame – di fronte ad un’attività di carattere negoziale.
Tale è, infatti, la qualificabilità del complesso di posizioni giuridiche facenti capo alla parte pubblica ed a quella privata successivamente all’aggiudicazione della pubblica procedura di selezione; fatta salva, ovviamente, l’esercitabilità (nei limiti precedentemente delineati) di quelle potestà di segno spiccatamente pubblicistico che possono consentire all’Amministrazione, al ricorrere dei previsti presupposti, di manifestare unilateralmente la volontà di non addivenire al perfezionamento del negozio conseguente all’aggiudicazione stessa.
La piena libertà dell’Amministrazione di non dare corso all'aggiudicazione con la stipula del contratto – quand’anche si dimostri legittimamente esercitabile – non esenta tuttavia quest’ultima dai profili di responsabilità precontrattuale: che si configura, ai sensi dell'art. 1337 c.c., quando si verifica un’ingiustificata e arbitraria interruzione delle trattative dirette alla conclusione del contratto, ovvero l’ingiustificato rifiuto di stipulare il contratto stesso, in modo tale da ledere l’incolpevole affidamento che controparte abbia riposto nell'osservanza delle regole di correttezza e di buona fede.
In tale ottica, la discrezionalità dell’Amministrazione, insindacabile sotto il profilo amministrativo, incontra un limite insuperabile nei principi di correttezza e buona fede – alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la P.A. nell'ambito del rispetto dei doveri primari garantiti dall'art. 2043 c.c. – e nella contestuale tutela dell'affidamento ingenerato nel privato (T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 3 giugno 2002 n. 3258).
Se, alla stregua di quanto precedentemente osservato, la condotta posta in essere dalla P.A. che ricusi la stipula del contratto conseguente alla disposta aggiudicazione va inquadrata nella fattispecie della responsabilità precontrattuale, deve escludersi che la pretesa risarcitoria dedotta in giudizio dalla parte ricorrente possa trovare accoglimento:
- laddove si pretenda di far valere una responsabilità contrattuale dell’Amministrazione intimata (atteso che tale ipotesi necessariamente avrebbe implicato l’intervenuto perfezionamento del vincolo negoziale e la successiva ed eventuale manifestazione della volontà della parte pubblica di non dar corso all’esecuzione di esso);
- e sotto il profilo della responsabilità aquiliana (di cui agli artt. 2043 e segg. c.c.), atteso che – lungi dal configurare un comportamento lesivo del generale principio del neminem laedere - la condotta nella fattispecie posta in essere dall’Amministrazione è peculiarmente connotata dal qualificato “contatto” prenegoziale realizzatosi in sede di svolgimento della procedura pubblicistica svoltasi successivamente alla manifestata volontà di esercitare un’attività negoziale e preordinata all’individuazione del privato contraente.
5.3 Residuata dunque, ai fini dell’inquadrabilità della domanda risarcitoria onde trattasi, la sola fattispecie della responsabilità precontrattuale, osserva la Sezione come, in subiecta materia, il pregiudizio risarcibile sia – per costante giurisprudenza – circoscritto nei limiti dello stretto interesse negativo (contrapposto all’interesse all’adempimento), rappresentato:
- sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto,
- sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso;
conseguentemente dovendosi escludere che la disposizione di cui all'art. 1337 c.c. possa essere invocata per il risarcimento dei danni che si sarebbero evitati e dei vantaggi che si sarebbero conseguiti con la stipulazione ed esecuzione del contratto (Corte Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2000 n. 1632).
Se, dunque:
- il danno risarcibile in tema di responsabilità precontrattuale è unicamente quello consistente nelle perdite che sono derivate dall'aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, 5 giugno 2001 n. 4214);
- e, in sede di ricorso giurisdizionale, la richiesta di risarcimento del danno deve essere accompagnata da una puntuale dimostrazione del danno subito per effetto dell'atto illegittimo adottato dall'Amministrazione (non potendo il giudice integrare la prova carente mediante una consulenza tecnica d'ufficio, pur se richiesta dal ricorrente, atteso che il detto mezzo istruttorio consente solo di valutare mezzi di prova già acquisiti al materiale oggetto di cognizione: T.A.R. Campania, Napoli, 21 febbraio 2001 n. 810);
deve allora ritenersi che il risarcimento al titolo di che trattasi spettante – alla stregua delle svolte considerazioni – alla parte ricorrente sia determinabile secondo quanto infra specificato.
5.3.1 Viene in primo luogo in considerazione il ristoro delle spese incontrate dalla parte ricorrente ai fini della partecipazione alla gara della quale è risultata aggiudicataria, in ordine alle quali può accogliersi la richiesta formulata dalla MICCOLIS con memoria depositata il 10 giugno 2003, attesa la rilevata presenza di una congrua e documentata giustificazione dei relativi oneri, ammontanti a complessivi € 46.984,79 (euro quarantaseimilanovecentoottantaquattro/79), dei quali:
- € 500 (preparazione ed invio documentazione per richiesta partecipazione; preparazione ed invio offerta);
- € 2.118,38 (cauzione provvisoria);
- € 2.118,41 (cauzione definitiva);
- € 10.000,00 (prove pratiche con autobus e tecnici dell’Azienda);
- € 29.748,00 (spese selezione personale come da contratto sottoscritto con IFOA Sistema);
- € 2.500,00 (viaggi a Roma).
5.3.2 Deve invece escludersi che – come sostenuto dalla parte ricorrente – possa farsi luogo al risarcimento del pregiudizio risentito per effetto della preclusa esecuzione del rapporto contrattuale (che la MICCOLIS quantifica nella misura media del 10% dell’ammontare dell’offerta dalla medesima presentata, per una complessiva somma ragguagliantesi ad € 211.840,43); e ciò in quanto – come precedentemente sottolineato – il danno suscettibile di ristoro, nell’ambito della riconosciuta responsabilità precontrattuale relativa all’attività contrattuale della Pubblica Amministrazione, si identifica unicamente in quello riguardante gli oneri inutilmente sostenuti per la partecipazione alla pubblica procedura di selezione; e non già, anche, con riferimento al mancato guadagno che la parte privata avrebbe conseguito per effetto dell’esecuzione del rapporto negoziale.
5.3.3 Può poi accedersi soltanto parzialmente alla richiesta di risarcimento – sempre relativa al titolo di che trattasi – con la quale parte ricorrente chiede di essere “indennizzata” per la perdita di altre occasioni di lavoro.
Deduce in proposito la MICCOLIS di non aver potuto prendere parte – in ragione dell’impegno derivante dall’aggiudicazione dell’anzidetta gara (intervenuta il 31 luglio 2002) ad opera del Ministero della Difesa, protrattosi fino al momento in cui (4 novembre 2002) la suddetta Amministrazione ha comunicato il proprio intendimento di non addivenire alla stipulazione del vincolo contrattuale – ad alcune procedure selettive (bandite fra il 31 luglio ed il 3 ottobre 2002) per l’affidamento di servizi di trasporto su gomma, ovvero di affidamento in concessione di linee extraurbane di trasporto, con riveniente perdita di chance.
Se è vero che, come precedentemente illustrato, il pregiudizio riveniente dall’accertamento della responsabilità precontrattuale è suscettibile di essere determinato, nel suo complesso, con riferimento non soltanto agli oneri inutilmente affrontati per la partecipazione ad una gara (damnum emergens), ma anche con riguardo ai mancati guadagni (lucrum cessans) verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (cfr., in termini, T.A.R. Puglia, Bari, 17 maggio 2001 n. 1761 e T.A.R. Sardegna, 17 febbraio 1999 n. 169), deve allora ritenersi che tale danno sia effettivamente passibile di ristoro, con le precisazioni infra esplicitate.
Va preliminarmente rilevato come il danno da “perdita di chance”, sia suscettibile di essere liquidato, in linea di principio:
- assumendo come parametro di valutazione l'utile economico complessivamente realizzabile dal danneggiato, diminuito di un coefficiente di riduzione proporzionato al grado di possibilità di conseguirlo;
- ovvero, ove tale metodologia risulti di difficile applicazione, con ricorso al criterio equitativo ex art. 1226 c.c.
La perdita di chance, diversamente dal danno futuro, che riguarda un pregiudizio di là da venire soggetto a ristoro purché certo e altamente probabile e fondato su una causa efficiente già in atto, costituisce un danno attuale (non irrealizzato), che non si identifica con la perdita di un risultato utile bensì con la (perdita della) possibilità di conseguirlo; e richiede, a tal fine, che siano stati posti in essere concreti presupposti per il realizzarsi del risultato sperato (ossia una probabilità di successo maggiore del cinquanta per cento statisticamente valutabile con giudizio prognostico ex ante secondo l’id quod plerumque accidit sulla base di elementi di fatto forniti dal danneggiato: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 febbraio 2002 n. 686).
Al fine di ottenere il risarcimento per perdita di una chance, è quindi necessario che il danneggiato:
- dimostri (anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate) la sussistenza di un valido nesso causale tra il danno e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno;
- e provi, conseguentemente, la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (cfr. T.A.R. Toscana, 13 aprile 2000 n. 660).
Ciò preliminarmente posto, va rilevato che, quanto al caso in esame, le quattro diverse pubbliche procedure di affidamento di servizi di trasporto indicate ai fini di che trattasi dalla ricorrente, con ogni evidenza, non avrebbero potuto formare oggetto di contestuale esecuzione ad opera della MICCOLIS; tanto è vero che la suddetta azienda, proprio in relazione al vincolo riveniente dall’aggiudicazione della presente gara, ha ammesso di non aver potuto presentare domanda di partecipazione alle gare come sopra indicate.
La perdita di chance lamentata viene, per l’effetto, inevitabilmente a concentrarsi – sia pure nell’ambito di un giudizio prognostico avente inevitabile carattere probabilistico – su una soltanto delle procedure alle quali la stessa MICCOLIS avrebbe potuto, astrattamente, prendere parte: vedendosi l’adito giudice amministrativo, in conseguenza della valenza largamente aleatoria ricongiunta all’effettuazione di una valutazione di tal fatto, necessitato a pervenire ad una valutazione del relativo pregiudizio affidata ad un criterio equitativo, consentito laddove – come appunto nel caso di specie – non sia possibile conseguire altrimenti una puntuale determinazione dell’ammontare del pregiudizio dalla parte fondatamente lamentato (cfr., in termini, T.A.R. Sicilia, Catania, 17 ottobre 2001 n. 1868) in ragione della inconoscibilità, ex ante:
- non solo della procedura di gara alla quale la MICCOLIS avrebbe potuto prendere parte, nell’ambito delle quattro selezioni da essa indicate;
- ma, vieppiù, del novero dei relativi partecipanti; e, quindi, delle concrete possibilità di aggiudicazione che avrebbero potuto assistere la partecipazione alla gara stessa dell’odierna ricorrente.
Ritiene conclusivamente il Collegio che, in virtù dei poteri equitativi di determinazione del lamentato pregiudizio, esercitabili ai sensi dell’art. 1226 c.c., il danno riconoscibile a titolo di lucro cessante per perdita di chance in favore della ricorrente ammonti a complessivi € 168.000,00 (euro centosessantottomila), determinati:
- prendendo in considerazione la gara (licitazione privata indetta per il trasporto dei disabili da parte dell’Azienda U.S.L. 10 del Veneto Orientale) avente minore importo presunto fra quelle indicate, pari ad € 560.000,00 per anno e con durata di due anni (estensibili a tre);
- ed applicando all’importo come sopra determinabile (€ 560.000,00 x 3 = € 1.680.000,00) un coefficiente di riduzione del 10% (10% di € 1.680.000,00 = € 168.000,00) in applicazione dell’art. 345 della l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. F (10% dell’ammontare a base d’asta).
5.3.4 Riassuntivamente, il danno risarcibile nei confronti dell’odierna ricorrente, alla stregua di quanto precedentemente indicato ai punti 5.3.1 e 5.3.3, sarà ragguagliabile a complessivi € 214.984,79 (euro duecentoquattordicimila novecentoottantaquattro/79), risultanti dalla sommatoria degli importi:
- di € 46.984,79, a titolo di spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla gara in discorso
- e di € 168.000,00 a titolo di lucro cessante per perdita di chance derivante dal precluso conseguimento di altre occasioni di lavoro.
In tali termini dato atto dell’accoglibilità dell’avanzata pretesa risarcitoria, rileva conclusivamente il Collegio la presenza di giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I-bis – accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l'effetto, così dispone:
- annulla gli atti con il presente gravame impugnati;
- condanna la resistente Amministrazione della Difesa, nella persona del Ministro p.t., al pagamento della somma di € 214.984,79 (euro duecentoquattordicimila novecentoottantaquattro/79) a titolo di responsabilità precontrattuale, in favore della parte ricorrente, secondo quanto in motivazione indicato sub 5.3.4.
Spese di lite compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 16 giugno 2003, con l’intervento dei signori giudici
Dr. Cesare MASTROCOLA – Presidente
Dr. Roberto POLITI – Consigliere, relatore, estensore
Dr.ssa Elena STANIZZI – Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 7 luglio 2003
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