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Consiglio di Stato, Sez. VI, 25/6/2008 n. 3214
Sull’informativa prefettizia antimafia: il mancato raggiungimento della prova non esclude l’adozione di un rimedio preventivo quale l’obbligo di inibitoria per la p.a., di cui all’art. 4, c. 6 del D.Lgs. n. 490/94.

Nel caso in cui un’informativa prefettizia antimafia attesti a carico di un soggetto che opera nel settore degli appalti pubblici una procedura, non ancora conclusa, per l’applicazione di misure di prevenzione ed essendo tale circostanza, di per sé, ostativa per preciso dettato normativo di una certificazione favorevole, sussiste l’obbligo di inibitoria per la p.a., di cui all’art. 4, c. 6 del D.Lgs. n. 490/94, in ordine alla stipula, approvazione, o autorizzazione di contratti e sub-contratti, concessioni ed erogazioni.
Pertanto, nel caso di specie, è legittima la revoca di un subappalto a seguito di informativa sfavorevole sussistendo a carico del socio accomandatario della società una procedura, non ancora conclusa, per l’applicazione di misure di prevenzione, sebbene nei confronti risultava già intervenuta, alla data dell’informativa, sentenza di assoluzione "perché il fatto non sussiste" per un giudizio in precedenza avviato per estorsione continuata aggravata. Con tale formula, infatti, il giudice penale assolve non solo quando abbia maturato il convincimento dell’innocenza dell’imputato, ma anche quando le prove a carico del medesimo siano ritenute insufficienti. In tale situazione, i principi di garanzia, che escludevano la condanna del soggetto in questione, non rendevano tuttavia illogica, né frutto di travisamento, alla data di adozione dell’informativa, la valutazione prefettizia contestata.
Nell’ottica della tutela preventiva avanzata, esperibile in materia di informativa antimafia, il mancato raggiungimento della prova non esclude, infatti, un quadro indiziario significativo, rimesso al prudente apprezzamento dell’autorità prefettizia, per conclusioni da rapportare sia alle difficoltà connesse all’accertamento di reati, spesso coperti dall’omertà o dal timore dei soggetti passivi coinvolti, sia alla dichiarata prevalenza, sul piano legislativo, dell’interesse pubblico ad approntare rimedi preventivi, nei confronti di ampi e notori fenomeni di criminalità organizzata.

Materia: appalti / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 7788/03, proposto dal MINISTERO DELL’INTERNO – PREFETTURA DI NAPOLI (ora Ufficio Territoriale del Governo), in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege presso la sede di Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

ARB IMPIANTI s.a.s. di RICCOBENE ANDREA, in persona del legale rappresentante, non costituita,

e nei confronti

della società AUTOSTRADA VENEZIA PADOVA, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. I, n. 3917 del 16.4.2003;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Vista la memoria prodotta dalla parte appellante a sostegno della propria difesa;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 29 aprile 2008 relatore il Consigliere Gabriella De Michele;        

Udito l’avv. dello Stato Elefante;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Attraverso l’atto di appello in esame, notificato il 4.8.2003, si contestava la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. I, n. 3917 del 16.4.2003, che non risulta notificata, con la quale si accoglieva il ricorso proposto dalla società A.R.B. Impianti s.a.s. (attuale parte appellata) avverso la nota della Prefettura di Napoli n. prot. I/10823/Gab VI Sett. del 18.3.2002, con la quale veniva comunicata sul conto della predetta società – ex art. 4 del D.Lgs. n. 490/1994 – un’informativa antimafia sfavorevole ( implicante revoca dell’autorizzazione ad un subappalto, affidato alla citata Ditta con contratto in data 19.11.2001), nonché avverso ogni altro atto alla stessa presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compresa la nota della società Autostrade di Venezia e Padova s.p.a., di revoca dell’autorizzazione al subappalto anzidetto, su domanda avanzata dall’impresa capogruppo Gemmo Impianti s.p.a..

Nella citata sentenza, le ragioni della parte ricorrente erano ritenute condivisibili in quanto – pur essendo la disciplina, applicata nel caso di specie, rispondente ad una forma di "tutela avanzata" dell’ordinamento nei confronti di fenomeni di criminalità organizzata (tutela perseguibile anche in mancanza di prove idonee per la condanna in sede penale) – le esigenze di prevenzione, in tal modo preordinate, non avrebbero potuto tuttavia prevalere sulla assoluzione con formula piena, intervenuta sugli stessi fatti posti a base dell’informativa di cui trattasi, né in tale situazione sarebbe stato presupposto sufficiente, per la formulazione di quest’ultima in termini negativi, la richiesta di applicazione della sorveglianza speciale nei confronti del soggetto interessato, non essendo detta richiesta – nella fattispecie avanzata il 15.10.1999 – ancora pervenuta ad alcun esito alla data di adozione dell’atto contestato (18.3.2002). Nella medesima decisione, pertanto, l’informativa antimafia oggetto di impugnazione era ritenuta illegittima per carenza di presupposti e difetto di motivazione, tenuto conto, peraltro, "degli ampi e penetranti mezzi di accertamento e di acquisizione di informazioni", spettanti al Prefetto quale "massima autorità di pubblica sicurezza e di polizia di prevenzione nella Provincia", dotata degli "speciali poteri derivanti dalla normativa antimafia, di cui al decreto legge 6.9.1982, n. 629, convertito in legge 12.10.1982, n. 726", con conseguente possibilità, per l’Autorità in questione, di evidenziare "fatti, accadimenti, condotte, anche non penalmente rilevanti, ma significativi nel loro insieme", in ordine alla "esposizione oggettiva dell’impresa a quei tentativi di condizionamento mafioso, che costituiscono il presupposto dell’esercizio del potere".

In sede di appello tutte le argomentazioni, in precedenza sintetizzate, venivano analiticamente contestate, al fine di ribadire la piena legittimità degli atti impugnati.

Secondo l’Amministrazione appellante, infatti, la sentenza di cui si discute sarebbe contraddittoria, nel sostenere da una parte la natura di prevenzione della normativa antimafia, indipendentemente dalle condanne intervenute in sede penale e nell’ancorare, dall’altra, il proprio negativo giudizio di legittimità, in ordine all’informativa di cui trattasi, proprio all’assenza di condanna in esito al processo, svoltosi per i fatti contestati al titolare della società, oggi appellata.

Quanto alla mancata applicazione della misura di prevenzione, a due anni e 5 mesi dalla relativa richiesta, il Giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto né dei tempi dilatati dell’Autorità giudiziaria, né delle finalità preventive dell’azione prefettizia, indirizzata non a valutare gli eventi giudiziari, ma ad impedire che atti criminali vengano ad essere compiuti.

Al contrario, invece, la pendenza del procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione antimafia assumerebbe comunque rilevanza giuridica, ai sensi dell’art. 4, comma 4 del D.Lgs. n. 490/94, nonché dell’art. 10, comma 5 bis della legge n. 575/1965.

Nel caso di specie non sarebbero stati adeguatamente valutati, inoltre, il rapporto dei carabinieri del 25.3.2002 e della Polizia del 15.3.2002, da cui emergerebbe che il sig. Andrea Riccobene, socio accomandatario della A.R.B. Impianti s.a.s. sarebbe stato ritenuto dalla Procura della repubblica di Napoli "affiliato al clan Abate detto dei Cavallari, egemone sul territorio di San Giorgio a Cremano".

Le parti appellate non si sono costituite nel presente grado di giudizio. 

DIRITTO

La questione sottoposta all’esame del Collegio è quella della definizione dei presupposti applicativi dell’art. 4 del D.Lgs. 8.8.1994, n. 490, nel contesto della disciplina dettata per i soggetti "indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguano finalità, o agiscano con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso" (art. 1 L. 31.5.1965, n. 575); quanto sopra, al fine di valutare una fattispecie di applicabilità, o meno, di tale disciplina con riferimento a fatti penalmente contestati, ma non seguiti da condanna in tale sede, nonché in pendenza di procedura per l’applicazione della misura personale di prevenzione antimafia (procedura non ancora definita, tuttavia, a circa due anni e mezzo dal relativo avvio).

La vicenda controversa riguarda, in particolare, una richiesta di informazioni antimafia, doverosamente inoltrata il 19.12.2001 – a norma del combinato disposto degli articoli 4 D.Lgs. n. 490/1994 e 10 D.P.R. n. 252/1998 – dalla società Autostrade di Venezia e Padova, con riferimento ai lavori per la costruzione della terza corsia della tangenziale Ovest di Mestre, nei confronti della società A.R.B. Impianti s.a.s. di Riccobene Andrea, in vista del subappalto a tale Ditta dell’impianto antincendio, per un importo di circa 500.000 €.

A tale richiesta, con l’impugnata nota n. 10823 del 18.3.2002, la Prefettura di Napoli rispondeva che "pur non sussistendo….le cause di divieto di cui all’art. 10 della legge 31.5.1965, n. 575" dovevano ritenersi "allo stato" sussistenti "tentativi di infiltrazione mafiosa nei confronti della società in parola"; la nota in questione, qualificata come riservata, era motivata "per relationem", con riferimento ad informazioni fornite dagli organi di Polizia e queste ultime, acquisite agli atti del giudizio, evidenziavano nei confronti del citato sig. Andrea Riccobene, socio accomandatario della A.R.B. Impianti s.a.s., la pendenza dal 15.10.1999 di richiesta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, ai sensi della normativa antimafia, nonché il coinvolgimento in un processo penale per estorsione continuata aggravata, processo conclusosi con sentenza di assoluzione "per non avere commesso il fatto", ma in un articolato contesto, in cui sarebbe stata adombrata dalla Procura della Repubblica l’affiliazione del soggetto interessato "al clan dei Cavallari, egemone sul territorio di San Giorgio a Cremano" (nota della Questura di Napoli, Divisione di Polizia Anticrimine, n. 1241/M.P.S. del 15.3.2002) .

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che, nella sentenza appellata, siano stati correttamente esposti i principi basilari, elaborati dalla giurisprudenza nella materia di cui trattasi, senza tuttavia che le conclusioni – tratte poi nella sentenza stessa, in relazione alla questione dedotta in giudizio – appaiano convincenti e condivisibili.

Sotto il primo profilo, è sicuramente pacifico che nella complessa materia, delimitata dall’art. 1 della legge 31.5.1965, n. 575, già sopra riportato, siano state introdotte cautele e garanzie più avanzate di quelle meramente penalistiche, al fine di proteggere la collettività da fenomeni criminosi di vasta portata, spesso incidenti sull’esercizio di attività economiche e imprenditoriali, in misura tale da alterare interi settori dell’economia nazionale.

Alla gravità della situazione sono state pertanto contrapposte – soprattutto nel delicato settore degli appalti pubblici – misure eccezionali, che anche in presenza di soli elementi indiziari, circa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, consentono di limitare la libera iniziativa di impresa, pur costituzionalmente garantita, ma da bilanciare (in conformità all’art. 41, secondo e terzo comma della Costituzione), con principi di pari rango costituzionale, quali la sicurezza e il corretto indirizzo dell’attività economica; quanto sopra, nei termini previsti dal legislatore e quindi, per quanto qui interessa, in base al prudente apprezzamento del Prefetto e degli organi di polizia, il cui giudizio – ove espresso nei termini di legge – è sindacabile solo per illogicità manifesta o travisamento dei fatti (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 26.1.2006, n. 222, 2.5.2007, n. 1916, 3.5.2007, n. 1948).

Nella situazione in esame, la Prefettura di Napoli sottolineava con nota n. prot. I/10823/Ant./VI Sett. del 23.5.2002 – depositata in esito ad una istruttoria, disposta nel corso del giudizio di primo grado – l’obbligo di inibitoria per le pubbliche amministrazioni, di cui all’art. 4, comma 6 del D.Lgs. n. 490/94, in ordine alla stipula, approvazione, o autorizzazione di contratti e sub-contratti, concessioni ed erogazioni, quando venissero fornite alle stesse informazioni antimafia, attestanti la sussistenza anche solo di "eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa nella società interessata": una espressione, quella appena riportata, implicante evidente richiamo a mere possibilità di condizionamento della criminalità organizzata, indipendentemente dalla sussistenza di pronunce penali di condanna e con assoluta prevalenza dei profili di ordine pubblico rispetto ad ogni altro interesse, concernente la libertà di iniziativa economica e persino l’onorabilità professionale dei soggetti coinvolti.

Le osservazioni della citata Prefettura appaiono sostanzialmente condivisibili.

La legge delega 17.1.1994, n. 47 – cui fa richiamo il D.Lgs. n. 490/94 – pone infatti fra i principi e criteri direttivi (art. 1, comma 1, lettera d) la previsione dell’obbligo di inibitoria anzidetto non solo nei confronti di coloro che fossero incorsi nelle cause di decadenza o di divieto, di cui all’art. 10 della legge n. 575/1965, ma anche – appunto – in presenza di "tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate". La tipologia di accertamenti, attraverso la quale può essere individuata una fattispecie di così difficile e delicata determinazione, risulta meglio specificata negli articoli 2 bis e 3 quater della legge n. 575/1965, come successivamente modificata ed integrata, nonché nell’art. 10 del regolamento in materia di informazioni antimafia, approvato con D.P.R. 3.6.1998, n. 252: norme, quelle appena indicate, che concordemente riconducono la possibile individuazione delle circostanze, giustificative dei provvedimenti cautelativi di cui trattasi, anche alla sussistenza di un giudizio pendente o di condanna non definitiva, o di mera proposta di applicazione di una misura di prevenzione (cfr., in particolare, art. 3 quater L. 575/1965 e art. 10, comma 7, lettere a e b D.P.R. n. 252/1998 cit.).

Nel caso di specie, l’informativa prefettizia contestata non appare dunque illogica, né frutto di qualsivoglia travisamento, sussistendo a carico del socio accomandatario della società appellante una procedura, non ancora conclusa, per l’applicazione di misure di prevenzione ed essendo tale circostanza, di per sé, ostativa per preciso dettato normativo di una certificazione favorevole (ferma restando l’esigenza di una pronuncia dell’Autorità giudiziaria, ma senza che, in mancanza della medesima, la procedura in corso potesse considerarsi "tamquam non esset").

Anche la positiva conclusione, per l’imputato, del giudizio in precedenza avviato per estorsione continuata aggravata non escludeva, nella situazione in esame, ulteriori elementi indiziari: è vero infatti che, come sottolineato nella sentenza appellata, risultava già intervenuta – alla data dell’informativa – sentenza di assoluzione "perché il fatto non sussiste"; sembra appena il caso di ricordare, tuttavia, che con tale formula – conforme all’art. 530 cod. proc. pen. – il Giudice penale assolve non solo quando abbia maturato il convincimento dell’innocenza dell’imputato, ma anche quando le prove a carico del medesimo siano ritenute insufficienti. Se, d’altra parte, la vecchia formula dell’assoluzione per insufficienza di prove è stata ritenuta non rispondente a moderne regole di garanzia ed al principio "in dubio pro reo", bisogna anche ammettere che le attuali formule assolutorie non escludano in radice fattori presuntivi di coinvolgimento in ambienti criminali, fattori insufficienti per la condanna, ma non anche per l’applicazione di misure preventive come quelle di cui si discute. Significativamente, pertanto, nella situazione in esame la Prefettura aveva allegato alla propria informativa copia della sentenza, con cui il ricordato sig. Andrea Riccobene veniva in effetti assolto, ma per circostanze concretizzanti il mancato raggiungimento della prova e, ai fini extra-penalistici dei provvedimenti preventivi antimafia, tali da non dissolvere gli elementi indiziari a carico del medesimo. La sentenza emessa in sede penale, infatti, concerneva le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, ritenuto attendibile, in ordine ad un giro di tangenti avviato da un’organizzazione di tipo camorristico, denominata "Clan Cavallaro"; tra le numerose estorsioni dettagliatamente segnalate figurava quella – a danno di una farmacia – agevolata appunto dal Riccobene, che veniva tuttavia assolto perché non ritenuto responsabile dal titolare dell’esercizio in questione, pur risultando confermato l’episodio estorsivo.

In tale situazione, ad avviso del Collegio, i principi di garanzia, che escludevano la condanna del soggetto in questione, non rendevano tuttavia illogica, né frutto di travisamento – alla data di adozione dell’informativa – la valutazione prefettizia contestata.

Nell’ottica della tutela preventiva avanzata, esperibile in materia di informativa antimafia, il mancato raggiungimento della prova non escludeva, infatti, un quadro indiziario significativo, rimesso al prudente apprezzamento dell’autorità prefettizia, per conclusioni da rapportare sia alle difficoltà connesse all’accertamento di reati, spesso coperti dall’omertà o dal timore dei soggetti passivi coinvolti, sia alla dichiarata prevalenza – sul piano legislativo – dell’interesse pubblico ad approntare rimedi preventivi, nei confronti di ampi e notori fenomeni di criminalità organizzata.

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere accolto, con le conseguenze precisate in dispositivo; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della difficoltà e della delicatezza delle valutazioni, da compiere nel caso di specie. 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, ACCOGLIE il ricorso in appello indicato in epigrafe, ANNULLA la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. I, n. 3917 del 16.4.2003 e per l’effetto, a riforma di tale sentenza, RESPINGE il ricorso proposto in primo grado di giudizio.

COMPENSA le spese giudiziali.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2008 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Claudio Varrone Presidente

Carmine Volpe Consigliere

Domenico Cafini Consigliere

Bruno Rosario Polito Consigliere

Gabriella De Michele Consigliere Est.

Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere Segretario

GABRIELLA DE MICHELE STEFANIA MARTINES

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 25.06.2008

 

 

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