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TAR Lombardia, Sez. Brescia, 27/10/2008 n. 1440
Sulla legittimità per le cooperative sociali ONLUS senza fini di lucro di partecipare alle gare pubbliche per l'affidamento di un servizio.

Una Comunità Montana che agisce quale Ente locale capofila, per la disciplina della gestione associata del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento RSU e assimilabili è incompetente ad individuare il modello dell'affidamento in house.

La Corte di Giustizia con la sentenza 18/12/2007 (procedimento C-357/06) ha dichiarato l'art. 113 c. 5 lett. a) del D. Lgs. 267/2000, nella parte cui in cui riserva alle sole Società di capitali la partecipazione alle procedure di gara relative all'affidamento dei servizi pubblici locali, contrario alle previsioni del diritto comunitario e, come tale, disapplicabile. Pertanto, nel caso di specie, una cooperativa sociale ONLUS senza fini di lucro è pienamente legittimata a partecipare alle gare pubbliche per l'affidamento del servizio rifiuti.
Le cooperative sociali ex L. 381/91, comprese quelle di tipo B che esercitano attività commerciali, sono comunque qualificate ONLUS e pertanto l'appartenenza a tale categoria non rappresenta ex se un ostacolo allo svolgimento di attività nel settore economico della raccolta dei rifiuti. Inoltre, il riconoscimento di vantaggi sotto il profilo fiscale e contributivo, nell'ottica di un favor legislativo per le cooperative sociali, e l'assenza di finalità di lucro non precludono peraltro alle ONLUS di competere nelle procedure per l'aggiudicazione degli appalti pubblici.

Le Comunità Montane sono Enti locali sovracomunali, costituiti "per l'esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l'esercizio associato delle funzioni comunali" (art. 27, c. 1 del T.U.E.L).
Gli Enti locali possono affidare ad una Comunità Montana, che agisce quale Ente locale capofila, per la disciplina della gestione associata (nel caso di specie, del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento RSU e assimilabili) il compito di individuare la forma di gestione di un più vantaggiosa anche sotto il profilo economico, conservando tuttavia la titolarità dei rispettivi servizi.
Se tuttavia la scelta cade sul modello di delegazione interorganica, la verifica dei requisiti che devono indefettibilmente e cumulativamente concorrere per legittimare l'affidamento diretto ad una società pubblica: l'esercizio su di essa, da parte degli Enti locali soci, di un controllo analogo a quello esercitato sui loro servizi e la realizzazione, da parte della Società, della quota più importante della propria attività con l'Ente o gli Enti pubblici che la controllano, va condotta con riferimento a ciascuna amministrazione titolare del servizio, ossia ad ogni singolo Comune delegante: quest'ultimo non viene espropriato della competenza attribuitagli dal legislatore, e quindi la mediazione realizzata per mezzo della delega rilasciata alla Comunità Montana non esclude che lo stesso debba mantenere in proprio il controllo diretto sulla Società affidataria.
Ne consegue che la Comunità Montana è incompetente ad individuare il modello dell'affidamento in house, in quanto il rapporto di immedesimazione organica deve coinvolgere direttamente il Comune affidante e il suo apparato amministrativo, senza possibilità di delega a soggetti terzi.

Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1031 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Ecosviluppo Soc. Coop. Onlus, rappresentata e difesa dagli avv. Aldo Coppetti, Alberto Salvadori, con domicilio eletto presso Alberto Salvadori in Brescia, via XX Settembre, 8 (Fax=030/43582);

 

 

contro

Comune di Trescore Balneario, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Benedetti, con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Malta, 12;

Comunita' Montana Val Cavallina, rappresentata e difesa dagli avv.ti Marco Mazzarelli, Stefano Sonzogni, Mauro Ballerini con domicilio eletto presso Mauro Ballerini in Brescia, v.le Stazione, 37 (Fax=030/46565);

 

 

nei confronti di

Val Cavallina Servizi Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Benedetto Giovanni Carbone, Enrico Codignola, con domicilio eletto presso Enrico Codignola in Brescia, via Romanino,16 (Fax=030/47897);

 

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

- DELLA DELIBERAZIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI TRESCORE BALNEARIO IN DATA 14/6/2007 N. 18, DI APPROVAZIONE DELLA CONVENZIONE CON LA COMUNITÀ MONTANA VAL CAVALLINA PER LA GESTIONE IN FORMA ASSOCIATA DEL SERVIZIO DI RACCOLTA, TRASPORTO E SMALTIMENTO R.S.U. E DIFFERENZIATA, ED ATTI CONNESSI;

- DELLA DELIBERAZIONE IN DATA 23/12/1998 N. 94 E DELLA CONSEGUENTE CONVENZIONE DEL 20/10/2000, CON LE QUALI LA COMUNITÀ MONTANA HA DISPOSTO L’AFFIDAMENTO PERMANENTE DEL SERVIZIO DI GESTIONE DEGLI R.S.U. ALLA SOCIETÀ VAL CAVALLINA SERVIZI S.R.L.;

- DELLO STATUTO DELLA SOCIETÀ CONTROINTERESSATA;

- DI OGNI ALTRO ATTO ANTECEDENTE E CONNESSO, COMPRESA LA DELIBERAZIONE GIUNTALE 31/5/2007 N. 56, DI INDIRIZZO SULLE MODALITÀ DI GESTIONE DEL SERVIZIO RIFIUTI.

 

e per la condanna

AL RISARCIMENTO DEL DANNO INGIUSTO PATITO PER EFFETTO DEI PROVVEDIMENTI IMPUGNATI.

Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Trescore Balneario;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Comunita' Montana Val Cavallina;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della controinteressata Val Cavallina Servizi Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16/10/2008 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO

La ricorrente opera nel settore economico della gestione dei rifiuti (cfr. suo doc. 6-bis).

Riferisce in punto di fatto che il Comune di Trescore Balneario ha aderito – in virtù della deliberazione consiliare n. 55 del 24/10/1994 – alla gestione in forma associata del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento RSU e assimilabili, demandando alla Comunità Montana Val Cavallina il ruolo di capofila mandataria e stipulando con essa apposita convenzione (della durata di 6 anni), che contemplava l’incarico di scegliere il miglior modello gestionale.

Con deliberazione n. 94 del 23/12/1998 la Comunità Montana individuava la Società pubblica Val Cavallina Servizi S.r.l. – partecipata dalla prima nella misura del 77,49% delle quote – quale gestore del servizio con decorrenza 1/1/1999. Il conseguente atto convenzionale sottoscritto il 20/10/2000 prevedeva la durata permanente dell’affidamento – sino ad eventuale revoca – e la possibilità di estendere il rapporto ai Comuni interessati.

Lo schema aggiornato di convenzione tra Comuni ed Ente capofila per la disciplina della gestione associata è stato approvato con le deliberazioni dell’Assemblea della Comunità Montana n. 14 del 5/12/2000 e n. 17 del 16/12/2005, che hanno fissato la scadenza rispettivamente al 31/12/2006 e al 31/12/2012, quest’ultima ulteriormente prorogabile di altri 6 anni. Anche il Comune di Trescore Balneario – in possesso di una quota pari allo 0,484% del capitale della Società controinteressata – disponeva il rinnovo della convenzione con la Comunità Montana dapprima sino al 31/12/2006 e da ultimo – con il provvedimento consiliare n. 18/2007 impugnato in questa sede – fino al 31/12/2012, con facoltà di estenderne gli effetti fino al 31/12/2018.

Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione la ricorrente ha impugnato i provvedimenti in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:

A. Violazione dell’art. 204 del D. Lgs. 252/2006 e dell’art. 113 del D. Lgs. 267/2000, in quanto i soggetti che esercitano il servizio R.S.U. senza il previo esperimento di gara d’appalto mantengono la gestione soltanto fino al 31/12/2006, senza che le amministrazioni possano accordare dilazioni o disporre ulteriori affidamenti diretti, anche nel caso di mancata costituzione degli Ambiti Territoriali Ottimali;

B. Violazione dell’art. 113 comma 5 del D. Lgs. 267/2000 ed eccesso di potere per difetto dei presupposti, in quanto la disposizione richiamata è inderogabile ed integrativa delle normative di settore, per cui le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque di avere efficacia alla data del 31/12/2006, difettando in ogni caso i requisiti per l’affidamento in house;

C. Violazione dell’art. 113 comma 5 lett. c) del D. Lgs. 267/2000 ed eccesso di potere per difetto dei presupposti, dato che in concreto non sussiste il requisito del controllo analogo per l’irrilevanza della partecipazione del Comune e la totale assenza di poteri suscettibili di incidere sull’attività della Società;

D. Violazione dell’art. 11 della Direttiva comunitaria 2004/18/CE e dell’articolo 33 del D. Lgs. 163/2006 in quanto la Comunità Montana ha agito come una centrale di committenza, e ad essa incombeva il conseguente obbligo di rispettare i principi comunitari che impongono l’esperimento di una gara;

E. Violazione dell’art. 23 della L. 18/4/2005 n. 62 e del principio di libera concorrenza, essendo vietato il rinnovo dei contratti pubblici scaduti, viceversa disposto con l’atto impugnato n. 17/2008;

F. Incompetenza della Comunità Montana ad individuare il modello dell’affidamento in house, in quanto il rapporto di immedesimazione organica deve coinvolgere direttamente il Comune affidante e il suo apparato amministrativo, senza possibilità di delega a soggetti terzi;

G. Difetto di motivazione nella scelta di privilegiare la delegazione interorganica, rinunciando all’opzione della gara pubblica;

H. In subordine, ove si ritenesse l’affidamento in house uno strumento alternativo a quello generale – e non meramente residuale – violazione del Trattato U.E. con istanza di deferire la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

La ricorrente chiede altresì il risarcimento del danno patito per perdita di chance, non avendo potuto partecipare alla gara, quantificandolo nel 10% del valore del rapporto contrattuale.

Si sono costituite in giudizio l’amministrazione comunale, la Comunità Montana e la controinteressata, eccependo in rito l’inammissibilità del gravame sotto diversi profili e chiedendone la reiezione nel merito siccome infondato. In punto di fatto hanno tra l’altro evidenziato che lo Statuto di Val Cavallina Servizi S.r.l. è stato modificato il 23/5/2006, inserendo clausole rafforzative del meccanismo del controllo analogo.

Con ordinanza istruttoria collegiale n. 113, depositata in Segreteria il 25/10/2007, la Sezione ha chiesto al Comune di Trescore Balneario una relazione sui fatti di causa, con particolare riguardo al ruolo e ai poteri della Consulta dei Sindaci e ai caratteri del contratto di servizio. L’incombente è stato adempiuto con deposito effettuato il 26/11/2007.

Con ordinanza n. 971, emessa nella Camera di Consiglio del 20/12/2007, la Sezione ha motivatamente accolto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato, mentre la sez. V del Consiglio di Stato – con ordinanze n. 411 e 412 rese nella seduta del 25/1/2008 – ha accolto l’appello, riformando il provvedimento cautelare di primo grado.

In data 26/2/2008 l’Assemblea Straordinaria di Val Cavallina Servizi S.r.l. ha apportato allo Statuto ulteriori modifiche.

Con motivi aggiunti depositati il 5/3/2008 la ricorrente ha impugnato il nuovo Statuto aggiornato, deducendo le stesse censure già enunciate nel gravame originario.

In prossimità all’udienza di discussione del 4/6/2008 il Comune ha prodotto in giudizio l’atto di approvazione delle modifiche statutarie, ossia la deliberazione consiliare 8/5/2008 n. 21.

Con motivi aggiunti depositati il 16/6/2008 la ricorrente ha impugnato anche quest’ultimo atto, sviluppando le stesse doglianze esposte nel ricorso introduttivo.

Alla pubblica udienza del 16/10/2008 il ricorso veniva chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

 

DIRITTO

La Società ricorrente contesta le determinazioni con le quali l’amministrazione comunale ha rinnovato l’adesione alla gestione associata del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento R.S.U. e differenziata, già affidato in house alla Società controinteressata. Censura altresì gli atti assunti dalla Comunità montana aventi per oggetto il conferimento del servizio – in via permanente e senza gara – alla Valcavallina Servizi S.r.l.

Devono essere preliminarmente affrontate le eccezioni di rito sollevate dalle amministrazioni intimate e dalla controinteressata.

1. Il comune di Trescore Balneario ha dedotto la carenza di legittimazione di Ecosviluppo ed il suo difetto di interesse all’impugnazione, poichè una Cooperativa sociale ONLUS senza fini di lucro non può concorrere in un’eventuale gara per l’affidamento del servizio, essendo la procedura competitiva riservata dalla legge in via esclusiva alle Società di capitali (art. 2 L.r. 12/12/2003 n. 26).

L’eccezione è infondata.

1.1 Il rilievo dell’amministrazione si fonda su una puntuale disposizione legislativa regionale, ossia sull’art. 15 comma 1 della L.r. 26/2003 il quale – in materia di gestione di rifiuti urbani – dispone testualmente che “… i comuni affidano il servizio di gestione dei rifiuti urbani con le modalità di cui all'articolo 2, comma 6”; quest’ultima norma chiarisce che “L’erogazione dei servizi è affidata a società di capitali scelte mediante procedura a evidenza pubblica o procedure compatibili con la disciplina nazionale e comunitaria in materia di concorrenza” …”. Peraltro anche l’art. 113 comma 5 del D. Lgs. 267/2000 di disciplina della gestione dei servizi pubblici locali, afferma alla lett. a) che essi sono conferiti – secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione Europea – a “… società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica”.

1.2 Detta disciplina è stata recentemente sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia (sez. IV), che con la sentenza 18/12/2007 (procedimento C-357/06) ha dichiarato l’art. 113 comma 5 lett. a) del D. Lgs. 267/2000 – nella parte cui in cui riserva alle sole Società di capitali la partecipazione alle procedure di gara relative all’affidamento dei servizi pubblici locali – contrario alle previsioni del diritto comunitario e, come tale, disapplicabile.

La Corte ha sottolineato che, a norma dell’art. 26 n. 2 della direttiva 92/50, le amministrazioni aggiudicatrici non possono escludere i concorrenti idonei ad erogare un determinato servizio “soltanto per il fatto che, a norma delle disposizioni vigenti nello Stato membro nel quale è aggiudicato l’appalto, essi avrebbero dovuto essere o persone fisiche o persone giuridiche”.

Dalle disposizioni citate “si evince che le amministrazioni aggiudicatici non possano neppure scartare, da una procedura di gara i candidati od offerenti che, in base alla normativa dello Stato membro, sono autorizzati a fornire il servizio di cui trattasi, soltanto per il fatto che la forma giuridica non corrisponde ad una categoria specifica di persone giuridiche…. Di conseguenza, disposizioni nazionali come quelle di cui trattasi nella causa principale, che limitano l’attribuzione degli appalti di servizi pubblici locali di rilevanza economica il cui valore superi la soglia di applicazione della direttiva 92/50 a società di capitali, non sono compatibili con l’art. 26, n. 2, di tale direttiva” (cfr. punti 21 e 23 sentenza). Il Collegio osserva che l’art. 4 comma 1 della direttiva 2004/18/CE racchiude una norma analoga all’art. 26 n. 2 citato.

La sentenza 18/12/2007 ribadisce infine che il giudice nazionale, il quale si trovi di fronte ad una disposizione di diritto interno insuscettibile di un’interpretazione conforme alle prescrizioni del diritto comunitario, ha l’obbligo di applicare integralmente quest’ultimo e di tutelare i diritti che esso conferisce ai singoli, disapplicando la norma nazionale contraria.

1.3 E’ noto che le norme comunitarie di questo tenore sono caratterizzate dall’efficacia diretta, ossia dall’immediata penetrazione nel tessuto nazionale con l’attribuzione ai singoli (persone fisiche e giuridiche) di posizioni soggettive tutelabili innanzi ai giudici nazionali. Ne consegue che i singoli destinatari di diritti riconosciuti dalla fonte comunitaria possono azionarli in sede amministrativa e giurisdizionale, mentre sorge in capo all’autorità giudiziaria e alla pubblica amministrazione il correlativo dovere di dare loro immediata applicazione: la norma interna – anteriore o posteriore – incompatibile con l’ordinamento comunitario deve essere disapplicata dal giudice nazionale nel caso di specie sottoposto alla sua cognizione, senza la necessità di ottenere una preventiva dichiarazione di incostituzionalità.

Peraltro l’art. 34 comma 1 lett. a) del Codice degli appalti pubblici, emanato in attuazione della citata direttiva, stabilisce che “Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati: …“gli imprenditori individuali, anche artigiani, le società commerciali, le società cooperative” ….

In definitiva il Collegio è chiamato a disapplicare le norme interne sopra riportate in quanto incompatibili con il diritto comunitario, risultando la ricorrente pienamente legittimata a partecipare alle gare pubbliche per l’affidamento del servizio rifiuti, con conseguente reiezione dell’eccezione sollevata.

2. Il Comune e la controinteressata hanno eccepito la carenza di interesse di Ecosviluppo, Cooperativa sociale di tipo A abilitata al solo esercizio di servizi socio-sanitari ed educativi; ad avviso del Comune inoltre la ricorrente – in qualità di ONLUS che gode di benefici fiscali e partecipa al riparto del 5x1000 – non può svolgere l’attività di gestore di rifiuti ostandovi l’art. 10 comma 1 punto 8 del D. Lgs. 4/12/1997 n. 460.

Anche tali eccezioni sono infondate.

2.1 La ricorrente ha dimostrato l’iscrizione all’Albo regionale delle Cooperative sociali nella Sezione B (foglio 106 n. 211), che consente lo svolgimento di attività agricole, industriali, artigianali, commerciali o di servizi finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (cfr. decreto Presidente della Regione Lombardia del 24/5/1996 – doc. 9 depositato il 28/2/08). In allegato alla memoria del 23/5/2008 (doc. 11) la ricorrente ha prodotto altresì certificazione della Provincia di Bergamo – rilasciata il 21/5/2008 – che ne attesta la perdurante appartenenza alla Sezione B dell’Albo delle Cooperative sociali con il n. 211 del 24/5/1996. L’oggetto sociale (cfr. doc. 6 bis) contempla inoltre chiaramente le attività di raccolta e smaltimento di rifiuti.

2.2 Per quanto riguarda l’invocato art. 10 del D. Lgs. 460/97 – che regolamenta le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale – è pur vero che lo stesso prevede al comma 1 che sono ONLUS “le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative …, i cui statuti o atti costitutivi, …, prevedono espressamente …”, tra l’altro, lo svolgimento di attività in uno o più dei settori di seguito specificati, tra i quali figura (punto 8) la “tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente, con esclusione dell'attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”.

Va tuttavia osservato che ai sensi del comma 8 del medesimo art. 1 “Sono in ogni caso considerati ONLUS, nel rispetto della loro struttura e delle loro finalità, …, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381 …”.

Dalla combinata lettura delle disposizioni legislative richiamate emerge che le Cooperative sociali ex L. 381/91 – comprese quelle di tipo B che esercitano attività commerciali – sono comunque qualificate ONLUS e pertanto l’appartenenza a tale categoria non rappresenta ex se un ostacolo allo svolgimento di attività nel settore economico della raccolta dei rifiuti, oggetto dell’affidamento diretto contestato in questa sede.

2.3 Il riconoscimento di vantaggi sotto il profilo fiscale e contributivo, nell’ottica di un favor legislativo per le Cooperative sociali, e l’assenza di finalità di lucro non precludono peraltro alle ONLUS di competere nelle procedure per l’aggiudicazione degli appalti pubblici.

La giurisprudenza ha già messo in luce come l’esclusione da una gara d’appalto di un soggetto che sia Cooperativa sociale e ONLUS senza fine di lucro non ha alcun fondamento testuale, dato che

la normativa nazionale non ha mai richiesto tra i requisiti di partecipazione alle procedure concorsuali la qualità di impresa commerciale né il fine di lucro (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 8/7/2002 n. 3790). D’altro canto l’introduzione di norme di favore nei confronti di tali soggetti non dà luogo ad alcuna diminuzione della loro capacità giuridica con riferimento alla partecipazione alle gare (T.A.R. Lazio Roma, sez. III – 22/2/2007 n. 1559) anche in virtù dell’art. 1 comma 8 della Direttiva 18/2004/CE (recepito integralmente sul punto dall’art. 3 comma 19 del D. Lgs. 163/2006) secondo il quale la locuzione “prestatore di servizi” designa “una persona fisica o giuridica ... che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di ....servizi”. La direttiva europea pone quindi come condizione preliminare essenziale per poter contrattare con le stazioni appaltanti l’essere già presente sul mercato, senza alcuna limitazione alla configurazione giuridica.

Del resto di tratta di principi da tempo consolidati nella giurisprudenza comunitaria, per la quale la nozione di impresa ricomprende “qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dal proprio status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento” mentre un’attività economica è costituita da qualsiasi attività consistente nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato, contro retribuzione e con assunzione dei rischi finanziari connessi, anche se non viene perseguito uno scopo di lucro (cfr. Corte di Giustizia CE, sez. V – 18/6/1998 n. 35; Tribunale I grado CE – 4/3/2003 n. 319). In definitiva, le norme generali in materia di partecipazione alle gare pubbliche non legittimano l’esclusione delle Cooperative sociali, e non residuano dubbi circa la loro possibilità di concorrere all’aggiudicazione degli appalti sopra la soglia comunitaria ai sensi della direttiva 2004/18.

In secondo luogo il principio della parità di trattamento non è violato per il solo motivo che le amministrazioni ammettono la partecipazione ad un procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico di organismi che beneficiano di sovvenzioni, che consentono loro di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli altri concorrenti: infatti, se il legislatore comunitario avesse avuto l’intenzione di obbligare le stazioni appaltanti ad escludere tali offerenti, l’avrebbe espressamente indicato (Corte di giustizia CE, sez. VI – 7/12/2000 procedimento C-94/99).

2.4 La Sezione si è recentemente pronunciata sul tema, affermando che – in sede di valutazione dell’offerta sospettata di anomalia – secondo il principio ora codificato all’art. 55 della direttiva 2004/18/CE i concorrenti devono avere la possibilità di dimostrare in concreto qualunque circostanza (di diritto e di fatto) che permetta la riduzione dei costi, compresi i benefici contributivi e fiscali di cui l’impresa può usufruire (sentenza 23/7/2007 n. 632).

3. La Comunità Montana ha eccepito l’irricevibilità del gravame proposto avverso la deliberazione n. 94/1998 e la convenzione del 20/10/2000 – recanti statuizioni immediatamente lesive per gli operatori del settore – tenuto conto che l’art. 26 del suo Statuto stabilisce che le deliberazioni del Consiglio direttivo sono pubblicate all’Albo pretorio, e dunque dal 15° giorno successivo alla pubblicazione è decorso il termine perentorio breve per proporre impugnazione; secondo la resistente Ecosviluppo non ha comunque chiarito l’interesse ad ottenere la caducazione di tali atti, in quanto unicamente interessata a beneficiare di una chance di affidamento presso il solo Comune di Trescore Balneario. Anche la difesa di quest’ultimo ha dedotto che il ricorso contro gli atti citati, adottati dalla Comunità Montana, è tardivo e pertanto irricevibile.

L’eccezione non è condivisibile.

3.1 La Comunità Montana ha invocato un indirizzo giurisprudenziale uniforme per il quale – in tutti i casi in cui non sia necessaria la notificazione individuale del provvedimento e sia al contempo prescritta da una norma di legge o di regolamento la sua pubblicazione in un apposito Albo – il termine per proporre l’impugnazione decorre dal giorno in cui sia scaduto il periodo della pubblicazione (cfr. ex plurimis Consiglio di stato, sez. V – 6/7/2007 n. 3849): in buona sostanza per i soggetti non direttamente contemplati, la pubblicazione di un provvedimento amministrativo all’Albo degli uffici di un’amministrazione o all’Albo pretorio implica la presunzione di conoscenza ai fini della decorrenza dei termini di impugnazione quando essa sia espressamente prevista da una norma di legge o di regolamento e venga effettuata nei modi prescritti (Consiglio di Stato, sez. V – 25/9/2000 n. 5073).

Ritiene il Collegio che il principio richiamato debba essere coordinato con l’ulteriore regola generale che esige – ai fini della configurabilità dell’onere di impugnazione – la sussistenza di un effettivo pregiudizio arrecato nella sfera giuridica del destinatario dell’atto amministrativo, ossia di una lesione del suo interesse che rivesta i caratteri dell’immediatezza, della concretezza e dell’attualità (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 31/12/2007 n. 6788; Consiglio di Stato, adunanza plenaria – 29/1/2003 n. 1).

3.2 Nella fattispecie l’incisione della sfera giuridica dell’impresa ricorrente è il frutto degli effetti combinati di due distinti provvedimenti, ossia della deliberazione consiliare di Trescore Balneario n. 18/2007 – che ha disposto il rinnovo della convenzione con la Comunità Montana per la gestione associata del servizio fino al 31/12/2012 (con facoltà di prolungamento fino al 31/12/2018) – e del provvedimento n. 94/98, che ha individuato la controinteressata quale affidataria in via permanente del servizio con decorrenza 1/1/1999 e fino a revoca.

Il primo atto attribuisce alla Comunità Montana, ai sensi dell’art. 31 del T.U.E.L., la funzione di Ente capofila, delegato alla scelta della modalità di gestione più corrispondente all’interesse pubblico. In proposito l’art. 2 della convenzione stabilisce che la gestione del servizio “potrà avvenire in forma diretta o attraverso l’affidamento a terzi, in concessione o in appalto o a società di capitale interamente pubbliche ex art. 113 del D. Lgs. 267/2000”, demandando all’Ente sovracomunale la facoltà di scelta del modello più razionale e conveniente: in buona sostanza l’atto di adesione rinvia ad una fase successiva o comunque ulteriore – riservata alla competenza della Comunità Montana – di individuazione del sistema gestionale entro la gamma delle opzioni legittime e sostenibili.

Tale segmento risulta colmato dal provvedimento n. 94/98 che affida il servizio – in via continuativa “fino a revoca” e senza gara – alla Società controllata Val Cavallina Servizi S.r.l.: tale determinazione contempla il procedimento di scelta del gestore, che culmina nell’attribuzione dell’attività ad una Società in house.

Ad avviso del Collegio l’attitudine lesiva nei confronti della ricorrente si realizza al termine della seconda fase, la quale rimane saldamente collegata alla precedente, in quanto è l’adesione al sistema di gestione associata che abilita la Comunità Montana ad agire in nome e per conto del Comune di Trescore Balneario. Il pregiudizio concreto ed attuale nella sfera giuridica di Ecosviluppo si materializza in definitiva con l’adozione di entrambi i provvedimenti, i cui effetti congiunti la privano della chance di partecipare ad un’eventuale procedura di evidenza pubblica per l’aggiudicazione del servizio presso il Comune di Trescore Balneario.

L’anomalia della fattispecie è peraltro provocata dall’esistenza di un affidamento indeterminato nella durata, per cui i periodici atti di rinnovo dell’adesione alla gestione associata sono intervenuti “a valle” della scelta del modello di delegazione interorganica, compiuta una volta per tutte e tendenzialmente perpetua. Tale circostanza tuttavia non depotenzia la conclusione cui il Collegio è approdato, in quanto l’atto di affidamento permanente – una volta spirato il periodo di 6 anni – interrompe la sua portata lesiva verso coloro che aspirano a gestire il servizio presso il Comune di Trescore Balneario, salvo produrre ex novo effetti pregiudizievoli quando quest’ultimo decide di rinnovare la delega.

3.3 Privo di rilievo è il fatto, evidenziato dalla Comunità Montana, dell’incidenza dell’eventuale annullamento della deliberazione n. 94/98 sugli altri Comuni, che assumerebbero la posizione di controinteressati e che ciononostante non sono stati evocati in giudizio. La posizione di controinteressata nella presente controversia è rivestita unicamente dalla Società affidataria, mentre i singoli Comuni hanno assunto le rispettive determinazioni per prendere parte alla gestione associata, rientrando nella sfera discrezionale della Comunità la scelta del modello più soddisfacente. In altri termini, gli altri Comuni non coinvolti nella presente controversia non subiscono una lesione diretta poiché l’eventuale effetto demolitorio investe la scelta – di esclusiva competenza della Comunità – compiuta nell’ambito di una pluralità di opzioni disponibili, suscettibili di essere di seguito nuovamente coltivate dall’Ente sovracomunale salvi gli effetti ripristinatori e conformativi della presente sentenza.

3.4 Alcuna conseguenza provoca l’omessa impugnazione della deliberazione della Comunità Montana n. 17/2005, con la quale è stato da ultimo aggiornato il testo convenzionale che regola la gestione associata: ciò in quanto il provvedimento consiliare del Comune di Trescore Balneario n. 18/2007 – che ha recepito il medesimo testo – è stato tempestivamente gravato.

4. La Comunità Montana e la controinteressata hanno eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo con riguardo all’avvenuta impugnazione dello Statuto.

L’eccezione è fondata, in quanto le controversie inerenti alle vicende del contratto sociale – ed in particolare dello statuto e delle regole che disciplinano, su base pattizia, il funzionamento della Società – hanno natura privatistica (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I – 18/4/2005 n. 670), per cui le censure che colpiscono gli atti costitutivi della Società sfuggono alla giurisdizione del giudice amministrativo per rientrare in quella del giudice ordinario.

In termini generali la giurisprudenza ha rilevato che rispetto alle vicende concernenti lo svolgimento del contratto sociale sono configurabili unicamente posizioni di diritto soggettivo (Consiglio Stato, sez. V – 3/9/2001 n. 4586; T.A.R. Campania Napoli, sez. I – 28/10/2005 n. 17854; sentenza Sezione 28/12/2007 n. 1385): appartiene dunque alla giurisdizione del giudice ordinario una controversia avente ad oggetto l’annullamento dell’atto costitutivo e dello statuto di una Società costituita per lo svolgimento dei servizi di un Ente locale, dovendosi escludere ogni interferenza del giudice amministrativo in questioni di stretta attinenza al diritto societario (T.A.R. Abruzzo L’Aquila – 4/2/2005 n. 58).

Si deve al contempo osservare che la ricorrente ha impugnato la deliberazione comunale di approvazione delle modifiche statutarie, e dunque in tal modo la nuova regolamentazione trova ingresso nel presente giudizio, consentendo a questo Tribunale di vagliarne il contenuto per accertare la sussistenza o meno del controllo analogo (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 6/2/2008 n. 309).

5. La Comunità Montana ha sostenuto la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso alla luce delle ultime modifiche statutarie: un eventuale annullamento non gioverebbe alla ricorrente poiché la novella ha introdotto regole che pacificamente permettono di configurare il controllo analogo, rendendo possibile senza dubbio alcuno un nuovo affidamento diretto.

L’eccezione è infondata poiché il positivo riscontro dei requisiti caratterizzanti il cd. controllo analogo afferisce al merito della controversia, e la sua trattazione deve essere rinviata alla seconda parte di questa pronuncia.

6. Priva di fondamento è l’eccezione con la quale il Comune di Trescore Balneario ha evidenziato che – nel censurare la deliberazione consiliare n. 18/2007 – Ecosviluppo ha erroneamente qualificato la fattispecie contestata come “adesione al servizio” quando si è in presenza di una semplice “proroga”.

Al riguardo è sufficiente osservare che il corretto inquadramento della fattispecie controversa è un esclusivo compito del giudice, da assolvere in sede di esame della causa nel merito, senza che l’eventuale scorretta ricostruzione della natura dell’atto impugnato provochi l’inammissibilità della censura ed integri una questione di rito.

7. La controinteressata si è soffermata sulla carenza di interesse concreto ed attuale all’annullamento delle deliberazioni impugnate, eccependo la natura organizzatoria della scelta contestata, a fronte della quale la ricorrente vanta un mero interesse di fatto. I provvedimenti assunti sono inquadrabili nell’alveo degli atti di alta amministrazione, per loro natura non sindacabili salve le ipotesi residuali di manifesta illogicità e irragionevolezza della decisione intrapresa.

Anche queste eccezioni non sono meritevoli di condivisione.

7.1 Anzitutto Ecosviluppo è titolare di un interesse legittimo di tipo strumentale giovandosi – nel caso di caducazione degli atti impugnati – della chance di partecipare ad una plausibile procedura competitiva che potrebbe essere attivata per la scelta del nuovo gestore del servizio: sussiste in altre parole un’apprezzabile utilità, concreta ed effettiva, ritraibile dalla rimozione degli atti amministrativi conseguente ad un’eventuale pronuncia di accoglimento del ricorso: il vantaggio consiste cioè nella rinnovazione dell’azione amministrativa con possibilità di ottenere il bene della vita ambito, ossia l’affidamento del servizio.

7.2 La natura organizzatoria delle determinazioni impugnate, inoltre, non esclude la ricorrenza di un interesse legittimo preciso ed individuabile in capo all’impresa ricorrente, che opera nel medesimo settore della controinteressata ed aspira alla conclusione di contratti pubblici. Anche ammettendo, poi, la riconduzione degli atti impugnati nella categoria degli atti di alta amministrazione, è pacifico che questi – a differenza degli atti politici – sono pienamente sindacabili da questo Tribunale per i tradizionali vizi di legittimità, restando assoggettati al regime giuridico proprio dei comuni atti amministrativi (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV – 10/7/2007 n. 3893).

8. Passando all’esame del merito, con il primo ed il secondo motivo di gravame la ricorrente deduce la violazione dell’art. 204 del D. Lgs. 252/2006 e dell’art. 113 del D. Lgs. 267/2000, in quanto i soggetti che esercitano il servizio R.S.U. senza il previo esperimento di gara d’appalto mantengono la gestione soltanto fino al 31/12/2006, senza che le amministrazioni possano accordare dilazioni o disporre ulteriori affidamenti diretti, anche nel caso di mancata costituzione degli Ambiti Territoriali Ottimali; lamenta inoltre la violazione dell’art. 113 comma 5 del D. Lgs. 267/2000 e l’eccesso di potere per difetto dei presupposti, in quanto la disposizione richiamata è inderogabile ed integrativa delle normative di settore, per cui le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque di avere efficacia alla data del 31/12/2006, difettando in ogni caso i requisiti per l’affidamento in house.

La censura è infondata.

Premesso che la questione della sussistenza del controllo analogo sarà verificata al punto successivo, rileva il Collegio che la Sezione si è già pronunciata sulla questione sollevata (sentenza 18/2/2008 n. 95) e, nel caso di gestioni in essere alla data del 29/4/2006 con naturale scadenza entro il 31/12/2006 – ipotesi analoga al caso in esame – si è statuito che “In tal caso non trova applicazione l’art. 204 comma 1 del D.Lgs. n. 152/06, poiché non sussistono gli estremi per la anticipata risoluzione del rapporto sulla base della predetta disposizione (avvenuta istituzione e organizzazione del servizio di gestione integrata da parte delle Autorità d’ambito). Alla relativa scadenza naturale il Comune si riappropria del servizio continuando (ex art. 198 comma 1 del D.Lgs. n. 152/06) nella relativa gestione in regime di privativa nelle forme di cui all’art. 113 comma 5 del D.Lgs. n. 267/2000 (ossia affidamento a società di capitali individuate attraverso procedure ad evidenza pubblica oppure a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto con procedure ad evidenza pubblica ovvero a società in house mediante affidamento diretto)”.

E’ dunque condivisibile l’impostazione della difesa della Comunità Montana nella parte in cui afferma che l’art. 204 del D. Lgs. 252/2006 non incide sulle competenze dei Comuni nelle more dell’istituzione dell’Autorità d’ambito e dei nuovi affidamenti, non essendo preclusa medio tempore la scelta di una forma di gestione che vede come alternative la gara pubblica e la delegazione interorganica.

9. Con la censura di cui alla lett. C) dell’esposizione in fatto la ricorrente si duole della violazione dell’art. 113 comma 5 lett. c) del D. Lgs. 267/2000 ed invoca l’eccesso di potere per difetto dei presupposti, dato che in concreto non sussiste il requisito del controllo analogo per l’irrilevanza della partecipazione del Comune e la totale assenza di poteri suscettibili di incidere sull’attività della Società.

Sostiene in particolare la ricorrente che:

a. il Comune – che vanta un’esigua partecipazione nel capitale – esercita unicamente potestà consultive che non vincolano in nessun modo la Società;

b. il Consiglio di Amministrazione ha i più ampi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, ed ove sia nominato un amministratore unico questi ha poteri illimitati per l’amministrazione ordinaria;

c. il presidente del Consiglio di Amministrazione non è nominato dall’Assemblea ma dai membri dell’organo di governo;

d. la Comunità Montana ha una rilevante partecipazione nella Società, che tuttavia ha natura meramente finanziaria poiché gli interessi da essa perseguiti sono disomogenei rispetto a quelli propri dei Comuni aderenti;

e. non si riscontra una forma stringente di controllo congiunto – a mezzo di convenzione o di assemblea di coordinamento intercomunale – dato che le deliberazioni dell’Assemblea vincolano tutti i soci anche se dissenzienti (art. 9 Statuto);

f. Il provvedimento di affidamento della Comunità Montana alla Società (n. 94/98) è già stato annullato dal TAR e ciononostante il Comune non ne ha tenuto conto, eludendo il giudicato.

L’articolata doglianza è fondata.

Muovendo dall’ultimo rilievo va detto che il Consiglio di Stato, con la sentenza della sez. V n. 309 del 6/2/2008, ha riformato la pronuncia invocata dalla ricorrente, dichiarando inammissibile il gravame originario.

10. Come chiarito fin dalla sentenza della Corte di Giustizia 18/11/1999, resa nel procedimento C-107/98 (Teckal), e da ultimo confermato nelle pronunce della sez. II 19/4/2007 (C-295/05) e 17/7/2008 (C-371/05), due elementi devono indefettibilmente e cumulativamente concorrere per legittimare l’affidamento diretto ad una Società pubblica: l’esercizio su di essa, da parte degli Enti locali soci, di un controllo analogo a quello esercitato sui loro servizi e la realizzazione, da parte della Società, della quota più importante della propria attività con l’Ente o gli Enti pubblici che la controllano.

11. E’ noto che la libera concorrenza è uno dei principi guida del Trattato dell’Unione Europea, ed è finalizzata a garantire parità di accesso alle commesse pubbliche a tutte le imprese che operano entro i suoi confini. L’obiettivo può essere tuttavia vanificato da particolari situazioni economiche capaci di porre alcune imprese in una condizione di privilegio o comunque di favore: ciò si verifica senz’altro quando un operatore usufruisce di un aiuto di Stato, sia nella forma tradizionale della provvidenza economica che riduce o copre totalmente i costi della sua attività, sia mediante la garanzia di una posizione di mercato avvantaggiata rispetto alle altre imprese. Per questo le azioni comunitarie tendono da un lato ad assimilare il più possibile la Società partecipata all’amministrazione controllante e dall’altro a preservare il mercato privato dall’elemento di disturbo rappresentato dall’ingresso di tale tipologia di impresa: lo scopo è perseguito applicando il principio del “controllo analogo” e il requisito della “attività prevalente”, vale a dire della tendenziale esclusività dell’attività economica a favore dell’azionista (C.G.A. Sicilia, sez. giurisdizionale – 4/9/2007 n. 719).

La giurisprudenza comunitaria, ad ogni modo, ammette che un’autorità pubblica che sia amministrazione aggiudicatrice possa assolvere i compiti istituzionali e realizzare gli interessi pubblici ad essa affidati mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici e di altro tipo, senza essere obbligata a ricorrere ad entità esterne estranee alle proprie strutture e ai propri servizi (cfr. Corte di Giustizia CE – 11/1/2005 causa C-26/03 Stadt Halle).

Non è, dunque, vietato all’amministrazione sottrarre al mercato attività in relazione alle quali ritenga di dover provvedere direttamente con la propria organizzazione.

E’ stato sul punto efficacemente rilevato che la creazione di un mercato comune e l’applicazione delle regole di tutela della concorrenza non ostacolano lo svolgimento della potestà organizzatoria della pubblica amministrazione, riconosciuta dalle istituzioni comunitarie agli Stati membri. Non siamo in questo caso di fronte ad una deroga alla disciplina europea delle libertà economiche, ma ad una fattispecie che si colloca al di fuori del mercato: in buona sostanza, le norme che regolano la concorrenza nel settore degli appalti e delle concessioni presuppongono un rapporto con il mercato, per cui l’amministrazione può decidere, in alternativa, di non rivolgersi ad esso per una o più attività di competenza, optando per il ricorso all’autoproduzione (cfr. T.A.R. Sardegna, sez. I – 21/12/2007 n. 2407).

Del resto, nel panorama delineato si inquadra organicamente l’art. 13 del D.L. 223/06 convertito con modificazioni nella Legge n. 248/2006, il quale testualmente dispone che “Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonchè, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, nè in affidamento diretto nè con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti …”.

La Sezione ha recentemente statuito che la ratio della disposizione citata si rinviene nella circostanza che l’Unione Europea ha reiteratamente imposto agli Stati membri di regolamentare l’accesso al mercato degli appalti pubblici da parte di organismi costituiti o partecipati da Enti pubblici, evitando distorsioni alle dinamiche concorrenziali e pregiudizi nei confronti dei soggetti privati: la finalità della norma, di chiusura del sistema, è pertanto quella di delimitare la posizione di vantaggio competitivo di dette Società, che hanno beneficiato di un accesso privilegiato alle commesse della pubblica amministrazione a danno di altri operatori privati (cfr. sentenza Sezione 27/12/2007 n. 1373).

12. Nel nostro ordinamento, la materia controversa è regolata dall’art. 113, comma 5, lettera c), del D. Lgs. 267/2000 che permette l’affidamento diretto – senza gara pubblica – della gestione di servizi pubblici locali a “società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”. La disposizione si allinea ai principi comunitari diffusamente illustrati, e la sua introduzione è conseguita ad una procedura d’infrazione nei confronti della Repubblica italiana, avviata dalla Commissione europea nel novembre 2000.

Come si evince dalla formulazione letterale della norma – che individua alternativamente l’Ente o gli Enti pubblici “… titolari del capitale sociale” – in linea generale non vi sono ostacoli a ritenere ammissibile che una pluralità di Enti locali proceda all’affidamento diretto di un dato servizio ad una Società di capitali partecipata soltanto da essi, per quote commisurate all’interesse di cui ciascuno è titolare. E’ tuttavia indispensabile la sussistenza della condizione del controllo analogo, riferito alla capacità di influenzare la gestione della Società nel suo complesso e che deve essere accertato caso per caso con riguardo agli elementi che caratterizzano i soggetti interessati.

13. La Sezione, chiamata ad esprimersi sulla questione in esame in diverse pronunce (cfr. sentenze 5/12/2005 n. 1250; 7/11/2005 n. 1123; 28/2/2006 n. 238; 16/3/2006 n. 301; 2/5/2006 n. 450), ha ritenuto in tutti quei casi insussistente il rispetto delle condizioni necessarie a configurare – da parte dei Comuni che detenevano un’esigua quota percentuale di capitale sociale – una situazione di controllo analogo a quello svolto sui propri servizi: in quelle ipotesi non era riscontrabile un’influenza determinante sugli obiettivi e sulle scelte gestionali delle Società affidatarie, da svolgersi anche collettivamente con gli altri soci al di fuori degli ordinari poteri dell’Assemblea della Società.

Infatti, come affermato anche dalla sentenza della Corte di Giustizia in data 13/10/2005 nella causa C-458/03 (Parking Brixen GmbH), il controllo analogo su una Società pubblica non sussiste ove lo Statuto conferisca al Consiglio di Amministrazione poteri teoricamente illimitati, senza che l’Ente affidante possa influirvi, e configuri un ampio oggetto sociale: in particolare l’impresa non deve aver acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo, la quale può risultare, tra l’altro, dall’ampliamento dell’oggetto sociale, dall’apertura obbligatoria ad altri capitali e dall’espansione territoriale dell’attività a tutto il territorio nazionale e all’estero (cfr. Corte di giustizia – 10/11/2005, C-29/04; Consiglio di Stato, sez. V – 30/8/2006 n. 5072).

14. In termini positivi, per configurare il controllo analogo è necessario uno strumento di carattere sociale ovvero anche parasociale – ma diverso dai normali poteri che un socio, anche totalitario, esercita in assemblea – che in ogni momento possa vincolare l’affidataria agli indirizzi dell’affidante ossia garantire un’influenza determinante del secondo sulla prima, con riguardo sia agli obiettivi strategici che alle decisioni più importanti (cfr. sentenza Parking Brixen GmbH, cit., par. 65).

In linea generale è pertanto necessaria la previsione, a favore dell’Ente pubblico, di strumenti di controllo più intensi di quelli riconosciuti dal diritto societario alla maggioranza assembleare (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 28/12/2007 n. 6736; sez. VI – 3/4/2007 n. 1514).

La giurisprudenza ha ritenuto sussistere un’incisiva ingerenza ove lo Statuto della Società preveda poteri speciali in capo all’Ente pubblico – quali la nomina del Presidente e di un numero predeterminato di membri del Consiglio di Amministrazione e del Collegio sindacale (cfr. Tar Campania Napoli, sez. I – 30/3/2005 n. 2784) ovvero quando venga costituito un apposito organo con penetranti poteri di controllo sulla gestione straordinaria ed ordinaria della Società, quale ad esempio l’Assemblea di coordinamento intercomunale, costituita dai legali rappresentanti di ciascun Ente locale (o loro delegati), ognuno con responsabilità e diritto di voto pari alla quota di partecipazione (cfr. Tar Friuli Venezia Giulia – 15/7/2005 n. 634).

Tali elementi devono ricorrere a maggior ragione nei casi in cui l’Ente affidante non dispone della totalità delle quote della Società, ma ha acquisito una partecipazione di minoranza insufficiente, da sola, ad integrare la forma di controllo in questione (Corte di Giustizia CE, Grande sezione – 21/7/2005 causa C-231/03 (Coname - Comune di Cingia De’ Botti).

La Corte di Giustizia ha altresì ripetutamente sostenuto che, trattandosi di un’eccezione alle regole generali del diritto comunitario, la sussistenza del “controllo analogo” deve formare oggetto di un’interpretazione restrittiva, e l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle circostanze eccezionali che giustificano la deroga a quelle regole grava su colui che intenda avvalersene (cfr. ex plurimis Corte di Giustizia CE, sez. I – 6/4/2006 causa C – 410/04 ANAV).

15. Deve peraltro essere rilevato che l’accertamento di un rapporto assimilabile ad una subordinazione gerarchica del soggetto controllato deve tener conto delle caratteristiche proprie di una Società a responsabilità limitata, chiamata ad agire mediante gli organi di cui è dotata e che assumono rituali deliberazioni.

Se non è certamente sufficiente, alla luce di quanto ampiamente esposto, un mero controllo “a posteriori” per soddisfare il requisito del controllo analogo – dato che non consente all’autorità pubblica di influenzare preventivamente le decisioni degli organismi societari – l’indagine deve necessariamente investire le clausole e le prerogative che attribuiscono agli Enti locali partecipanti effettive possibilità di ingerenza nella sfera decisionale del soggetto affidatario: in particolare esse debbono tradursi in una penetrante azione propulsiva o propositiva sulle linee strategiche ed operative della Società (con la determinazione degli ordini del giorno degli organi sociali, l’indicazione dei dirigenti da nominare e l’elaborazione di direttive sulla politica aziendale) e in incisivi poteri suscettibili di inibire iniziative o decisioni che si pongano in contrasto con i propri interessi.

In buona sostanza ciascun Ente locale – a prescindere dalla quota (più o meno consistente) detenuta – deve poter esercitare un effettivo potere di veto sulle deliberazioni societarie, in modo da paralizzare quelle decisioni o quelle attività ritenute non congrue o non compatibili con gli interessi della collettività e del territorio di riferimento, a favore dei quali è prestato il servizio dato in affidamento (T.A.R. Lazio Roma, sez. II ter – 16/10/2007 n. 9988).

16. Il Consiglio di Stato ha di recente riassunto i menzionati elementi evidenziando in particolare la necessità che:

a) lo statuto della Società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati;

b) il Consiglio di Amministrazione della Società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all’Ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale;

c) l’impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’Ente pubblico e che risulta tra l’altro: dall’ampliamento dell’oggetto sociale; dall’apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall’espansione territoriale dell’attività della Società a tutta l’Italia e all’estero;

d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’Ente affidante.

Ne consegue che l’in house esclude la terzietà in quanto l’affidamento avviene a favore di un soggetto il quale – pur dotato di autonoma personalità giuridica – si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell’Ente affidante, che è in grado di determinarne le scelte esercitando un’influenza dominante (Consiglio di Stato, adunanza plenaria – 3/3/2008 n. 1).

17. In riferimento alla fattispecie controversa, ad avviso del Collegio nello Statuto non si rinvengono clausole che attribuiscono ai singoli Enti locali prerogative idonee a garantire uno stringente controllo finanziario e gestionale sulla Società.

Anzitutto deve essere affrontata la questione della mediazione della Comunità Montana.

Sostengono i resistenti che quest’ultima, eletta a suffragio universale indiretto, agisce quale Ente locale capofila, delegato dai singoli Comuni all’affidamento del servizio rifiuti nel quadro di una gestione associata promossa ai sensi degli artt. 27 e 28 del T.U.E.L : in particolare la Comunità Montana (che detiene una quota di partecipazione nella Società pari al 77,5%) è l’Ente esponenziale delle collettività stanziate sui territori dei Comuni membri, i quali esercitano il controllo analogo attraverso di essa, la cui Assemblea promana dai Consigli comunali.

Una simile impostazione non è condivisibile.

18. Le Comunità Montane sono Enti locali sovracomunali, costituiti “per l’esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l'esercizio associato delle funzioni comunali” (art. 27 comma 1). Nella specie affrontata l’attività svolta è qualificabile come gestione associata, poiché l’azione amministrativa è posta in essere per conto degli Enti territoriali deleganti, che tuttavia conservano la titolarità dei rispettivi servizi. In proposito è noto che in linea generale la delega è una figura di diritto pubblico, in virtù della quale il delegato è legittimato ad esercitare una competenza la cui titolarità permane in capo all’organo delegante, il quale conserva i poteri di ingerenza e di sorveglianza da esercitarsi mediante direttive e, nei casi più gravi, attraverso la revoca.

Così definita la fattispecie, è perfettamente legittima la scelta degli Enti locali di affidare alla Comunità Montana il compito di individuare la forma di gestione del servizio più vantaggiosa anche sotto il profilo economico. Se tuttavia la scelta cade sul modello di delegazione interorganica, la verifica dei requisiti illustrati ai punti 10 e segg. va condotta con riferimento a ciascuna amministrazione titolare del servizio, ossia ad ogni singolo Comune delegante: quest’ultimo non viene espropriato della competenza attribuitagli dal legislatore, e quindi la mediazione realizzata per mezzo della delega rilasciata alla Comunità Montana non esclude che lo stesso debba mantenere in proprio il controllo diretto sulla Società affidataria.

Fenomeno del tutto diverso è quello – richiamato dalla difesa della Comunità Montana – del servizio idrico integrato. In esso ogni potestà in materia di organizzazione e di adozione delle scelte gestionali più significative viene demandata ad un organo sovracomunale – l’Autorità – cui compete l’individuazione delle linee strategiche fondamentali e delle regole operative finalizzate al conseguimento degli obiettivi, senza che il singolo Comune possa rivendicare il diritto di orientarsi autonomamente e di prescindere dalle determinazioni legittimamente assunte dal complesso di Enti locali aderenti. Già prima che fosse previsto l’obbligo giuridico di entrare a far parte dell’A.T.O., ai sensi della L.r. 26/2003 l’Ente che decideva di non aggregarsi non poteva comunque più assumere iniziative individuali. L’entrata in vigore del D. Lgs. 3/4/2006 n. 152 ha completato il percorso mediante il riconoscimento della personalità giuridica in capo all’Autorità d’ambito, la previsione della partecipazione obbligatoria degli Enti locali del territorio (salvo per i Comuni con popolazione inferiore a 1000 abitanti facenti parte di una Comunità montana) e l’espresso trasferimento all’Autorità delle competenze spettanti ai Comuni in materia di programmazione delle infrastrutture e di gestione delle risorse idriche (art. 148 comma 1). In definitiva la scelta del legislatore statale e regionale è quella di superare le frammentazioni e di attribuire ad un unico Ente l’esercizio delle funzioni in materia di servizio idrico integrato, secondo le regole proprie della collegialità elaborate dalla Regione (art. 48 comma 3 L.r. 26/2003 così come modificato dalla L.r. 18/2006). I Comuni cessano di autodeterminarsi sull’organizzazione e sulla gestione del servizio idrico integrato – non potendo intraprendere percorsi autonomi e scegliere modalità di gestione diverse da quelle individuate dall’Autorità – in quanto ogni decisione in tal senso deve avvenire all’interno di quest’ultima secondo le sue regole di funzionamento: in buona sostanza ogni attribuzione in materia è stata chiaramente devoluta al soggetto sovracomunale dotato di personalità giuridica, e le sue determinazioni assumono portata vincolante sull’intero territorio provinciale (cfr. sentenza Sezione 28/12/2007 n. 1385).

In materia di rifiuti, viceversa, l’aggregazione per ambiti ottimali costituisce l’obiettivo finale introdotto dalle recenti previsioni legislative, ma fino alla formale istituzione dell’Autorità i singoli Comuni conservano la piena titolarità delle rispettive funzioni.

19. Ciò posto, se è vero che il capitale della Società Val Cavallina Servizi è interamente pubblico (e lo Statuto esclude la cessione di quote a privati), sotto l’aspetto dei poteri di indirizzo e propulsivi:

I. il Consiglio di Amministrazione esercita poteri più ridotti di quelli previsti dal codice civile ed è soggetto alle direttive dell’Assemblea, ma è condizionato unicamente da quest’ultima secondo il consueto meccanismo della maggioranza;

II. ai Comuni soci non compete la nomina, revoca e sostituzione di un numero predeterminato di amministratori, e dunque l’azione di questi ultimi non è sottoposta al gradimento dei primi;

III. l’Assemblea detta gli indirizzi sull’attività e sull’organizzazione dei servizi, delibera sulle tariffe, elabora la programmazione, esercita la vigilanza e il controllo sulla gestione, sia ordinaria che straordinaria (art. 9 u.c. Statuto precedente – art. 10 commi 2 e 3 nuova versione);

IV. le deliberazioni assembleari – secondo la regola generale di diritto societario – vincolano tutti i soci anche se dissenzienti (art. 9 comma 1);

V. l’Assemblea approva – secondo la regola della maggioranza – il piano industriale triennale ed esercita il controllo economico-finanziario semestrale attraverso specifici report (art. 21 lett. B); è prevista in merito una consultazione degli Enti locali soci;

VI. la scelta di istituire il Comitato unitario di controllo – figura introdotta dalla novella statutaria del febbraio 2008 – è rimessa alla discrezionalità dell’Assemblea (art. 10 u.c.); di esso fanno parte soltanto 5 rappresentanti dei Comuni soci;

VII. al di là della clausola formale di cui all’art. 22 lett. a) – che gli attribuisce genericamente i poteri di controllo analogo a quello esercitato dai Comuni e dalla Comunità Montana sui loro uffici e servizi – ad esso competono funzioni che possono sostanzialmente riassumersi in una vigilanza ad ampio raggio (effettua audizioni presso gli organi societari, riceve relazioni, convoca l’Assemblea, relaziona periodicamente ad essa); non promuove iniziative né vengono riconosciuti ad esso altri specifici poteri di impulso nei confronti degli organi sociali, salvo il parere da formulare in sede di determinazione delle tariffe;

VIII. l’organo esecutivo, nell’assunzione degli atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione, non è obbligato a conformarsi a direttive o istruzioni impartite dal Comitato;

Per quanto riguarda i poteri di veto:

IX. non è richiesto il consenso del singolo Comune socio per apportare modifiche allo Statuto;

X. l’Assemblea decide sulle tariffe del servizio su proposta del Consiglio di amministrazione (art. 16) senza che sia previsto l’assenso dei singoli Comuni interessati, salvo il parere non vincolante del Comitato;

XI. l’Ente socio può unicamente richiedere al Comitato di convocare l’Assemblea per rappresentare rimostranze sull’andamento del servizio; può accedere agli impianti per effettuare visite e ispezioni (art. 21 lett. C);

XII. l’art. 7 della convenzione tra Comuni e Comunità Montana (cfr. doc. 7 memoria costituzione Comunità Montana) prevede una Commissione formata un rappresentante per ogni Ente, chiamata ad esprimere a maggioranza pareri – di natura obbligatoria e non vincolante – sul bilancio preventivo e consuntivo e su ogni spesa non preventivata;

XIII. l’art. 30 dello Statuto della Comunità Montana istituisce un organo, la Consulta dei Sindaci, con il generale compito di fornire al Presidente semplici pareri – di natura non vincolante – su materie e problematiche che investono il territorio della Comunità medesima;

XIV. l’art. 3 della convenzione tra Comunità Montana e Società (doc. 3 bis memoria costituzione Comunità Montana) consente unicamente alla prima – e non ai singoli Comuni soci –“di operare le opportune modifiche e di fornire indirizzi sulle modalità di espletamento del servizio”.

Ad avviso del Collegio lo Statuto non riconosce a ciascun socio pubblico un reale potere di ingerenza sull’azione societaria, difettando l’indispensabile ruolo propulsivo nei confronti degli organi sociali che si sviluppa non soltanto con sollecitazioni e proposte ma anche attraverso direttive vincolanti sull’espletamento del servizio (cfr. sentenza Sezione 6/3/2008 n. 213). Al contempo il singolo Comune è privo di poteri di veto sulle modifiche statutarie e tariffarie e sugli indirizzi da formulare agli organi sociali e più in generale sulle questioni di spessore. In definitiva non sembra che le prerogative attribuite all’Ente locale siano significativamente rafforzate rispetto a quelle riconosciute al socio dalla disciplina civilistica.

20. In definitiva, le previsioni statutarie non rendono il rapporto tra Enti affidanti e Val Cavallina Servizi S.r.l. assimilabile a quello instaurato dai primi con i rispettivi servizi, e dunque il requisito elaborato dalla Corte di Giustizia non è soddisfatto.

Ritiene poi il Collegio manifestamente infondata la questione pregiudiziale dedotta dalla Comunità Montana, in quanto il diritto di veto che dovrebbe spettare anche al più piccolo Ente socio sulle decisioni più rilevanti – lungi dal precludere in modo assoluto la gestione dei servizi in house (cfr. sentenza Sezione 213/2008) – costituisce lo strumento più idoneo a rendere effettivo il controllo analogo.

In conclusione l’articolato profilo è fondato e va accolto.

21. Alla luce delle considerazioni ampiamente esposte al punto 18, deve essere accolto anche il motivo di cui alla lett. F) dell’esposizione in fatto, con il quale la ricorrente lamenta l’incompetenza della Comunità Montana ad individuare il modello dell’affidamento in house, in quanto il rapporto di immedesimazione organica deve coinvolgere direttamente il Comune affidante e il suo apparato amministrativo, senza possibilità di delega a soggetti terzi. In particolare la censura è fondata nella parte in cui evidenzia l’indispensabile potere di ingerenza che deve essere riconosciuto al singolo Comune socio, al di là del ruolo di impulso e coordinamento legittimamente svolto dalla Comunità Montana ai sensi del T.U.E.L..

I restanti profili (lett. D.,E.,G., H. esposizione in fatto) possono essere assorbiti.

Devono ora essere tratte le conseguenze dell’accoglimento del gravame.

22. Se con riguardo allo Statuto si è già rilevato il difetto di giurisdizione, tutti i provvedimenti amministrativi impugnati devono essere annullati. All’annullamento dell’atto di affidamento segue poi l’automatica inefficacia della convenzione stipulata in data 20/10/2000. Al riguardo trova applicazione il principio, ripetutamente affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui il sopravvenuto annullamento giurisdizionale del verbale di aggiudicazione comporta che nessun effetto può essere riconosciuto al provvedimento invalido (ed agli atti presupposti ad evidenza pubblica su cui era fondato) e ai diritti soggettivi dallo stesso attribuiti in quanto sorti da un atto non conforme alle condizioni prescritte dalla legge per la sua operatività (cfr. Corte di Cassazione, sez. I civile – 27/3/2007 n. 7481; 15/4/2008 n. 9906). Applicando il principio al caso analogo che ci occupa, l’atto di affidamento permanente del servizio alla controinteressata rappresenta l’atto conclusivo del procedimento condotto per conto degli Enti deleganti, ed il suo sopravvenuto annullamento giurisdizionale comporta che viene posto nel nulla l’intero effetto-vicenda derivato, a cominciare dalla susseguente convenzione che è priva di autonomia propria. Quest’ultima, infatti, è destinata a subire gli effetti del vizio che inficia il provvedimento cui è inscindibilmente collegata ed a restare automaticamente ed immediatamente caducata, senza necessità di pronunce costitutive del suo cessato effetto o di atti di ritiro dell’amministrazione (cfr. sentenze Sezione 15/3/2007 n. 263; 9/7/2007 n. 621; 30/8/2007 n. 833; 16/6/2008 n. 661; 4/7/2008 n. 803).

23. Quanto alla richiesta di risarcimento del danno per perdita di chance, causato dalla condotta delle amministrazioni intimate, allo stato, così come accade nel caso di illegittimo affidamento di un appalto mediante trattativa privata, il risarcimento consiste nell’obbligo per il Comune di indire una gara pubblica, salvo che l’amministrazione intenda percorrere soluzioni alternative come ad es. un nuovo affidamento in house in presenza di tutte le condizioni: la ricorrente non ha pertanto titolo ad ottenere in questa fase una riparazione monetaria, in quanto non si può sostenere che – per effetto dell’operato dell’amministrazione – si sia verificato in via diretta ed immediata un danno nei suoi confronti (sentenza Sezione 16/3/2006 n. 301).

In linea generale peraltro non è risarcibile il danno da lesione dell’interesse legittimo dal momento che l’attribuzione del “bene della vita” – consistente nell’affidamento di un servizio – spetta solo al vincitore della procedura concorsuale, e costui ben potrebbe essere soggetto diverso dalla ricorrente che ha ottenuto l’annullamento del provvedimento di affidamento in house (cfr. T.A.R. Puglia Bari, sez. I – 18/1/2005 n. 100).

L’annullamento degli atti impugnati soddisfa peraltro l’interesse strumentale azionato da Ecosviluppo e presenta connotati equivalenti ad un risarcimento in forma specifica (T.A.R. Campania Napoli, sez. I – 5/5/2006 n. 39729; T.A.R. Lazio Roma, sez. II ter – 9/1/2007 n. 72). In definitiva va respinta la richiesta di risarcimento in esame, non essendo stati rappresentati ulteriori specifici profili di pregiudizio e tenuto conto che la dedotta condotta colposa siccome elusiva del giudicato – invocata nei secondi motivi aggiunti – discende da una pronuncia poi annullata in sede di appello.

24. In conclusione il ricorso introduttivo ed i secondi motivi aggiunti sono fondati per i profili indicati in motivazione e devono essere accolti, con conseguente annullamento dei provvedimenti amministrativi impugnati. Restano assorbiti gli ulteriori motivi di cui ai punti D., E., G., H. dell’esposizione in fatto. Deve essere dichiarata l’inefficacia della convenzione stipulata il 20/10/2000.

Va dichiarato il difetto di giurisdizione sullo Statuto, mentre deve essere respinta l’istanza risarcitoria per perdita di chance.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e possono essere liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando:

- accoglie il ricorso principale ed il secondo ricorso per motivi aggiunti per i profili indicati in motivazione e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati;

- dichiara l’inefficacia della convenzione stipulata il 20/10/2000 dalla Comunità Montana con la controinteressata;

- dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo con riguardo allo Statuto della Società controinteressata, impugnato con il primo ricorso per motivi aggiunti;

- Respinge la richiesta di risarcimento del danno per equivalente.

Condanna le amministrazioni intimate e la controinteressata a corrispondere alla ricorrente la somma di € 8.800 a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 16/10/2008 con l'intervento dei Magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente

Sergio Conti, Consigliere

Stefano Tenca, Primo Referendario, Estensore

 

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/10/2008

 

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

 

IL SEGRETARIO

 

 

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