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TAR Lombardia, Sez. Brescia, 26/11/2008 n. 1689
Sono qualificabili come servizio pubblico locale le attività di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti.

Sull'impossibilità di partecipare ad una gara per l'affidamento di un pubblico servizio una società che alla data di presentazione dell'offerta era titolare di un affidamento diretto in proroga presso un Comune.



Le attività di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani sono qualificabili come servizio pubblico, in quanto le prestazioni richieste al privato gestore sono rivolte non già a vantaggio dell'amministrazione, ma in modo generalizzato a favore della collettività locale secondo caratteri di universalità, continuità ed uniformità. Né a conclusioni diverse si deve pervenire per il fatto che l'onere di remunerare l'attività svolta dal privato è assunto direttamente dall'amministrazione. E' infatti noto che per l'erogazione del servizio R.S.U. i Comuni sono tenuti ad istituire la tariffa da praticare ai cittadini - nuclei familiari ed imprese - secondo criteri omogeni e con l'obbligo di provvedere all'integrale copertura dei costi. Se è dunque vero che il compenso del gestore è erogato periodicamente dal Comune, è altrettanto vero che il costo del servizio è ripartito tra gli utenti secondo parametri predeterminati, come ad es. l'estensione dell'unità abitativa e il numero dei componenti del nucleo familiare. La giurisprudenza, inoltre, ha affermato che il servizio pubblico è quello che consente al Comune di realizzare fini sociali e di promuovere lo sviluppo civile della comunità locale ai sensi dell'art. 112 del D. Lgs. 267/2000, in quanto preordinato a soddisfare i bisogni della cittadinanza indifferenziata. Tale è indubbiamente il servizio di igiene urbana, il quale richiede che il concessionario impieghi capitali, mezzi e personale da destinare ad un'attività economica suscettibile, quanto meno potenzialmente, di produrre un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull'assetto concorrenziale del mercato di settore.

Deve essere esclusa da una gara per l'affidamento di un pubblico servizio (nel caso di specie, per l'affidamento del servizio di igiene urbana) una società che alla data di presentazione dell'offerta era titolare di un affidamento diretto in proroga presso un Comune, in violazione dell'art. 113 c. 6 del D. Lgs. 267/2000, che inibisce la partecipazione alle gare a quelle imprese che gestiscono, a qualunque titolo, servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, in quanto la preclusione si applica anche alle società che gestiscono servizi per effetto di rinnovi o di proroghe di contratti scaduti disposti dall'Ente pubblico appaltante.
Non può inoltre essere applicata, la deroga al divieto in oggetto, per cui lo stesso non sarebbe operativo per le "prime gare" aventi ad oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa. In sostanza la deroga in questione riguarda solo quei precedenti gestori che - dopo la cessazione di una precedente concessione rilasciata dallo stesso Comune con procedure diverse dall'evidenza pubblica - risultano essere titolari di altre concessioni affidate allo stesso modo e che rendono operativo il divieto di cui all'art. 113 c. 6 D. Lgs. 267/2000. In tal caso il legislatore offre loro la possibilità, in deroga al divieto indicato, di partecipare alla prima gara per l'affidamento del servizio di cui erano gestori per affidamento diretto, evitando così di trovarsi del tutto improvvisamente espulsi dal mercato. La ricorrente era risultata aggiudicataria del servizio in seguito ad una procedura ad evidenza pubblica indetta dal Comune e tale circostanza è sufficiente per escludere l'applicazione della deroga.

Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 388 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Colombo Servizi Ecologici Srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Maurizio Boifava e Chiara Ghidotti, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Brescia, Via Solferino n. 55 (Fax=030/3758480);

 

contro

Comune di Mozzo, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Daminelli, Gemma Simolo e Enrico Codignola, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Brescia, Via Romanino n. 16 (Fax=030/47897);

 

nei confronti di

Aprica Spa;

Servizi Comunali Spa, rappresentata e difesa dall'avv. Alberto Salvadori, con domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, via XX Settembre, 8 (Fax=030/43582);

 

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

- DEI PROCESSI VERBALI DELLA GARA D’APPALTO QUADRIENNALE PER L’AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO DI IGIENE URBANA, FORMATI IN DATA 5/3/2008, 17/3/2008, 2/4/2008;

- DELLA DETERMINAZIONE DEL RESPONSABILE DEL SETTORE TECNICO IN DATA 10/4/2008 N. 75, RECANTE L’AFFIDAMENTO PROVVISORIO DEL SERVIZIO ALLA CONTROINTERESSATA;

- DELLA DETERMINAZIONE DI AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA DELL’APPALTO, OVE ESISTENTE, E DELL’EVENTUALE CONTRATTO MEDIO TEMPORE STIPULATO;

- DI OGNI ALTRO ATTO, CONNESSO OD ATTUATIVO;

 

e per la condanna

- AL RISARCIMENTO DEL DANNO MEDIANTE REINTEGRAZIONE IN FORMA SPECIFICA OVVERO, IN VIA SUBORDINATA, PER EQUIVALENTE, CON UNA SOMMA CHE DOVRÀ COMPRENDERE IL DANNO EMERGENTE, IL DANNO PROFESSIONALE E IL LUCRO CESSANTE, OLTRE A RIVALUTAZIONE E INTERESSI.

Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Mozzo;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della controinteressata Servizi Comunali Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13/11/2008 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO

La ricorrente ha partecipato alla procedura selettiva indetta dal Comune di Mozzo per l’affidamento del servizio di igiene urbana (raccolta e trasporto RSU, gestione piattaforma ecologica, spazzamento strade, spurgo pozzetti e fognature, diserbo strade e marciapiedi) nel quadriennio 2008 – 2011. Il sistema di aggiudicazione prescelto è stato quello del prezzo più basso, inferiore a quello posto a base d’asta, ai sensi dell’art. 82 del D. Lgs. 163/2006.

Alla gara hanno preso parte 4 concorrenti, tra le quali figurano la ricorrente – precedente gestore del servizio in scadenza – e le controinteressate riunite in A.T.I.

Espone la Società Colombo Servici Ecologici che – nella prima seduta di gara – il proprio rappresentante dichiarava a verbale la ricorrenza di una causa di esclusione in capo all’A.T.I. controinteressata, in quanto la sua partecipazione sarebbe stata preclusa dall’art. 13 del D.L. 223/2006 conv. in L. 248/2006.

La Commissione optava per un’ammissione con riserva, e nella seduta successiva decideva di sospendere la procedura per approfondire adeguatamente la questione dedotta.

Nella riunione del 2/4/2008 il Presidente della Commissione informava che – sulla scorta del parere formulato dal Segretario comunale – si riteneva di ammettere alla gara l’A.T.I. Aprica S.p.a./Servizi comunali S.p.a., unitamente ad altra concorrente. Dopo l’apertura delle buste contenenti le offerte economiche l’appalto veniva provvisoriamente aggiudicato all’A.T.I. controinteressata, che aveva praticato il maggior ribasso (8,10%), mentre la ricorrente si piazzava al secondo posto; seguivano in graduatoria Ecosviluppo Soc. Cooperativa Onlus e Zanetti Arturo & C. S.r.l.

 

1. Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione la ricorrente ha impugnato i provvedimenti in epigrafe, deducendo i seguenti motivi di diritto:

a) Violazione dell’art. 13 commi 1 e 2 del D.L. 223/2006 conv. in L. 248/2006 e dei principi comunitari, dato che si discute di un appalto di servizi ed è precluso alle Società totalmente o parzialmente pubbliche di partecipare a gare extramoenia, dovendo le stesse operare esclusivamente con gli Enti costituenti o partecipanti o affidanti; in punto di fatto la ricorrente osserva che Aprica S.p.a. è controllata da ASM Brescia per 2.474.143 azioni ordinarie (di 1 € cadauna) su 2.500.000 di Capitale sociale, mentre una quota minoritaria è detenuta dai Comuni di Castenedolo, Ome, Ospitaletto e Cellatica; la mandante Servizi comunali S.p.a. è per intero in mano pubblica, con azioni possedute da 45 Comuni, mentre l’Ente locale resistente non partecipa in alcun modo alle 2 Società.

b) In subordine, violazione dell’art. 113 commi 5, 6 e 15 quater del D. Lgs. 267/2000 poiché – se anche la fattispecie in esame fosse ricostruita come una concessione di servizio pubblico – si applicherebbe il divieto imposto dall’art. 113 comma 6 alle Società che gestiscono “a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi”; nella specie le controinteressate gestiscono il servizio di igiene urbana per affidamento diretto presso numerosi Enti locali (Castenedolo, Gussago e Solaro), senza che possa invocarsi la deroga per l’espletamento delle “prime gare”, valida soltanto per quelle successive al 1/1/2007 che siano indette per il medesimo servizio già svolto in precedenza dalla stessa concessionaria.

Si è costituito in giudizio il Comune di Mozzo, chiedendo la reiezione del gravame.

2. Si è costituita altresì in giudizio Servizi comunali S.p.a. – in proprio e quale mandante dell’A.T.I. controinteressata – e il 6/5/2008 ha depositato ricorso incidentale, impugnando gli atti di gara nella parte in cui non è stata disposta l’esclusione della ricorrente. In punto di diritto essa deduce la violazione dell’art. 113 comma 6 del D. Lgs. 267/2000, che inibisce la partecipazione alle gare a quelle imprese che gestiscono, a qualunque titolo, servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto: poiché la preclusione si applica anche alle Società che gestiscono servizi per effetto di rinnovi o di proroghe di contratti scaduti – disposti dall’Ente pubblico appaltante – la controinteressata rileva che alla data di presentazione dell’offerta la ricorrente era titolare di un affidamento in proroga presso il Comune di Serina (BG), con scadenza concordata per il 31/3/2008.

3. Il 15/5/2008 la controinteressata depositava motivi aggiunti al ricorso incidentale, lamentando la violazione dell’art. 2 punto 7) e punto 3) sottopunto 26) del disciplinare di gara, per l’assenza in capo alla ricorrente del requisito della sede operativa idonea in Provincia di Bergamo o comunque nel raggio di 40 Km dal Comune di Mozzo: il contratto di locazione all’uopo depositato in sede di presentazione dell’offerta risulta stipulato tra soggetti estranei alla Società ricorrente (Eredi Ghirardi Giacomo s.a.s. e Colombo Spurghi S.r.l.). Ad avviso di Servizi Comunali S.p.a. il vizio non è sanato dalla documentazione integrativa prodotta su invito della stazione appaltante, poiché nel contratto di cessione di ramo d’azienda concluso da Colombo Spurghi s.a.s. (cedente) e dalla ricorrente (cessionaria), la sede indicata nell’offerta non è in realtà contemplata nell’elenco dei beni trasferiti.

4. In data 14/6/2008 la ricorrente proponeva motivi aggiunti al gravame principale, denunciando l’illegittimità della clausola che impone il possesso della sede operativa; la censura deve essere esaminata in via subordinata, ove cioè il Collegio condividesse l’asserzione dell’omessa dimostrazione del requisito.

La controinteressata ed il Comune hanno eccepito la tardività di quest’ultima doglianza, la quale investe una clausola “escludente” che come tale doveva essere tempestivamente impugnata dopo la pubblicazione della lex specialis di gara, secondo l’orientamento espresso dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 1/2003.

5. Con memoria finale il Comune ha eccepito l’inammissibilità del gravame principale per omessa impugnazione nei termini dell’aggiudicazione definitiva, disposta con determinazione n. 222 del 5/8/2008. La controinteressata ha chiesto, per il caso di soccombenza, di deferire alla Corte di Giustizia la questione della compatibilità con il diritto comunitario delle norme che limitano fortemente la partecipazione alle gare delle Società partecipate da Enti pubblici.

In prossimità dell’udienza pubblica di discussione della causa la ricorrente ha depositato istanza di rinvio, al fine di proporre motivi aggiunti di ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione definitiva, depositato in giudizio dal Comune il 31/10/2008 ed in precedenza sconosciuto. L’amministrazione intimata, con nota prodotta in atti, si è opposta alla richiesta, evidenziando tra l’altro la tempestiva comunicazione via fax della determinazione di aggiudicazione definitiva a Colombo Servizi Ecologici.

Alla pubblica udienza del 13/11/2008 il ricorso veniva chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

 

DIRITTO

La Società ricorrente censura l’aggiudicazione del servizio di igiene urbana all’A.T.I. controinteressata, disposta dal Comune di Mozzo malgrado la ricorrenza di condizioni ostative all’ammissione delle due imprese riunite alla selezione.

Con ricorso incidentale la controinteressata Servizi comunali S.p.a. lamenta a sua volta la mancata esclusione della ricorrente dalla procedura competitiva, sussistendo una causa preclusiva della sua partecipazione.

1. Preliminarmente il Collegio deve vagliare la richiesta – formulata dalla ricorrente – di rinviare l’udienza di trattazione della controversia per la necessità di impugnare con ulteriori motivi aggiunti la determinazione di aggiudicazione definitiva, la cui conoscenza sarebbe maturata soltanto in data 31/10/2008 per effetto del deposito del provvedimento in giudizio.

I secondi motivi aggiunti al ricorso principale non possono evidentemente essere esaminati in questa sede, in quanto è in corso la loro notifica e non risultano ancora depositati.

1.1 D’altro canto, è noto che il vigente disposto dell’art. 21 della L. 6/12/1971 n. 1034 – a norma del quale i provvedimenti connessi all’oggetto del ricorso pendente tra le stesse parti ed adottati successivamente ad esso sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti – non impone un obbligo ma una semplice facoltà, che assicura la possibilità di concentrare in un unico giudizio la cognizione di diversi episodi di un’attività provvedimentale sostanzialmente unitaria, esonerando la parte ricorrente dall’onere di proporre un ulteriore ricorso autonomo in alternativa ai motivi aggiunti, salva poi la facoltà di chiedere la riunione delle due cause (T.A.R. Piemonte, sez. II – 19/4/2004 n. 637).

Da questa osservazione deriva che i motivi aggiunti proposti avverso l’atto sopravvenuto – connesso ai provvedimenti originariamente impugnati – sono dotati di autonomia sostanziale sicché, pur non essendo rivestiti delle sembianze dell’atto di ricorso a sé stante, ne possiedono l’intima natura, dando vita ad un nuovo rapporto processuale e non ad un mero svolgimento interno al rapporto già in essere (T.A.R. Lazio Roma, sez. I – 20/2/2004 n. 1631).

1.2 Dall’indipendenza sostanziale e dalla pari dignità rispetto al gravame iniziale deriva che i motivi aggiunti non differiscono da un atto di ricorso, per cui se il giudice rilevi la possibilità di trattazione disgiunta del ricorso principale (ed incidentale) maturi per la definizione e dei motivi aggiunti non ancora depositati, possono essere esaminati e trattenuti solo i primi e si può rinviare ad una successiva udienza la discussione dei secondi, ovviamente se ciò non infici la validità delle decisioni da adottare al riguardo (T.A.R. Lazio Roma, sez. II ter – 17/1/2005 n. 305; sentenza Sezione 2/2/2007 n. 98).

1.3 Nel caso che ci occupa il ricorso principale, con i suoi primi motivi aggiunti, e il ricorso incidentale – con i successivi motivi aggiunti – risultano pacificamente maturi per la decisione, mentre i secondi motivi aggiunti al gravame principale saranno proposti contro il provvedimento di aggiudicazione definitiva. In tale quadro complessivo non sussistono preclusioni di ordine logico alla definizione della sola parte di giudizio sulla quale oggi è possibile pronunciarsi, tenuto conto che la scelta di una trattazione disgiunta non compromette la formulazione delle ulteriori doglianze ed il loro separato esame.

Anche in virtù dell’opposizione del Comune resistente, l’istanza di rinvio non è pertanto suscettibile di accoglimento, e il gravame principale viene trattenuto in decisione unitamente al ricorso incidentale e ai primi motivi aggiunti depositati da entrambe le controparti; per la definizione dei secondi motivi aggiunti avverso la determinazione comunale 5/8/2008 n. 222 verrà successivamente fissata l’udienza di discussione.

1.4 Peraltro, a proposito della dedotta inammissibilità del gravame principale, il Collegio ha già sottolineato che il verbale di aggiudicazione provvisoria è atto dotato di autonoma rilevanza per cui - essendo idoneo a ledere direttamente la sfera giuridica degli interessati - è autonomamente impugnabile nei termini decadenziali decorrenti dalla sua conoscenza, mentre il successivo provvedimento di approvazione degli atti di gara assolve ad una funzione meramente confermativa e conclusiva, sul piano formale, del procedimento (cfr. sentenze Sezione 23/5/2005 n. 554; 15/7/2005 n. 760; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III – 6/6/2007 n. 1592; Consiglio di Stato, sez. V – 17/12/2001 n. 6253). Secondo il principio dell'invalidità derivata, la determinazione di aggiudicazione definitiva costituisce un atto meramente consequenziale destinato a venir meno con l'annullamento del verbale di aggiudicazione provvisoria: la caducazione dell'atto "a monte" che costituisce il presupposto unico e determinante colpisce e travolge automaticamente le determinazioni "a valle" anche in assenza di apposita pronuncia in merito, e dunque non può essere affermata l'esigenza della necessaria impugnazione degli atti sopravvenuti, pur se lesivi (Consiglio di Stato, sez. V – 30/4/2003 n. 2245).

2. A questo punto la questione preliminare che si pone è quella di stabilire quale delle due impugnazioni proposte, principale ed incidentale, debba essere esaminata per prima.

2.1 Va rilevato anzitutto che, in linea generale, la proposizione del ricorso incidentale tende alla conservazione del bene della vita ottenuto per effetto del provvedimento amministrativo impugnato con l’atto introduttivo del giudizio. Si tratta infatti di uno strumento a disposizione del controinteressato per dolersi dello stesso provvedimento gravato con il ricorso principale, ma per profili diversi da quelli dedotti con quest’ultimo e tali da ampliare il thema decidendum originario: l’obiettivo è quello di neutralizzare o almeno attenuare le conseguenze prodotte da un eventuale accoglimento del ricorso introduttivo sulla posizione di vantaggio acquisita con il provvedimento.

Nel ricorso incidentale è pertanto assente una lesione attuale – la quale avrebbe richiesto la tempestiva proposizione di un’autonoma azione impugnatoria – mentre affiora una lesione virtuale, suscettibile di concretizzazione ove il ricorso principale venisse accolto.

2.2 L’ordinamento processuale amministrativo non detta alcuna disposizione né pone criteri generali sull’ordine di esame del ricorso principale e di quello incidentale congiuntamente proposti, con la conseguenza che la relativa scelta è rimessa al prudente apprezzamento discrezionale del giudice adito: l’operato di quest’ultimo nella soluzione della questione non può che ancorarsi ai pilastri fondanti del giudizio e cioè ai principi di economia processuale e di logicità (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria – 10/11/2008 n. 11), e così a seconda dei casi egli può esaminare con priorità il gravame che risulta decisivo per dirimere la lite.

Per la verità occorre premettere che – con riguardo alla disciplina applicabile al ricorso incidentale – l’art. 22 della L. 1034/71 rinvia all’art. 37 del T.U. Cons. Stato approvato con R.D. 1054/1924 e all’art. 44 del R.D. 642/1907.

Le scarne disposizioni richiamate regolano le modalità formali ed il termine per la proposizione del ricorso incidentale, mentre quanto attiene alla sua incidenza sul ricorso principale lo stesso art. 37, al comma 6, dispone che “il ricorso incidentale non è efficace se venga prodotto dopo che siasi rinunciato al ricorso principale o se questo venga dichiarato inammissibile per essere stato proposto fuori termine”.

Il legislatore ha dunque posto la regola – basata sul principio di economia processuale – per cui, se vi sono ragioni preclusive dell’esame della fondatezza del ricorso principale, il ricorso incidentale diventa improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

In tali casi ben può affermarsi che – rispetto al gravame principale – il ricorso incidentale è un mezzo accessorio, essendo positivamente previsto che le sorti del primo finiscono per refluire anche sul secondo.

La natura subordinata ed eventuale del ricorso incidentale ha indotto a ritenere che l’esame del gravame principale deve essere di regola compiuto per primo.

2.3 Tale regola, tuttavia, secondo un indirizzo che si è andato consolidando negli ultimi tempi, soffre una rilevante eccezione nel caso di ricorso incidentale c.d. “interdittivo” o “preclusivo”, e cioè in tutti quei casi nei quali il giudice si rende conto, analizzando i due gravami, che l’accoglimento del ricorso incidentale priverebbe del tutto di interesse il ricorrente principale. In tali casi, infatti, le esigenze di economia processuale rendono del tutto inutile esaminare in via prioritaria il ricorso introduttivo, in quanto l’eventuale fondatezza del ricorso incidentale – che assume natura impugnatoria ma efficacia di eccezione in senso tecnico avverso il medesimo provvedimento già gravato in via principale – precluderebbe l’accoglimento del primo.

In base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, quando il gravame incidentale mette in discussione la legittimazione processuale del ricorrente principale – anche attraverso la prospettazione di questioni che attengono al merito della vicenda – la sua trattazione assume priorità logica (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 24/11/1997 n. 1367; sez. V – 8/5/2002 n. 2468), e nei procedimenti concorsuali ciò si verifica, per esempio, laddove con la contro-impugnazione si deduca che il ricorrente principale avrebbe dovuto essere escluso dalla gara.

E’ stato così ritenuto prioritario l’esame delle questioni sollevate con il ricorso incidentale qualora questo sia in grado di paralizzare, in caso di fondatezza, la cognizione dell’impugnazione principale, arrestandosi il giudizio ad un segmento anteriore cui si collega l’effetto dell’accertamento dell’inutilità dell’impugnazione principale: la precedenza alle questioni sollevate dal ricorrente incidentale è giustificata dal loro riflesso sull’esistenza dell’interesse ad agire del ricorrente principale perché – pur profilandosi come questioni di merito – esse producono effetti sull’esistenza di una condizione dell’azione, e quindi su una questione di rito (Consiglio di Stato, sez. VI – 9/6/2005 n. 3030; sez. V – 29/8/2005 n. 4407).

2.4 I principi sopra indicati sono condivisi dalla prevalente giurisprudenza in materia di gare d’appalto qualora l’impresa vincitrice – evocata in giudizio – deduca in via incidentale che l’impresa sconfitta doveva essere in radice esclusa dalla gara: ciò perché se il ricorso incidentale è accolto, quello principale diviene improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse, oppure inammissibile per difetto di legittimazione all’impugnazione in capo all’impresa originaria ricorrente, il cui interesse diviene di mero fatto (cfr. Consiglio Stato, sez. V – 28/12/2005 n. 6643; 9/10/2007 n. 5276). L’annullamento dell’atto impugnato in via principale non recherebbe alcun vantaggio al ricorrente, perché la sua offerta non potrebbe comunque aggiudicarsi la gara.

L’esame del ricorso incidentale dell’aggiudicatario – diretto a contestare la legittimazione alla partecipazione alla gara di chi ha proposto gravame avverso l’aggiudicazione – assume sempre carattere prioritario, anche qualora il ricorrente principale abbia pure esso denunciato l’illegittimità dell’ammissione al procedimento del ricorrente incidentale. Ove i due concorrenti propongano censure afferenti lo stesso segmento procedimentale, il giudizio si arresta all’accertamento dell’inutilità dell’impugnazione principale, posto che il ricorrente, dovendo essere escluso dalla gara, non potrebbe comunque beneficiare a sua volta dell’esclusione dell’aggiudicatario (Consiglio di Stato, sez. V – 20/5/2008 n. 2380).

2.5 Va immediatamente puntualizzato che i principi da ultimo menzionati sono stati recentemente sottoposti a revisione per i casi di gare d’appalto ove il confronto competitivo è limitato a due soli concorrenti (cfr. da ultimo Ad. Plen. citata). Tale situazione non si verifica tuttavia nel caso in esame, in quanto alla competizione hanno preso parte quattro imprese che si sono collocate nella graduatoria finale.

Ebbene nell’ipotesi di procedura concorsuale alla quale partecipino tre o più soggetti – ossia il ricorrente principale, il controinteressato ricorrente incidentale ed almeno un’altra ditta – l’accoglimento contestuale del gravame principale e di quello incidentale si risolverebbe nell’annullamento di entrambi gli atti di ammissione, e ciò determinerebbe un esito privo di utilità per le due parti, dato che il vantaggio investirebbe la sola sfera giuridica di un terzo: nella gara con tre o più concorrenti deve dunque essere preliminarmente esaminato il ricorso incidentale, poiché dal suo eventuale accoglimento può conseguire una pronuncia in rito idonea a definire il processo per difetto di una delle condizioni dell’azione (Consiglio di Stato, sez. V – 8/5/2002 n. 2468; sez. V – 5/6/2008 n. 2669; T.A.R. Liguria Genova, sez. I – 11/7/2007 n. 1382; T.A.R. Campania Salerno, sez. I – 22/3/2007 n. 273).

Tale soluzione è stata condivisa dalla recentissima Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato già citata (10/11/2008 n. 11), ad avviso della quale “… ove il ricorso incidentale vada accolto, per la risalente pacifica giurisprudenza (incontestata in sede dottrinaria):

• l’impresa ricorrente principale, che ha presentato l’offerta da escludere (come statuito dal giudice), non può più essere annoverata tra i concorrenti alla gara e non può conseguire non solo l’aggiudicazione, ma neppure la ripetizione della gara, poiché, pur se risultasse l’illegittimità dell’atto di ammissione dell’aggiudicataria l’amministrazione – salvo l’esercizio del potere di autotutela – non potrebbe che prendere in considerazione l’offerta o le offerte presentate dalle altre imprese ammesse con atti divenuti inoppugnabili;

• il ricorso principale diventa dunque improcedibile per sopravvenuto difetto di legittimazione, poiché proposto da impresa che non può ottenere alcuna utilità”.

Ha aggiunto l’Adunanza Plenaria che nulla preclude al giudice di esaminare con priorità il ricorso principale che risulti infondato, per giungere alla statuizione di improcedibilità del ricorso incidentale; ha altresì ribadito che il giudice si può ispirare alle esigenze di economia processuale per determinare l’ordine di trattazione del ricorso principale e di quello incidentale, giungendo a determinare una soccombenza che di per sé comunque si produrrebbe anche invertendo l’ordine di trattazione delle questioni.

2.6 Peraltro sul punto è stato anche acutamente rilevato che l’esame del ricorso incidentale assume rilievo pregiudiziale in ragione della funzione difensiva e conservativa che è propria di tale mezzo di impugnazione, quale strumento di tutela della posizione del controinteressato (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. III ter – 27/12/2007 n. 14081). Ciò in quanto quest’ultimo, vincitore al termine del confronto comparativo, non potrebbe mai tutelare la propria posizione eccependo l’illegittimità dell’ammissione alla selezione del ricorrente principale: non potrebbe infatti proporre un ricorso principale, né nel corso della gara – in quanto l’atto di ammissione ha natura endoprocedimentale e non risulta autonomamente impugnabile – nè all’esito di essa, poiché il vincitore non vanta alcun interesse differenziato a contestare l’ammissione degli altri concorrenti, avendo beneficiato della massima utilità sostanziale ritraibile; inoltre, in caso di infondatezza del gravame principale il ricorrente incidentale difetterebbe di interesse alla decisione, mentre ove lo stesso venisse accolto il controinteressato resterebbe privo di legittimazione a contestare gli altrui requisiti di ammissione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 14/4/2008 n. 1600).

2.7 Sotto un diverso angolo visuale l’esame prioritario del ricorso incidentale appare giustificato dal più volte evocato criterio di economia dei mezzi amministrativi, che si traduce nel principio generale di conservazione degli atti giuridici: in particolare occorre verificare se è possibile risolvere la vicenda processuale senza incidere sull’attività amministrativa che ha definito l’assetto degli interessi in gioco.

Ne consegue che, essendo il controinteressato il soggetto aggiudicatario della gara, è necessario accertare se il soggetto che agisce in giudizio sia titolare delle cd. condizioni soggettive dell’azione, in difetto delle quali il provvedimento conclusivo non potrebbe essere messo in discussione e resterebbe integro.

Per questo l’esame del ricorso incidentale deve essere prioritariamente condotto e la sua eventuale fondatezza – qualora scaturisca dalla carenza di una delle condizioni soggettive dell’azione – determina il consolidamento della determinazione conclusiva adottata per l’improcedibilità del gravame principale; se il giudice esaminasse anche quest’ultimo, ed esso risultasse fondato, si imporrebbe il compimento di una nuova attività amministrativa in esecuzione del giudicato senza alcuna effettiva utilitas per il ricorrente, con conseguente vulnus al principio di economicità dell’azione amministrativa.

Tale percorso argomentativo è coerente con la tesi che configura l’istituto in esame come avente natura di impugnazione ma efficacia di eccezione processuale in quanto – al pari di ogni altra eccezione di rito – ove sia idoneo ad incidere sull’ammissibilità o sulla procedibilità del ricorso principale, deve essere prioritariamente esaminato.

3. Il Collegio ritiene, alla luce delle considerazioni appena svolte, di affrontare anzitutto il ricorso incidentale promosso dalla controinteressata.

Essa ha in particolare impugnato gli atti della procedura comparativa nella parte in cui non è stata disposta l’esclusione della ricorrente, in violazione dell’art. 113 comma 6 del D. Lgs. 267/2000. Tale norma inibisce la partecipazione alle gare a quelle imprese che gestiscono, a qualunque titolo, servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto: poiché la preclusione si applica anche alle Società che gestiscono servizi per effetto di rinnovi o di proroghe di contratti scaduti – disposti dall’Ente pubblico appaltante – la controinteressata rileva che alla data di presentazione dell’offerta la ricorrente era titolare di un affidamento in proroga presso il Comune di Serina (BG), con scadenza in data 31/3/2008.

La doglianza è fondata.

In proposito la ricorrente ha replicato rilevando che oggetto di affidamento non è un servizio pubblico ma un appalto di servizi (cfr. suo doc. 29), con conseguente estraneità alla fattispecie richiamata. Ha poi obiettato che il primo rinnovo (cfr. doc. 31) ha avuto luogo per il biennio 1/4/2005 – 31/3/2007 in adesione a puntuale previsione della lex specialis e nel rispetto della normativa all’epoca vigente, mentre con atto giuntale 8/3/2007 n. 30 l’amministrazione ha disposto una semplice proroga sino al 31/3/2008, del tutto legittima ai sensi dell’art. 198 ss. del D. Lgs. 152/2006 (Codice dell’ambiente).

Detto ordine di idee non può essere condiviso.

3.1 Deve in primo luogo essere indagata la natura giuridica del rapporto instaurato dal Comune di Serina con la ricorrente, rispetto al quale occorre premettere alcune considerazioni sul concetto di servizio pubblico.

Il tentativo di elaborare una nozione unitaria di servizio pubblico è il frutto dell’attività dottrinale e giurisprudenziale.

Secondo il tradizionale filone interpretativo va accolta la nozione soggettiva, fondata sul momento dell’assunzione, da parte di un pubblico potere, di una determinata attività produttiva a carattere non autoritativo: quel che conta, in definitiva, è la titolarità del servizio pubblico, che deve sempre appartenere alla pubblica amministrazione, la quale poi lo gestisce in modo diretto oppure attraverso specifiche articolazioni ovvero mediante affidamento in concessione.

La prevalente concezione oggettiva invece – prendendo atto della tendenza ad affidare i servizi in questione anche a soggetti totalmente o parzialmente privati – valorizza l’attività svolta e la sua diretta fruibilità da parte dei cittadini (art. 43 Costituzione; art. 112 del D. Lgs. 18/8/2000 n. 267), definendo il servizio pubblico come un’attività di produzione di beni e di servizi, indirizzata istituzionalmente ed in via immediata al soddisfacimento di bisogni collettivi e sottoposta – per ragioni di interesse generale – a restrizioni disposte dall’autorità: non vengono inoltre trascurati gli elementi di doverosità del servizio pubblico, che si esplicitano nei principi di sussidiarietà, uguaglianza, continuità, parità di trattamento, imparzialità e trasparenza. Tale teoria pone dunque in primo piano l’attività, l’organizzazione e soprattutto l’attitudine a soddisfare direttamente un interesse di carattere generale, a prescindere dalla natura pubblica o privata del soggetto gestore (sentenza Sezione 27/6/2005 n. 673).

In sede di individuazione delle attività sussumibili sotto la nozione di servizio pubblico assume rilievo decisivo non già la possibilità di considerarle “di pertinenza” dell’amministrazione pubblica, bensì il fatto del loro assoggettamento ad una disciplina settoriale che assicura costantemente il conseguimento dei fini sociali: questi ultimi, pertanto, costituiscono la ragione dell’applicazione all’attività stessa di un regime giuridico tutto peculiare, potendosi affermare che i fattori distintivi del pubblico servizio sono, da un lato, l’essere connotato dall’idoneità a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti; dall’altro, la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi volti a conformare l’espletamento delle prestazioni a canoni di continuità, regolarità, capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata una comune attività economica (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 12/10/2004 n. 6574; Corte di Cassazione, sez. unite civili – 19/4/2004 n. 7461; Consiglio di Stato, sez. IV – 29/11/2000 n. 6325).

3.2 A partire da queste considerazioni è importante non confondere il servizio pubblico con l’appalto pubblico di servizi, nel quale è la pubblica amministrazione che si “procura” il servizio: si tratta in altre parole di attività strumentali all’erogazione del servizio pubblico (pensiamo ad esempio al servizio di gestione calore degli edifici comunali e scolastici, al servizio di tesoreria reso a favore dell’Ente locale) e che tuttavia non possono identificarsi con il medesimo. In definitiva, nel primo caso la prestazione viene erogata direttamente all’utente, nel secondo si sviluppa un moto opposto poiché è l’Ente il primo beneficiario dell’attività economica svolta.

3.3 Il Codice dei contratti fornisce la definizione dei due istituti (cfr. art. 3 commi 6 e 11): l’appalto pubblico è sostanzialmente identico a quello previsto dall’art. 1655 del c.c., ossia è un contratto a titolo oneroso concluso in forma scritta, avente per oggetto un facere e nel quale sono rinvenibili due parti (amministrazione e terzo, chiamato a svolgere un’attività a favore della prima dietro corrispettivo); la concessione di servizi è un contratto simile all’appalto, fatta eccezione per il corrispettivo che consiste nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo.

La dottrina tradizionale aveva in passato elaborato 4 criteri di distinzione tra concessione e appalto:

a) la natura unilaterale del titolo concessorio di affidamento del servizio contrapposta al carattere negoziale dell’appalto;

b) la natura surrogatoria dell’attività svolta dal concessionario, chiamato a realizzare compiti istituzionali dell’Ente; l’appaltatore compie attività di mera rilevanza economica nell’interesse del committente pubblico;

c) l’effetto accrescitivo della concessione, che attribuisce al privato una capacità estranea alla sua originaria sfera giuridica;

d) il trasferimento di potestà pubbliche al concessionario (organo indiretto dell’amministrazione); l’appaltatore esercita le prerogative proprie di qualsiasi soggetto economico.

La dottrina più recente ha rilevato che, nell’evoluzione della disciplina, il modulo concessorio è frequentemente sostituito da altri titoli (anche convenzionali) di affidamento del servizio, per cui l’attenzione si focalizza sulla diversità dell’oggetto dei contrapposti istituti. L’appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell’Ente pubblico, mentre la concessione di servizi contempla un articolato rapporto trilaterale che coinvolge l’amministrazione, il concessionario e gli utenti, con prestazioni rivolte in via immediata a questi ultimi, a carico dei quali è posto il corrispettivo. Ciò consente di individuare un’ulteriore differenza in relazione ai soggetti tenuti al pagamento: normalmente nell’appalto di servizi è l’amministrazione che compensa l’attività svolta dal privato, mentre nella concessione di servizio il costo grava direttamente sugli utenti.

3.4 Anche la giurisprudenza comunitaria, nel ricercare gli elementi peculiari per qualificare un contratto come appalto o concessione di servizio pubblico, ha posto l’accento sulla natura dei destinatari, per cui nell’appalto le prestazioni sono rese a favore dell’amministrazione committente che si fa carico del corrispettivo, mentre nella concessione il servizio è erogato a favore di una comunità potenzialmente indistinta di utenti che paga la relativa tariffa.

3.5 Ciò posto, ritiene il Collegio che le attività di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani presso il Comune di Serina (cfr. doc. 29 ricorrente) siano qualificabili come servizio pubblico.

Anzitutto le prestazioni richieste al privato gestore sono rivolte non già a vantaggio dell’amministrazione, ma in modo generalizzato a favore della collettività locale (Consiglio di stato, sez. V – 30/4/2002 n. 2294). Il servizio in esame, che richiede la predisposizione di un’organizzazione imprenditoriale, è cioè erogato ad una collettività indeterminata di utenti secondo caratteri di universalità, continuità ed uniformità (T.A.R. Campania Napoli, sez. I – 5/4/2002, n. 1888).

Ciò è particolarmente evidente nel caso in esame, ove è previsto il servizio “porta a porta” per una tipologia ampia di rifiuti, ossia per tutti i rifiuti indifferenziati compresa la frazione umida (art. 2 capitolato), per la carta (art. 3) e per i contenitori di plastica per liquidi (art. 4).

Né a conclusioni diverse si deve pervenire per il fatto che l’onere di remunerare l’attività svolta dal privato è assunto direttamente dall’amministrazione. E’ infatti noto che per l’erogazione del servizio R.S.U. i Comuni sono tenuti ad istituire la tariffa da praticare ai cittadini – nuclei familiari ed imprese – secondo criteri omogeni e con l’obbligo di provvedere all’integrale copertura dei costi. Se è dunque vero che il compenso del gestore è erogato periodicamente dal Comune, è altrettanto vero che il costo del servizio è ripartito tra gli utenti secondo parametri predeterminati, come ad es. l’estensione dell’unità abitativa e il numero dei componenti del nucleo familiare.

Da ultimo si rileva che la giurisprudenza ha affermato che il servizio pubblico è quello che consente al Comune di realizzare fini sociali e di promuovere lo sviluppo civile della comunità locale ai sensi dell’art. 112 del D. Lgs. 267/2000, in quanto preordinato a soddisfare i bisogni della cittadinanza indifferenziata (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 14/4/2008 n. 1600). Tale è indubbiamente il servizio di igiene urbana, il quale richiede che il concessionario impieghi capitali, mezzi e personale da destinare ad un’attività economica suscettibile, quanto meno potenzialmente, di produrre un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore.

3.6 Acclarata la natura di servizio pubblico dell’attività intrapresa presso il Comune di Serina, il Collegio deve farsi carico di verificare l’ulteriore presupposto ostativo alla partecipazione alle gare pubbliche, ossia la configurabilità nella fattispecie di un affidamento diretto.

Esaminando la contestata proroga, in punto di diritto va sottolineato che l’art. 113 comma 6 del D. Lgs. 267/2000 recita: “Non sono ammesse a partecipare alle gare di cui al comma 5 le società che, in Italia o all'estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultime. Sono parimenti esclusi i soggetti di cui al comma 4”.

Al riguardo il Collegio non intravede elementi per escludere, nel caso in esame, l’applicazione della norma citata, da cui consegue l’illegittima ammissione alla gara in oggetto della ricorrente, stante il divieto di partecipazione gravante per l’avvenuto beneficio di un affidamento diretto.

Si osserva anzitutto che la proroga del servizio effettuata dal Comune di Serina ha comunque determinato – a prescindere dalla legittimità del provvedimento all’uopo emanato – il prolungamento del rapporto contrattuale per un anno senza il preventivo espletamento di una pubblica gara. In buona sostanza è del tutto ininfluente la regolarità dei rinnovi e delle proroghe, in quanto lo scopo del divieto è quello di evitare le distorsioni alla concorrenza provocate dalle Società che fruiscono dei vantaggi connessi all’affidamento senza gara: esse potrebbero partecipare alle procedure comparative sfruttando le posizioni privilegiate acquisite senza il previo confronto concorrenziale. La quota di mercato detenuta non è stata cioè il frutto di una sana conquista, ottenuta all’esito di una competizione paritaria con gli altri operatori economici, in quanto l’acquisizione di una o più commesse è avvenuta in maniera anomala, senza sottoporsi al meccanismo selettivo capace di individuare l’offerta oggettivamente migliore. In buona sostanza la ratio della norma è quella di limitare il vantaggio conseguito dalle Società per effetto dell’accesso privilegiato al mercato della pubblica amministrazione, avvenuto a danno di altri operatori privati che viceversa hanno sempre accettato le regole della gara pubblica e non beneficiato di affidamenti diretti (sentenze Sezione 17/3/2008 n. 287; 20/6/2008 n. 729).

 

3.7 Né può al riguardo distinguersi la proroga dal rinnovo contrattuale, in quanto la prima realizza i medesimi effetti del secondo, in disparte la considerazione che l’estensione del rapporto per un anno intero mal si concilia con i caratteri tradizionali dell’istituto, usualmente adoperato dalle amministrazioni per il tempo strettamente necessario ad ultimare o comunque espletare procedure di gara già indette.

 

3.8 Non può inoltre essere applicata, in favore della ricorrente, la deroga al divieto in oggetto, per cui lo stesso non sarebbe operativo per le “prime gare” aventi ad oggetto i servizi forniti dalle Società partecipanti alla gara stessa. In sostanza la deroga in questione riguarda solo quei precedenti gestori che – dopo la cessazione di una precedente concessione rilasciata dallo stesso Comune con procedure diverse dall’evidenza pubblica – risultano essere titolari di altre concessioni affidate allo stesso modo e che rendono operativo il divieto di cui all’art. 113 comma 6 D. Lgs. 267/2000. In tal caso il legislatore offre loro la possibilità, in deroga al divieto indicato, di partecipare alla prima gara per l’affidamento del servizio di cui erano gestori per affidamento diretto, evitando così di trovarsi del tutto improvvisamente espulsi dal mercato (cfr. sentenza Sezione 20/6/2008 n. 729). La ricorrente era risultata aggiudicataria del servizio in seguito ad una procedura ad evidenza pubblica indetta dal Comune di Serina (cfr. doc. 31 ricorrente) e tale circostanza è sufficiente per escludere l’applicazione della deroga.

 

4. In definitiva il Collegio ravvisa la sussistenza delle ragioni ostative alla partecipazione alla gara, per cui la ricorrente non poteva essere ammessa fin dal principio alla selezione di cui si controverte.

L’accoglimento del ricorso incidentale comporta come conseguenza che il ricorso principale e i relativi motivi aggiunti devono essere dichiarati improcedibili per carenza di interesse. Seguono la stessa sorte i motivi aggiunti al ricorso incidentale. Deve essere respinta la richiesta risarcitoria formulata da Colombo Servizi Ecologici.

La complessità della vicenda giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti in causa.

 

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando:

- accoglie il ricorso incidentale, e per l’effetto annulla i verbali di gara e il provvedimento di aggiudicazione provvisoria nella parte in cui hanno disposto l’ammissione della ricorrente alla procedura selettiva.

- dichiara improcedibile il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti per sopravvenuto difetto di interesse.

- dichiara i motivi aggiunti al ricorso incidentale improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.

- respinge la richiesta di risarcimento del danno presentata dalla ricorrente.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13/11/2008 con l'intervento dei Magistrati:

Sergio Conti, Presidente

Stefano Tenca, Primo Referendario, Estensore

Francesco Gambato Spisani, Referendario

   

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/11/2008

 

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO

 

 

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