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Consiglio di Stato, Sez. V, 23/10/2007 n. 5587
Sulle condizioni che consentono il legittimo affidamento di servizi pubblici e di appalti pubblici con il sistema dell'in house providing e a società miste: rimessione all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Va rimessa ai sensi dell'art. 45 T.U. n. 1054 del 1924, all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, al fine di assicurare una linea ermeneutica omogenea e unitaria, la decisione sulle questioni concernenti l'individuazione delle condizioni che consentono il legittimo affidamento di servizi pubblici e di appalti pubblici con il sistema dell'in house providing e a società miste.

Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta  Sezione         

ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 1038/2007 proposto dalla ASL 19 di Asti, in persona del commissario legale, rappresentata e difesa dagli Avvocati Prof. Carlo Emanuele Gallo e Prof. Alberto Romano ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, Lungotevere Sanzio, n. 1.

 

CONTRO

Medicasa Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avvocati Paolo Vaiano, Prof. Diego Vaiano e Raffaele Izzo, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Lungotevere Marzio, n. 3.

 

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Seconda, 4 giugno 2007, n. 2539.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte appellata;

Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti di causa;

Relatore alla pubblica udienza del 3 luglio 2007, il Consigliere Marco Lipari;

Uditi gli avvocati Alberto Romano e Paolo Vaiano, come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 

FATTO

La sentenza impugnata, in accoglimento del ricorso e dei successivi motivi aggiunti proposti dalla società MEDICASA ITALIA S.p.A, ha annullato i seguenti atti:

      - determina del Direttore del Dipartimento Tecnico Logistico F.F. n. 520/T.L. del 23 ottobre 2006, con la quale l’ASL 19 Asti - Regione Piemonte - aveva revocato la procedura ristretta indetta con determina n. 247/T.L. del 27/04/2006 per l’individuazione di partner per la fornitura di supporto integrativo per attività sanitarie territoriali di cura alla persona (cure sanitarie domiciliari), e con lo stesso provvedimento aveva affidato il predetto servizio alla società mista pubblico-privato, Azienda Multiservizi Ospedalieri e Sanitari S.p.A. (AMOS S.p.A.), per un triennio;

- determina n. 526/T.L. del 26/10/2006 con la  quale direttore del dipartimento Tecnico Logistico F.F. dell’ASL 19 ASTI aveva rettificato la determina n. 520/T.L. del 23/10/2006 dichiarandone l’immediata esecutività;

- nota del 4 ottobre 2006, prot. n. 19835 con la quale l’ASL 19 Asti aveva invitato la ricorrente a mettere a disposizione della società AMOS tutti i dati relativi alle gestione dell’assistenza domiciliare “avendo intenzione di procedere all’affidamento diretto” alla società innanzi citata.

L’amministrazione appellata contesta la decisione di primo grado, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’originario ricorso.

La società appellata resiste al gravame.

 

DIRITTO

Per valutare adeguatamente le questioni giuridiche all’esame del collegio, è utile ricostruire i tratti essenziali della vicenda all’origine della presente controversia.

La ASL 19 di Asti,con il bando di gara spedito per le pubblicazioni in data 11 maggio 2006, indiceva una gara avente ad oggetto “individuazione partner per la fornitura di supporto integrativo per attività sanitarie territoriali di cura alla persona” per la durata di cinque anni.

Successivamente, con nota in data 4 ottobre 2006, il direttore amministrativo della ASL, inviava la nota prot. n. 19835, alla società Medicasa, attuale gestrice del servizio e alla società mista Azienda Multiservizi Ospedalieri e Sanitari S.p.A. (AMOS S.p.A.), avente il seguente contenuto: “Avendo intenzione di procedere all’affidamento diretto alla società AMOS, da noi controllata, della gestione dell’assistenza domiciliare territoriale, si invita la Ditta in indirizzo a mettere a disposizione della società AMOS tutti i dati relativi alla gestione di che trattasi”, precisando che la ASL 19 di Asti aveva acquisito da uno degli azionisti pubblici una quota del capitale della società AMOS (il 18% del totale), società costituita nel 1994 con la partecipazione di numerosi soggetti sia pubblici che privati.

Il provvedimento era impugnato dalla società Medicasa, nella sua duplice qualità di attuale titolare della gestione del servizio di assistenza domiciliare e di soggetto imprenditoriale operante nel settore, interessato ad aspirare all’affidamento del nuovo servizio, tramite l’espletamento di una gara pubblica.

In seguito, la società ricorrente, con motivi aggiunti depositati in data 3 novembre 2006, chiedeva l’annullamento, previa adozione di misura cautelare, della determina del Direttore del Dipartimento Tecnico Logistico F.F. n. 520/T.L. del 23 ottobre 2006, in corso di esecutività, con la quale la ASL n. 19 di Asti aveva revocato la procedura ristretta indetta con determina n. 247/T.L. del 27/04/2006 per l’individuazione di partners per la fornitura di supporto integrativo per attività sanitarie territoriali di cura alla persona (cure sanitarie domiciliari) e aveva affidato il predetto servizio ad AMOS, per un triennio; della determina n. 526/T.L. del 26/10/2006 con la quale il direttore del dipartimento Tecnico Logistico F.F. dell’ASL 19 ASTI aveva rettificato la determina n. 520/T.L. del 23/10/2006 dichiarandone l’immediata esecutività; di ogni altro atto presupposto, connesso e/o collegato a quelli impugnati ivi compresa la nota del 4 ottobre 2006, prot. n. 19835 con la quale l’ASL 19 Asti aveva invitato la ricorrente a mettere a disposizione della società AMOS tutti i dati relativi alle gestione dell’assistenza domiciliare “avendo intenzione di procedere all’affidamento diretto” alla società innanzi citata e, da ultimo, le note del 25 - 26 ottobre 2006 con cui la stessa amministrazione aveva comunicato la revoca della procedura ristretta precedentemente bandita e l’affidamento diretto, immediatamente esecutivo, del servizio alla società mista AMOS S.p.A, nonchè la condanna della ASL n. 19 al risarcimento del danno.

La sentenza appellata ha accolto il ricorso della Medicasa, annullando i provvedimenti impugnati.

Il tribunale ha svolto un’ampia e articolata motivazione, particolarmente attenta alla individuazione dei dati sostanziali che caratterizzano la società Amos.

In punto di diritto, poi, la pronuncia ha richiamato i principi interpretativi espressi dal parere della II Sezione n. 456/2007. Tuttavia, ha fondato la pronuncia di annullamento sulla ricostruzione ermeneutica proposta dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, -Sezione Giurisdizionale 27 ottobre 2006 n. 589, secondo cui l’art. 113, co. 5, lett. b) d.lgs. 267/2000 (come sostituito dall’art. 14, co. 1, lett. b), l. 326/2003), nella parte in cui consente l’affidamento diretto di un servizio pubblico di rilevanza economica ad una società mista a prevalente capitale pubblico, con socio privato scelto a seguito di gara, va interpretato restrittivamente, se non disapplicato, posto che, alla stregua della giurisprudenza comunitaria, deve attivarsi, per la scelta del gestore del sud-detto servizio, una seconda procedura ad evidenza pubblica. La gara per la scelta del socio privato, infatti, non è sovrapponibile a quella per l’affidamento del servizio, avendo tali procedure finalità ben distinte. Peraltro, l’affidamento diretto del servizio a società mista concreterebbe un affidamento in house al di fuori dei requisiti richiesti dal diritto comunitario, posto che se il socio privato detiene delle quote nella società aggiudicataria occorre presumere che l’autorità aggiudicatrice non possa esercitare su tale società un “controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi”. Ne deriva, nella specie, l’illegittimità dell’affidamento diretto del servizio idrico integrato a società mista, ancorché il partner privato sia stato scelto in esito a gara.”

I passaggi centrali della motivazione della sentenza appellata sono i seguenti. “Si è in presenza proprio di una società avente un oggetto plurimo e variegato dal punto di vista qualitativo, per cui non può affermarsi che la scelta con gara del socio effettuata “a monte” della costituzione della società garantisca gli stessi effetti di una pubblica gara da svolgersi con riferimento al singolo servizio: in altre parole la scelta del socio privato con gara garantisce che la concorrenza sia stata rispettata quando è chiaro che il socio è selezionato proprio per svolgere una specifica attività ovvero più attività all’interno di un unico settore (ad esempio quello sanitario), ma quando il bando di gara ovvero l’oggetto sociale non delimitano a sufficienza l’attività da svolgere che si presenta in modo ampio e variegato non è possibile affermare che la sola indizione di una gara per la scelta del socio (peraltro risalente nel tempo al momento della costituzione della società mista) abbia la stessa efficacia, in termini di rispetto dei principi della concorrenza, rispetto alla gara effettuata per l’aggiudicazione del singolo settore di attività.

     Inoltre, non si rinviene alcuna norma statutaria che limiti l’operatività della controinteressata entro l’ambito territoriale all’interno del quale operano le Aziende Sanitarie che partecipano al capitale sociale delle detta società, che quindi può, almeno astrattamente, operare anche in un ambito territoriale esterno rispetto a quello degli enti che l’hanno costituita beneficiando della “rendita di posizione” derivante dal collaborazione con le ASL di riferimento.

A ciò si aggiunga che ai sensi dell’articolo 7 dello Statuto della AMOS, le azioni sono liberamente trasferibili tra soggetti pubblici (con la possibilità quindi di trasferire anche la relativa area territoriale di competenza), mentre le azioni dei soggetti privati possono essere alienate o trasferite (con diritto di prelazione degli altri soci) dietro autorizzazione del Consiglio di Amministrazione che si intende concessa qualora il Consiglio non si pronunci nel termine di trenta giorni dal ricevimento della richiesta.

Vi è quindi un’ampia possibilità di accesso al capitale della società da parte di soggetti privati per i quali non viene rispettata la regola della scelta con procedura ad evidenza pubblica, ma che si avvantaggiano dell’originario affidamento di commesse pubbliche a mezzo della società “multiutilities”, in spregio dei principi di concorrenza.

Se poi, sotto il profilo appena descritto, si può ragionare in termini di indebito vantaggio di chi entra in società con l’ente pubblico, in altra prospettiva và dato atto che configura sicuramente una indebita restrizione del mercato il fatto che un soggetto imprenditoriale possa conseguire una determinata commessa pubblica solo entrando in società con l’amministrazione.

Non può, pertanto, condividersi l’affermazione contenuta nella memoria della ASL e della controinteressata nella quale si afferma che il principio di libera concorrenza sarebbe sostanzialmente rispettato essendo stato consentito a tutti gli operatori di entrare a fare parte della stessa società, essendo evidente la diversità tra la partecipazione ad una gara per l’aggiudicazione di un singolo servizio e la partecipazione ad gara per la scelta di partners per una società “multiutilities”.

3.2. Sotto il profilo della necessità della seconda gara per la scelta del soggetto affidatario, il Collegio ritiene di condividere l’impostazione sul punto della decisione C.G.A.R.S. in data 27 ottobre 2006 n. 589 (e non, per questo aspetto, quella del citato parere del Consiglio di Stato n. 456/2007), secondo la quale la tripartizione stabilita dall’articolo 113 comma 5 del d.lgs. n. 267/2000 (come sostituito dall’articolo 14 del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269) nelle modalità di affidamento dell’erogazione dei servizi pubblici locali “non sembra trovare riscontri nel diritto comunitario, al quale è estraneo un trattamento diversificato in favore delle società miste rispetto alle regole della piena concorrenza e quindi della partecipazione ad una gara specifica per ottenere l’affidamento di un servizio pubblico”.

La ASL appellante deduce, in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso di primo grado, sostenendo che la società Medicasa non avrebbe alcun interesse all’impugnazione dell’affidamento diretto alla società mista Amos, qualificata come diretta “emanazione della ASL”.

A dire dell’amministrazione, infatti, l’articolo 9 bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 impedisce radicalmente l’affidamento a terzi, con pubblica gara, dei servizi di assistenza alla persona. L’oggetto dell’affidamento consiste, secondo l’amministrazione, in un’attività di diretta tutela della salute, consistente nell’espletamento, presso il domicilio degli interessati, dei servizi di assistenza medica e infermieristica svolta in favore di assistiti già ospedalizzati.

L’eccezione è infondata.

La norma richiamata dalla ASL, rubricata “Sperimentazioni gestionali”, prevede, al comma 1, che “1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, autorizzano programmi di sperimentazione aventi a oggetto nuovi modelli gestionali che prevedano forme di collaborazione tra strutture del Servizio sanitario nazionale e soggetti privati, anche attraverso la costituzione di società miste a capitale pubblico e privato.”

Il comma 2 completa la disciplina, stabilendo che “2. Il programma di sperimentazione è adottato dalla regione o dalla provincia autonoma interessata, motivando le ragioni di convenienza economica del progetto gestionale, di miglioramento della qualità dell'assistenza e di coerenza con le previsioni del Piano sanitario regionale ed evidenziando altresì gli elementi di garanzia, con particolare riguardo ai seguenti criteri:

      a) privilegiare nell'area del settore privato il coinvolgimento delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale individuate dall'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460;

b) fissare limiti percentuali alla partecipazione di organismi privati in misura non superiore al quarantanove per cento;

c) prevedere forme idonee di limitazione alla facoltà di cessione della propria quota sociale nei confronti dei soggetti privati che partecipano alle sperimentazioni;

d) disciplinare le forme di risoluzione del rapporto contrattuale con privati che partecipano alla sperimentazione in caso di gravi inadempienze agli obblighi contrattuali o di accertate esposizioni debitorie nei confronti di terzi;

e) definire partitamente i compiti, le funzioni e i rispettivi obblighi di tutti i soggetti pubblici e privati che partecipano alla sperimentazione gestionale, avendo cura di escludere in particolare il ricorso a forme contrattuali, di appalto o subappalto, nei confronti di terzi estranei alla convenzione di sperimentazione, per la fornitura di opere e servizi direttamente connessi all'assistenza alla persona;

f) individuare forme e modalità di pronta attuazione per la risoluzione della convenzione di sperimentazione e scioglimento degli organi societari in caso di mancato raggiungimento del risultato della avviata sperimentazione.”

Non è convincente l’obiezione dell’appellata, secondo cui il divieto avrebbe un perimetro applicativo limitato ai soli casi di sperimentazione gestionale. Basterebbe replicare, infatti, che sarebbe del tutto illogico vietare il ricorso a soggetti terzi nelle forme di gestione sperimentali, ammettendolo, invece, nei moduli organizzativi ordinari.

Per questa ragione, non assume rilievo il dato sottolineato dalla ASL appellante, la quale afferma che l’affidamento in contestazione rientrerebbe, a pieno titolo, nel programma di sperimentazione approvato dalla Regione Piemonte (deliberazione della giunta regionale n. 41 in data 11 settembre 2006). Tale circostanza determinerebbe il divieto di adottare modalità di gestione consistenti nell’affidamento a terzi. Inoltre, determinerebbe anche l’inammissibilità del ricorso di primo grado, perché le determinazioni regionali non sono state tempestivamente impugnate.

Nessuna delle obiezioni proposte è condivisibile. L’autorizzazione regionale alla sperimentazione regionale, infatti, delinea, genericamente, la possibilità di alcune aziende sanitarie del Piemonte di definire singole e concrete attività finalizzate al recupero di efficienza gestionale e al risparmio di spesa. Senza trascurare, poi, che la delibera regionale si limita a dare atto che l’acquisto di quote societarie da parte della ASL 19 di Asti “non implica alcuna modifica relativa all’operatività della sperimentazione già in atto con altre ASL della Regione, sulla base delle autorizzazioni contenute nelle delibere della giunta n. 27 del 1 agosto 1983 e n. 59 del 3 agosto 1984.

Ma è evidente che la lesione dell’interesse della ricorrente di primo grado si è manifestata solo nel momento in cui la ASL 19 ha deciso di revocare la precedente procedura di gara, per effettuare l’affidamento diretto ad AMOS.

In ogni caso, non è esatto affermare che l’articolo 9-bis introduca un divieto assoluto di affidamento a terzi di determinate attività di assistenza medica e infermieristica domiciliare, direttamente riferita alla persona.

Infatti, la formula della lettera e) dell’articolo intende chiarire che i servizi alla persona devono essere necessariamente svolti da soggetti direttamente coinvolti nella convenzione di sperimentazione stipulata con le amministrazioni sanitarie interessate, vietando l’attribuzione di tali compiti a soggetti “terzi” rispetto a tali accordi.

Evidente è lo scopo della norma, che intende escludere l’inserimento nell’attuazione del programma di sperimentazione gestionale di soggetti rimasti estranei al rapporto convenzionale stipulato dall’amministrazione con altri centri di imputazione previamente individuati.

Quindi, diversamente da quanto sostenuto dalla ASL, la norma non prevede affatto un divieto assoluto di esternalizzazione dell’attività di cura alla persona, ma segna due chiare regole:

l’affidamento a terzi deve risultare conforme alle linee del programma di sperimentazione gestionale approvato dalla competente amministrazione sanitaria;

i soggetti terzi che possono svolgere, materialmente, i compiti di cura diretta alla persona devono essere parti dell’accordo di sperimentazione e non sono autorizzati a coinvolgere altri soggetti per l’attività direttamente riferibile alla cura alla persona.

Si può aggiungere, poi, che la disciplina legislativa regionale piemontese (legge 8 gennaio 2004, n. 1) considera il servizio di assistenza domiciliare integrato nell’ambito delle prestazioni socio-sanitarie di cui all’articolo 3-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.

Del resto, sembra ragionevole ritenere che il ventaglio delle ipotesi di sperimentazione delle nuove forme gestionali possa comprendere anche l’esternalizzazione di alcune attività di cura e assistenza sanitaria istituzionalmente spettanti alle ASL, se tale soluzione organizzativa risulta efficace ed economicamente conveniente, nel rispetto degli standard minimi di offerta del servizio sanitario.

D’altro canto, la tesi sostenuta dall’amministrazione appellante condurrebbe al risultato che lo stesso affidamento ad Amos sarebbe illegittimo, a meno che non si voglia ritenere che si tratti di un affidamento effettuato nel rispetto delle regole concernenti l’in house providing (secondo quanto specificato infra). In tal modo, però, la questione della legittimazione attiva della ricorrente di primo grado si sposterebbe sul diverso terreno del merito delle doglianze proposte dall’interessata e accolte dalla sentenza impugnata.

Dunque, la società Medicasa, in quanto soggetto operante nel settore delle attività di cura alla persona, che potrebbe essere parte di un rapporto convenzionale per l’attuazione della sperimentazione gestionale, ha interesse a censurare gli atti con cui l’amministrazione ha definito le modalità di svolgimento dell’attività, escludendo il ricorso a procedure selettive di scelta del partner privato e disponendo l’affidamento diretto ad una società a partecipazione pubblica e privata.

In definitiva, quindi, sussiste la legittimazione della società Medicasa a contestare i provvedimenti di affidamento del servizio ad Amos, salva la verifica della fondatezza dei motivi di gravame proposti.

Con un secondo motivo di appello, l’ASL censura, nel merito, la pronuncia di accoglimento del tribunale, secondo il quale è illegittimo l’affidamento senza gara (o diretto) del servizio di assistenza domiciliare a una società mista, ancorché con partecipazione maggioritaria pubblica e con iniziale scelta dei soci privati effettuata attraverso apposita procedura selettiva di evidenza pubblica.

L’ASL appellante sostiene due argomenti essenziali.

Nella fattispecie in esame sussistono i requisiti concreti del “controllo analogo” a quello operato sui propri servizi interni, esercitato dall’amministrazione committente sulla società attuatrice del servizio, tali da giustificare l’affidamento senza gara, secondo il modulo operativo e gestionale riconducibile alla formula del legittimo “in house providing”, delineato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale.

In ogni caso, è legittimo l’affidamento di un servizio, senza gara, ad una società mista a prevalente partecipazione pubblica, i cui soci privati siano stati individuati all’esito di procedure selettive aperte, trasparenti e non discriminatorie, conformi al diritto comunitario e ai suoi principi.

A giudizio della Sezione, le questioni proposte con l’atto di appello (segnatamente quelle di cui alla precedente lettera B) riguardano profili giuridici della massima importanza, in ordine ai quali si registrano, in giurisprudenza, differenti orientamenti interpretativi. In ogni caso, pur potendosi rilevare, su alcuni singoli punti, ampie convergenze della giurisprudenza (e anche della dottrina), permangono alcune notevoli incertezze interpretative.

Pertanto, è opportuno che l’Adunanza Plenaria individui una linea ermeneutica omogenea e unitaria, ferma restando la necessità di considerare con attenzione le peculiarità di ciascuna fattispecie (affidamenti di appalti e di servizi pubblici, realizzazione di opere pubbliche, settori speciali, ecc.). Resta ferma, inoltre, la consapevolezza che la materia in esame, nel momento attuale, forma oggetto di interventi normativi nazionali ed europei in itinere, ma dall’esito ancora non definito.

La Sezione sottolinea, comunque, che l’oggetto dell’attività affidata ad AMOS risulta ascrivibile, quanto meno nel suo nucleo essenziale, all’esecuzione di prestazioni sanitarie, intese come attività di cura e assistenza di persone assistite dal Servizio sanitario nazionale. Si tratta, pertanto, di funzioni non riconducibili, immediatamente, alla disciplina comunitaria e nazionale specificamente riferita ai contratti pubblici di servizi (direttiva n. 18/2004 e codice n. 163/2006). Le prestazioni in oggetto vanno ricondotte alla previsione dell’allegato II B e dell’articolo 20 del codice dei contratti pubblici (che attua gli artt. 20 e 21 della direttiva 2004/18, nonché gli artt. 31 e 32 della direttiva 2004/17, riprendendo le previsioni già contenute nell’art. 3, co. 2, del D.Lgs. n. 157/1995 e nell’art. 7, co. 3, del D.Lgs. n. 158/1995).

Secondo tale previsione, l’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B è disciplinata esclusivamente dall’articolo 68 (specifiche tecniche), dall’articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento), dall’articolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati).

Peraltro, secondo l’articolo 27 del codice, l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’applicazione del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità. L’affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto.”

Resta ferma, quindi, la necessità di rispettare le regole generali di diritto interno, oltre che i principi del diritto comunitario. Tale esigenza si manifesterebbe anche nel caso in cui si ritenesse che, trattandosi di prestazioni da erogare al pubblico e non all’amministrazione affidante, si verta in un’ipotesi di concessione o affidamento di servizi pubblici e non di assegnazione di un servizio in senso stretto.

A parere della Sezione, poi, trattandosi di attività inerente al servizio sanitario nazionale, affidata da una ASL, non sono direttamente applicabili le disposizioni relative ai servizi pubblici locali, riferite, nel loro ambito soggettivo, alle sole amministrazioni di cui al testo unico degli enti locali.

Ciò chiarito, peraltro, le questioni deferite all’Adunanza Generale presentano carattere “trasversale”, incidendo su settori diversi interessati dalla attività istituzionale delle pubbliche amministrazioni, indipendentemente dal carattere sanitario delle prestazioni e dalla natura del soggetto affidante.

Per valutare la rilevanza delle diverse questioni giuridiche deferite all’Adunanza Plenaria, è utile evidenziare ulteriori dati sostanziali che caratterizzano la presente fattispecie, schematizzati nei seguenti punti.

Nella sua originaria configurazione, AMOS, società per azioni con capitale sociale di euro 1.200.000, istituita nel 2004, con durata stabilita fino al 31 dicembre 2024, era composta da diversi soci pubblici (Azienda Ospedaliera ASO S. Croce e Carle di Cuneo con il 43,10, ASL 16 di Mondovì Ceva, con il 10%, ASL 17 di Savigliano-Saluzzo-Fossano, con il 10%, ASL 15 di Cuneo con il 4%, ASL 18 di Alba e Bra, con il 3%), e privati (MARKAS s.r.l. con il 4,85%, GPI s.r.l. con il 4,85%, CON.I.COS, SpA, con il 4,10%, H.C. HOSPITAL CONSULTING, con il 4,10%, IDROCENTRO S.p.A, con il 4%, RICCOBONO S.p.A con il 4%, BCS s.r.l. con il 4%).

L’art. 7 dello statuto sociale prevede che la proprietà delle azioni, i diritti di usufrutto sulle stesse, nonché i relativi diritti di opzione siano liberamente trasferibili tra soggetti pubblici. Prevede, invece, che, negli altri casi, l’alienazione sia subordinata alla motivata approvazione del consiglio di amministrazione, entro il termine di trenta giorni, scaduto il quale l’alienazione si intende autorizzata.

Successivamente, la ASL n. 19 – odierna appellante - è diventata socia di AMOS, acquistando alcune quote (pari al 18% del totale) dall’Azienda ospedaliera ASO S. Croce e Carle di Cuneo.

Il Presidente del consiglio di amministrazione della società (organo collegiale composto da nove membri) è nominato dai soli soci di parte pubblica, mentre il vice presidente è designato dai soli soci privati.

Il consiglio di amministrazione è eletto dall’assemblea con il sistema delle liste separate, prevedendosi che alla lista la quale ottenga il maggior numero di voti siano attribuiti 6 seggi e i restanti tre alla lista che segue in graduatoria.

La partecipazione dei soggetti privati assume una rilevanza quantitativa piuttosto ampia, pari al 30% dell’intera struttura societaria.

La partecipazione pubblica è frazionata tra più amministrazioni e quella della ASL n. 19 è limitata al solo 18% del capitale.

Mancano specifiche clausole statutarie o regole di funzionamento tipiche della società che garantiscano una qualche forma di intenso e dominante controllo dell’amministrazione sulla struttura societaria;

Il collegio sindacale della società è composto da tre membri, di cui uno solo è scelto dalle amministrazioni (con funzioni di presidente), mentre uno è designato dai soci privati e il terzo dall’assemblea;

il Comitato Tecnico di Controllo, organo cui è affidato il compito di sovrintendere all’operato del presidente e dell’amministratore delegato per le attività svolte a favore delle aziende pubbliche socie di AMOS, è composto da due membri designati dai soci privati, mentre uno soltanto è individuato dai soci pubblici.

L’oggetto sociale, assai esteso, in base alle previsioni statutarie, è riferito alla “fornitura di beni” e alla “prestazione di servizi nel quadro della sperimentazione gestionale del settore sanitario di cui all’art. 9 bis”. In particolare, l’oggetto sociale statutario (art. 4) riguarda, in primo luogo, le “attività complementari e di supporto all’attività sanitaria, ospedaliera e territoriale”, vale a dire la prestazione di “servizi alberghieri ed amministrativi, attività di gestione e manutenzione di beni”. In secondo luogo, l’oggetto sociale riguarda la prestazione di “servizi sanitari ospedalieri e territoriali ed in particolare: attività di laboratorio analisi, attività di radiologia e neuroradiologia, attività anestesiologica (di supporto a chirurgia ambulatoriale, day surgery e chirurgia a bassa complessità), dialisi per cronici, riabilitazione”.

Dal maggio del 2006 Amos non è più una società meramente operativa, ma è diventato un gruppo (holding), che detiene la totalità della partecipazione in Energy Service (società che gestisce l’intermediazione di energia), nonché la maggioranza delle quote di SIA S.p.A (società che provvede all’archiviazione di dati) e di AMG Lavanderie Domino (che svolge servizi di lavanderia).

In questa prospettiva, allora, la Sezione ritiene che, nella presente fattispecie, difettino i presupposti sostanziali per la configurabilità di una situazione riconducibile allo schema del legittimo in house providing, alla stregua della disciplina delineata dalla giurisprudenza comunitaria, nella sua evoluzione più recente.

Infatti, sulla base dei più recenti indirizzi interpretativi della Corte di Giustizia (analiticamente riportati dal citato parere del Consiglio di Stato, che sintetizza anche l’evoluzione della figura), le società in house, cui è legittimamente affidabile l’espletamento di un servizio, senza gara, sono solo quelle:

il cui capitale è interamente pubblico;

sulle quali l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale pubblico esercitano un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

che realizzano la parte più importante della loro attività con l’ente o con gli enti pubblici che le controllano.

Si è chiarito, in dottrina, che il requisito della “totale partecipazione pubblica”, definito dalla giurisprudenza comunitaria più recente, si giustifica con la circostanza che non può essere considerato un organismo appartenente all’organizzazione della pubblica amministrazione una società al cui capitale partecipino soci privati. L’affidamento diretto di un pubblico servizio a una società in house può, invero, ammettersi solo se non vi sia il coinvolgimento degli operatori economici (ancorché in modesta percentuale) nell’esercizio del servizio, posto che, diversamente, dovrebbero trovare applicazione le regole della concorrenza previste dal diritto comunitario e da quello interno da esso derivato.

Inoltre, come ha stabilito la Corte di giustizia con la sentenza 11 gennaio 2005, in C-26/03, Stadt Halle, la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi: l’influenza, per quanto penetrante, non corrisponderebbe mai a quella esistente nell’ambito dei rapporti interorganici della stessa amministrazione.

Al riguardo, è sufficiente osservare che, nella specie, difettano tutti e tre gli indicati requisiti, considerando che nella società Amos:

vi è una significativa partecipazione privata;

non sono stati indicati elementi idonei a comprovare l’esistenza di altre forme di controllo dell’amministrazione particolarmente incisive;

la società svolge una pluralità di attività, anche se alcune di esse formano oggetto di dismissione, ai sensi dell’art. 13 del decreto legge n. 223/2006.

Peraltro, potrebbe essere utile che l’Adunanza Plenaria puntualizzi, preventivamente, in linea di diritto e alla stregua dell’ordinamento europeo e nazionale, le condizioni prescritte per il legittimo affidamento in house, considerando che, in precedenti occasioni, si era ritenuto ammissibile in giurisprudenza l’affidamento a società in cui la partecipazione pubblica era limitata al 51%, a condizione che fosse riscontrata la presenza del requisito del “controllo analogo”.

Potrebbe essere opportuno, inoltre, delineare le coordinate di riferimento del concetto di prevalenza dell’attività svolta per l’amministrazione affidante, talvolta incentrate sulla metà del fatturato complessivo della società, altre volte su requisiti più rigorosi.

In tale prospettiva, poi, è utile considerare se il concetto di prevalenza debba essere calcolato tenendo conto, o meno, dell’obbligo di dismissione delle attività svolte per il mercato e non per l’amministrazione di riferimento, imposta dall’art. 13 del decreto legge n. 223/2006.

A tale riguardo, l’amministrazione appellante deduce, infatti, che la società AMOS ha già avviato (e quasi concluso) tutte le operazioni di vendita e alienazione delle attività non destinate al socio pubblico: pertanto esse non potrebbero in alcun modo computarsi per stabilire il concetto di prevalenza.

Infine, valuterà l’Adunanza Plenaria la necessità, o meno, di fissare ulteriormente i contorni essenziali della nozione di “controllo analogo”, benché i tratti principali di tale requisito siano già emersi con sufficiente chiarezza nella giurisprudenza comunitaria, secondo indirizzi che dovrebbe condurre a negarne la concreta sussistenza nel presente caso.

Più incerta e discussa è la soluzione delle questioni proposte con il secondo mezzo di gravame, riguardanti l’ammissibilità dell’affidamento di servizi, senza gara, a società miste prive del requisito della sottoposizione al controllo dell’amministrazione affidante, secondo le coordinate proprie dell’ “in house providing”, ma nell’ambito delle quali la scelta dei soci privati di minoranza sia stata effettuata mediante gare ad evidenza pubblica.

La Sezione deve segnalare che, nella presente vicenda concreta, emergono alcune circostanze di fatto che potrebbero risultare idonee a comprovare l’illegittimità dell’affidamento diretto, con particolare riguardo al dato oggettivo costituito dall’acquisto successivo di alcune quote della società mista da parte dell’amministrazione affidante, ASL 19 di Asti (come sarà meglio chiarito infra), senza necessità di approfondire gli altri profili giuridici rilevanti in termini più generali.

Tuttavia, deve essere sottolineato che questo aspetto, distintamente riferito alla legittimità dell’acquisto successivo di partecipazioni all’interno della società mista, con il contestuale affidamento diretto del servizio, potrebbe risultare valutabile solo in modo indiretto e incidentale nel presente giudizio, perché non dedotto specificamente con il ricorso di primo grado.

In ogni caso, nella presente vicenda, sono prospettate numerose questioni di massima, di portata più generale, che giustificano il deferimento alla valutazione dell’Adunanza Plenaria dei diversi profili attinenti alla legittimità dell’affidamento di contratti pubblici o servizi a società miste, in assenza di un’apposita procedura di gara.

Allo stato, in giurisprudenza e in dottrina sembrano profilarsi, essenzialmente, tre diversi filoni interpretativi, a loro volta basati su una pluralità di argomenti.

Il primo indirizzo è incentrato sull’idea di fondo secondo cui l’ordinamento comunitario profila una rigida alternativa tra due distinti moduli di affidamento dei servizi (più in generale, dei contratti). Da un lato si colloca l’affidamento a terzi mediante gara, da svolgersi in conformità alle regole specifiche e ai principi stabiliti dallo stesso diritto comunitario. Dall’altro lato si pone, invece, l’affidamento diretto ad ente o società direttamente controllato dall’amministrazione aggiudicatrice, secondo la formula sintetica dell’ “in house providing”.

Questo indirizzo interpretativo si sviluppa prevalentemente nel senso di definire puntualmente i criteri di identificazione della situazione del “controllo analogo”, e degli altri presupposti sostanziali che soli possono giustificare, in questa impostazione, la deroga alla regola della gara pubblica.

In questa prospettiva, allora, non sarebbero mai consentiti gli affidamenti diretti a società miste, anche se a prevalente partecipazione pubblica e anche se la scelta del socio privato sia stata effettuata mediante gara ad evidenza pubblica.

Secondo questo orientamento, in larga misura condiviso dalla sentenza appellata, insomma, l’amministrazione che intenda affidare il servizio alla società da essa costituita dovrebbe comunque svolgere una seconda gara, non potendo rilevare nemmeno ulteriori requisiti particolari (quali la durata limitata del contratto sociale, l’inalienabilità delle partecipazioni, la limitazione dell’oggetto sociale, ecc.).

L’espressione più chiara e puntuale del citato indirizzo interpretativo è contenuta nella citata decisione del CGARS, 27 ottobre 2006 n. 589.

È assai probabile che, applicando queste coordinate interpretative alla presente fattispecie, l’affidamento diretto operato dalla ASL 19 ad AMOS sarebbe illegittimo (come coerentemente affermato dal tribunale), risultando difficilmente discutibile che difettino, in concreto, i caratteri propri del “controllo analogo” che deve caratterizzare il fenomeno dell’in house providing, per le ragioni esposte ai punti precedenti.

Un opposto indirizzo ermeneutico, invece, manifestatosi essenzialmente in dottrina, sostiene che la società mista a prevalente partecipazione pubblica possa essere sempre affidataria diretta dei servizi, alla sola condizione che la scelta del contraente privato sia avvenuta mediante trasparenti procedure selettive (nel nostro ordinamento imposte, generalmente, dalle regole di contabilità concernenti i “contratti attivi”).

L’idea di fondo di questa ipotesi ricostruttiva è che il contratto sociale presenta caratteristiche e funzioni radicalmente diverse da quelle proprie degli appalti. Con la conseguenza che non avrebbero particolare rilevanza le regole – anche di derivazione comunitaria - concepite per garantire la concorrenza nei settori disciplinati dalle direttive in materia di appalti.

Seguendo questa impostazione, il ricorso di primo grado dovrebbe essere respinto, considerando che la genesi della società Amos è avvenuta mediante la scelta dei soci privati effettuata attraverso una procedura negoziata pubblica.

Una terza linea ermeneutica, intermedia tra le prime due, espressa in sede consultiva dalla Seconda Sezione di questo Consiglio (il citato parere n. 456/2007), muove anche essa dalla premessa secondo cui il fenomeno dell’affidamento a società mista pubblica e privata vada accuratamente distinto dall’in house providing.

La carenza del requisito del controllo analogo non è considerata sufficiente per affermare l’illegittimità dell’affidamento diretto delle prestazioni alla società mista. A tal fine, invece, occorre il riscontro della presenza di alcuni elementi, ritenuti necessari per esprimere un giudizio positivo di compatibilità con il diritto comunitario.

L’argomento centrale sviluppato dalla pronuncia consultiva può essere riportato all’idea della ampia fungibilità tra lo schema formale della società mista e quello dell’appalto. Entrambi i contratti possono essere utilizzati per la realizzazione del risultato prefigurato dalle parti. Tuttavia, le prescrizioni vincolanti ricavabili dalle direttive comunitarie (segnatamente dalla direttiva n. 18/2004), nonché dalle regole del Trattato (così come sviluppate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia) individuano i rigorosi limiti di utilizzabilità del modulo societario. Da qui l’individuazione di talune prescrizioni, indicative dei margini di compatibilità con il diritto comunitario.

Il Collegio osserva che questa impostazione meriti di essere confermata e sviluppata dall’Adunanza Plenaria, perché, per il suo indubbio “equilibrio”, costituisce una utile guida per qualificare correttamente le singole diverse ipotesi.

Vanno però segnalate, nella prospettiva di definire una linea interpretativa omogenea e certa, alcune possibili obiezioni alla tesi in esame, anche alla luce dei primi commenti formulati dalla dottrina.

La prima obiezione, di carattere generale, riguarda l’esattezza dell’affermata equivalenza tra il contratto di società e l’appalto. A questo proposito, si deve osservare che le direttive in materia di procedure di selezione dei contraenti per le prestazioni di servizi, lavori o forniture non contemplano affatto il modulo della società mista, indicando altri schemi giuridici caratterizzati dalla struttura corrispettiva e non associativa dello schema negoziale.

Si potrebbe replicare che l’ordinamento comunitario sia comunque indifferente alla struttura formale del contratto utilizzato. Ma anche in questa prospettiva resterebbe il dubbio della difficile conciliabilità tra il modulo corrispettivo dell’appalto o di altre equivalenti forme negoziali di scambio (si pensi alla locazione finanziaria) e lo schema tipicamente associativo del contratto di società.

In altri termini, la soluzione “compromissoria” della società “piegata” alle regole del diritto comunitario degli appalti potrebbe essere considerata insoddisfacente da due simmetrici punti di vista. Infatti, si potrebbe alternativamente affermare che:

la disciplina comunitaria degli appalti non lascia alcuno spazio per l’affidamento a terzi del servizio in forme diverse da quelle espressamente previste, vietando, implicitamente, il ricorso alle società (con la sola eccezione delle strutture in house);

il contratto sociale, proprio perché intrinsecamente diverso dall’appalto, resta estraneo alla disciplina delle direttive comunitarie, rimanendo assoggettato solo ai generalissimi principi del Trattato (non discriminazione, pubblicità, tutela della concorrenza).

Va considerato, del resto, che la Corte di Giustizia non si è mai espressamente e analiticamente pronunciata sulla compatibilità comunitaria della “modalità organizzativa” della società mista. Pertanto, non è agevole stabilire quale sia l’ordinamento normativo compatibile con la disciplina comunitaria e quali siano gli eventuali specifici requisiti di utilizzazione dello strumento in questione.

Pertanto, la Sezione ritiene che l’Adunanza Plenaria, nell’esaminare complessivamente l’intera problematica e nel delineare la corretta ricostruzione del sistema normativo vigente in ambito nazionale, potrà valutare la necessità, o meno, di deferire alla Corte di Giustizia la seguente specifica questione: “se sia compatibile o meno con il diritto comunitario la regola di diritto interno che permette l’affidamento diretto di un servizio rientrante nell’ambito applicativo della direttiva n. 18/2004 effettuato da una amministrazione aggiudicatrice in favore di una società mista, costituita dalla stessa amministrazione e da altri soci privati, individuati mediante apposita gara ad evidenza pubblica”.

Un altro ordine di obiezioni riguarda, più analiticamente, le singole condizioni indicate dalla citata giurisprudenza consultiva per ammettere l’affidamento diretto alla società mista.

Un primo requisito, di carattere generale, indicato dall’orientamento del citato parere afferma che, in ogni caso, secondo l’ordinamento interno, il ricorso al modello della società mista sia ammesso solo quando esista un’apposita norma speciale che lo consenta.

Questa tesi ermeneutica è stata sostenuta e approfondita, in particolare, dalla decisione della VI Sezione 3 aprile 2007, n. 1514, sia pure con riferimento al modulo organizzativo dell’ “in house providing”.

A giudizio della Sezione, tale aspetto potrebbe non assumere carattere determinante nella presente vicenda, perché esiste una apposita disposizione (il citato articolo 9-bis), che prevede espressamente l’utilizzabilità delle società miste, sia pure nel contesto della sperimentazione gestionale effettuata dalle aziende sanitarie.

Tuttavia, la questione potrebbe meritare un approfondimento, sia per la sua indubbia rilevanza di massima, sia perché l’indicata connessione con una puntuale norma abilitante potrebbe determinare la maggiore o minore ampiezza della utilizzabilità del modello, anche in relazione alla presente controversia, tenuto conto della circostanza che tra le parti è contestata, fra l’altro, la riconducibilità dell’affidamento in oggetto alla sperimentazione gestionale prevista dalla citata disposizione legislativa statale.

Al riguardo, il citato parere afferma che “sempre in via generale, il codice dei contratti pubblici, se non prevede più una generalizzazione del modello dell’in house a qualsiasi forma di affidamento, contiene invece, all’art. 1, comma 2, una previsione di carattere generale sulle società miste, secondo la quale, “nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica”. Anche in questo caso, la norma non intende affermare la generale ammissibilità delle società miste, che devono intendersi consentite nei soli casi già previsti da una disciplina speciale, nel rispetto del principio di legalità: si codifica soltanto il principio secondo il quale, in questi casi, la scelta del socio deve comunque avvenire “con procedure di evidenza pubblica” (non necessariamente, quindi, ai sensi della disciplina dello stesso codice).

A giudizio del collegio, tuttavia, questa affermazione non appare del tutto persuasiva, considerando che, secondo un consolidato orientamento, i soggetti pubblici godono di una capacità generale di diritto privato, che li abilita a concludere ogni tipo di contratto, salva la sola valutazione di compatibilità con le finalità istituzionali assegnate al singolo ente.

In quest’ottica, la norma codicistica ha il solo scopo di imporre, comunque, la selezione concorsuale del socio privato, quando la società abbia per oggetto la realizzazione di opere o servizi, senza introdurre una regola di tipizzazione dei moduli organizzativi. Tale standardizzazione, oltretutto, potrebbe porre dubbi di legittimità costituzionale, nella parte in cui si fissassero vincoli troppo rigidi alle amministrazioni regionali e locali, non esplicitamente riconducibili alla tutela della concorrenza (nei confini delineati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale).

Non si può trascurare, poi, che l’ampiezza della capacità di diritto privato delle pubbliche amministrazioni sia ora affermata, in termini generali, dall’articolo 1, comma 1-bis, della legge n. 241/1990, nel testo introdotto dalla legge n. 15/2005.

Al riguardo, la Sezione ritiene che il necessario rigore con cui devono essere accertati i concreti presupposti del legittimo affidamento ad una società mista non significhi affatto che il modulo societario debba essere considerato “eccezionale”, o consentito in presenza di particolari situazioni, trattandosi di scelta riconducibile all’autonomia organizzativa del singolo ente pubblico.

In secondo luogo, il citato parere afferma che la compatibilità con il diritto comunitario “possa essere rinvenuta, alla stregua dei principi espressi, direttamente o indirettamente, dalla Corte di giustizia, quantomeno in un caso: quello in cui – avendo riguardo alla sostanza dei rapporti giuridico-economici tra soggetto pubblico e privato e nel rispetto di specifiche condizioni, di cui si dirà infra, al punto 8.3 – non si possa configurare un “affidamento diretto” alla società mista ma piuttosto un “affidamento con procedura di evidenza pubblica” dell’attività “operativa” della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta alla individuazione di quest’ultimo.”

L’indirizzo in esame non esclude a priori che la compatibilità con il diritto comunitario possa essere riscontrata anche in altre ipotesi, diverse dai casi di diretta connessione con la cura di un interesse pubblico. Peraltro, la soluzione prospetta alcune incertezze.

Per un verso, occorre chiarire se sia compatibile con il diritto comunitario la costituzione di società miste in cui uno o più partner privati si limitino ad apportare capitale, ma nella prospettiva di definire una forma di finanziamento per lo svolgimento di impegnative funzioni richiedenti ingenti capitali di investimento.

Il punto è direttamente rilevante nel presente giudizio, perché alcuni dei soci privati scelti dall’amministrazione mediante gara non sono affatto “operativi”, ma si sono limitati a fornire il capitale necessario, sia pure all’esito di una procedura concepita proprio per individuare il miglior socio in possesso delle caratteristiche professionali dell’intermediazione finanziaria.

In particolare, la procedura di gara in questione ha consentito l’individuazione di tre categorie di partner privati: soci del settore sanitario; soci del settore non sanitario; soci finanziari (FINCOS S.p.A. detiene il 4,10% del capitale sociale, come sottolineato dalla società appellata).

Ora, in questa prospettiva, nell’ordinamento comunitario non emerge con evidenza un assoluto divieto di coinvolgere nel partnerariato pubblico-privato soggetti che intendano solo finanziare la società, purché il loro apporto presenti, comunque, un adeguato tasso di specificità professionale. Né sembra che si possa considerare del tutto privo di interesse per l’amministrazione l’istituzione di un rapporto con soggetti esperti del settore finanziario.

Occorre considerare, però, che in alcune circostanze, gli organi comunitari hanno manifestato un orientamento molto restrittivo. Si è sostenuto, quindi, che la cooperazione diretta tra il partner pubblico ed il partner privato nel quadro di un ente dotato di personalità giuridica propria permette al partner pubblico di conservare un livello di controllo relativamente elevato sullo svolgimento delle operazioni, che può adattare nel tempo in funzione delle circostanze, attraverso la propria presenza nella partecipazione azionaria e in seno agli organi decisionali dell'impresa comune. Essa permette inoltre al partner pubblico di sviluppare un’esperienza propria riguardo alla fornitura del servizio in questione, pur ricorrendo al sostegno di un partner privato”, per poi indicare, quale “condizione di compatibilità” del modello, l’attribuzione “di incarichi tramite un atto che può essere definito appalto pubblico o concessione. La scelta di un partner privato destinato a svolgere tali incarichi nel quadro del funzionamento di un'impresa mista non può dunque essere basata esclusivamente sulla qualità del suo contributo in capitali o della sua esperienza, ma dovrebbe tenere conto delle caratteristiche della sua offerta - che economicamente è la più vantaggiosa - per quanto riguarda le prestazioni specifiche da fornire. Infatti, in mancanza di criteri chiari ed oggettivi che permettano all'amministrazione aggiudicatrice di individuare l'offerta economicamente più vantaggiosa, l'operazione in capitale potrebbe costituire una violazione del diritto degli appalti pubblici e delle concessioni”.

Pertanto, potrebbe essere valutata l’opportunità di demandare alla Corte di Giustizia anche uno specifico quesito interpretativo, concernente i limiti di compatibilità con il diritto comunitario di una partecipazione societaria privata di carattere meramente finanziario, purché la procedura selettiva per l’individuazione del socio privato abbia consentito, in modo trasparente e imparziale, di scegliere l’impresa in possesso delle prescritte attitudini professionali, che abbia offerto la migliore proposta.

Da altro punto di vista, andrebbe meglio chiarito il significato della formula “affidamento dell’attività operativa”. Essa potrebbe indicare, semplicemente, che il socio privato debba essere scelto tra imprenditori del settore cui si riferisce l’opera o il servizio, in possesso dei prescritti requisiti soggettivi di ordine generale.

Ma potrebbe anche presupporre la necessità di una regolamentazione contrattuale più complessa, affiancata al contratto sociale, da cui risulti che l’attività materiale di erogazione del servizio o della realizzazione dell’opera sia effettivamente compiuta dal socio privato con la propria organizzazione di impresa.

Potrebbe significare, infine, come lascia supporre l’evocazione della figura del socio d’opera, che il conferimento delle quote debba essere effettuato “in natura”, mediante la cessione di un ramo di azienda.

Ma ognuna di queste soluzioni pone delicati problemi di coordinamento con il diritto societario. Senza dire, poi, che lo scopo della istituzione della società mista è proprio quello di creare un centro di imputazione unitario e non una struttura intermedia tra l’amministrazione e l’esecuzione del servizio effettuata dal “socio d’opera”.

Anche in dottrina, del resto, è prospettato il dubbio, che, in questo modo, si finisca per piegare il modello ordinario di funzionamento delle società, come disegnato dal codice civile, a forzature che rischiano di snaturarne i caratteri tipici oltre i confini del consentito.

In altra occasione, quindi, questa Sezione ha optato per una diversa qualificazione dello schema della società mista (decisione 1 luglio 2005, n. 3672), sostenendo che “tale tipo di PPP altro non è che una “concessione” esercitata sotto forma di società, attribuita in esito ad una selezione competitiva che si svolge a monte della costituzione del soggetto interposto (soltanto incidentalmente si osserva che la fattispecie in esame nulla ha a che spartire con il diverso fenomeno dell’in house providing, regolato dai differenti principi affermati dalla giurisprudenza “Teckal” e “Stadt Halle”, tra i quali qui viene soprattutto in rilievo l’esigenza che sull’organismo in house l’ente pubblico eserciti un controllo - analogo a quello che esercita sui propri servizi  - presupponente una partecipazione pubblica totalitaria)”.

Un altro requisito indicato dal citato parere riguarda, poi, la necessità di delimitare adeguatamente le finalità della società mista cui affidare il servizio senza gara. In tale prospettiva, quindi, non sono considerati legittimi gli affidamenti diretti a “società miste aperte”, o a finalità generalista.

Il criterio si connette essenzialmente alla regola fondamentale della trasparenza delle selezioni concorsuali pubbliche. Le imprese di un determinato settore devono essere messe in condizione di valutare la convenienza economica della partecipazione alla società, in relazione al previsto svolgimento delle attività.

D’altro canto, però, è connotato alle società un fisiologico margine di rischio e, talvolta, si è anche dubitato in dottrina della validità di un contratto sociale destinato alla realizzazione di un solo atto.

Si tratta di stabilire, allora, se il principio di trasparenza esiga una precisione nella definizione delle prestazioni corrispondente a quella richiesta nelle ipotesi di affidamenti a terzi degli appalti.

Al riguardo, tuttavia, la Sezione deve sottolineare che, in concreto, le ampie dimensioni dell’oggetto sociale di AMOS rendono molto dubbia la legittimità dell’affidamento contestato, in conformità a quanto stabilito dal tribunale con la pronuncia impugnata.

Un ulteriore presupposto per il ricorso alla società mista è individuato dal citato parere nella necessità di motivare in modo particolarmente approfondito tale scelta organizzativa. Si afferma che tale modello “non è ordinario nel nostro sistema” e – salvi i non frequenti casi in cui il legislatore lo impone senza alternative – “l’amministrazione deve comunque motivare in modo adeguato perché si avvale di una società mista invece di rivolgersi integralmente al mercato”.

A giudizio della Sezione, tuttavia, questa opinione, seppure ispirata alla condivisibile esigenza di rendere trasparenti le opzioni dell’amministrazione in ordine alla genesi di scelte comunque destinate ad incidere in modo significativo sul mercato, potrebbe essere non aderente al quadro normativo comunitario e nazionale vigente, potendosi prospettare in ambito europeo, semmai, l’opposto principio della mera alternatività tra l’affidamento a terzi, l’in house providing e il partnerariato pubblico e privato.

L’obbligo di motivazione, quindi, dovrebbe ricondursi, nel diritto nazionale vigente (almeno fino alla eventuale definitiva approvazione parlamentare del d.d.l. di riforma dei servizi pubblici locali), alla regola generale contenuta nell’art. 3 della legge n. 241/1990, presentando identica consistenza in ciascuna delle opzioni consentite all’amministrazione pubblica.

La questione presenta notevole rilevanza nella presente fattispecie, considerando che la scelta di affidare il servizio ad Amos si basa su una motivazione incentrata essenzialmente sulla maggiore convenienza economica del modulo organizzativo, senza particolari riferimenti alle possibili alternative.

Un altro specifico requisito indicato dal citato parere concerne la necessità di stabilire un limite temporale ragionevole alla durata del rapporto sociale, accompagnata dalla espressa previsione della “scadenza del periodo di affidamento (in tal senso, soccorre già una lettura del comma 5, lett. b), dell’art. 113 t.u.e.l. in stretta connessione con il successivo comma 12), evitando così che il socio divenga “socio stabile” della società mista, possibilmente prevedendo che sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all’esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario”.

Nel caso di specie, peraltro, la stretta connessione del modulo gestionale sociale con la limitata durata della sperimentazione approvata dalla Regione risulta idonea, a giudizio dell’amministrazione appellante, a soddisfare il requisito della definizione temporale del rapporto.

Il collegio ritiene invece che, seguendo il condivisibile indirizzo espresso in sede consultiva, nel caso di specie difetterebbe uno degli essenziali requisiti di legittimità dell’affidamento diretto alla società mista. Infatti, il limite temporale dell’autorizzazione regionale è finalizzato unicamente alla verifica dei risultati conseguiti dal modulo gestionale sperimentale e non indica alcun obbligo di rinnovo della procedura di selezione del socio privato alla scadenza del triennio di affidamento.

Tuttavia, la Sezione ritiene utile che l’Adunanza Plenaria si pronunci anche sulla premessa interpretativa concernente la necessità di una rigorosa limitazione temporale del rapporto sociale. Al riguardo, infatti, sussistono alcuni dubbi dottrinari circa la compatibilità del modulo societario con una così stretta inerenza allo svolgimento dell’attività operativa della prestazione del servizio.

Ancora, secondo l’indirizzo interpretativo espresso dal citato parere, il ricorso al modello della società mista dovrebbe essere limitato ai soli casi in cui esista un concreto riferimento allo svolgimento di attività e funzioni pubbliche.

È opportuno che l’Adunanza Plenaria chiarisca la portata di questo requisito. Infatti, in una prospettiva “minima”, esso indica la necessità che l’oggetto sociale sia comunque compatibile con le finalità statutarie pubblicistiche dell’ente che intende istituire la società.

Ma il riferimento all’attività pubblicistica potrebbe anche indicare un più rigoroso accertamento della connessione tra la funzione svolta e l’esercizio di poteri pubblicistici in senso stretto. In tal modo, allora, la società mista sarebbe difficilmente ammissibile nei casi di attività “neutre”, quali la prestazione di servizi destinati, con le stesse caratteristiche oggettive, a soggetti pubblici e privati.

Anche questo aspetto presenta diretta rilevanza nel presente giudizio, considerando la peculiarità dei servizi integrativi “materiali” (assistenziali e curativi), svolti in ambito sanitario, che presentano senz’altro rilevanza pubblicistica, per l’interesse perseguito (riconducibile all’art. 32 della Costituzione, ma hanno, allo stesso tempo, carattere materiale e non implicano l’esercizio di poteri autoritativi.

La Sezione osserva, infine, che l’orientamento interpretativo espresso in sede consultiva potrebbe influenzare la soluzione della questione relativa alla legittimità dell’affidamento di un servizio effettuato senza gara ad una società mista da parte di un’amministrazione che abbia acquistato successivamente la partecipazione nella società stessa (come anticipato ai punti precedenti).

Tale aspetto presenta notevole rilevanza anche nel caso oggetto di giudizio, benché il ricorso di primo grado non articoli alcuna censura specificamente incentrata su questa peculiare caratteristica della società mista AMOS. Si deve considerare, tuttavia, il riferimento contenuto a p. 14 della memoria di replica ai motivi di appello prodotta dalla società Medicasa, in cui tale circostanza è indicata come sintomatica dell’assenza dei requisiti legittimanti l’affidamento senza gara.

Inoltre, potrebbe essere riconosciuto il potere del giudice di valutare tutte le circostanze di fatto rilevanti in concreto, nella generica prospettiva di valutazione della compatibilità dello schema della società mista con le regole e i principi del diritto comunitario e del Trattato.

Al riguardo, la Sezione sottolinea che, ammettendo la legittimità di un’acquisizione successiva di quote da parte di un’amministrazione pubblica, risulterebbe fortemente minato il principio di trasparenza, volto a regolare la gara per la selezione del socio privato, perché potrebbe essere modificato, sul piano qualitativo e quantitativo, l’oggetto originario dell’attività della società mista.

Questo rischio non sembra eliminato nemmeno nei casi in cui l’originaria procedura selettiva preveda la possibilità di ampliare, in un momento successivo, la concreta attività materiale, compatibile con l’oggetto sociale, e le amministrazioni destinatarie del servizio. In tale eventualità, infatti, si profilerebbe l’eccessiva indeterminatezza dell’originario oggetto sociale.

In altri termini, la possibilità di ingresso nella società di nuovi soggetti pubblici potrebbe essere ammessa, legittimamente, nel solo caso di in house providing (con partecipazione totalitaria pubblica), che non sembra sussistente nella presente fattispecie, per le motivazioni esposte supra.

Del resto, l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza comunitaria risulta compatto nel senso di giudicare illegittimo l’affidamento di servizi a società preesistenti e non appositamente costituite per quella specifica attività.

Ma si potrebbe pervenire ad una diversa soluzione, qualora si ritenesse che la società mista resti disciplinata, in ogni caso, dalle regole generali delle società, consentendo, quindi, una certa dinamica evolutiva dell’oggetto sociale.

Nel caso di specie, né l’originario statuto di AMOS, né gli atti della gara preordinata alla scelta del socio privato hanno indicato la concreta possibilità di estensione dell’attività nell’ambito della ASL n. 19. Ne è derivata una notevole incertezza in merito all’oggetto della società e al calcolo di convenienza degli aspiranti partner privati.

In definitiva, quindi, La Sezione, consapevole della delicatezza delle questioni e del loro evidente carattere di massima, ritiene opportuno deferirne l’esame all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 45 T.U. n. 1054 del 1924, allo scopo di assicurare univoci orientamenti giurisprudenziali in materia.

All’Adunanza Plenaria compete pure l’eventuale adozione delle misure cautelari richieste dall’appellante, anche considerando che, come riferito dall’appellante, attualmente il servizio è stato temporaneamente prorogato in favore della società AMOS, mentre la MEDICASA non ha proposto domande esecutive della sentenza di primo grado.

 

Per Questi Motivi

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge il primo motivo di appello, concernente l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dinanzi al tribunale;

rimette l’esame delle altre questioni prospettate all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato;

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 luglio 2007, con l'intervento dei signori:

Aldo Fera     - Presidente f.f.

Marco Lipari   - Consigliere Estensore

Caro Lucrezio Monticelli   - Consigliere

Marzio Branca     - Consigliere

Giancarlo Giambartolomei -  - Consigliere

 

L'ESTENSORE          IL PRESIDENTE

f.to Marco Lipari         f.to Aldo Fera

 

IL SEGRETARIO

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/10/2007

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