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Consiglio di Stato, Sez. VI, 25/1/2005 n. 168
La disposizioni comunitarie in tema di appalti pubblici di servizi, applicabili anche alle concessioni di beni pubblici, non trovano applicazione solo quando manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l'ente pubblico e il soggetto gestore.

La normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione (e pertanto l'affidamento diretto della gestione del servizio è consentito anche senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle norme comunitarie) solo quando manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l'ente pubblico e il soggetto gestore, come nel caso, secondo la terminologia della Corte di Giustizia, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale, "in house" (cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal).
In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l'applicazione delle direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona (giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o con gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s'intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario. In detta evenienza, pertanto, l'affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie innanzi citate".
Le coordinate esposte sono applicabili anche alle concessioni di beni pubblici (nella specie concessione demaniale marittima), fungendo da parametro di interpretazione e limitazione del diritto di insistenza di cui all'articolo 36 del codice della navigazione.

Materia: servizi pubblici / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 8941/2003 proposto sul ricorso n. 178/2002 del Consorzio Ventuno s.c.a.r.l., rappresentato e difeso dagli avv.ti Luca Ponti e Paviotti Roberto ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Lucio Ghia, in Roma via delle Quattro Fontane n. 10;

 

contro

la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Gino Marzi, con elezione di domicilio in Roma, piazza Colonna n. 355, presso l’Avvocatura Regionale;

 

e nei confronti

dell’Agenzia di Informazione e di accoglienza turistica di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano (già Azienda di promozione turistica di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano) in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Renato Fusco e Sergio Vacirca, presso il secondo elettivamente domiciliata in Roma, alla via Flaminia, n. 195;

ed il Ministero dei Trasporti e della Navigazione, in persona del Ministro pro tempore, e la Capitaneria di Porto di Monfalcone in persona del legale rappresentante pro-tempore, non costituiti;

 

per l’annullamento

della sentenza resa dal Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli Venezia Giulia, n. 1077/2002, resa inter partes, con cui è stato respinto il ricorso proposto dal Consorzio Ventuno avverso:

a) il decreto VTP/20/DE.1 del 3 gennaio 2002 del Direttore Regionale della Viabilità e dei Trasporti con cui è stata rilasciata all’Azienda di Promozione Turistica di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano la concessione in ordine all’utilizzo per uso turistico e ricreativo di un tratto di arenile e specchio acqueo demaniale marittimo della superficie complessiva di mq 224.838 (83.850+139.488 di cui ai precedenti atti n. 50/85 e n. 107/98) siti in Comune di Lignano Sabbiadoro, sul Lungomare Trieste, allo scopo di mantenervi impianti balneari ad uso pubblico, le relative pertinenze ed una terrazza a mare, secondo la regolamentazione del Disciplinare n. 7485 del 29.1.2002; b)il connesso disciplinare n. 7485 del 29 gennaio 2002; c)la presupposta relazione istruttoria del 22 gennaio 2002 predisposta dal  direttore del servizio del demanio marittimo

            Visto il ricorso in appello, ritualmente notificato e depositato;

            Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione e dell’agenzia;

            Viste le memorie prodotte dalle parti tutte;

            Visti gli atti tutti della causa;

            Uditi, alla pubblica udienza del 5 novembre 2004 - relatore il Consigliere Francesco Caringella, l’avv. Paviotti, l’avv. Manzi e l’avv. Vacirca;

            Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

 

FATTO E DIRITTO

1. Espone la ricorrente di essere una società consortile costituitasi allo scopo di concorrere all’assegnazione di una concessione demaniale marittima in Lignano Sabbiadoro, in un ambito già oggetto di concessione quarantennale a favore dell’Azienda di Promozione Turistica controinteressata. A tal fine depositava in data 9 giugno 2001 istanza di concessione.

Al termine dell’istruttoria sulle varie istanze di concessione acquisite agli atti la concessione veniva ancora una volta assegnata all’Azienda di Promozione Turistica. Di qui la proposizione, da parte della società in parola, dell’impugnativa giurisdizionale respinta con  la sentenza gravata in  appello.

Resistono la Regione e l’agenzia controinteressata, subentrata alla menzionata Azienda di Promozione Turistica.

Le parti hanno affidato al deposito di memorie l’ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.

All’udienza del 5 novembre 2004 a causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Con il primo motivo di appello la società ricorrente torna a revocare in dubbio la circostanza di fatto della presentazione, da parte dell’azienda risultata concessionaria, delle apposite istanze di concessione (e/o rinnovo) riscontrate dalla concessione impugnata. A confutazione della tesi della parte  ricorrente è sufficiente rimarcare che in atti constano regolari e tempestive domande di rinnovo presentate dall’azienda controinteressata in data 11.1.2000 per la concessione n. 50/85, in scadenza al 28.4.2000, e in data 8.9.2001, per quanto concerne la concessione n. 107/98 in scadenza il 31.12.2001. La circostanza che l’amministrazione si sia avvalsa, con riferimento alla prima concessione, della facoltà di rilasciare una concessione provvisoria non comporta certo consumazione degli effetti della domanda di concessione. E’ poi dirimente la circostanza che l’azienda, in epoca posteriore all’intervento della concessione provvisoria, abbia a più riprese richiamato l’istanza originaria al fine di ottenere una nuova determinazione che travalicasse i confini temporali della concessione provvisoria; e tanto con atti che, con chiarezza, rappresentano atti di impulso nuovi sui quali è legittimamente intervenuta la successiva determinazione all’esito della comparazione con le altre istanze medio tempore venute ad esistenza.

3. E’ invece fondata ed assorbente la censura, svolta con il secondo motivo e richiamata nei successivi motivi, con i quali la società consortile odiernamente appellante si duole della circostanza che la concessione sarebbe stata rilasciata in favore dell’azienda titolare della concessione quarantennale appena scaduta accorpando l’area di litorale rivendicata dal Consorzio con altra area interessata da una domanda di rinnovo non interessata da rituale pubblicazione o da altra forma di pubblicità. E’ in particolare fondata la prospettazione con la quale si stigmatizza che la ragione di preferenza conclusivamente ravvisata, data dall’opportunità di accorpare l’arenile di 85.350 mq richiesto dalla società ricorrente con l’arenile di mq 139.488 a contatto con il mare interessato dall’altra domanda di rinnovo, troverebbe il suo presupposto nell’illegittima sottrazione ad ogni logica di evidenza pubblica della procedura di rinnovo relativa a detta ultima area e nella conseguente illegittima sottrazione ad ogni confronto competitivo che ponesse tutti i soggetti interessati, in conformità ad una elementare regola di par condicio, nella possibilità di concorrere anche per la zona di arenile complessivamente intesa.

3.1. Il Consiglio non condivide il presupposto di fondo da cui muove il Primo giudice, secondo cui l’amministrazione non sarebbe tenuta a dare alcuna pubblicità alle domande di rinnovo delle concessioni in scadenza, con la conseguenza dell’addebitabilità all’inerzia della società appellante della mancata presentazione di domanda in contrapposizione.

Osserva in via preliminare il Collegio che l’articolo 18 del regolamento della navigazione marittima stabilisce l’obbligo di pubblicazione delle domande di concessione di particolare importanza per l’entità e lo scopo, senza fare alcuna distinzione tra domande di concessione originarie e domande di rinnovo di concessione già scadute o in scadenza. Se si considera che, a livello di interpretazione comunitaria, le domande di rinnovo o proroga di appalti o concessioni non possono dare luogo ad una procedura meno trasparente rispetto alle corrispondenti fattispecie di primo grado, si deve concludere nel senso della non praticabiltà di ogni opzione interpretativa che, connotando l’istituto del diritto di insistenza  di profili di chiaro contrasto con i superiori dettami europei, pretenda di conformare l’esercizio del diritto di cui all’articolo 36 del codice della navigazione di profili di privilegio in capo al concessionario, sub specie di sottrazione ad ogni forma di pubblicità per definizione pregiudiziale all’inaugurazione di una procedura realmente competitiva.

Si deve soggiungere che la rilevanza dell’estensione dell’area interessata dalla concessione in scadenza, pari a mq 139,488, consente di ravvisare l’integrazione anche del profilo quanti-qualitativo della particolare importanza della concessione sul piano dell’entità e dello scopo, al quale l’articolo 18 del regolamento, interpretato alla luce del diritto comunitario che in ogni caso impone l’inversione del rapporto regola-eccezione,  subordina l’integrazione delle forme di pubblicità della domanda date dall’affissione nell’albo comunale e nell’inserzione per estratto nel foglio degli annunzi legali.

3.2. Si deve rimarcare che in ogni caso l’obbligo di dare corpo a forme idonee di pubblicità deriva in via diretta dai principi del Trattato dell’Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza  di specifiche norme comunitarie o interne, in guisa da tenere in non cale  disposizioni interne di segno opposto.

Vale in questa sede osservare che, alla stregua della comunicazione della Commissione europea  del 12.4.2000, pubblicata in Gazzetta ufficiale n. C 121 del 29/04/200, richiamata e sviluppata da un circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per le politiche Comunitarie  n. 945 dell’1.3.2002, i principi di evidenza pubblica, da attuare in modo proporzionato e congruo all’importanza della fattispecie in rilievo vanno applicati, in quanto dettati in via diretta e self-executing dal Trattato, anche alle fattispecie non interessate (nella specie concessione di servizi) da specifiche disposizioni comunitarie volte a dare la stura ad una procedura competitiva puntualmente regolata.

Con la comunicazione della Commissione si è rimarcato che “benché il Trattato non contenga alcuna esplicita menzione degli appalti pubblici, né delle concessioni, molte delle sue disposizioni sono rilevanti in materia. Si tratta delle norme del Trattato che presidiano e garantiscono il buon funzionamento del mercato unico, ossia: - le norme che vietano qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità (articolo 12, paragrafo 1, ex articolo 6, paragrafo 1); - le norme relative alla libera circolazione delle merci (articoli 28 - ex 30 - e seguenti), alla libertà di stabilimento (articoli 43 - ex 52 - e seguenti), alla libera prestazione di servizi (articoli 49 - ex 59 - e seguenti) nonché le eccezioni a tali norme previste agli articoli 30, 45 e 46 (ex articoli 36, 55 e 56);- le disposizioni dell'articolo 86 (ex 90) del Trattato”.

La circolare ha a sua volta puntualizzato che “a prescindere dall’applicabilità di specifici regimi, tutte le concessioni ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni degli articoli da 28 a 30 (ex articoli da 30 a 36), da 43 a 55 (ex articoli da 52 a 66) del Trattato o dei principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte. Si tratta in particolare dei principi di non discriminazione, di parità di trattamento, di trasparenza, di mutuo riconoscimento e proporzionalità così come risultano dalla costante tradizione giurisprudenziale della Corte europea che si è posta all’avanguardia nella loro elaborazione”. Segnatamente “il principio di trasparenza,  strettamente legato a quello di non discriminazione poiché garantisce condizioni di concorrenza non falsate ed esige che le amministrazioni concedenti rendano pubblica, con appropriati mezzi di pubblicità, la loro intenzione di ricorrere ad una concessione. Secondo le indicazioni della Commissione europea (cfr. il punto 3.1.2 della Comunicazione interpretativa) tali forme di pubblicità dovranno contenere le informazioni necessarie affinché potenziali concessionari siano in grado di valutare il loro interesse a partecipare alla procedura quali l’indicazione dei criteri di selezione ed attribuzione, l’oggetto della concessione e delle prestazioni attese dal concessionario. Spetterà poi in particolare ai giudici nazionali valutare se tali obblighi siano stati osservati attraverso l’adozione di appropriate regole o prassi amministrative.” A sua volta, “il principio di parità di trattamento implica che le amministrazioni concedenti pur essendo libere di scegliere la procedura di aggiudicazione più appropriata alle caratteristiche del settore interessato e di stabilire i requisiti che i candidati devono soddisfare durante le varie fasi della procedura, debbano poi garantire che la scelta del candidato avvenga in base a criteri obiettivi e che la procedura si svolga rispettando le regole e i requisiti inizialmente stabiliti (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 25 aprile 1996, causa C-87/94 Bus Wallons, punto 54). La Commissione individua quali esempi di pratiche contrarie alla parità di trattamento quelle che permettono l’accettazione di offerte non conformi al capitolato d’oneri o modificate successivamente alla loro apertura ovvero la presa in considerazione di soluzioni alternative qualora la possibilità non sia stata prevista dal progetto iniziale.

La sottoposizione delle concessioni di servizi al principio di non discriminazione, in particolare in base alla nazionalità, è stato recentemente confermato anche dalla giurisprudenza comunitaria, che ha precisato come l’obbligo di trasparenza a cui sono tenute le amministrazioni consiste nel garantire, in favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura degli appalti dei servizi alla concorrenza nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione (Corte di giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, cit., considerato n. 62)”.

La circostanza che le direttive comunitarie in materia di appalti siano attuative dell’art. 81 del Trattato porta in sostanza a ritenere che queste norme siano puramente applicative, con riferimento a determinati  appalti, di principi generali che, essendo sanciti in modo universale dal Trattato, sono ovviamente valevoli anche per contratti e  fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate.

Donde l’immediata operatività dei principi, sopra esposti con riferimento  alla concessione di servizi, anche agli appalti sottosoglia (vedi la circolare del Dipartimento per le Politiche comunitarie del 30.6.2002 ove si richiama l’ordinanza  3 dicembre 2001, in C-59/00, e sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324, Teleaustria c. Post & Telekom Austria, rese dalla Corte di Giustizia), ed ai contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l’interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti e, infine, alle stesse concessioni di beni pubblici di rilevanza economica.  La Corte di giustizia ha in particolare statuito che “sebbene le direttive comunitarie che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici si applichino soltanto ai contratti il cui valore supera un determinato limite previsto espressamente in ciascuna delle dette direttive, il solo fatto che il legislatore comunitario abbia considerato che le procedure particolari e rigorose previste in tali direttive non sono adeguate allorché si tratta di appalti pubblici di scarso valore, non significa che questi ultimi siano esclusi dall'ambito di applicazione del diritto comunitario” (v., in tal senso, ordinanza 3 dicembre 2001, in C-59/00, punto 19). Già in precedenza il giudice comunitario aveva sottolineato la necessità del rispetto del principio di trasparenza anche per gli appalti non rientranti espressamente nella sfera di applicazione di una direttiva, ricordando che “nonostante il fatto che siffatti contratti, allo stadio attuale del diritto comunitario, siano esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva 93/38, gli enti aggiudicatori che li stipulano sono ciò nondimeno tenuti a rispettare i principi fondamentali del Trattato in generale, e il principio di non discriminazione in base alla nazionalità in particolare” (sentenza 7 dicembre, 2000, in C-324/98, Teleaustria c. Post & Telekom Austria, punto 60). Prendendo le mosse da siffatte considerazioni la Corte di Giustizia ha rimarcato che anche per un appalto pubblico di lavori non eccedente il valore limite previsto dalla direttiva 93/37, “l’articolo 30 del Trattato osta  a che un’amministrazione aggiudicatrice inserisca nel capitolato d’oneri relativo al detto appalto una clausola che prescrive per l’esecuzione di tale appalto l’impiego di un prodotto di una determinata marca senza aggiungere la menzione o “equivalente” (Corte Giust. Ord. 3 dicembre 2001 cit., ove si mette in rilievo come la riserva del mercato ai soli offerenti che intendano utilizzare materiali prodotti in un certo Stato, nella specie l’Irlanda, può ostacolare le correnti d’importazione nel commercio intracomunitario, in contrasto con l’articolo 30 del Trattato; v., in tal senso, sentenza Corte Giust. 24 gennaio 1995, causa c- 359/93, Commissione/93). Anche il Consiglio di Stato, riconoscendo la giurisdizione del giudice amministrativo in un appalto di servizi di importo inferiore a quello previsto dalla disciplina comunitaria, ai sensi dell’articolo 33, lettera d), nel testo attuale del d. lgs. n. 80 del 1998 e dell’articolo 6, comma 1, della legge n. 205 del 2000, ha richiamato e condiviso gli orientamenti della Corte di Giustizia, puntualizzando che norme comunitarie vincolanti ben possono imporsi oltre il ristretto ambito applicativo delle direttive sugli appalti e che i sistemi di scelta del contraente ispirati alla par condicio presentano sempre i medesimi requisiti strutturali e richiedono, sul fronte del contenzioso, le medesime tecniche di indagine e giudizio (cfr. decisione del Consiglio di Stato, Sezione IV, 15 febbraio 2002, n. 934, Consiglio nazionale dei Chimici c. Azienda elettrica città di Bolzano). In un’altra precedente decisione i giudici di Palazzo Spada avevano già esteso la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie pertinenti a gare ad evidenza pubblica di importo inferiore alla soglia comunitaria espletate da una società avente i caratteri sostanziali dell’organismo di diritto pubblico (cfr. decisione del Consiglio di Stato, Sezione VI, 2 marzo 2001, n.1206, relativa a Poste Italiane s.p.a.).

Nelle citate decisioni, i giudici amministrativi hanno richiamato la posizione della Commissione UE, secondo la quale, anche nei casi in cui non trova applicazione la direttiva sugli appalti di servizi (in particolare, nel caso delle concessioni di pubblici servizi) la scelta del contraente incontra i limiti indicati dalle norme del Trattato in materia di libera prestazione di servizi e dai principi generali del diritto comunitario, tra cui la non discriminazione, la parità di trattamento, la trasparenza. Si impone così una scelta ispirata a criteri obiettivi e trasparenti, tali da assicurare in ogni caso la concorrenza tra i soggetti interessati (v. i progetti di comunicazione interpretativa della Commissione del 24.2.1999 e del 12.4.2000; v. anche, per l’affermazione dei medesimi principi e per la rilevanza generale degli obblighi di trasparenza nella scelta dei contraenti, specie quando si tratta di servizi pubblici, Corte di Giustizia CE, 7 dicembre 2000, C-324/98).

La giurisprudenza amministrativa, pur citando principi espressi dalla Corte di Giustizia con riferimento alle concessioni di servizi pubblici, che è figura diversa dall’appalto di servizi, ha riconosciuto agli stessi “una portata generale che può adattarsi ad ogni fattispecie che sia estranea all’immediato ambito applicativo delle direttive sugli appalti. Del resto, è utile ricordare che la tradizione dell’ordinamento interno è sempre stata quella di favorire la libera scelta del concessionario, introducendo ampie deroghe al regime dell’evidenza pubblica, e di considerare con maggior rigore, all’opposto, proprio la scelta del contraente appaltatore (dec. n. 934/2002 cit.)”.

Si è in particolare chiarito che “la normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione (e pertanto l'affidamento diretto della gestione del servizio è consentito anche senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle norme comunitarie) solo quando manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l’ente pubblico e il soggetto gestore, come nel caso, secondo la terminologia della Corte di Giustizia, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale, "in house" (cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 18 novembre 1999, causa C-107/98, Teckal).

In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l’applicazione delle direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona (giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s'intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie innanzi citate”.

3.3. Le coordinate esposte sono applicabili anche alle concessioni di beni pubblici, fungendo da parametro di interpretazione e limitazione del diritto di insistenza di cui all’articolo 36 del codice della navigazione.

Sotto il primo punto di vista, l’indifferenza comunitaria al nomen della fattispecie, e quindi alla sua riqualificazione interna in termini pubblicistici o privatistici, fa sì che la sottoposizione ai principi di evidenza trovi il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale marittima si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti  sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione.

Né si può ritenere che la tradizionale idea della concessione  senza gara possa trovare giustificazione nell’art. 45 del Trattato, secondo cui  sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente capo, le attività che nello Stato nazionale partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri.

Secondo l’opzione preferibile la norma va interpretata in senso restrittivo, dovendo venire all’uopo rilievo un trasferimento di potere pubblicistico autoritativo non ravvisabile con riferimento all’istituto della concessione che, ai fini comunitari, si distingue dall’appalto essenzialmente con riguardo alle modalità di remunerazione dell’opera del concessionario.

In ordine al diritto di insistenza di cui all’articolo 37, comma 1, del codice della navigazione, posta l’inapplicabilità ratione temporis della disciplina dettata dell’art. 01, 2^ comma del D.L. 400/1993 convertito con modificazioni dalla l 494/1993, come sostituito dall’art. 10 della l. 16.3.2001 n. 88,  reputa in definizione il Collegio che un’interpretazione comunitariamente orientata di detto istituto porti a subordinarne l’esplicazione al rispetto dei presupposti dati:

a) dall’effettiva equipollenza delle condizioni offerte dal concessionario e dagli altri aspiranti sul piano della rispondenza agli interessi pubblici (vedi Cons. Stato, sezione V, decisione 27 settembre 2004, n. 27.9.04. n- 6267 );

b) dalla idonea pubblicizzazione della procedura relativa al rinnovo, in guisa da consentire alle altre imprese interessate la conoscenza del presupposto notiziale necessario al fine di esplicare, in una logica di par condicio effettiva, le chance concorrenziali in contrapposizione al titolare della concessione scaduta o in scadenza;

c) dalla necessità di depurare, nei limiti possibili, la procedura dai fattori di vantaggio rivenienti in capo al concessionario dalla titolarità della concessione ovvero dalla titolarità di altro rapporto concessiorio funzionalmente collegato al primo.

3.4. Detti limiti sono stato nella specie travalicati.

Ed infatti, da un lato, il ricordato principio di trasparenza è stato vulnerato con l’avvio di una procedura non pubblicizzata di rinnovo, certo non surrogabile da un non esigibile onere di attivazione  ufficiosa delle imprese interessate; dall’altro lato la ragione essenziale di preferenza, data dalla necessità di abbinare l’arenile interessato dalla richiesta di concessione con quello a contatto con il mare, non è stata preceduta dalla doveroso esternazione della volontà dell’amministrazione di procedere al rilascio unitario del compendio in modo da indirizzare in tale direzione le altre domande. Donde l’attribuzione di una posizione di vantaggio precostituita e non contendibile in favore  del concessionario per effetto della non annunciata reductio ad unitatem delle due procedure, con conseguente violazione, ad un tempo, dei ricordati principi in punto di trasparenza e di non discriminazione. Violazione aggravata dalla mancata considerazione dell’opzione, pure evidenziata expressis verbis nella domanda di concessione dell’appellante, di estendere la domanda di concessone relativa ai ricordati mq 85,350 al corrispondente tratto confinante con il mare, all’epoca interessato dalla procedura di rinnovo non ancora definita.

4. Le considerazioni esposte comportano l’accoglimento dell’appello, l’annullamento della sentenza gravata e l’annullamento del provvedimento della Regione 31.1.2002, n. 1058, unitamente agli atti connessi, con salvezza degli ulteriori provvedimenti amministrativi da adottare nel rispetto delle coordinate fin qui esposte.

Non è invece suscettibile di accoglimento allo stato la domanda di risarcimento danni, in quanto, in disparte i suoi profili di genericità, l’annullamento della procedura restaura la chance che si assume pregiudicata in modo da fungere da strumento di tutela in forma specifica allo stato satisfattorio in assenza di un accertamento amministrativo della spettanza del bene della vita.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura in dispositivo fissata.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie l’appello in epigrafe indicato nei sensi in motivazione specificati, annulla la sentenza di primo grado e, per l’effetto, annulla i provvedimenti  gravati in prime cure nei sensi in motivazione specificati.

Condanna in solido la Regione Friuli Venezia Giulia e l’Agenzia di Informazione e di accoglienza turistica di Lignano Sabbiadoro e della Laguna di Marano al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del giudizio, che si liquidano ella misura di 5000 (cinquemila) euro.

Così deciso in Roma, il 5 novembre  2004, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Giorgio GIOVANNINI                       Presidente

Sabino LUCE                                     Consigliere

Carmine VOLPE                                 Consigliere

Giuseppe MINICONE                        Consigliere

Francesco CARINGELLA                  Consigliere Est.

 

Presidente

Consigliere                                          Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il.25 gennaio 2005

 

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

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