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TAR Sardegna, sez. I, 27/3/2007 n. 549
Sull'illegittimità di un affidamento in via esclusiva e senza gara del servizio idrico integrato comunale ad una società a partecipazione pubblica, di cui il comune è socio minoritario.

In base alla normativa europea gli affidamenti di opere e servizi, in via diretta e senza gara, erano e sono consentiti, solo a condizione che gli stessi avvengano "in house", ossia in favore di società a partecipazione pubblica totalitaria, le quali realizzino la parte più importante della propria attività con l'ente pubblico che le controlla e sulle quali quest'ultimo eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri apparati burocratici. Il giudice comunitario ha, di recente, escluso che il richiesto "controllo analogo" possa sussistere in presenza di una partecipazione, anche minoritaria, di un'impresa privata al capitale della società pubblica affidataria. Pertanto, è illegittimo l'affidamento in via esclusiva e senza gara del servizio idrico integrato comunale ad una società a partecipazione pubblica, di cui il comune è socio minoritario, per violazione della normativa comunitaria.

Materia: acqua / servizio idrico

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER LA SARDEGNA SEZIONE PRIMA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso n° 783/06 proposto dall’ A.C.Q.U.A.V.I.T.A.N.A. s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Eulo e Paolo Cotza, presso il cui studio, in Cagliari, piazza Michelangelo n°14 è elettivamente domiciliata;   

 

contro

il Comune di Sinnai, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Umberto Piroddi, presso il cui studio in Cagliari, via Tuveri n°94, è elettivamente domiciliato;

l’Area Tecnica – Settore LL.PP. e SS.TT. del suddetto comune, in persona del legale rappresentante, non costituito in giudizio;

 

per l’annullamento

del bando di gara in data 26/9/2006 con cui il Dirigente dell’Area Tecnica – Settore LL.PP. e SS.TT. del Comune di Sinnai ha indetto una gara d’appalto per l’affidamento di alcuni lavori.

Visto il ricorso con i relativi allegati.

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata.

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese.

Visti gli atti tutti della causa.

Nominato relatore per la pubblica udienza del 7/3/2007 il consigliere Alessandro Maggio e uditi, altresì, gli avvocati delle parti come da separato verbale.

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

 

FATTO

     Il Comune di Sinnai, dopo aver promosso la costituzione della società a partecipazione pubblica, denominata A.Q.U.A.V.I.T.A.N.A. s.p.a., di cui il medesimo è socio minoritario, con contratto stipulato in data 6/6/2000, avente scadenza il 31/12/2030, ha affidato alla detta società, in via esclusiva e senza gara, il servizio idrico integrato comunale. 

     Sennonché, con bando di gara in data 26/9/2006 il Dirigente dell’Area Tecnica – Settore LL.PP. e SS.TT. dell’anzidetto Comune ha indetto una procedura aperta per l’affidamento di lavori (ampliamento della rete di distribuzione dell’acqua potabile alle aziende agricole e zootecniche e di adeguamento dell’impianto di potabilizzazione esistente) compresi fra quelli oggetto della menzionata convenzione.

     Ritenendo il bando illegittimo l’ A.C.Q.U.A.V.I.T.A.N.A. lo ha impugnato chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi.

     1) Nell’indire l’avversato procedimento di evidenza pubblica il Comune di Sinnai ha violato gli obblighi derivanti dal contratto sopra menzionato.

     Il censurato comportamento evidenzia, inoltre, i vizi di difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti, contraddittorietà e difetto di motivazione.

     2) La riconducibilità dell’oggetto della gara nell’alveo dei contenuti contrattuali, attribuisce alla ricorrente la posizione di controinteressata rispetto all’atto impugnato. Alla stessa, pertanto, doveva essere necessariamente data la comunicazione di cui all’art. 7 della L. n°241/1990.

      3) Attraverso l’atto impugnato l’intimata amministrazione, per un verso tenta di sottrarre alla ricorrente una porzione del servizio già affidatole in concessione, mentre, per altro verso, rispetta pianamente le restanti parti della medesima concessione beneficiando così del servizio reso dall’odierna istante. Tutto ciò vizia il provvedimento gravato di contraddittorietà e sviamento.

     Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata depositando memoria con cui si è opposta all’accoglimento del ricorso.

     Alla pubblica udienza del 7/3/2007 la causa, su richiesta delle parti, è stata posta in decisione.

 

DIRITTO

     I primi due motivi di gravame possono essere esaminati in un unico contesto.

     In punto di fatto occorre premettere che:

     a) il Comune di Sinnai, ha promosso la costituzione di una società per azioni a partecipazione pubblica, denominata A.Q.U.A.V.I.T.A.N.A., di cui lo stesso è socio minoritario;

     b) con contratto stipulato in data 6/6/2000, avente scadenza il 31/12/2030, il medesimo comune ha affidato, in via esclusiva alla detta società, il servizio idrico integrato comunale; 

     c) l’affidamento è avvenuto in via diretta e senza gara;

     d) con bando di gara del 26/9/2006 l’ente ha indetto una procedura aperta per l’aggiudicazione di lavori compresi fra quelli oggetto della menzionata convenzione.

     Orbene, lamenta, in primo luogo, l’A.C.Q.U.A.V.I.T.A.N.A. che la decisione di avviare la anzidetta procedura di evidenza pubblica, sarebbe lesiva del diritto ad essa spettante, in base al ricordato atto negoziale, di eseguire le opere messe in gara.

     Rileva il Collegio che il contratto a suo tempo stipulato da comune e odierna ricorrente, con la sottostante determinazione di concluderlo, pur essendo conformi alla legislazione interna all’epoca vigente, ed in particolare agli artt. 22 della L. 8/6/1990 n°142 e 12 della L. 23/12/1992 n° 498 (quest’ultimo in particolare permetteva agli enti locali ivi considerati di costituire, “per l’esercizio di servizi pubblici e per la realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento del servizio … apposite società per azioni senza vincolo della proprietà maggioritaria …”), violavano, e violano tuttora, la normativa comunitaria, ed in particolare le disposizioni in materia di appalti pubblici e le norme del trattato poste a presidio della libera circolazione delle merci (art. 28) e dei servizi (art. 49), della libera concorrenza (art. 81) e della libertà di stabilimento (art. 43), di cui le prime sono espressione.

     Com’è noto, infatti, in base alla normativa europea gli affidamenti di opere e servizi, in via diretta e senza gara, erano e sono consentiti, solo a condizione che gli stessi avvengano “in house”, ossia in favore di società a partecipazione pubblica totalitaria, le quali realizzino la parte più importante della propria attività con l'ente pubblico che le controlla e sulle quali quest’ultimo eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri apparati burocratici (cfr. Corte Giust. C. E. 18/11/1999, in causa C-107/98 e 8/5/2003 in causa C-349/97, T.A.R. Lazio – Roma, II Sez., 15/4/2005 n°2762). Condizione, questa, nella fattispecie di certo insussistente.

     A tecer d’altro, è qui sufficiente rilevare, che il giudice comunitario ha, di recente, escluso che il richiesto “controllo analogo” possa sussistere in presenza di una partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale della società pubblica affidataria (cfr. Corte Giust. C.E., I Sez., 11/1/2005, in causa C-26/03).

     Appurata, la sussistenza del descritto contrasto col diritto comunitario, occorre chiedersi quali conseguenze debbano trarsene sul piano sostanziale e processuale.

     Con riguardo al primo aspetto della questione la prevalente giurisprudenza nazionale, prendendo le mosse dalla tesi che definisce i rapporti tra diritto interno e diritto comunitario in termini di integrazione fra i due ordinamenti, ha ricondotto il vizio generato dall’inosservanza delle norme comunitarie alla categoria dell’illegittimità per violazione di legge con conseguente annullabilità del provvedimento, (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V Sez., 10/1/2003 n°35).

     Solo in isolate pronunce, invero, si è giunti alla conclusione di configurare il vizio dell’atto anticomunitario in termini di nullità inesistenza (cfr. T.A.R. Piemonte 8/2/1989 n°34). Ma tale tesi è stata, anche di recente, smentita dal Consiglio di Stato, il quale, nel confermare il tradizionale orientamento, ha ulteriormente rilevato che “l’entrata in vigore dell’art. 21 septies della legge n° 241/1990, introdotto dalla legge n° 15/2005, ha codificato le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, che costituiscono quindi un numero chiuso e all’interno delle quali non rientra il vizio consistente nella violazione del diritto comunitario” (così Cons. Stato, VI, 22/11/2006 n°6831, e 3/3/2006 n°1023).

     Sul piano processuale, i riflessi della riferita impostazione sostanziale hanno portato la giurisprudenza nazionale ad escludere che il giudice possa disapplicare (salva l’ipotesi degli atti di normazione secondaria) l’atto contrario al diritto comunitario, e a ritenere che tale conclusione non risulti incompatibile con il principio della “primautè” del diritto comunitario e con il suo carattere vincolante, oltre che per i giudici, per il legislatore e le amministrazioni.

     Il provvedimento, ancorché viziato perché emanato in violazione del diritto comunitario, è idoneo, secondo principi noti, a produrre tutti i suoi effetti, con conseguente onere per l’interessato di proporre avverso il medesimo tempestiva impugnazione, (cfr., fra le tante, Cons. Stato IV Sez., 21/2/2005 n°579, nonchè citata sent. n°35/2003).

     La possibilità di disapplicare minerebbe le esigenze di certezza dei rapporti giuridici pubblicistici, nonché i principi di stabilità, affidamento, continuità dell’azione amministrativa, presunzione di legittimità che pure hanno una loro funzione nell’attività amministrativa. 

     Giova segnalare, peraltro, che la Corte di Giustizia, nel confermare che non contrasta con la normativa europea la legislazione nazionale che assoggetti a termini decadenziali il ricorso avverso provvedimenti illegittimi per violazione delle norme comunitarie, ove questa non restringa ingiustificatamente la tutela delle situazioni giuridiche garantite dalle dette norme, ha ammesso la possibilità di disapplicazione laddove la tempestiva impugnazione sia stata ostacolata da fatti imputabili alla pubblica amministrazione (cfr., da ultimo, Corte Giust. C.E. 27/2/2003 in causa C-327/00, idem 18/6/2002 in causa C- 92/00 e 29/4/1999 in causa C-224/97).

     La giurisprudenza nazionale, confortata almeno in linea di principio da quella comunitaria, risulta, dunque, orientata ad escludere tassativamente la disapplicazione dei provvedimenti individuali e concreti.

     Almeno a quanto consta, però, la problematica dei riflessi sul processo del vizio derivante da violazione della normativa comunitaria è stata sempre affrontata nell’ottica del soggetto leso dall’atto, concentrandosi la discussione, come più sopra rilevato, sulla necessità o meno di proporre tempestiva impugnazione.

     Pur condividendo le riferite acquisizioni giurisprudenziali in ordine alla problematica della disapplicazione, quando essa riguardi il provvedimento oggetto di gravame, il Collegio ritiene che la questione debba porsi in termini differenti nel caso in cui il ricorrente non contesti l’atto emanato in violazione del diritto comunitario, ma, al contrario, fondi su di esso le propri ragioni, affermando che il provvedimento impugnato è illegittimo perché contrastante con l’atto anticomunitario.

     Nella descritta ipotesi, la regola sull’onere di impugnazione, con tutti i suoi portati, non viene in rilievo, poiché anzi il privato chiede l’applicazione dell’atto viziato sotto il profilo comunitario, cosicchè non possono frapporsi ostacoli a che il giudice giudichi la controversia alla luce degli effettivi parametri di legalità sostanziale, nel pieno rispetto del principio di preminenza del diritto comunitario.

     Del resto, in termini più generali, l’esigenza che la valutazione dell’azione amministrativa sia condotta sulla base di canoni di legittimità sostanziale e non meramente formale, deve ritenersi immanente nell’ordinamento e trova, ormai, sicuri riscontri normativi nella nuova disciplina del procedimento amministrativo introdotta con la L. 7/8/1990 n°241, come modificata dalla L. 11/2/2005 n°15 e dal D.L. 14/3/2005, conv. in L. 14/5/2005 n°80.

     Tale esigenza mal si concilia con un’interpretazione dell’istituto della disapplicazione che porti ad estendere il divieto di disapplicare oltre i limiti segnati dalla sua stessa ragion d’essere (cfr. in relazione ad una fattispecie che presenta aspetti di analogia con quella oggetto di causa, T.A.R. Sardegna, I Sez., 2/8/2005 n°1725).

     Deve, pertanto, ritenersi che nell’ipotesi descritta, l’atto (anche negoziale) su cui il ricorrente fonda le proprie pretese, possa esplicare i propri effetti solo laddove sia conforme al diritto comunitario, non potendo, in caso contrario, costituire fonte di legittime aspettative del privato.

     In quest’ultima ipotesi sarà doveroso per il giudice disapplicarlo o comunque giudicare la controversia senza tenerne conto.

     Alle considerazioni svolte occorre aggiungere che la tesi prospettata dalla ricorrente condurrebbe all’assurda conseguenza di annullare un atto conforme al diritto comunitario (oltre che a quello interno), il quale impone, anche in relazione agli appalti sotto soglia (cfr. Cons. Stato, VI Sez.,  25/1/2005 n°168), che gli affidamenti avvengano mediante gara.

     Alla luce delle esposte argomentazioni, poiché, come più sopra rilevato, la menzionata convenzione in data 6/6/2000 era ed è contraria ad un precetto di rango comunitario, la stessa va disapplicata, di modo che il provvedimento impugnato va dichiarato esente dal dedotto profilo di illegittimità.

     Non potendo la ricorrente fondare legittime aspettative sulla menzionata convenzione, in quanto contraria al diritto comunitario, deve negarsi che alla medesima dovesse essere data la comunicazione di cui all’art. 7 della citata L. n°241/1990.

     Nemmeno il terzo motivo merita accoglimento

     Al riguardo è sufficiente osservare che, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, affinché la censura di sviamento di potere possa ritenersi fondata occorre che gli elementi emersi rivelino in modo indubbio il dissimulato scopo dell'atto (cfr. T.A.R. Sardegna 7/4/2006 n° 509); condizione questa, che nella specie, non si rinviene.

     In definitiva il ricorso non merita accoglimento.

     Sussistono validi motivi per disporre l’integrale compensazione di  spese ed onorari di giudizio.

 

P.Q.M.

     IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SARDEGNA – SEZIONE I

     Rigetta il ricorso in epigrafe.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

     Così deciso in Cagliari, in Camera di Consiglio, il 7/3/2007 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con l’intervento dei Signori:

     Paolo Numerico,  Presidente;

     Silvio Ignazio Silvestri, Consigliere;

     Alessandro Maggio,  Consigliere – estensore.

 

Depositata in segreteria oggi:27/03/2007

Il Segretario generale f.f.

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