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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio Sez.II Bis ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 10223/03 proposto dalla società COOPERATIVA CENTRO SERVIZI E RISTORAZIONE s.r.l. – rappresentata e difesa dall’Avv. G. Lo Mastro ed elettivamente domiciliata presso lo stesso in Roma, via Lucrezio Caro, 38;
contro
IL COMUNE DI MENTANA, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. M.G. Del Pretaro del Foro di Pescara ed elettivamente domiciliato presso l’Avv. P.Toppeta in Roma, via Imera, 16;
e nei confronti
della società Ge.Se.Pu. s.p.a., in persona del legale rappresentante, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall’Avv. M. Gentile e domiciliata
per l'annullamento
della delibera consiliare in data 20.9.2003, con la quale è stato affidato il servizio di mensa scolastica alla società Ge.Se.Pu. s.p.a., nonché avverso gli atti presupposti indicati nella premessa della medesima delibera ed in particolare avverso gli atti adottati per la costituzione della citata società Ge.Se.Pu., con relativi atti conessi e consequenziali;
e per il risarcimento
dei danni subiti e subendi dalla società ricorrente;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie depositate dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza in data 19 febbraio 2004, il Consigliere G. De Michele e uditi i difensori delle parti come da verbale di udienza in data odierna;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Attraverso il ricorso in esame, notificato il 13.10.2003, si impugnano gli atti, attraverso cui il Comune di Mentana è pervenuto all’affidamento diretto del servizio di mensa negli istituti scolastici comunali – servizio svolto in precedenza dall’attuale ricorrente – alla società Ge.Se.Pu. s.p.a., a suo tempo costituita dal medesimo Comune (socio maggioritario, con 102 quote su 200) e da altro soggetto giuridico, operante nel settore della raccolta dei rifiuti urbani (Neturbà s.r.l.).
La costituzione della predetta società mista risultava deliberata in data 1.2.1999, per la gestione dei seguenti servizi pubblici locali: igiene urbana, verde pubblico, tutela ambientale, sorveglianza ed assistenza nelle scuole, pulizia degli edifici comunali e scolastici, pubbliche affissioni e raccolte differenziate, con prevista compartecipazione del Comune come socio di maggioranza e di un socio privato, successivamente scelto senza alcuna procedura di gara. Con delibera consiliare n. 53 del 2.7.1999 – pure oggetto di impugnativa – veniva quindi approvato lo statuto della nuova società e con successive delibere (fra cui quella, già in precedenza citata, che è oggetto principale del presente giudizio) il Comune provvedeva all’affidamento diretto alla stessa di una serie di servizi, compreso – da ultimo – quello di mensa scolastica, precludendo all’attuale ricorrente qualsiasi possibilità di proporsi per la prosecuzione del servizio, fino a quel momento svolto senza alcuna contestazione.
Avverso gli atti costitutivi della società Ge.Se.Pu., nonché avverso l’affidamento diretto alla stessa del servizio di cui trattasi, nell’impugnativa vengono prospettati i seguenti motivi di gravame:
1) violazione delle norme e dei principi in tema di libertà del mercato dei servizi e concorrenzialità tra le imprese; violazione o falsa applicazione degli articoli 10, 11 e 97 della Costituzione; violazione degli aricoli 81, 84 e 86 del Trattato dell’Unione Europea; violazione o falsa applicazone dell’art. 35 della legge n. 448/2001 (art. 113 bis del D. Lgs. N. 267/2000); violazione delle norme in tema di libertà e concorrenzialità nell’espletamento di servizi pubblici, nonché dell’art. 35, comma 15 della legge n. 448/2001 e dei principi in tema di trasparenza dell’azione amministrativa (legge n. 241/90); omessa comunicazione di avvio del procedimento (art. 7 L. n. 241/90); violazione di norme e principi del T.U.E.L. ed in particolare dell’art. 147; eccesso di potere sotto vari profili, con particolare riguardo alla problematica della distinzione operata dal legislatore, fra servizi che abbiano o meno rilevanza industriale: una rilevanza che, ad avviso della parte ricorrente, sussisterebbe per il servizio affidato nel caso di specie, in funzione delle caratteristiche economiche e della rilevanza dell’attività;
2) violazione delle norme e dei principi giuridici, nonché dei profili di eccesso di potere, enunciati nel primo motivo; violazione delle norme sui rapporti fra soci nelle società di capitali e dei principi intema di autonomia tra enti pubblici e società private di capitali; eccesso di potere per omesso esame e motivazione, circa i reali rapporti esistenti tra il comune di Mentana e la società Ge.Se.Pu.; eccesso di potere per falsità dei presupposti e sviamento, in quanto si potrebbe fare a meno della procedura di gara solo in presenza di un rapporto organico fra l’ente pubblico ed il gestore del servizio, rapporto implicante subordinazione gerarchica, ovvero controllo tale da escludere un’effettiva diversità soggettiva fra società ed ente pubblico, mentre nel caso di specie – dopo il distacco di alcune frazioni – il Comune di Mentana non avrebbe più nemmeno una partecipazione azionaria di maggioranza nella società di cui trattasi, né comunque sotto svariati profili appare configurabile un rapporto para-gerarchico fra detto Comune e la società stessa.
3) ancora violazione o falsa applicazione di norme e principi ed eccesso di potere, nei termini già dedotti nei primi due motivi di gravame, ma sotto altro profilo; erronea applicazione dell’art. 113 bis del T.U.E.L.; eccesso di potere per sviamento; omesso esame e motivazione sui presupposti di fatto e di diritto, utilizzati per l’esercizio del potere discrezionale; omesso esame degli interessi dei ricorrenti, falsità dei presupposti e travisamento, non essendo stata considerata la enunciata disponibilità della ricorrente alla prosecuzione del servizio, con modalità più convenienti sotto il profilo sia economico che gestionale, con ulteriore obbligo di trasparenza, in considerazione della ricaduta sugli utenti del costo del servizio;
4) violazione delle norme e dei principi in tema di libertà del mercato e concorrenzialità tra imprese; violazione dell’art. 97 della Costituzione, degli articoli 81 e 84 del Trattato CE, nonché delle norme e dei principi sul diritto delle imprese a partecipare alla gara, per la scelta del socio privato di una società a partecipazione pubblica; violazione del principio di trasparenza della p.a.; eccesso di potere sotto vari profili, con riferimento – in via subordinata – ai provvedimenti che costituiscono presupposto della delibera di affidamento diretto del servizio di mensa, ed in particolare dell’atto costitutivo della società Ge.Se.Pu. e dell’approvazione dei patti parasociali, senza individuazione del socio privato con pubblica gara.
In via ulteriormente subordinata, si chiede la sospensione del giudizio e la rimessione alla Corte di Giustizia della Comunità Europea per la soluzione del quesito sulla conformità agli articoli 81 e seguenti del Trattato dell’art. 35, comma 15, della legge n. 428/2001, ove ritenuto legittimante dell’affidamento diretto dei pubblici servizi.
Nella medesima impugnativa, si formula infine istanza risarcitoria, con quantificazione dei dani “subiti e subendi dalla società ricorrente”, in misura “pari almeno al 10% del valore della commessa”, ovvero ad una “maggiore o minore somma”, secondo giustizia.
Entrambe le parti intimate, costituitesi in giudizio, si oppongono all’accoglimento dell’impugnativa, contestando in via preliminare la legittimazione attiva della ricorrente e nel merito sottolineando, in particolare, la possibilità per gli enti pubblici territoriali di affidare in via diretta – a norma dell’art. 35 della legge n. 448/2001 – servizi non di rilevanza industriale (rilevanza, che dovrebbe escludersi per il servizio di mensa di cui trattasi, in considerazione “del carattere solidaristico” del servizio stesso e della impossibilità di individuare il requisito della rilevanza industriale, in assenza del previsto regolamento attuativo).
DIRITTO
Il Collegio è chiamato a valutare, in via preliminare, la legittimazione attiva della società ricorrente, titolare del servizio di mensa presso gli istituti scolastici del Comune di Mentana, fino all’affidamento dell’attività in questione ad altro soggetto (società mista Ge.Se.Pu.) senza le procedure ad evidenza pubblica, di cui la ricorrente stessa prospetta la illegittima omissione.
Detta legittimazione attiva è contestata da entrambe le parti resistenti, secondo le quali, una volta scaduti i termini contrattuali del precedente servizio, residuerebbe un interesse di mero fatto dell’ex gestore, in ordine alle modalità di riaffidamento del servizio stesso.
L’eccezione non può trovare accoglimento.
L’interesse a ricorrere, infatti, è pacificamente individuato sia in corrispondenza dell’utilità pratica concreta, che il ricorrente può ottenere con la pronuncia, sia in rapporto all’utilità strumentale, connessa anche alla mera rimessa in discussione del rapporto controverso, con riconosciuto obbligo dell’Amministrazione di adottare nuovi atti, idonei a salvaguardare l’interesse pretensivo della parte ricorrente: un interesse, quest’ultimo, da intendere finalizzato ad un corretto comportamento dell’Amministrazione, in vista di una possibile utilità concreta (cfr. per il principio, fra le tante, Cons. St., sez. IV, 10.11.1999, n. 1671; TAR Veneto, 6.9.2000, n. 1526).
Altrettanto pacifica in giurisprudenza è l’individuazione dell’interesse strumentale a ricorrere, in soggetti rimasti estranei ad una contrattazione svolta da autorità amministrative, e interessati all’osservanza delle modalità di gara, cosiddette “ad evidenza pubblica”: tale interesse protetto sussiste, in base ad un primo indirizzo più restrittivo (Cons. St., sez. V, 4.8.1986, n. 394; TAR Molise, 24.4.1987, n. 74; TAR Piemonte, 18.4.1984, n. 130) solo quando la decisione dell’Amministrazione di stipulare un contratto a trattativa privata incida su aspettative create dalla stessa p.a. o su rapporti obbligatori in corso di svolgimento, ma – secondo la giurisprudenza più recente, ispirata anche ai parametri comunitari e, ad avviso del Collegio, preferibile – si tratta di interesse ravvisabile in capo a qualsiasi imprenditore di settore e potenziale concorrente, che contesti il modulo organizzativo di gestione di un appalto o di individuazione di un partner in società miste, in assenza di gara.
Quanto sopra, tenuto conto dei precetti normativi sia comunitari che interni, prescrittivi della procedura concorsuale in questione, nonché del vasto ambito di interessi di portata costituzionale coinvolti: dal buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione alle regole sulla libertà di iniziativa economica e sulla concorrenza (cfr. per il principio, fra le tante, Cons. St., sez. V, 27.1.1986, n. 62, 19.7.1989, n. 423 e 10.4.2000, n. 2079; TAR Liguria, 11.6.1997, n. 259 e 8.5.1997, n. 134; TAR Friuli V.G., 21.8.1992, n. 388).
Sulla base di quanto sopra, appare innegabile la legittimazione attiva della società ricorrente, non solo quale operatore qualificato del settore in questione, ma anche come precedente affidataria del servizio e presentatrice di specifica offerta per la prosecuzione del medesimo.
Nel merito, il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere accolto, con riferimento alla assorbente censura di violazione di legge riferita, nei primi tre motivi di gravame, agli articoli art. 35 L. n. 448/2001, 113 e 113 bis D.Lgs. n. 267/2000, questi ultimi come modificati dalla medesima L. n. 448 ed interpretati alla luce della normativa comunitaria.
Le ragioni dell’affidamento diretto del servizio di cui si discute, infatti, sono ricondotte dall’Amministrazione all’art. 35 della legge 28.12.2001, n. 448, destinato a regolare i servizi pubblici locali di rilevanza industriale, anche sulla base di un regolamento non ancora emanato.
Il secondo comma della predetta norma, in effetti, prevede che un regolamento – da emanare ai sensi del comma 16 del medesimo articolo – fissi termini di scadenza o anticipata cessazione delle concessioni, rilasciate “con procedura diversa dall’evidenza pubblica” e prevede, ulteriormente, che solo “a valere da tale data” (quella, dovrebbe logicamente intendersi – nonostante una certa ambiguità nella formulazione letterale della disposizione in esame – di compiuta definizione regolamentare del sistema) si applichi il divieto, di cui al comma 6 del novellato art. 113 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, che reitera per tutti i servizi pubblici di rilevanza industriale, nell’ambito di tali enti, il divieto di partecipazione alle gare delle società che, “in Italia o all’estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi”.
La stessa individuazione dei servizi, di cui alla predetta norma e in definitiva l’operatività della medesima, tuttavia, sono demandate al regolamento in questione, da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 1, della legge 23.8.88, n. 400, “sentite le Autorità indipendenti di settore e la Conferenza unificata, di cui all’art. 8 del D.-Lgs. 28.8.97, n. 281”.
In tale situazione, è stato presumibilmente ritenuto che la nuova disciplina non fosse ancora applicabile, o che non sussistessero in ogni caso ostacoli normativi, perché si procedesse ad affidamento diretto del servizio di cui trattasi, in quanto non di rilevanza industriale (ipotesi, ques’ultima, che come più avanti specificato non cambia, in realtà, i termini della questione).
Per una più corretta impostazione della problematica, posta dalla disciplina sopra richiamata, appare in primo luogo necessario richiamare i principi comunitari, che ne costituiscono il presupposto, principi contenuti, in particolare, nella Direttiva n. 92/50/CEE del 18.6.1992, recepita con D.Lgs. 17.3.1995, n. 157, come modificata dalla direttiva n. 97/52/CE, recepita con D.Lgs. 25.2.2000, n. 65.
Detti principi riconoscono come espressione dell’autonomia degli enti pubblici locali la scelta circa le modalità di svolgimento dei servizi pubblici, riferibili a tali enti, potendo questi ultimi gestire direttamente i servizi stessi o affidarli a terzi.
Nella seconda ipotesi, alle garanzie sugli standards qualitativi dei servizi in questione si affiancano le garanzie di tutela della concorrenza, quale mezzo per raggiungere il maggior benessere dei consociati attraverso un meccanismo di selezione, tale da consentire il perseguimento del migliore possibile rapporto fra costi e risultati.
Anche prima della emanazione della citata legge n. 448/2001, la Commissione Europea aveva contestato – mediante procedura di infrazione – la prassi italiana di affidare a società miste la gestione dei servizi pubblici locali attraverso forme di affidamento diretto.
La normativa interna, al riguardo applicabile, era stata dunque chiarita con circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento delle Politiche Comunitarie) n. 12727 del 19.10.2001, nella quale si ribadisce come l’affidamento dei servizi di cui trattasi debba avere luogo tramite procedure ad evidenza pubblica.
Lo stesso articolo 113 del D.Lgs. n. 267/2000 (nel testo sostituito ex art. 35 L. n. 448/2001), a sua volta, dispone che restino “ferme le disposizioni previste per i singoli settori e quelle nazionali di attuazione delle normative comunitarie”.
La nuova disciplina, riconducibile al medesimo art. 113, poi, avvia un più ampio progetto di revisione, in primo luogo operando una distinzione fra gestione delle reti e degli impianti ed erogazione del servizio pubblico (quanto sopra, poiché alla privatizzazione e liberalizzazione in atto debbono affiancarsi idone misure, atte ad evitare distorsioni alla concorrenza, per effetto dei vantaggi riconducibili alla disponibilità delle reti ed ai diritti di esclusiva, di cui avevano usufruito i monopolisti: in altre parole, affinché ai monopoli pubblici non subentrino monopoli privati, si comincia con l’imporre una separazione, fra soggetti che svolgono attività, già suscettibili di essere svolte in regime di concorrenza e soggetti, che ancora si trovino in una posizione di monopolio naturale).
Solo per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali – ove separata dall’attività di erogazione dei servizi – è previsto nel quarto comma, lettera a) del novellato art. 113 D.Lgs. n. 267/2000 che gli enti locali possano avvalersi “di soggetti allo scopo costituiti”, nella forma di società di capitali con partecipazione pubblica maggioritaria, con affidamento anche diretto a tali soggetti dell’attività gestionale in questione.
Altra ipotesi di affidamento diretto è individuata dal successivo art. 113 bis del medesimo D.Lgs., con riferimento ai “servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale”, da individuare in via residuale, dopo l’individuazione dei servizi pubblici di rilevanza industriale, in base al regolamento di cui all’art. 35, comma 16, della più volte citata legge n. 448/2001.
Entrambe le fattispecie di affidamento sopra indicate, dunque, non solo risultano subordinate alla emanazione di apposito regolamento – circa la tipologia di servizi pubblici di riferimento – ma debbono considerarsi circoscritte a forme di gestione diretta dell’ente pubblico o all’apposita costituzione di società miste, per le quali l’individuazione del socio privato deve avvenire con procedura concorsuale (cfr. sul punto artt. 22 L. 8.6.1990, n. 142 e 12 L. 23.12.1992, n. 498, D.Lgs. 17.3.1995, n. 157, attuativo della direttiva CEE n. 92/1950, nonché, per il principio, Cons. St., Ad. Gen. 16.5.1996, n. 90; Cons. St., sez. V, 19.9.2000, n. 4850, 22.5.2001, n. 2835 e 15.2.2002, n. 917). Per quanto sopra, le ricordate ipotesi di affidamento diretto non potrebbero essere ritenute conformi alla normativa comunitaria – e le nrme che le prevedono dovrebbero pertanto essere disapplicate – se non fossero intese come autorizzative dell’affidamento stesso, nei soli casi in cui il servizio venga assegnato ad una società comunale, appositamente costituita, ferma restando l’applicazione delle regole, per l’individuazione con procedura concorsuale del socio imprenditore (Cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 30.4.2002, n. 2297).
Nella situazione in esame, sembra comunque al Collegio che si possa prescindere da una valutazione, circa l’immediata applicabilità delle norme in questione (in considerazione sia del necessario regolamento attuativo, sia delle ulteriori scelte, che debbono essere operate al riguardo dagli enti locali), così come non sembrano rilevanti i dubbi di compatibilità con le norme comunitarie, che le norme stesse pongono: nel caso di specie, infatti, si discute di affidamento di servizi, senza distinzione fra gestione degli impianti ed erogazione dei servizi stessi, né si enunciano criteri, per l’identificazione del carattere industriale o meno del servizio.
Alla data di emanazione delle delibere, concernenti la costituzione della società mista di cui si discute, risultava ampiamente diffusa – in effetti – la prassi di individuare senza procedure concorsuali ad evidenza pubblica i soggetti partecipanti a società miste, cui affidare la gestione di determinati servizi pubblici: tale prassi, tuttavia, era come già ricordato oggetto di procedura di infrazione a livello comunitario, ed appare ormai contrastante con le norme ed i principi in precedenza richiamati.
Alla successiva data di emanazione dell’atto di affidamento del servizio, pure in questa sede impugnato, era poi già stata emanata la ricordata circolare interpretativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 12727/2001, che sottolineava l’obbligatorietà della scelta del contraente o del socio privato tramite gara.
Nel caso di specie, il Collegio ritiene peraltro che non debba parlarsi di appalto, ma di concessione di servizi, non richiedendo l’Amministrazione una prestazione dietro compenso, ma configurandosi un rapporto trilaterale, tra Amministrazione stessa, concessionario e utente del servizio (in tal senso Cons.St., sez. V, 30.4.2002, n. 2294).
Non solo per l’appalto tuttavia, ma anche per i servizi pubblici locali di qualsiasi tipologia, ove gestiti da soggetti terzi, è prevista l’individuazione del concessionario con procedure ad evidenza pubblica, ovvero con ordinarie procedure di gara, a norma dell’art. 267 del R.D. 14.9.1931, n. 1175 – Testo Unico per la Finanza Locale – nonché degli articoli 112, 113 e 113 bis del D.Lgs. 18.8.2000, n. 267, nella ricordata interpretazione che può ritenersi conforme alla normativa comunitaria (in omaggio alla quale, peraltro, il citato art. 35, comma 2, L. n. 448/01, prevede anche “l’anticipata cessazione della concessione, rilasciata con procedure diverse dall’evidenza pubblica”; cfr. anche, per il principio, Cons. St., sez. V, 30.4.2002, n. 2294; TAR Lombardia, Milano, 29.6.1999, n. 2523).
Sulla base di quanto sopra, l’atto di affidamento diretto del servizio di mensa scolastica, che è oggetto principale del presente giudizio, appare illegittimo e deve essere annullato; non sembra corrispondere ad un interesse attuale della ricorrente, invece, l’annullamento degli atti costitutivi della società mista, non finalizzata in via originaria alla gestione del servizio di cui si discute ed i cui profili di illegittimità sono stati esaminati - con accoglimento di alcune argomentazioni difensive, contenute nel quarto motivo di gravame - nell’ottica esclusiva di valutare la validità dei presupposti dell’affidamento del servizio di mensa scolastica (il cui annullamento, tuttavia, può prescindere dalla caducazione dei presupposti stessi).
Nei termini sopra precisati il ricorso è pertanto accolto, con assorbimento delle ragioni difensive non esaminate e con le conseguenze specificate in dispositivo; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio ne ritiene equa la compensazione, in considerazione dei dubbi interpretativi suscitati, ancora in epoca recente, dalla disciplina in questione.
Non può invece trovare accoglimento, allo stato degli atti, l’istanza risarcitoria, tenuto conto del carattere strumentale dell’interesse a ricorrere, riconosciuto nel caso di specie e della possibile quantificazione di un eventuale pregiudizio, riconducibile a perdita di “chance”, o ad altro profilo di danno emergente e lucro cessante, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., solo in rapporto ed in esito alla fase di riaffidamento del servizio, che costituiva oggetto dell’interesse protetto di cui è stata accertata la violazione.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, (Sez. II bis), ACCOGLIE il ricorso n. 102223/03, specificato in epigrafe e, per l’effetto, ANNULLA la delibera consiliare di affidamento del servizio di mensa scolastica in data 20.9.2003; RESPINGE allo stato l’istanza risarcitoria; COMPENSA le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio in data 19 febbraio 2004, con l'intervento dei Magistrati:
Presidente Patrizio Giulia
Consigliere est. Gabriella De Michele
Consigliere Renzo Conti
Depositata in segreteria il
19 aprile 2004 |