HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
TAR Lazio, Sez. III, 18/2/2008 n. 1422
Sulla necessità di un’espressa previsione legislativa per poter qualificare in termini di servizio pubblico una determinata attività economicamente rilevante e per renderla oggetto della relativa concessione.

Per poter qualificare in termini di servizio pubblico una determinata attività economicamente rilevante e per renderla oggetto della relativa concessione, occorre un’espressa previsione di legge, dato che "nel sistema positivo, per servizio pubblico si intende un' attività economica che per legge o in base ad essa viene assunta da un ente pubblico oppure attribuita (con atto concessorio ) anche ad altri soggetti, che la esercitano in forme imprenditoriali sotto il controllo dell' Amministrazione e con un determinato regime amministrativo". La necessità di un’espressa previsione legislativa discende dall’art. 41 della Costituzione, il quale pone una riserva di legge in ordine alle limitazioni dell’iniziativa economica privata da parte dei pubblici poteri. E dunque qualsiasi compressione dell’attività imprenditoriale deve essere sorretta da una scelta del legislatore, che ne fissi con precisione i limiti e i contorni con atto di normazione primario, non essendo possibile e legittimo che ciò avvenga con un mero atto regolamentare o addirittura con una circolare amministrativa.

Materia: servizi pubblici / definizione

REPUBBLICA ITALIANA

In Nome del Popolo Italiano

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio Roma,

composto dai Signori:

Stefano Baccarini Presidente

Domenico Lundini Cons. rel. est.

Giuseppe Sapone Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 8441 del 2000, proposto dall’Associazione Nazionale Imprese Specializzate in Indagini Geognostiche – A.N.I.S.I.G., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Paolo Emilio Ferreri, Claudio Viviani e Raffaele Izzo, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via Cicerone 28;

CONTRO

-il Ministero dei Lavori Pubblici e il Ministero per il Coordinamento delle Politiche Comunitarie, in persona dei Ministri p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato;

-la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato;

per l’annullamento

1.della Circolare 16 dicembre 1999 n. 349/STC "Decreto del Presidente della Repubblica n. 246 del 21 aprile 1993, art. 8 comma 6 – Concessione ai laboratori per lo svolgimento delle prove geotecniche sui terreni e sulle rocce ed il rilascio dei relativi certificati ufficiali" pubblicata sulla GURI, serie generale n. 69 del 23.3.2000;

2.dell’articolo 8, comma 6, del DPR 21.4.1993 n. 246, nella parte in cui prevede che l’autorizzazione prevista dall’art. 20 della legge n. 1086 del 5 novembre 1971riguardi altresì le prove geotecniche sui terreni e sulle rocce;

3.di tutti gli atti presupposti, conseguenti e comunque connessi;

Visto il ricorso, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Viste le memorie difensive delle parti;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore, per la pubblica udienza del 24 ottobre 2007, il Consigliere D. Lundini;

Considerato e ritenuto, in fatto e diritto, quanto segue:

FATTO E DIRITTO

ANISIG è un’Associazione che riunisce imprese nazionali specializzate in Indagini Geognostiche, operanti quindi nel settore delle prove fisiche e meccaniche svolte direttamente in sito su rocce e terreni, finalizzate alla progettazione di opere pubbliche e private, alla bonifica di siti inquinati ed alla sistemazione ed al consolidamento di versanti instabili e di strutture lesionate.

In base al proprio Statuto, l’Associazione predetta, che non ha fini di lucro, si propone tra l’altro "di tutelare gli interessi delle imprese associate" anche assumendone la rappresentanza in tutte quelle questioni che richiedano una linea di tutela congiunta ed unitaria, ed è proprio evidentemente questa la ragione per cui l’Associazione stessa, essendone legittimata, ha proposto il ricorso in trattazione, avente ad oggetto la Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 349/STC del 16.12.1999.

Tale circolare riguarda infatti la disciplina delle concessioni ai laboratori per lo svolgimento di prove geotecniche, in sito ed in laboratorio, su rocce e terreni, ed il rilascio dei relativi certificati ufficiali, ai sensi dell’art. 8, comma 6, del DPR n. 246/93.

Assume la ricorrente che la circolare predetta sarebbe gravemente lesiva dei legittimi interessi delle imprese rappresentate da ANISIG, dato che la relativa attività, prima liberamente esplicata in pieno regime privatistico e concorrenziale, senza alcuna necessità di concessioni, autorizzazioni e controlli di sorta, verrebbe ora assoggettata alla disciplina posta dalla Circolare in questione, di carattere concessorio ed innovativo, con conseguente impossibilità, per le imprese stesse, di operare senza una concessione, anche perchè sottoposte "a penetranti poteri di controllo e sanzionatori da parte delle Autorità competenti".

Deduce quindi l’Associazione ricorrente contro la ripetuta Circolare (nonché contro l’art. 8, comma 6, sul quale essa si basa, del DPR n. 246/93), quattro motivi d’impugnazione, come di seguito rubricati:

-Violazione dell’art. 41 della Costituzione e del principio della riserva di legge. Sviamento di potere;

-Violazione dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

-Violazione del DPR 25 gennaio 2000, n. 34. Eccesso di potere per illogicità manifesta;

-Violazione degli artt. 28, 43, 81, 82 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità Europea nonché dell’art. 3, comma 1, della Direttiva 92/50/CEE. Eccesso di potere per illogicità manifesta.

L’Amministrazione è costituita in giudizio e si oppone motivatamente all’accoglimento del gravame.

Premesso quanto sopra, ritiene il Collegio che il ricorso sia meritevole di accoglimento, dovendo essere anzitutto condiviso il primo motivo d’impugnativa, per le ragioni di seguito esposte.

La Circolare in questione qualifica inequivocabilmente l’attività di indagine geognostica quale oggetto di una vera e propria concessione, come più volte espressamente ribadito nel testo.

La concessione stessa può essere infatti rilasciata, "ai laboratori che svolgono prove geotecniche sui terreni e sulle rocce" su presentazione di specifica istanza delle imprese interessate, subordinata al possesso dei precisi requisiti stabiliti nell’Allegato alla Circolare di cui trattasi.

E’ inoltre previsto un ampio potere discrezionale dell’Amministrazione in ordine all’accoglimento o meno dell’istanza, dal momento che i richiedenti, ai sensi del punto 5.1 lettera c) del predetto Allegato, devono indicare la loro collocazione geografica, in relazione alla quale il servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei lavori pubblici "si riserva ogni valutazione di merito sugli elementi forniti, anche al fine di evitare non giustificate concentrazioni di centri di prova".

In questo modo il Ministero si è chiaramente rifatto al tradizionale modello della concessione amministrativa, intesa come istituto volto a consentire a soggetti privati lo svolgimento di determinate attività prima loro precluse (concessione costitutiva) oppure riservate a soggetti pubblici (concessione traslativa).

Nello specifico, la concessione in questione è normativamente costruita come concessione di servizio pubblico. Invero, l’art. 8 del DPR n. 246/1993, occupandosi degli organismi interessati dal c.d. "attestato di conformità" dei prodotti da costruzione, stabilisce al comma 6 che "restano ferme le competenze del Ministero dei lavori pubblici e del Consiglio superiore dei lavori pubblici per l'applicazione dell'art. 20 della legge 5 novembre 1971, n. 1086" e che "l'autorizzazione prevista da detto articolo riguarderà altresì le prove geotecniche sui terreni e sulle rocce".

Ed appunto, l’art. 20 suddetto, dopo aver specificato che altri laboratori (oltre a quelli ufficiali) possono essere autorizzati, con decreto ministeriale, ad effettuare prove su materiali da costruzione (c.d. laboratori non ufficiali), stabilisce che "l’attività dei laboratori, ai fini della presente legge, è servizio di pubblica utilità".

Peraltro, come giustamente rimarca la ricorrente, per poter qualificare in termini di servizio pubblico una determinata attività economicamente rilevante e per renderla oggetto della relativa concessione, occorre un’espressa previsione di legge, dato che "nel sistema positivo, per servizio pubblico si intende un' attività economica che per legge o in base ad essa viene assunta da un ente pubblico…….oppure attribuita (con atto concessorio ) anche ad altri soggetti, che la esercitano in forme imprenditoriali sotto il controllo dell' Amministrazione e con un determinato regime amministrativo" (CGARS n. 90/1998).

La necessità di un’espressa previsione legislativa discende dall’art. 41 della Costituzione, il quale pone una riserva di legge in ordine alle limitazioni dell’iniziativa economica privata da parte dei pubblici poteri. E dunque qualsiasi compressione dell’attività imprenditoriale deve essere sorretta da una scelta del legislatore, che ne fissi con precisione i limiti e i contorni con atto di normazione primario, non essendo possibile e legittimo che ciò avvenga con un mero atto regolamentare o addirittura con una circolare amministrativa.

Nella specie, per la limitazione dell’attività imprenditoriale afferente al settore delle indagini geognostiche riveniente dal regime concessorio di cui alla circolare in impugnativa (limitazione derivante sia dalla posizione di privilegio, rispetto agli altri operatori, ontologicamente caratterizzante il soggetto concessionario, sia dalla restrizione numerica, inevitabile e preannunciata, dei soggetti possibili concessionari), manca, come appunto lamenta la ricorrente, qualunque base normativa di rango legislativo.

Tale base non può essere invero individuata nel citato art. 20 della legge n. 1086/1971, dato che esso definisce, come già detto, "servizio di pubblica utilità" l’attività dei laboratori, ma solo "ai fini della presente legge", e quest’ultima riguarda i materiali di costruzione e non certamente le "prove geotecniche".

Quanto all’art. 8, comma 6, del DPR n. 246/93 (Regolamento di attuazione della direttiva 89/106/CEE), che estende alle prove geotecniche il regime previsto dalla legge n. 1086/71 per i laboratori "non ufficiali" autorizzati allo svolgimento di prove su materiali da costruzione, si tratta appunto di una norma regolamentare, che in quanto tale non può fondare, in violazione del principio della riserva di legge, la materia controversa. E quindi l’articolo suddetto (come dedotto dall’istante nel secondo motivo d’impugnativa) è esso stesso illegittimo sia perché, estendendo il regime di cui all’art. 20 della legge n. 1086/71 alle prove geotecniche, ha esorbitato dalla propria finalità di mero recepimento della direttiva 89/106/CEE (che riguarda infatti i prodotti o materiali impiegati nelle costruzioni e non menziona le prove geotecniche), sia perché ha disciplinato ex novo una materia coperta, per i motivi già esposti, da riserva di legge (cfr. TAR Lazio, III, n. 1724 del 22.9.1994).

Quanto agli assunti dell’Amministrazione in sede difensiva, secondo cui non vi sarebbe, nella specie, alcuna limitazione o restrizione in ordine alle possibilità di esplicazione, per le imprese operanti sul mercato, della loro attività d’indagine geognostica, dato che l’attività dei laboratori autorizzati riguarderebbe in via esclusiva soltanto quella finalizzata all’emissione di "certificazioni" avente validità ufficiale in un settore caratterizzato da esigenze di sicurezza ed incolumità pubblica, si tratta di argomenti che provano troppo e che comunque non convincono. Al riguardo, premesso che tutte le attività costruttive di opere pubbliche e private coinvolgono profili di sicurezza dei fruitori finali, è sufficiente considerare l’ampio elenco (cfr. Parte II della Circolare in impugnativa) e la variegata tipologia di prove, su rocce e terreni, in sito e in laboratorio, "per le quali è richiesta certificazione ufficiale", nonché la generalizzata esigenza di controllo espressa, per il settore in questione, nelle premesse della Circolare stessa, per comprendere come la libera attività di ricerca geognostica e di prove geotecniche esplicata al di fuori di ogni concessione e senza certificazione di validità ufficiale (ormai sostanzialmente necessaria per ogni valida progettazione e realizzazione di opere d’ingegneria implicante le prove stesse), appare svuotata di ogni rilievo economico e comunque fortemente ridotta a margini minimi d’importanza ed esercizio.

Non rileva, inoltre, per quanto attiene alla normativa posta alla base del potere concessorio in ordine allo specifico settore di cui trattasi, il recepimento della fattispecie autorizzatoria dei laboratori d’indagine geotecnica operata dall’art. 59 del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari n. 380/2001 (che raccoglie le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 378/2001 e al DPR n. 379/2001), trattandosi di disposizione intervenuta in epoca successiva rispetto a quella di emanazione ed entrata in vigore della Circolare impugnata (del 1999, pubblicata sulla GURI del 23.3.2000) e dunque insuscettibile di determinare, per quest’ultima, una sanatoria a posteriori.

Va ancora soggiunto che la ricorrente ha ulteriormente dedotto, avverso la ripetuta Circolare, profili d’illegittimità connessi, da un lato, al regime concessorio in essa previsto per i laboratori d’indagine geotecnica e, dall’altro, alla restrizione arbitraria della concorrenza derivante dalla selezione, senza fissazione di parametri oggettivi, degli aspiranti concessionari.

Ebbene, si tratta di aspetti che ha recentemente esaminato, proprio su richiesta della Associazione ricorrente, anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale in data 17.9.2007 ha deliberato al riguardo una "segnalazione" ai sensi dell’art. 21 della legge 10.10.1990, n. 287, rilevando con ampie e diffuse argomentazioni (che il Collegio condivide ed in questa sede fa proprie) quanto segue:

-il previsto contingentamento dei laboratori "non ufficiali" di prove appare ingiustificato, tenuto conto che esso permette di esercitare iun controllo per lo svolgimento di tale attività sulla base di una valutazione discrezionale fondata sulla mera ubicazione territoriale del laboratorio, con conseguente ingiustificata distorsione della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato;

-siffatte limitazioni sono state introdotte con la citata circolare senza che la normativa di riferimento prevedesse alcuna necessità di contingentare il numero dei laboratori "non ufficiali", mentre la stessa normativa (che in effetti fa riferimento ad autorizzazioni) non stabilisce affatto un regime di natura concessoria per lo svolgimento dell’attività dei laboratori medesimi.

In base alle esposte considerazioni, e con assorbimento di ogni profilo di censura non esaminato, dev’essere quindi accolto il ricorso in epigrafe, con annullamento, per l’effetto, degli atti impugnati.

Le spese e gli onorari, tuttavia, data la peculiarità della questione trattata e sussistendo quindi giusti motivi, possono essere integralmente compensati tra le parti in causa.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO - SEZIONE TERZA

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Compensa le spese e gli onorari.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 24 ottobre

2007.

Stefano Baccarini – Presidente

Domenico Lundini – Estensore

 

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici