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Consiglio di Stato, Sez. IV, 14/5/2024 n. 4321
Sulla illegittimità dell’inerzia del Governo nello stipulare con la regione Campania l’accordo di coesione per la gestione dei fondi del PNRR

È ammissibile l'azione avverso il silenzio, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., in relazione all'obbligo di concludere il procedimento di formazione degli accordi di coesione ex art 1, comma 178, legge 30 dicembre 2020 n. 178, in quanto riconducibili, con profili di specialità, agli accordi di diritto pubblico ex artt. 11 e 15 della legge 241 del 1990.

Anche in presenza di un esercizio consensuale del potere pubblico la legge o la buona fede possono prevedere un obbligo di provvedere, senza che ciò escluda la natura bilaterale che connota gli accordi; l’accordo in questione è infatti stipulato nell’esercizio di un potere pubblico, con la conseguenza che l’attributo indefettibile di tale situazione giuridica non è quello della libertà, proprio della autonomia negoziale, bensì della doverosità cui si ricollega l’obbligo di provvedere nei casi in cui sussista una posizione differenziata e qualificata di pretesa ad una pronuncia espressa sulla proposta di stipula dell’accordo (1).



Nel caso di specie il Consiglio di Stato ha accertato l’illegittimità dell’inerzia del Ministro per gli affari europei, il sud, le politiche di coesione e il P.n.r.r. nel concludere con la regione Campania l’Accordo di coesione previsto dall’art. 1, commi 177 e 178, della legge 30 dicembre 2020 n. 178.

Fonte: giustizia-amministrativa.it

Materia: pubblica amministrazione / attività
Pubblicato il 14/05/2024

N. 04321/2024REG.PROV.COLL.

N. 02328/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 2328 del 2024, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche di Coesione e dal Ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il P.n.r.r., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Almerina Bove e Angelo Marzocchella, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Prima, 19 febbraio 2024, n. 1178.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;

Vista l’ordinanza cautelare n. 1325 del 11 aprile 2024 con cui la Sezione ha sospeso degli effetti della sentenza del T.a.r. per la Campania n. 1178 del 2024;

Vista l’istanza di modifica e/o revoca della predetta ordinanza depositata dalla Regione Campania in data 19 aprile 2024;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presento come da verbale;

Sentiti, ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., i difensori delle parti comparsi e, preso atto della loro non opposizione alla definizione del giudizio nel merito con sentenza in forma semplificata.


FATTO

1.- Con ricorso proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, notificato in data 22 gennaio 2024, la Regione Campania ha chiesto l’accertamento del silenzio inadempimento, asseritamente formatosi a causa dell’inerzia del Ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il P.n.r.r. nel concludere l’Accordo di coesione previsto dall’art. 1, commi 177 e 178, della legge 30 dicembre 2020 n. 178.

Le risorse assegnate alla Regione Campania erano pari, inizialmente, ad € 582.186.243,46, come da delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) del 22 dicembre 2021 n. 79; successivamente, effettuata la ripartizione della disponibilità per il 2021-2027, sono state incrementate a complessivi € 6.569.722.029,63, come da delibera Cipess del 3 agosto 2023 n. 25.

1.1.- Il Ministro competente ed il Presidente della Regione Campania hanno attivato una intensa interlocuzione (puntualmente ricostruita nella nota predisposta dal Dipartimento per le politiche di coesione e il sud e depositata in data 3 maggio 2024) che, tuttavia, non ha ancora condotto alla conclusione del predetto Accordo, a differenza di altre diciassette Regioni e Province autonome che, non solo hanno stipulato gli accordi, ma hanno anche ricevuto gli importi stanziati, in forza della successiva delibera del Dipartimento interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Dipess) di assegnazione.

Per limitarsi ai passaggi essenziali, dopo una fase preliminare:

a) con nota 28 novembre 2023 prot. n. 24748 (doc. 7 Regione), il Presidente della Regione ha segnalato al Ministro l’urgenza di concludere l’Accordo;

b) con nota 12 dicembre 2023 prot. n. 3738 (doc. 8 Regione), il Ministro si è detto, in linea di principio, concorde, segnalando però una serie di problematiche a suo avviso da definire;

c) il Presidente della Regione, con replica 20 dicembre 2023 prot. n. 26855 (doc. 9 Regione), ha diffidato il Ministro a provvedere entro un termine;

d) con nota 8 gennaio 2024, prot. n. 40 (all. 2 al foliario Regione 29 marzo 2024), il Ministro ha ribadito la necessità di approfondimenti istruttori, puntualmente indicati;

e) con nota 11 gennaio 2024 prot. n.756 (all. 3 al foliario Regione 29 marzo 2024) il Presidente della Regione ha replicato.

1.2.- Il successivo 22 gennaio 2024, la Regione ha notificato il ricorso di primo grado per far accertare il silenzio inadempimento, asseritamente formatosi a causa dell’inerzia del Ministro nel concludere l’accordo.

2.- Con la sentenza 19 febbraio 2024, n. 1178, resa in forma semplificata all’esito della camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2024, fissata per decidere l’istanza cautelare nel frattempo proposta, il T.a.r. ha accolto il ricorso e «ha dichiarato l’obbligo del Dipartimento per le politiche di coesione e il sud di definire l’istruttoria sui progetti, interventi e linee d’azione trasmessi dalla Regione per entrare a far parte del contenuto dell’Accordo di Coesione, determinandosi sulla ritualità, validità e ammissibilità dei medesimi, formulando alla Regione gli ulteriori chiarimenti necessari, recependo e valutando le osservazioni dell’Ente e, all’occorrenza, predisponendo lo schema di accordo, sentito il Ministero dell’Economia e delle Finanze e coinvolgendo le Amministrazioni centrali interessate, ai sensi dell’art. 1, comma 178, lett. d), della legge n. 178/2020», entro il termine di quarantacinque giorni dalla comunicazione della sentenza.

3.- Le Amministrazioni statali hanno impugnato la predetta sentenza, deducendo due motivi di appello con i quali hanno riproposto le eccezioni:

- di incompetenza territoriale in favore del T.a.r. per il Lazio, sede di Roma;

- di inammissibilità del ricorso, reputando non configurabile il silenzio inadempimento a fronte di una procedura che deve concludersi con un accordo.

Il ricorso in appello è stato integrato con domanda cautelare per la sospensione degli effetti della sentenza appellata.

3.1.- La Regione ha resistito, con atto 20 marzo 2024 e memoria 5 aprile 2024, e ha chiesto che l’appello fosse respinto.

3.2.- Con ordinanza del 11 aprile 2024 n. 1324 la Sezione ha accolto la domanda cautelare e sospeso gli effetti della sentenza appellata ritenendo:

- quanto al fumus boni iuris, che il secondo motivo di appello apparisse meritevole di particolare approfondimento;

- quanto al periculum in mora, che sussistessero idonee ragioni per sospendere la sentenza impugnata alla luce della documentazione prodotta da parte appellante e delle interlocuzioni da ultimo risultanti dalle note 4 aprile 2024 e 9 aprile 2024 delle parti;

- chiarendo, in ogni caso, che «resta fermo comunque l’obbligo di tutte le parti di proseguire il dialogo – ricorrendo a leali, reali, proficue e reiterate interlocuzioni – per addivenire alla celere definizione dell’accordo nel rispetto del principio di leale collaborazione, così come precisato dalla Corte costituzionale».

3.3.- Con istanza depositata in data 19 aprile 2024 la Regione Campania ha chiesto, ai sensi dell’art. 58 c.p.a., la revoca e/o la modifica della predetta ordinanza cautelare, allegando circostanze sopravvenute e insistendo per una rivalutazione del periculum in mora, stante l’ urgenza di addivenire alla stipula dell’Accordo di coesione necessario al finanziamento di una rilevante serie di opere reputate strategiche ed urgenti per il territorio campano.

3.4.- Alla camera di consiglio del 9 maggio 2024 le parti hanno discusso oralmente la causa.

3.5.- Il Presidente del Collegio ha dato avviso della possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata, come preannunciato già con ordinanza presidenziale del 24 aprile 2024 recante richiesta di chiarimenti istruttori alla Presidenza del Consiglio ed al Ministro competente.

3.6.- Le parti nulla hanno obiettato in merito e si sono rimesse sul punto al Collegio, insistendo nelle rispettive difese e conclusioni e trattando la questione dello ius superveniens rappresentato dal decreto legge n. 60 del 2024 pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 105 del 7 maggio 2024 ed entrato in vigore il giorno 8 maggio 2024.

3.7.- Queste le conclusioni rassegnate dalle parti, come risultanti dal verbale di udienza:

- «L’Avvocato della Regione Campania, durante la discussione orale, ha ripercorso la procedura che si è svolta sin qui, mettendo in rilievo l’esistenza di ritardi nella conclusione dell’accordo che stanno cagionando gravi danni per gli interventi programmati nella Regione Campania; chiede, pertanto, che venga adottata un’ordinanza cautelare di modifica o revoca della precedente ordinanza 12 aprile 2024 n. 1325 assegnando alla amministrazione statale il termine di sette o otto giorni per la definizione dell’Accordo di coesione. In alternativa, chiede che venga adottata una sentenza in forma semplificata; l’Avvocato della Regione mette anche in rilievo come la sopravvenienza normativa costituita dall’art. 10 del D.L. n. 60 del 7.5.2024 non può interferire con la procedura in corso e anzi aggrava la situazione già esistente, evidenziando plurimi profili di incostituzionalità della norma laddove interpretata in senso non costituzionalmente orientato».

- «L’Avvocato dello Stato fa presente che il sopravvenuto art. 10 del D.L. n. 60 del 2024 non sostituisce la procedura in atto, ma si limita a prevedere uno stralcio di finanziamento per una somma rilevante pari a 1 miliardo e 200 milioni; questa norma sopravvenuta incide sul pregiudizio prospettato dalla Regione facendolo venir meno; inoltre, l’art. 10 incide anche sulla stessa procedibilità dell’istanza, facendo venir meno l’interesse ad agire, fermo restando quanto già dedotto nell’appello in ordine all’inammissibilità di un’azione avverso il silenzio inadempimento, nell’ambito di una procedura negoziata; l’Avvocatura chiede, pertanto, che venga rigettata la domanda di modifica o revoca dell’ordinanza cautelare già adottata il 12 aprile da questa Sezione. Si rimette al Collegio in ordine alla decisione di adottare una sentenza in forma semplificata, mettendo in rilievo di non avere nulla in contrario a questa eventuale decisione; infine, l’Avvocato dello Stato mette in rilievo che la data fissata al 13 giugno nella precedente ordinanza è un termine idoneo comunque per consentire che entro quella data possa concludersi l’Accordo di coesione di cui alla procedura oggetto del presente contenzioso».

4.- All’esito della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- La questione posta all’esame della Sezione attiene alla sussistenza dei presupposti per la configurazione del silenzio inadempimento in ordine alla stipulazione dell’Accordo di coesione indicato nella parte in fatto.

2.- Preliminarmente il Collegio dà atto che sussistono i presupposti per la definizione del presente giudizio con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., avendo sentito sul punto le parti e sussistendo i presupposti della completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, anche in ragione della opportunità, in ogni caso, di addivenire ad una celere definizione del merito del giudizio considerata la rilevanza della questione controversa.

3.- Con il primo motivo di appello la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche di Coesione e il Ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il P.n.r.r. hanno dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di incompetenza territoriale del T.a.r. per la Campania, sede di Napoli. Secondo l’appellante la competenza è del T.a.r. per il Lazio, sede di Roma, in quanto gli effetti prodotti dagli atti impugnati sono ultraregionali, oltre ad essere coinvolte altre amministrazioni statali.

In particolare, si afferma che il T.a.r. per la Campania avrebbe sovrapposto il luogo di esecuzione degli interventi e delle linee d’azione previste dall’Accordo per la coesione una volta sottoscritto (il territorio della Regione Campania) con l’efficacia dell’accordo medesimo che invece assicura il coordinamento con le iniziative assunte nei territori limitrofi, nonché con quelle delle altre Amministrazioni statali, come pure la coerenza con gli obblighi derivanti dal P.n.r.r. e dall’impiego dei fondi strutturali europei, rispetto ai quali anche lo Stato assume degli impegni finanziari diretti.

Il motivo è infondato.

3.1.- L’art. 13, comma 1, cod. proc. amm. prevede che: i) «sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni è inderogabilmente competente il Tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione territoriale esse hanno sede»; ii) «il Tribunale amministrativo regionale è comunque inderogabilmente competente sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni i cui effetti diretti sono limitati all’ambito territoriale della regione in cui il Tribunale ha sede».

Dalla lettura di tale disposizione risulta che il criterio generale di riparto della competenza territoriale è rappresentato dal luogo in cui ha sede l’organo. L’applicazione soltanto di questo criterio, tuttavia, avrebbe comportato un eccessivo carico di lavoro per il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, considerato che molti enti hanno sede nella sua circoscrizione.

Per queste ragioni tale criterio generale è stato “corretto” con il criterio dell’efficacia, per cui, anche se l’attività è stata posta in essere da amministrazioni che hanno sede in altre circoscrizioni, è competente il Tribunale nella cui circoscrizione si producono gli effetti diretti (e non anche indiretti o riflessi) di tale attività.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che «i rapporti tra il criterio della sede e quello dell’efficacia spaziale» sono costruiti «secondo una logica di complementarietà e di reciproca integrazione», nel senso che «il criterio ordinario rappresentato dalla sede dell’autorità amministrativa cui fa capo l’esercizio del potere oggetto della controversia, cede il passo a quello dell’efficacia spaziale nel caso in cui la potestà pubblicistica spieghi i propri effetti diretti esclusivamente nell’ambito territoriale di un tribunale periferico» (Cons. Stato, Ad. plen., 31 luglio 2014, n. 17).

3.2.- Nella fattispecie in esame, la quota complessiva di fondi spettanti alla Regione Campania è stata definita con delibera Cipess del 3 agosto 2023 n. 25 mentre l’Accordo di coesione indica le priorità programmatiche per il loro utilizzo, senza poterne modificare l’entità, previa rendicontazione dei precedenti cicli di programmazione e verifica circa la assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti nei termini previsti. Tale accordo è propedeutico alla adozione della delibera Cipess di assegnazione delle risorse, in via definitiva, che abilita alla adozione dei provvedimenti di impegno di spesa, propedeutici alla realizzazione delle opere individuate in quanto prevedono la necessaria provvista finanziaria degli interventi.

L’Accordo di coesione - poiché disciplina le modalità di impiego delle risorse stanziate, mediante la individuazione degli interventi prioritari da finanziare sul territorio della Regione Campania, in raccordo con la programmazione nazionale - non è idoneo a proiettare i propri effetti oltre i confini regionali, neppure in via indiretta, e, conseguentemente, la competenza a decidere le controversie relative alla sua conclusione spettano al T.a.r. per la Campania, in applicazione del riportato art. 13 cod. proc. amm.

Non rileva quanto affermano le amministrazioni appellanti secondo cui la stipula dell’accordo involgerebbe anche interessi nazionali ed europei in relazione alla coerenza con i documenti di programmazione europea e nazionale, trattandosi di implicazioni di carattere politico e non giuridico in senso stretto o comunque di verifiche istruttorie presupposte (quanto, in particolare, alla coerenza degli interventi proposti con la programmazione nazionale) che non incidono sull’ambito territoriale di efficacia dell’accordo e della successiva delibera Cipess di assegnazione.

4.- Con il secondo motivo di appello, si è dedotta l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha accolto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, sollevata sul presupposto che non potrebbe configurarsi una violazione dell’obbligo di provvedere in materia di atti consensuali alla cui conclusione le parti concorrono in maniera paritaria.

Le appellanti evidenziano (da p. 27 a 32 dell’appello) una serie di affermazioni asseritamente contraddittorie in cui sarebbe incorso il T.a.r. nel tentare di configurare la sussistenza di una violazione dell’obbligo di provvedere in presenza di una “trattativa” prodromica alla formazione di accordo, con valutazioni peraltro riferite anche alla completezza dell’istruttoria, riservate invece al Dipartimento.

Inoltre, non essendovi alcun obbligo per lo Stato di assegnare le risorse in contestazione, il T.a.r. avrebbe erroneamente elevato un interesse di mero fatto a interesse giuridicamente rilevante, come tale giustiziabile.

Si aggiunge, infine, che il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto della complessità della procedura e delle attività prodromiche e valutative che per legge devono essere svolte, assegnando un termine del tutto incongruo di appena quarantacinque giorni per il completamento dell’istruttoria.

Il motivo è infondato.

4.1.- In via preliminare, è necessario qualificare la natura dell’Accordo di coesione.

Su un piano generale della disciplina degli accordi di diritto pubblico, l’art. 11 della legge n. 241 del 1990 prevede che, in accoglimento di osservazioni e proposte presentate dalle parti nel corso del procedimento, i) «l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo» (comma 1); ii) a tali accordi «si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili» (comma 2); iii) «a garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi» nelle ipotesi sopra indicate, «la stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento» (comma 4-bis). Si tratta dei cd. accordi sostituitivi e accordi integrativi, che costituiscono una forma di esercizio consensuale del potere pubblico (Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2017, n. 2256; si v. anche Cons. Stato, sez. II, 19 gennaio 2021, n. 579). Pur se la norma sembra riferirsi letteralmente ai soli “accordi eventuali” che si pongono in rapporto di alternatività con l’esercizio del potere in via unilaterale, deve ritenersi che rientrino nel perimetro applicativo di tale disposizione anche gli “accordi necessari” che sono quelli che si connotano per il fatto che la regolazione del rapporto giuridico di diritto pubblico, per le reciproche obbligazioni delle parti, è possibile solo nella forma consensuale e non anche in quella unilaterale.

L’art. 15 della legge n. 241 del 1990 prevede che: i) «(…) le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune» (comma 1); ii) «per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’articolo 11, commi 2 e 3» (comma 2).

Questa norma prevede un accordo tra pubbliche amministrazioni che risponde ad una forma di partenariato pubblico e si connota per il fatto che le amministrazioni sono titolari di un potere discrezionale di stipulare tali forme di accordi, dovendo rispettare precise condizioni per evitare di violare le regole di ricorso al mercato (art. 7 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36).

Sul piano specifico, il legislatore può anche configurare, in relazione a particolari settori, modelli di “accordi di diritto pubblico speciali”, che possono presentare tratti fisionomici in parte differenti da quelli che connotano i modelli generali sopra riportati. Si pensi all’ “accordo di programma” (art. 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) ovvero alla “programmazione negoziata”, all’intesa istituzionale di programma”, all’“accordo di programma quadro”, al “patto territoriale” (art. 2, comma 203, della legge 23 dicembre 1996, n. 662). Si pensi, altresì, alle intese Stato-Regione che la Corte costituzionale ha ritenuto costituire presupposto indefettibile, alla luce del principio costituzionale di leale collaborazione, ai fini della “chiamata in sussidiarietà” delle funzioni amministrative statali in materie di competenza regionale, con la specificazione che ciò che rileva sono le “reiterate trattative” con previsione, in ogni caso, di strumenti idonei ad evitare un indefinito stallo procedimentale (tra le tante, Corte cost. n. 303 del 2003; Corte cost. n. 169 del 2020; si v. anche artt. 3 e 4 del d. lgs. 28 agosto 1997, n. 281 del 1997, i quali prevedono che, nel caso di reiterate trattative infruttuose, il Consiglio dei ministri può comunque adottare il provvedimento finale).

La giurisprudenza costante delle giurisdizioni superiori, come pure della Corte costituzionale, è nel senso che gli accordi di diritto pubblico implicano una situazione di potere amministrativo e non di autonomia negoziale (Cons. Stato, sez. III, 30 luglio 2021, n. 5628; Cons. Stato, sez. II, 17 febbraio 2021, n. 1448; Cons. Stato, sez. II, 17 aprile 2020, n. 2477; T.a.r. Bari, 4 giugno 2013, n. 899; Cass. civ., sez. un., 4 gennaio 2023, n. 146; Corte cost n. 204 del 2004 e n. 179 del 2016), come è, invece, previsto per i contratti pubblici (art. 8 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 33).

In definitiva, l’accordo pubblico si inscrive nella funzione amministrativa ed esprime una modalità di svolgimento del potere, attraverso la forma necessaria del procedimento, di cui assume i caratteri di doverosità e necessaria funzionalizzazione alla finalità di interesse pubblico indicata dalla norma attributiva del potere.

4.1.1.- Nella fattispecie in esame viene in rilievo il cd. Accordo di coesione, che, per le ragioni di seguito indicate, costituisce un “accordo di diritto pubblico speciale”.

L’art. 1, comma 177, della l. 30 dicembre 2020 n.178, ha provveduto a creare la provvista per il Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di interesse, stabilendo che: «In attuazione dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione e in coerenza con le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, nonché con quanto previsto nel Documento di economia e finanza per l'anno 2020 - Sezione III - Programma nazionale di riforma, è disposta una prima assegnazione di dotazione aggiuntiva a favore del Fondo per lo sviluppo e la coesione, per il periodo di programmazione 2021-2027, nella misura di 50.000 milioni di euro».

Con il successivo comma 178 dello stesso art. 1 della legge n. 178 del 2020 sono poi state definite le concrete modalità per ripartire tale fondo, in particolare fra le Regioni e le Province autonome.

Il comma 178 prevede anzitutto che: «il complesso delle risorse di cui al comma 177 è destinato a sostenere esclusivamente interventi per lo sviluppo, ripartiti nella proporzione dell'80 per cento nelle aree del Mezzogiorno e del 20 per cento nelle aree del Centro-Nord».

Il comma 178, alla lettera b) numero 2, dispone poi che «con una o più delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), adottate su proposta del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il P.n.r.r., sentita la Cabina di regia del Fondo per lo sviluppo e la coesione istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67 del 21 marzo 2016, sono imputate in modo programmatico, nel rispetto delle percentuali previste dal primo periodo dell'alinea del presente comma e tenuto conto delle assegnazioni già disposte (… ) 2) le risorse del Fondo eventualmente destinate alle regioni e alle province autonome, con l'indicazione dell'entità delle risorse per ciascuna di esse».

Sempre il comma 178, alla lettera d) prima parte, prevede che: i) «sulla base della delibera di cui alla lettera b), numero 2), dato atto dei risultati dei precedenti cicli di programmazione, il Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il P.n.r.r. e ciascun Presidente di Regione o di Provincia autonoma definiscono d'intesa un accordo, denominato “Accordo per la coesione”, con il quale vengono individuati gli obiettivi di sviluppo da perseguire attraverso la realizzazione di specifici interventi, anche con il concorso di più fonti di finanziamento»; ii) «sullo schema di Accordo per la coesione è sentito il Ministro dell'economia e delle finanze»; iii) «l'elaborazione dei suddetti Accordi per la coesione avviene con il coinvolgimento e il ruolo proattivo delle Amministrazioni centrali interessate, con particolare riferimento al tema degli interventi infrastrutturali e alla loro coerenza con gli interventi nazionali, nell'ottica di una collaborazione interistituzionale orientata alla verifica della compatibilità delle scelte allocative delle Regioni con le priorità programmatiche nazionali e con quelle individuate dai fondi strutturali europei del periodo di programmazione 2021-2027».

Il comma 178, alle lettere e) ed f) dispone che: i) «con delibera del Cipess, adottata su proposta del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, si provvede all’assegnazione in favore di ciascuna Amministrazione centrale ovvero di ciascuna Regione o Provincia autonoma, sulla base degli accordi definiti e sottoscritti ai sensi delle lettere c) o d), delle risorse finanziarie a valere sulle disponibilità del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2021- 2027 (omissis)»; ii) «a seguito della registrazione da parte degli organi di controllo della delibera del Cipess di assegnazione delle risorse, ciascuna Amministrazione assegnataria delle risorse è autorizzata ad avviare le attività occorrenti per l'attuazione degli interventi ovvero delle linee d'azione strategiche (omissis)».

Con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 novembre 2022, è stata conferita al Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il P.n.r.r. in carica, la competenza a concludere questo Accordo per la coesione.

Con decreto ministeriale 22 novembre 2023, il Ministro per far ciò si avvale del supporto tecnico del proprio «Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud».

L’Accordo per la coesione è dunque lo strumento per dotare le Regioni e le Province autonome di una quota importante delle risorse necessarie a svolgere i loro compiti politici e amministrativi nell’ambito delle c.d. politiche di coesione, in concomitante applicazione del principio europeo di cd. addizionalità.

Da quanto precede emerge che le disposizioni richiamate descrivono un vero e proprio procedimento amministrativo, scandito nella classica tripartizione delle fasi dell’iniziativa, dell’istruttoria e della decisione.

La “fase dell’iniziativa” si caratterizza per essere rimessa ad una decisione d’ufficio, venendo in rilievo un procedimento avviato con la delibera del Cipess di imputazione programmatica delle risorse del Fondo, da destinare alle Regioni e alle Province autonome, con l’indicazione dell’entità delle risorse da assegnare a ciascuna di esse.

La “fase istruttoria” si caratterizza per la verifica dei precedenti cicli di programmazione, anche con riferimento alla adozione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti nei termini in precedenza stabiliti e di individuazione da parte delle Regioni e delle Province autonome dei nuovi obiettivi programmatici, in linea con la programmazione nazionale.

La “fase decisoria” si caratterizza per il fatto che le risultanze di tale attività istruttoria concorrono a definire la proposta regionale di accordo che, laddove condivisa dal Ministero dell’economica e delle finanze e dalle altre amministrazioni centrali interessate, oltre che dal Ministro per gli affari europei, conduce alla stipula dell’Accordo per la coesione che è propedeutico, a sua volta, alla successiva adozione della delibera del Cipess per la assegnazione delle risorse in via definitiva, necessaria alla assunzione degli impegni di spesa in relazione ai vari interventi individuati.

L’Accordo per la coesione è un tipico accordo di diritto pubblico procedimentale avente, in questo caso, natura obbligatoria e finalizzato a determinare il contenuto della successiva delibera del Cipess di assegnazione dei fondi che rappresenta l’atto di “esternazione” vincolata del contenuto dell’accordo stesso.

Rispetto al modello generale degli accordi procedimentali di cui all’art. 11 della legge n. 241 del 1990, gli accordi in esame presentano l’elemento comune costituito dall’essere inseriti nell’ambito di un procedimento finalizzato all’adozione di una decisione finale. Gli elementi differenziali, che ne connotano la specialità, sono costituiti dal fatto che gli Accordi per la coesione, da un lato, sono accordi stipulati esclusivamente tra amministrazioni pubbliche, dall’altro, sono “accordi necessari” peculiari sia perché previsti dal diritto europeo per l’assegnazione dei fondi comunitari, secondo il modello degli accordi di partenariato (cfr. il Regolamento delegato (Ue) n. 240/2014 della Commissione del 7 gennaio 2014 recante un codice europeo di condotta sul partenariato nell’ambito dei fondi strutturali e d'investimento europei), sia perché sono strumenti di raccordo istituzionale tra le competenze dello Stato e quelle regionali in materia di programmazione economica, mutuando la propria ratio dalla disciplina dell’intesa tra Stato e Regioni.

Rispetto al modello generale degli accordi di diritto pubblico di cui all’art. 15 della legge n. 241 del 1990, l’elemento comune è costituito dal fatto che anche nel caso degli Accordi di coesione viene in rilievo un accordo tra sole pubbliche amministrazioni. Gli elementi differenziali sono costituiti sia dal particolare atteggiarsi delle scansioni procedimentali, sia soprattutto dalla sussistenza di un obbligo di procedere a fronte, come già rilevato, di un potere discrezionale che caratterizza il modello generale degli accordi di cui all’art. 15. In particolare, il profilo della doverosità dell’azione amministrativa risiede nell’an del provvedere in relazione alla adozione della successiva delibera del Cipess di assegnazione dei fondi.

In definitiva, si è in presenza di un accordo di diritto pubblico connotato da profili di specialità, secondo una relazione di genus a species rispetto ai modelli generali prefigurati dalla legge n. 241 del 1990 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2023, n. 9842; Cons. Stato, sez. II, 19 gennaio 2021, n. 579).

4.2.- Occorre adesso stabilire quali siano le condizioni per l’esercizio dell’azione avverso il silenzio inadempimento.

L’art. 2 della legge n. 241 del 1990 stabilisce i termini di durata dei procedimenti amministrativi.

L’art. 31 cod. proc. amm. prevede che «decorsi i termini per la conclusione del procedimento e negli altri casi previsti dalla legge, chi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo di provvedere» (comma 1).

Presupposti per l’esercizio di detta azione sono la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, di un obbligo di provvedere e del decorso del termine procedimentale.

La prima condizione presuppone che vi sia una inerzia relativa all’esercizio di poteri pubblici con violazione di posizioni giuridiche di interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, anche di diritti soggettivi (Cons. Stato, sez. IV, 14 marzo 2016, n. 987).

La seconda condizione è costituita dall’accertamento di un obbligo di provvedere.

La tematica in esame è stata normalmente trattata dalla giurisprudenza amministrativa con riguardo all’esercizio unilaterale del potere pubblico.

In particolare, l’obbligo di provvedere, in ossequio al principio di legalità, è ritenuto sussistente in presenza di specifiche norme di legge attributive di poteri per l’adozione di atti e provvedimenti, cui corrisponda una situazione soggettiva protetta, qualificata e differenziata. Tale obbligo di provvedere è stato ritenuto configurabile anche in relazione agli atti generali e, segnatamente, a quelli di pianificazione e di programmazione (Cons. Stato, sez. IV, 17 dicembre 2018 n. 7090; Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273; Cons. Stato, sez. V, 2 aprile 2020, n. 2212; Cons. Stato, sez. IV, 23 novembre 2020. n. 7316; si v. anche Corte cost. n. 176 del 2004). Tale obbligo non sussiste nei casi, ad esempio, di mera attività materiale (per una recente riaffermazione del principio cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 maggio 2023, n. 5206), di istanza di riesame dell’atto inoppugnabile per lo spirare del termine di decadenza (Cons Stato, sez. V, 16 aprile 2024 , n. 3469; Cons. Stato, sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 355); di istanza manifestamente infondata (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181).

Parte della giurisprudenza ha ritenuto sussistente l’obbligo di provvedere anche in mancanza di una espressa disposizione normativa che tipizzi il potere del privato di presentare un’istanza e, dunque, anche in tutte le fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l’adozione di un provvedimento ovvero le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni - qualunque esse siano – dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2017, n. 3234; Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7975, Cons. Stato, sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318). Si tenga conto, inoltre, che la rilevanza del principio di buona fede nei rapporti di diritto pubblico ha trovato un formale riconoscimento anche da parte del legislatore con la modifica dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 ad opera dell’art. 12, comma 1, lettera 0a), della legge 11 settembre 2020, n. 120, il quale prevede che «i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede».

E’ bene aggiungere che ciò non significa che non operi il principio di legalità ma che l’obbligo di provvedere, alla luce della buona fede, si desume dal contesto normativo di disciplina del potere pubblico.

Nei procedimenti ad iniziativa d’ufficio, quali ad esempio quelli di natura pianificatoria, l’individuazione del momento temporale in cui si concretizza il dovere di provvedere assume connotati di maggiore complessità rispetto ai procedimenti ad iniziativa di parte, anche se deve ritenersi che i presupposti di fatto devono comunque risultare dalla legge attributiva del potere (si v. Corte cost. n. 176 del 2004, cit.).

Oggetto dell’obbligo di provvedere e, conseguentemente, le modalità del sindacato giurisdizionale dipendono dalla natura vincolata o discrezionale dell’attività amministrativa.

L’art. 31 cod. proc. amm., in ossequio al principio costituzionale di separazione dei poteri, dispone che, in presenza di attività discrezionale, il giudice amministrativo si deve limitare ad una condanna a provvedere dell’amministrazione, la quale, nella fase di riesercizio del potere, potrebbe anche ritenere che non sussistano i presupposti per attribuire alla parte il bene della vita. Soltanto in presenza di «attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori», il giudice amministrativo, pronunciandosi sulla fondatezza della pretesa azionata, può anche condannare l’amministrazione ad adottare la determinazione richiesta dalla parte (comma 3).

La tematica dell’obbligo di provvedere è stata trattata, invece, in modo sporadico, dalla giurisprudenza amministrativa in presenza di accordi di diritto pubblico. Si rinvengono precedenti in tema di: accordi transattivi procedimentalizzati (Cons. Stato, sez. III, 24 novembre 2011, n. 6244); accordi procedimentali ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 (Cons. Stato, sez. III, 28 agosto 2013, n. 4309 e da Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2022, n. 2636); obbligo giuridico di valutare una istanza di rinegoziazione di una convenzione urbanistica, alla luce di fatti sopravvenuti rilevanti, alla luce del principio di buona fede (Cons. Stato, sez. IV, 30 dicembre 2022, n. 11734).

Il Collegio rileva che anche in presenza di un esercizio consensuale del potere pubblico la legge o la buona fede possano prevedere un obbligo di provvedere, senza che possa escludere questa configurazione la natura bilaterale che connota gli accordi. A questi fini ciò che assume rilevanza è la natura della situazione giuridica soggettiva dell’amministrazione che stipula un accordo di diritto pubblico. Si tratta, infatti, di un accordo stipulato nell’esercizio di un potere pubblico, con la conseguenza che l’attributo indefettibile di tale situazione giuridica non è quello della libertà, proprio della autonomia negoziale, bensì della doverosità cui si ricollega l’obbligo di provvedere nei casi in cui sussista una posizione differenziata e qualificata di pretesa ad una pronuncia espressa sulla proposta di stipula dell’accordo.

Non occorre sovrapporre i concetti di “dovere di provvedere” e “accordo” che costituisce la fase finale decisoria.

Anche in questo ambito vale, infatti, quanto già esposto in ordine all’esercizio unilaterale del potere e cioè che, in presenza di una attività discrezionale, le parti possono anche decidere che non sussistono i presupposti per la conclusione dell’accordo, fermo il sindacato giurisdizionale che, in ogni caso, non può invadere sfere di competenze dell’amministrazione.

Soltanto in presenza di attività vincolata ovvero con potere discrezionale “esaurito” il “dovere di provvedere” si risolve in un “obbligo a contrarre” che, in caso di violazione, può essere imposto con una sentenza del giudice amministrativo.

La non sindacabilità dei poteri pubblici è possibile soltanto quando ricorrono i rigorosi ed eccezionali casi di atti posti in essere nell’esercizio di un potere politico che postuli, ad esempio, una intesa connotata da discrezionalità politica (Corte cost. n. 52 del 2016, in relazione alla stipulazione dell’intesa tra Governo e confessioni diverse da quella cattolica ai sensi dell’art. 8 Cost.).

In definitiva l’obbligo di provvedere, idoneo a configurare un silenzio inadempimento in caso di inerzia, deve ritenersi configurabile anche rispetto ad una proposta di accordo di diritto pubblico.

La terza condizione è che sia spirato il termine massimo di conclusione del procedimento, quale configurato dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 ovvero da normative di settore.

4.2.1.- Nella fattispecie in esame il Collegio rileva che sussistono tutte le condizioni per l’esercizio dell’azione avverso il silenzio inadempimento.

La prima condizione, costituita dalla giurisdizione del giudice amministrativo, non è contestata ed è sussistente venendo in rilievo l’esercizio di un potere pubblico in un ambito rientrante, tra l’altro, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativa (art. 133, comma 1, lett. a, n. 2 cod. proc. amm).

La seconda condizione, costituita dall’obbligo di provvedere, è sussistente.

Nella specie, la normativa di settore, sopra riportata, impone di concludere il procedimento di stipula dell’accordo in tempi certi, eventualmente anche con un atto negativo che esterni le motivazioni del rifiuto del Governo e che sia sindacabile in sede giurisdizionale.

L’obbligo di provvedere, in coerenza con il principio di legalità, è previsto da una specifica disposizione di legge (art. 1, comma 178, lett. d, legge n. 178 del 2020, cit.) che disciplina un apposito procedimento di assegnazione delle risorse ed in cui la Regione, dopo il provvedimento Cipess del 3 agosto 2023 n. 25, è sicuramente titolare di una posizione differenziata che la legittima ad agire contro l’inerzia della Presidenza del Consiglio. Rispetto alla formulazione dell’art. 15 della legge n. 241 del 1999, la suddetta norma, sul piano letterale, è chiara nel prevedere che le parti «definiscono d’intesa un accordo» e, dunque, contempla un obbligo procedimentale di provvedere.

Ma anche a prescindere dall’esistenza di tale espressa previsione, sarebbe stato, comunque, alla luce dell’analisi complessiva della disciplina della materia, il dovere di buona fede a fare sorgere un obbligo di conclusione del procedimento amministrativo in esame, tenuto conto, in particolare, dell’adozione della delibera Cipess di assegnazione di parte delle risorse del fondo alla Regione Campania, che costituisce atto idoneo a fare sorgere un affidamento meritevole di protezione giuridica.

Il che, è bene ribadire, non implica un vero e proprio obbligo a contrarre rispetto alla proposta elaborata in sede di istruttoria procedimentale bensì il diverso obbligo di esaminare la proposta di accordo, esprimendo e formalizzando, di volta in volta, il positivo intendimento di addivenire alla stipula o il rifiuto motivato della stessa.

Ne consegue che quello della Regione non è un interesse di mero fatto, come afferma la difesa erariale, ma un interesse giuridicamente rilevante sia a concorrere alla definizione del contenuto dell’accordo, in relazione a fondi già stanziati, sia alla stipula dell’accordo quale strumento che legittima la Regione ad una interlocuzione di tipo paritario con lo Stato.

La Regione Campania è titolare, altresì, di un interesse ad agire, atteso che l’inerzia, e in ogni caso il ritardo, ledono l’interesse pretensivo a poter acquisire, in forma definitiva, il rilevante finanziamento necessario per formalizzare gli impegni di spesa relativi agli interventi prioritari proposti, con incidenza negativa sulla pretesa ad una negoziazione paritaria del contenuto dell’accordo.

Si consideri, inoltre, che l’azione avverso il silenzio rappresenta l’unica forma di tutela prevista in quanto, nel caso di specie, il legislatore non ha contemplato alcun rimedio di tipo amministrativo, per l’ipotesi di mancato accordo (se non con l’art. 10 del decreto legge n. 60 del 2024, su cui si veda oltre), come accade, invece, ad esempio, nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, in caso di intese (cfr. cit. art. 3 d. lgs. n. 281 del 1997).

La terza condizione, costituita dal decorso del termine procedimentale, è anch’essa sussistente.

Poiché le disposizioni richiamate non prevedono uno specifico termine di conclusione del procedimento in esame, trova applicazione il disposto di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 241 del 1990 secondo cui «Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni».

Il Collegio non può esimersi dall’osservare che la complessità dell’istruttoria avrebbe richiesto un termine più ampio ma, a fronte della mancata previsione legislativa di un apposito termine nell’ambito della disciplina dell’Accordo di coesione e della adozione dei decreti di cui ai menzionati commi 3 e 4 del citato art. 2, non può che farsi applicazione del termine residuale di trenta giorni.

La questione della ragionevolezza del termine di conclusione del procedimento in esame, in ogni caso, è superata dal fatto che la Regione Campania, prima di notificare il ricorso, ha atteso oltre il termine di legge di trenta giorni. Nella specie, assumendo come dies a quo l’adozione della delibera Cipess n. 35 del 3 agosto 2023 che segna l’avvio d’ufficio del procedimento, sono decorsi quasi centottanta giorni che il comma 4 indica come termine massimo nei casi di particolare complessità del procedimento, come quello di specie.

Per quanto attiene al contenuto dell’obbligo di provvedere, venendo in rilievo, alla luce delle previsioni di legge di regolazione della materia, un potere discrezionale relativo alle modalità di assegnazione dei fondi, sussiste il solo obbligo strumentale di portare a conclusione il procedimento e non anche l’obbligo finale di attribuzione del bene della vita sostanziale.

Pertanto, il Ministro per gli affari europei, per il tramite del competente Dipartimento, in esecuzione della presente sentenza dovrà accertare se vi siano i presupposti di legge per predisporre lo schema di accordo e, in caso di esito positivo, dovrà darne comunicazione alla Regione, nel termine di quarantacinque giorni dalla comunicazione della presente sentenza o dalla sua notifica se anteriore.

In caso di insussistenza dei presupposti di legge, per carenze istruttorie, carenze nella rendicontazione dei precedenti cicli di programmazione, incongruenza dei nuovi obiettivi programmatici indicati dalla Regione rispetto alla programmazione nazionale o per altra ragione, nel medesimo termine il Ministro per gli affari europei dovrà adottare un atto - di contenuto analogo alla determina di cui all’art. 11, comma 4-bis della legge n. 241 del 1990 - che illustri con precisione le circostanze ostative alla predisposizione dello schema di accordo, in tal modo manifestando una volontà procedimentale contraria alla conclusione dell’accordo che sortirà gli effetti di un “arresto procedimentale”.

Lo schema di accordo che sarà proposto o l’eventuale provvedimento negativo motivato per l’insussistenza dei relativi presupposti, potranno essere impugnati dalla Regione Campania in sede di giudizio di legittimità, venendo in rilievo atti amministrativi espressione di volontà procedimentale propedeutica alla conclusione di un accordo preliminare necessario alla definizione del procedimento o, eventualmente, atti aventi natura di “arresto procedimentale”, come tali lesivi dell’interesse pretensivo al conseguimento della disponibilità dei fondi, già stanziati nel loro ammontare complessivo.

4.3.- Da ultimo deve essere esaminata la questione dello ius superveniens rappresentato dall’art. 10 del decreto-legge del 7 maggio 2024, n. 60.

Tale norma dispone che: «nelle more della definizione degli Accordi per la coesione di cui all'articolo 1, comma 178, lettera d), della legge 30 dicembre 2020, n. 178, con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess), adottata su proposta del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnerr, sentita la Cabina di regia di cui all'articolo 1, comma 703, lettera c), della legge 23 dicembre 2014, n. 190, può essere disposta un'assegnazione, in anticipazione alla programmazione di cui alla medesima lettera d), a valere sulle risorse indicate dalla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile n. 25 del 2023, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 17 novembre 2023, afferenti alle Regioni per le quali non siano stati sottoscritti i citati Accordi per la coesione, delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2021-2027». La norma aggiunge che «l'assegnazione di cui al primo periodo può essere disposta, secondo le medesime modalità ivi previste, anche laddove non si addivenga ad un'intesa sul contenuto dei predetti Accordi per la coesione e alla loro conseguente sottoscrizione».

Il Collegio è dell’avviso che la suddetta “norma provvedimento” sopravvenuta sia irrilevante e non possa determinare la improcedibilità del ricorso, come eccepito dalla difesa erariale, atteso che la violazione dell’obbligo di provvedere si è già concretizzata con la scadenza del termine di conclusione del procedimento e, una volta che il fatto di inadempimento si è realizzato, la fattispecie resta insensibile allo ius superveniens, alla cui applicabilità osta anche il principio di esaurimento della fase processuale del giudizio di primo grado, che resta regolata dalla legge processuale (nella specie quanto alle condizioni di ammissibilità dell’azione ex adverso contestate) vigente alla data in cui il giudizio è stato definito in primo grado, come anche ribadito di recente dalla Sezione in ordine ad analoghe fattispecie di ius superveniens nel corso del giudizio di appello (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2023, n. 8322; Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 2015, n. 25216).

In ogni caso il richiamato articolo 10, prevede un meccanismo di anticipazione mediante provvedimento unilaterale del Cipess che non sostituisce il procedimento ordinario e, pertanto, non incide sul diritto della Regione Campania alla stipulazione dell’accordo quale strumento di raccordo istituzionale tra Stato e Regioni finalizzato alla individuazione, con modalità consensuale e paritetica e nel rispetto della autonomia regionale, degli obiettivi programmatici nell’impiego dei fondi di coesione e quindi non fa venire meno l’obbligo di adottare il provvedimento finale, previa stipula dell’accordo.

5.- Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve pertanto essere respinto, con conferma della sentenza appellata, sebbene con motivazione parzialmente corretta, e con le precisazioni fornite circa la decorrenza del termine ultimativo di quarantacinque giorni concesso per provvedere, fermo restando che la decisione del T.a.r., quanto al termine concesso – e contestato dalle appellanti con il secondo motivo di appello – deve ritenersi giuridicamente corretta, in considerazione del fatto che, alla data di presentazione del ricorso, era ormai quasi decorso il termine massimo di centottanta giorni previsto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990, sicché il predetto termine non poteva ritenersi incongruo in mancanza di specifiche disposizioni di legge derogatorie. Nondimeno si reputa equo e ragionevole disporne la nuova decorrenza per consentire alle parti un ulteriore fase di confronto, nello spirito di leale collaborazione cui i reciproci rapporti istituzionali devono essere improntati, come già rilevato all’esito della fase cautelare.

In ogni caso l’eventuale nomina del commissario ad acta avverrà su istanza di parte.

6.- Stante la novità della questione trattata, sussistono gravi motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello indicato in epigrafe, lo respinge e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Lopilato, Presidente FF

Luca Lamberti, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Monteferrante Vincenzo Lopilato
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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