REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta sezione ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.r.g. 6285 del 2003, proposto dalla s.p.a. ITALGAS - Società Italiana per il Gas, rappresentata e difesa dall’avv. Mario Alberto Quaglia ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, via G. Carducci, n. 4,
contro
il comune di Castelfranco Veneto, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Borella e Fabio Lorenzoni ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, via del Viminale, n. 43,
e nei confronti
della s.p.a. ASCO PIAVE, rappresentata e difesa dagli avv.ti Bruno Barel e Luigi Manzi e presso lo studio del secondo elettivamente domiciliata in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5,
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto,Sez. I , n. 1844/2003, pubblicata il 15 marzo 2003 e notificata il 30 maggio.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti suindicate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visto il dispositivo di decisione n. 83 pubblicato il 6 febbraio 2004;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza del 3 febbraio 2004, il consigliere Giuseppe Farina ed uditi, altresì, i difensori delle parti, avv.ti Quaglia, Lorenzoni, Borella e Barel, come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. Il ricorso in appello n. 6285 del 2003 è proposto dalla s.p.a. ITALGAS. È stato notificato al comune di Castelfranco Veneto ed alla s.p.a. ASCO Piave il 27 giugno 2003 ed è stato depositato l’otto luglio 2003.
2. È impugnata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, I Sezione, n. 1844 del 15 marzo 2003, notificata il 30 maggio, con la quale è stato respinto il ricorso della società per l’annullamento della deliberazione consiliare 17 dicembre 2001, n. 140, che stabilisce l’adesione all’Azienda speciale consorziale del Piave “ASCO PIAVE” ed approva la convenzione per l’ingresso nell’Azienda con trasferimento dei beni immobili (impianto di distribuzione del gas) e di altri beni, macchinari ed altro, di proprietà del Comune, che gestiva direttamente il servizio.
3. Riferiti i fatti, la società ricorrente deduce, con pluralità di argomenti:
3.1. erroneità della sentenza. Violazione degli artt. 14 e 15 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, degli artt. 113, 114 e 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Eccesso di potere;
3.2. omissione di pronuncia sulla denuncia di eccesso di potere per sviamento;
3.3. erroneità della sentenza. Violazione dei princìpi sull’interesse a ricorrere. Eccesso di potere;
3.4. erroneità della sentenza per violazione dell’art. 7 e seguenti della l. 7 agosto 1990, n. 241.
Ha prodotto memoria illustrativa il 27 gennaio 2004.
4. Il 23 luglio 2003 si è costituita la s.p.a. ASCO PIAVE. Con memorie del 25 luglio 2003 e del 23 gennaio 2004, confuta analiticamente le tesi della società appellante.
5. Si è costituito il 25 luglio 2003 il comune di Castelfranco Veneto. Con memorie della stessa data e del 23 gennaio 2004 resiste all’appello con diffuse argomentazioni.
6. L’esame della domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata è stato abbinato, nell’apposita camera di consiglio, all’esame del merito.
7. All’udienza del 3 febbraio 2004, dopo la discussione del merito, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. È stata impugnata, in primo grado, la deliberazione del consiglio comunale di Castelfranco Veneto n. 140 del 17 dicembre 2001. Essa reca adesione all’Azienda speciale consortile, che si è alcuni giorni dopo trasformata nella società per azioni intimata, ed approvazione della convenzione per l’ingresso nell’Azienda, con conferimento di tutti i beni utilizzati.
Il servizio di distribuzione del gas, oggetto dell’adesione, era gestito direttamente dal Comune.
2. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, con la sentenza appellata, ha respinto il ricorso della società, la quale aveva rappresentato, il 10 dicembre 2001, la propria disponibilità ad avviare forme di “collaborazione gestionale del servizio”.
Il primo giudice ha seguito questa linea argomentativa:
2.1. ammissibilità del ricorso della società, operatrice economica nel settore ed a livello nazionale.
Sul punto si è formato il giudicato, in difetto di contestazione in questo grado;
2.2. infondatezza della tesi di violazione dell’art. 15 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, in particolare e delle altre norme invocate col primo motivo. Insussistenza di profili di sviamento;
2.3. infondatezza, con profili di inammissibilità, della censura relativa alle condizioni economiche di partecipazione all’azienda consortile;
2.4. infondatezza della censura di violazione della norma di cui all’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241.
3. In questa sede vengono riproposti, ed ulteriormente illustrati, i predetti motivi, con critica alla decisione in questione.
4. Il primo motivo è imperniato sulla tesi che il passaggio dalla gestione in economia a quello dell’adesione all’azienda speciale consortile non è consentito, perché, per l’art. 14 del d. lgs. citato, l’attività di distribuzione del gas è servizio da affidare mediante gara e, in via transitoria, le regole dell’art. 15, comma 1, non consentono gestioni tramite soggetti pubblici. Invero, stabiliscono entro un termine preciso (era il 1° gennaio 2003) l’indizione di gare o la trasformazione delle gestioni in società di capitali o cooperative (comma 1) e, tenuto conto del successivo comma 5, sul periodo transitorio entro il quale operare le trasformazioni, sono regole che devono applicarsi soltanto “alle gestioni in atto non in regime di concorrenza” ed a garanzia di un rapporto di pregresso affidamento ad altro sog-getto. Questo rapporto, nella specie, non sussiste e perciò il Comune era tenuto ad indire la gara. Insomma, secondo l’impresa ricorrente, la disciplina transitoria, data con le norme citate, era intesa a proteggere i rapporti bilaterali in corso all’entrata in vigore della riforma. Ogni nuovo rapporto deve invece osservare l’obbligo della gara.
Le argomentazioni, ora sinteticamente riferite, non appaiono persuasive.
L’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, stabilisce, nel dare attuazione alla direttiva n. 98/30/CE, che l’attività di distribuzione di gas naturale, che è servizio pubblico, va affidata soltanto per gara e per periodi non superiori a dodici anni.
La stessa disposizione, al comma 5, individua i tipi di società ammessi alle gare e ne esclude quelle che gestiscono servizi pubblici locali senza esservi pervenute mediante un procedimento ad evidenza pubblica.
Poiché una tale riforma del settore interveniva su un insieme di situazioni tra le più varie, l’art. 15 ha disciplinato il regime di transizione nell’attività di distribuzione. E precisamente:
nel comma 1, l’obbligo di adeguamento alla nuova disciplina è fissato al 1° gennaio 2003 e con due strumenti: o le gare, per affidare il servizio, oppure la trasformazione delle gestioni in “società di capitali o società cooperative a responsabilità limitata”;
nel comma 2, sono precisate le modalità secondo le quali devono avvenire le trasformazioni in società di capitali delle aziende che gestivano il servizio. Esse sono esplicitamente rese applicabili per le “aziende consortili”, come quella di cui si controverte;
i commi 5 e 7 hanno stabilito il termine del periodo transitorio per gli affidamenti e le concessioni, in essere alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, e per le “società derivate dalla trasformazioni delle attuali gestioni”.
Queste scadenze differite hanno la loro “ratio”, secondo la parte ricorrente, in un’esigenza di tutela degli affidamenti dei soggetti gestori. Però la gestione in economia, come quella del Comune intimato, non dà luogo alla creazione di un altro soggetto e dunque non è consentito che essa, sia pure avanti la scadenza del primo termine, anziché dar luogo alla indizione di una gara o alla trasformazione in società di capitali, si trasformi mediante la censurata adesione ad un’azienda consortile speciale.
La tesi, si ripete, non offre elementi persuasivi.
a) La norma in esame sino alla data finale di scadenza del 1° gennaio 2003 permetteva qualsiasi soluzione gestoria sulla via delle trasformazioni poi ammesse. Quel che si può desumere dalla disposizione è che entro quella data fosse attuata una delle due soluzioni preventivate. Era il termine che non tollerava differimenti, ed infatti, in caso d’inerzia, nello stesso comma 1 dell’art. 15 sono state previste attività sostitutive.
b) Si atteggia come valutazione soggettiva, non desumibile incontrovertibilmente dalla norma, la tesi che il termine sia stato posto solo a tutela dei soggetti depositari di affidamenti per via della gestione che avevano in corso. Si può, altrettanto o più fondatamente, affermare che il termine era stabilito per concedere a ciascun ente locale un adeguato periodo per valutare le implicazioni organizzative ed economiche che militavano a favore dell’una o dell’altra soluzione, sulla quale far cadere la scelta.
In tal senso depone il settimo “considerando” della direttiva n. 98/30/CE, attuata con il decreto legislativo in esame, nel quale si avverte che “il mercato interno del gas naturale deve essere instaurato gradualmente, allo scopo di permettere all’industria di adeguarsi in modo flessibile e ordinato il nuovo ambiente e per tener conto delle differenti strutture di mercato degli Stati membri”. E dunque il termine per avviare la trasformazione delle gestioni in società di capitali o per indire le gare obbediva ad un complesso di esigenze, fra le quali non possono ignorarsi quelle di adeguato apprezzamento, da parte dell’ente locale, della soluzione da abbracciare.
c) Il cammino divisato dal Comune resistente, attraverso il breve passaggio dell’adesione all’Azienda consortile, sfociava nella trasformazione della sua gestione, e di quella degli altri novantadue enti locali, in una società per azioni. Perseguiva, perciò, uno scopo consentito dalla legge.
La trasformazione in società di capitali, come da atti depositati, è intervenuta dieci giorni dopo l’adesione. Sia pure con considerazione “ex post”, appare arduo affermare che, per effetto di un tale passaggio intermedio, il Comune sia incorso in un’illegittima scelta. Oltre tutto, la trasformazione si è avuta (27 dicembre 2001) un anno prima della scadenza del termine ultimo fissato dalla legge.
A conclusione di questo esame, si può riconoscere che non ha violato l’art. 15, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 164 del 2000, il provvedimento del Comune, che in vista di una quasi immediata trasformazione di un’azienda consortile intercomunale in società per azioni, e perciò in vista di una trasformazione conforme alle disposizioni suddette, ha aderito all’azienda consortile stessa e conferito ad essa i beni ed ogni altra attività della precedente gestione diretta del servizio di distribuzione del gas.
5. Con la seconda censura si sostiene che non è stato esaminato, dal primo giudice, il motivo che denunciava lo sviamento consistente nel procrastinare l’obbligo della gara per effetto della misura adottata.
In effetti, si tratta di un motivo esaminato e disatteso dal primo giudice. A smentire la tesi dell’iniziativa adottata dal Comune per “evitare la gara”, il Tribunale Amministrativo Regionale ha posto in rilievo che la società ricorrente aveva dato un significato non oggettivo alla deliberazione impugnata. Ed ha sottolineato che era compiutamente chiarito che l’adesione al consorzio non era il momento conclusivo, ma il passaggio necessario per aderire alla società di capitali, costituita appositamente per la futura gestione del servizio.
È da considerare, inoltre, che la scelta di un mezzo, previsto dalla legge, per la gestione di un servizio pubblico – nella specie la scelta di trasformare una gestione diretta, attraverso l’adesione ad un’azienda consortile, in altra mediante l’affidamento a una società di capitali – non può ragionevolmente riconoscersi viziata da eccesso di potere per sviamento, posto che è attività che persegue un fine espressamente consentito dall’ordinamento con lo strumento adottato.
6. Con il terzo motivo, si lamenta carenza di istruttoria e contraddittorietà, in ordine alla valutazione in venticinque miliardi di lire del conferimento del Comune nell’Azienda, valutazione inferiore alle stime in precedenza compiute dalla stessa Amministrazione.
In ordine all’eccepito difetto di interesse a dedurre una simile censura, è possibile osservare che, stabilita la legittimazione all’impugnazione (supra par.fo 2.1), con la censura in esame si mette in discussione un elemento determinante della scelta compiuta dal Comune. Ne segue che non può disconoscersi l’interesse della società ricorrente a lamentare il vizio indicato.
Nel merito, tuttavia, è da porre in rilievo che il T.A.R. ha considerato che non è comparabile la cessione dell’azienda – in funzione dell’acquisizione di una quota di partecipazione al consorzio, e, si aggiunge qui, in funzione dell’acquisizione di una quota azionaria nella costituenda società di capitali - ri-spetto alla gara, “che riguarda la sola gestione del servizio”. C’è stata una valutazione di convenienza non sindacabile e, in ogni caso, ha rilevato il primo giudice, nella deliberazione è stata esplicitata la ragione della scelta. Sono considerazioni che vanno condivise, giacché non è solo il provento che si può ritrarre dall’una o dall’altra delle soluzioni previste dalla legge, l’elemento decisivo e qualificante della scelta. La motivazione riguardante i vari fattori esaminati è esplicitata, nella deliberazione contestata, con il rilevarsi che la convenienza della soluzione adottata è dimostrata dalla relazione tecnica acquisita e che le altre forme “previste dal d. lgs. 164/00” (gara o trasformazione della gestione in società di capitali, e dunque trasformazione circoscritta al Comune stesso) non erano convenienti “nei fatti”, per le dimensioni non sufficientemente consistenti e remunerative dell’impianto, in relazione ai parametri tariffari stabiliti dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas.
7. Con il quarto motivo si sostiene che vi era obbligo di dar notizia del procedimento alla società ricorrente, per una più avveduta e conveniente decisione amministrativa.
Anche quest’ultima censura non ha pregio.
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha negato l’obbligo di dare avviso, perché il provvedimento di adesione al consorzio non riguardava la società ora appellante ed essa non era né destinataria, né soggetto altrimenti obbligato ad intervenire nel procedimento.
La statuizione va confermata. L’obbligo di dare comunicazione dell’avvio di un procedimento è stabilito nell’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241. Ad esso va data ottemperanza nei riguardi dei soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, di quelli che per legge devono intervenirvi e di quelli che ne ricevono pregiudizio. Nessuna di queste situazioni è rinvenibile in capo alla società ricorrente, la quale è stata definita, con la citata statuizione passata in giudicato, operatore del settore ed aspira unicamente a partecipare ad una gara per la concessione del servizio pubblico in parola. Se si trattasse di un pregiudizio, si dovrebbe concludere che l’avviso doveva essere dato a tutte le imprese operatrici nel settore e che potevano aspirare a prendere parte alla stessa gara. Con un risultato palesemente illogico, perché sproporzionato, avuto riguardo al predetto obbligo di comunicazione, dovendosi aver riguardo, secondo la legge, a soggetti individuati o facilmente individuabili, e perciò portatori di un interesse immediato e puntuale, non già generico al corretto svolgimento dell’azione amministrativa specifica.
8. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.
9. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello.
Condanna la parte soccombente al pagamento, in favore di ciascuna delle parti resistenti, alla somma di tremila euro.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio del 3 febbraio 2004, con l'intervento dei Signori:
Raffaele Iannotta Presidente
Giuseppe Farina rel. est. Consigliere
Corrado Allegretta Consigliere
Chiarenza Millemaggi Cogliani Consigliere
Claudio Marchitiello Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Giuseppe Farina f.to Raffaele Iannotta
IL SEGRETARIO
f.to Cutrupi
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14 maggio 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale |