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TAR Lazio, sez. II, 20/4/2009 n. 3984
La mancata dichiarazione di una condanna penale, in sede di dimostrazione del requisito della moralità professionale dell'impresa, non determina ex se esclusione dalla gara ove manchi una valutazione della P.A..


La mancata dichiarazione da parte del rappresentante legale di una ditta concorrente circa un precedente penale che non abbia alcun riflesso negativo sul requisito della "moralità professionale", non può determinare - ex se ed in assenza di invito, da parte della stazione appaltante, alla integrazione documentale ovvero a fornire chiarimenti - l'esclusione della concorrente dalla selezione ovvero (come è avvenuto nel caso di specie) la non aggiudicazione definitiva in suo favore (per quell'unica ragione). L'indagine a cura della stazione appaltante avente ad oggetto il rilievo del precedente penale ascritto al rappresentante legale della ditta concorrente sulla "moralità professionale" deve essere motivata e, siccome la motivazione, ai sensi dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990, è fondata sulle risultanze dell'istruttoria, cioè su un accertamento di fatto concreto, dette valutazioni non andranno espresse su categorie astratte di reati, ma tenendo conto delle circostanze in cui un reato è stato commesso, per dedurne un giudizio di affidabilità o inaffidabilità.

Materia: appalti / requisiti di partecipazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda composto dai Signori:

Luigi TOSTI     Presidente

Silvestro Maria RUSSO   Componente;

Stefano TOSCHEI    Estensore;

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso n. R.g. 9114 del 2008 proposto da

“SISTEMI DI COSTRUZIONI S.r.l.” in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Claudio Ferrazza e Roberta Pagliarella ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via Monte Santo n. 68;

 

contro

il COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Luigi D’Ottavi, dell’Avvocatura comunale nella cui sede in Roma, Via del Tempio di Giove n. 21, è elettivamente domiciliato;

 

e nei confronti di

“DO.MA.CO. S.r.l.”, in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Emanuela Paoletti, Maria Luisa Carnazza e Francesco Paoletti ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo dei suindicati difensori in Roma, Via G. Bazzoni n. 3;

 

per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia

della determinazione dirigenziale rep. n. 1217 del 18 settembre 2008 prot. 29991 con la quale si determinava:

di non convalidare l’aggiudicazione provvisoria nei confronti dell’impresa Sistemi di costruzioni S.r.l., prima classificata nella procedura ristretta semplificata del 18 giugno 2008, per i lavori di manutenzione ordinaria delle strade e dei marciapiedi del Municipio Roma III-Anno 2008;

di procedere all’accertamento di entrata pari a € 9.979,18 per l’incameramento della cauzione provvisoria prestata dalla Sistemi costruzioni S.r.l.;

di procedere all’incameramento del deposito cauzionale provvisorio di € 9.979,18 pari al 2% dell’importo lavori posto a base della gara “Lavori di manutenzione ordinaria delle strade e dei marciapiedi del Municipio Roma III-Anno 2008”;

di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale con i provvedimenti impugnati, ivi compresa l’escussione della polizza fideiussoria;

nonché per il risarcimento

dei danni subiti o subendi derivanti dall’esecuzione dei provvedimenti impugnati.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Vista la costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata e della parte controinteressata e i documenti prodotti;

Vista l’ordinanza 22 ottobre 2008 n. 4936 con la quale questo Tribunale ha accolto l’istanza cautelare proposta dalla parte ricorrente;

Esaminate le ulteriori memorie depositate;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla Camera di consiglio dell’8 aprile 2009 il dott. Stefano Toschei; presente per la parte ricorrente l’avv. Claudio Ferrazza, per la società controinteressata gli avv.ti Emanuela Paoletti, M.Luisa Carnazza e Francesco Paoletti, nonché, per la parte resistente, l’avv. Antonio Graziosi, in sostituzione dell’avv. D’Ottavi;

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto.

 

FATTO E DIRITTO

         1. - Con il ricorso in esame la Sistemi di costruzioni S.r.l. ha impugnato, in via principale, il provvedimento con il quale il Municipio III del Comune di Roma l’ha dichiarata decaduta dall’aggiudicazione provvisoria, già disposta a favore della predetta Società all’esito della procedura ristretta semplificata del 18 giugno 2008, per i lavori di manutenzione ordinaria delle strade e dei marciapiedi, bandita dal suindicato Municipio, disponendo l’escussione della cauzione provvisoria di € 9.979,18 pari al 2% dell’importo lavori posto a base della gara.

 

         La Società ricorrente riferisce che il rappresentante legale, Signor Fabrizio Marziali, nel rendere la dichiarazione prevista dall’art. 38, comma 1 lett. c), del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 “non riportava una sentenza conseguita nel 2005 ex art. 444 c.p.p., per omicidio colposo da incidente stradale, dal momento che la lettera di invito faceva esplicito riferimento ad eventuali condanne” (così, testualmente, a pag. 3 del ricorso introduttivo). Soggiunge la ricorrente che l’Amministrazione comunale procedente, in data 19 settembre 2008, le notificava il provvedimento qui impugnato adottato in quanto “la mancata dichiarazione di aver riportato una condanna penale configura invece una distinta ed autonoma violazione del dovere di dichiarare l’inesistenza di situazioni ostative all’ammissione” (così, nella motivazione, il provvedimento impugnato, riprodotta a pag. 3 del ricorso introduttivo).

 

         Lamentando l’illegittimità della decisione assunta dall’Amministrazione nei suoi confronti sotto diversi profili, la Società ricorrente chiedeva il giudiziale annullamento dell’atto impugnato.

 

         2. – Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata contestando la fondatezza delle avverse prospettazioni e chiedendo la reiezione del gravame. Il particolare la difesa comunale ribadisce la correttezza del comportamento assunto dalla stazione appaltante che non poteva far altro se non dichiarare decaduta l’odierna ricorrente dall’aggiudicazione provvisoria stante la “falsa dichiarazione” resa in sede di gara (così a pag. 2 della memoria difensiva del Comune) e tenuto conto che, in “materia di gare l’autocertificazione è abbastanza rigorosa perché richiede di dichiarare non soltanto l’inesistenza delle cause di esclusione di cui alla lett. c) ma anche tutte le situazioni possibilmente pregiudizievoli per il rapporto fiduciario che è alla base del contratto pubblico” (così, testualmente, a pag. 4 della memoria difensiva del Comune).

 

         Si è altresì costituita in giudizio la controinteressata, Società DO.MA.CO. S.r.l. che ha chiesto la reiezione del gravame.

 

         Con decreto presidenziale n. 4747 del 2008 era accolta l’istanza di adozione di provvedimento cautelare provvisorio e con ordinanza 22 ottobre 2008 n. 4936 questo Tribunale accoglieva, limitatamente all’incameramento della cauzione provvisoria e all’eventuale segnalazione all’Autorità di vigilanza, l’istanza cautelare proposta dalla parte ricorrente.

 

         Le parti costituite hanno presentato memorie confermando le già rassegnate conclusioni ed alla udienza di merito dell’8 aprile 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

 

         3. – Oggetto della presente controversia è la legittimità del provvedimento assunto dal Municipio Roma III di dichiarare decaduta la Società ricorrente dall’aggiudicazione provvisoria a causa della assenza, nella dichiarazione svolta dal rappresentante legale ai sensi dell’art. 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006, dell’indicazione circa una sentenza di “patteggiamento” per omicidio colposo (per incidente stradale) pronunciata a suo carico nel 2005.

 

         Come è noto l’art. 38 del Codice dei contratti pubblici così recita:

 

         “1. Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:

 

         a) che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni;

 

         b) nei cui confronti è pendente procedimento per l'applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all'articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 o di una delle cause ostative previste dall’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575; l’esclusione e il divieto operano se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; il socio o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo, i soci accomandatari o il direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, se si tratta di altro tipo di società;

 

         c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; l’esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio. In ogni caso l’esclusione e il divieto operano anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l'impresa non dimostri di aver adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata; resta salva in ogni caso l'applicazione dell'articolo 178 del codice penale e dell'articolo 445, comma 2, del codice di procedura penale;

 

         d) che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria posto all'articolo 17 della legge 19 marzo 1990, n. 55;

 

         e) che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e a ogni altro obbligo derivante dai rapporti di lavoro, risultanti dai dati in possesso dell'Osservatorio;

 

         f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante;

 

         g) che hanno commesso violazioni, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti;

 

         h) che nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara hanno reso false dichiarazioni in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara e per l'affidamento dei subappalti, risultanti dai dati in possesso dell'Osservatorio;

 

         i) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti;

 

         l) che non presentino la certificazione di cui all’articolo 17 della legge 12 marzo 1999, n. 68, salvo il disposto del comma 2;

 

         m) nei cui confronti è stata applicata la sanzione interdittiva di cui all’articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo dell’8 giugno 2001 n. 231 o altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione compresi i provvedimenti interdittivi di cui all'articolo 36-bis, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (64)

 

         m-bis) nei cui confronti sia stata applicata la sospensione o la decadenza dell'attestazione SOA per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci, risultanti dal casellario informatico (65).

 

         2. Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica anche le eventuali condanne per le quali abbia beneficiato della non menzione.

 

         3. Ai fini degli accertamenti relativi alle cause di esclusione di cui al presente articolo, si applica l’articolo 43, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445; resta fermo, per l’affidatario, l’obbligo di presentare la certificazione di regolarità contributiva di cui all’articolo 2, del decreto legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito dalla legge 22 novembre 2002, n. 266 e di cui all’articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494 e successive modificazioni e integrazioni. In sede di verifica delle dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 le stazioni appaltanti chiedono al competente ufficio del casellario giudiziale, relativamente ai candidati o ai concorrenti, i certificati del casellario giudiziale di cui all’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, oppure le visure di cui all’articolo 33, comma 1, del medesimo decreto n. 313 del 2002.

 

         4. Ai fini degli accertamenti relativi alle cause di esclusione di cui al presente articolo, nei confronti di candidati o concorrenti non stabiliti in Italia, le stazioni appaltanti chiedono se del caso ai candidati o ai concorrenti di fornire i necessari documenti probatori, e possono altresì chiedere la cooperazione delle autorità competenti.

 

         5. Se nessun documento o certificato è rilasciato da altro Stato dell'Unione europea, costituisce prova sufficiente una dichiarazione giurata, ovvero, negli Stati membri in cui non esiste siffatta dichiarazione, una dichiarazione resa dall'interessato innanzi a un'autorità giudiziaria o amministrativa competente, a un notaio o a un organismo professionale qualificato a riceverla del Paese di origine o di provenienza”.

 

         Della norma sopra riportata, in questa sede assumono particolare interesse le seguenti disposizioni:

 

l’art. 38, comma 1 lett. c), il cui testo è così ricostruito, per comodità di indagine: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: (…)c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18 (…)”;

il comma 2: “Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica anche le eventuali condanne per le quali abbia beneficiato della non menzione”;

nonché il comma 3: “Ai fini degli accertamenti relativi alle cause di esclusione di cui al presente articolo, si applica l’articolo 43, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”

         A tali disposizioni va aggiunta l’indicazione di quanto stabilito in argomento dalla lex specialis di gara. Nella lettera di invito, a pag. 3 settore “Ammissione”, si legge che “Per poter partecipare alla gara i concorrenti – a pena di esclusione – devono presentare: - dichiarazione del/i Titolare/i o del/i Legale/i Rappresentante/i dell’Impresa di non trovarsi in alcune delle cause di esclusione previste dall’art. 38 del D. Lgs. n. 163/2006; nonché l’indicazione di eventuali condanne per le quali il dichiarante abbia beneficiato della non menzione”.

 

         4. – In punto di fatto emerge, dalla documentazione depositata e per quanto è di stretto interesse per la decisione della controversia, che:

 

il rappresentante legale della Società ricorrente ha dichiarato “Di non trovarsi in alcuna delle cause di esclusione prevista dall’art. 38 comma 1 del D. Lgs. 163/2006 e s.m.i. (…) e precisamente: (…) c) Che nei confronti dell’Amministratore Unico e Direttore Tecnico sopra menzionato non è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale (…)”;

dall’estratto del casellario giudiziale risulta che a carico dell’Amministratore unico dell’odierna Società ricorrente (Signor Fabrizio Marziali) è ascritta, in data 15 febbraio 2005, una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p. del Tribunale di Sala Consilina, per omicidio colposo (4 mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena);

con la determina dirigenziale n. 127 del 18 settembre 2008, il Municipio Roma III, prendendo atto della discrasia tra il contenuto della dichiarazione di cui sopra e quello dell’estratto del casellario giudiziale e considerato “che la mancata dichiarazione di aver riportato una condanna penale configura invece una distinta e autonoma violazione del dovere di dichiarare l’inesistenza di situazioni ostative all’ammissione”, ha ritenuto “opportuno non procedere all’aggiudicazione definitiva nei confronti dell’impresa” Sistemi di costruzioni S.r.l. prima classificata.

         5. – Orbene, in punto di fatto, si evidenzia come il rappresentante legale della Società ricorrente, effettivamente, abbia omesso di dichiarare un precedente penale a proprio carico.

 

         Di conseguenza il signor Marziali ha effettivamente reso una dichiarazione quantomeno incompleta, non essendo dubitabile, volgendo tale dichiarazione in ordine ai propri precedenti, che egli conoscesse perfettamente le condanne pronunciate a proprio carico (ed anche se non fossero risultanti dal certificato del casellario giudiziale) e avesse l'obbligo, in base alla disciplina dell'articolo 38, comma 3, del decreto legislativo n. 163 del 2006, di renderne edotta l'Amministrazione procedente a mezzo della prescritta dichiarazione sostitutiva.

 

         Nello stesso tempo occorre rilevare che la difesa di parte ricorrente insiste nel ritenere che la dichiarazione, per come espressa, sia comunque rispettosa della previsione normativa, atteso che l’art. 38 più volte citato, richiamando il concetto di “immoralità professionale”, nella realtà esige che la dichiarazione abbia ad oggetto solo quei reati che incidano sulla “immoralità professionale” e non anche sulla “inaffidabilità morale e professionale” come pretendeva il precedente testo della disposizione in questione (in tal senso si è espressa la difesa della Società ricorrente a pag 6 del ricorso introduttivo).

 

         Secondo tale prospettazione, dunque, la corretta interpretazione dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici [in particolare della disposizione contenuta nel comma 1 lett. c)] porterebbe a ritenere che la dichiarazione circa i precedenti penali sia necessaria solo con riferimento a quei reati che possano determinare una condizione di “immoralità professionale” rispetto al rappresentante legale/dichiarante della ditta concorrente.

 

         6. – Fermo quanto sopra e proprio per effetto della suaccennata prospettazione, il Collegio deve porsi la questione relativa al seguente quesito: se la mancata indicazione di un precedente penale nella dichiarazione integri ex se motivo di esclusione dalla gara ovvero imponga alla stazione appaltante di passare ad una seconda fase della valutazione, avente ad oggetto la reale incidenza del tipo di condanna sui requisiti di partecipazione alla gara.

 

         La riflessione che conduce ad operare tale indagine nasce – oltre che dalle prospettazioni di parte ricorrente - dalla lettura dell’attuale testo dell’art. 38, laddove la lunga e complessa costruzione dei periodi che compongono la lettera c) manifesta i seguenti elementi di criticità:

 

la norma dapprima esordisce stabilendo che il soggetto tenuto alla dichiarazione deve svelare i precedenti penali a suo carico facendo riferimento ai casi di sentenza di condanna passata in giudicato, decreto penale di condanna divenuto irrevocabile oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale;

immediatamente dopo e senza alcuna separazione espressiva né di punteggiatura, specifica che i precedenti penali che costituiscono l’oggetto della dichiarazione debbono essere inerenti a “reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”;

separato da un segno di punteggiatura di “punto e virgola”, segue il periodo successivo nel quale si esplicita che “è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18”.

         Risulterebbe, pertanto, da questo semplice esame delle espressioni contenute nella norma in questione, che:

 

rispetto al momento di valutazione dei requisiti di affidabilità del rappresentante legale (nel nostro caso) della ditta concorrente l’Amministrazione procedente, per effetto della norma di cui all’art. 38, comma 1 lett. c), del Codice dei contratti pubblici, può assumere due distinte posizioni, la prima caratterizzata dalla tipizzazione vincolante dei precedenti penali che conducono alla inappellabile esclusione dalla selezione, la seconda caratterizzata da ampi margini di discrezionalità valutativa;

nel primo caso la stazione appaltante non può che escludere la ditta, allorquando dalla dichiarazione ovvero in seguito all’acquisizione del certificato emerga che il rappresentante legale sia stato condannato “per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18”;

nel secondo caso l’Amministrazione procedente, una volta venuta a conoscenza del o dei precedenti penali riferibili al rappresentante legale della ditta, sia per effetto della dichiarazione sostitutiva che per la successiva acquisizione del certificato del casellario giudiziale, deve valutare, caso per caso, la “immoralità professionale” del rappresentante legale, tenendo conto del peso specifico dei reati ascritti e della incidenza sia con i principi deontologici della professione sia con riferimento all’attività che la ditta dovrà espletare se risulterà aggiudicataria della commessa pubblica.

         7. – Sulla questione della incompleta o infedele dichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, comma 1 lett. c) del decreto legislativo n. 163 del 2001 va riferito un quadro di contrastanti orientamenti giurisprudenziali.

 

         Sotto un primo profilo si è affermato che la non veridicità della dichiarazione circa la sussistenza di emergenze penali integra una autonoma causa di esclusione dalla gara, a prescindere dalla valutazione in ordine all’idoneità della condanna riportata ad incidere la moralità professionale dell’impresa. Il Consiglio di Stato ha, infatti, in più occasioni statuito che “l'esistenza di false dichiarazioni sul possesso dei requisiti, quali la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, si configura come causa autonoma di esclusione dalla gara” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2007 n. 1723 e 6 giugno 2002, n. 3183) ed anche che (in un caso pressoché coincidente con quello qui in esame) “in sede di procedura di gara d’appalto di opere pubbliche, costituisce dichiarazione non veritiera, e quindi legittima causa di esclusione dalla gara e di non aggiudicazione dell’appalto, quella nella quale l’impresa concorrente omette di indicare, in sede di dichiarazione concernente le eventuali sentenze penali riportate, una sentenza patteggiata ai sensi dell’art. 444 c.p.p.” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2004 n. 3466).

 

         Per un diverso orientamento, al quale il Collegio ritiene di aderire perché più rispettoso dei principi – anche comunitari - che ormai informano la procedura di scelta del contraente pubblico, invece, non è sufficiente ad integrare la fattispecie che porta alla non partecipazione alla gara della concorrente (e quindi sia a determinarne l’esclusione sia a provocarne la decadenza dall’aggiudicazione provvisoria) la sola mancata dichiarazione, ma occorre indagare se il reato per il quale si è verificata la mancata dichiarazione incida effettivamente sul requisito di affidabilità morale richiesto dal Codice per essere destinatari dell’affidamento di una commessa pubblica.

 

         La piana lettura della norma in questione (vale a dire l’art. 38, comma 1 lett. c), del Codice dei contratti pubblici), fa esplicito riferimento, alla commissione di reati “gravi” in danno dello Stato e della Comunità che incidono sulla moralità professionale. Il richiamo operato dal Legislatore alla connotazione di “gravità” non può essere sottaciuto e non può restare senza effetti, tanto da far sì che la mancata o incompleta dichiarazione determini ex se l’esclusione della concorrente dalla procedura; altrimenti si dovrebbe concludere per la superfluità di quel riferimento e per l’inapplicabilità della disposizione, quale esito dell’indagine ermeneutica affatto persuasivo.

 

         8. - Nello stesso tempo non può non avvertirsi che il riferimento all’espressione “gravità”, implicante di per sé un concetto generico, obbliga la stazione appaltante a motivare in ordine alle ragioni che fanno ritenere tale il comportamento sotteso alla condanna ascritta al responsabile della ditta concorrente con riferimento al “tipo” di commessa che deve essere affidata.

 

         In altri termini, non basta, per applicare correttamente l’art. 38, comma 1, lett. c), del più volte citato decreto legislativo n. 163 del 2006, che sia commesso un qualunque reato contro lo Stato (ovvero contro altre Pubbliche amministrazioni, ovviamente), ma tale reato deve essere “grave” e la stazione appaltante deve illustrare nel provvedimento che lo applica i motivi logici che l’hanno indotta a tale conclusione nonché a quella di identificare il reato come comunque incidente alla moralità professionale dell’imprenditore.

 

         In argomento si è osservato, da più parti, che la mancanza di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale alla stazione appaltante, e consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un equo apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali, a titolo esemplificativo, l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive et similia. E’ chiaro, infatti, che la norma attribuisce, in mancanza di apposita specificazione delle norme incriminatici di parte speciale, un ampio margine di apprezzamento alle Amministrazioni appaltanti, cui spetta decidere quali imprese escludere dalle procedure di affidamento degli appalti, in conseguenza di fatti costituenti reato (anche di non rilevante entità, come dimostra il richiamo all’istituto dell’applicazione della pena su richiesta) che siano da esse ritenuti indici di inaffidabilità morale o professionale; deve essere condiviso, infatti, il rilievo in base al quale il concetto di (im)moralità professionale presuppone la realizzazione di un fatto di reato idoneo a manifestare una radicale e sicura contraddizione coi principi deontologici della professione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 1 marzo 2003 n. 1145 e 25 novembre 2002 n. 6482. Nonché, specialmente, Cons. Stato, Sez. V, 18 ottobre 2001 n. 5517, che ha ritenuto legittima la scelta dell'Amministrazione appaltante di non escludere da una gara d'appalto il concorrente condannato con decreto penale per un reato contravvenzionale omissivo e di pericolo, a struttura normalmente colposa, quale quello previsto dall'art. 677 c.p. - omissioni di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina - ove dalla condotta per la quale è stato condannato non emergano elementi particolarmente sintomatici di una scarsa moralità professionale).

 

         Se si eccettuano i reati relativi a condotte delittuose individuate dalla normativa antimafia, in assenza di parametri normativi fissi e predeterminati, la verifica dell'incidenza dei reati commessi dal legale rappresentante dell'impresa sulla moralità professionale della stessa attiene all'esercizio del potere discrezionale della P.A. e deve essere valutata attraverso la disamina in concreto delle caratteristiche dell'appalto, del tipo di condanna, della natura e delle concrete modalità di commissione del reato (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. V, n. 6482 del 2002 cit. e n. 5517 del 2001 cit.)

 

         9. - Invero, la stessa indeterminatezza del concetto di moralità professionale a cui è legato l’effetto espulsivo comporta necessariamente l’esercizio, da parte dell’Amministrazione aggiudicante, di un potere discrezionale di valutazione dei reati ascritti agli interessati. Ciò tanto più se si considera che, nell’ipotesi di cui all’art. 444 c.p.p., l’applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) non comporta necessariamente l’affermazione della responsabilità del reo.

 

         Da ciò consegue, altresì, che non è sufficiente l'accertamento in capo al soggetto interessato di una condanna penale, giacché il dettato normativo è tutto volto a richiedere una concreta valutazione da parte dell'Amministrazione per la verifica - attraverso un apprezzamento discrezionale che deve essere adeguatamente motivato - dell'incidenza della condanna sul vincolo fiduciario, da instaurare attraverso il contratto con l’Amministrazione stessa e senza che tale apprezzamento possa ritenersi compiuto, per implicito, attraverso la semplice enunciazione delle fattispecie di reato alle quali si riferisce la condanna.

 

         Inoltre, quando si deve valutare l’affidabilità o la moralità professionale di un soggetto non può prescindersi anche dalla considerazione della sua professionalità per come nel tempo si è manifestata. Ne discende, pertanto, che i margini di insindacabilità attribuiti all'esercizio del potere discrezionale dell'Amministrazione appaltante di valutare una condanna penale, ai fini dell'esclusione di un concorrente da una gara d'appalto, non consentono, comunque, al pubblico committente di prescindere dal dare contezza di avere effettuato la suddetta disamina e dal rendere conoscibili gli elementi posti alla base dell'eventuale definitiva determinazione espulsiva (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2003 n. 2129).

 

         10. – Ad ulteriore conforto della bontà dell’interpretazione che della norma in esame qui si ritiene di accogliere, va rimarcato quanto la stessa Autorità di vigilanza per i lavori i servizi e le forniture ha ritenuto di osservare circa la corretta applicazione della disposizione normativa qui oggetto di indagine.

 

         Giova premettere, peraltro, che l’Autorità di vigilanza ha appuntato il proprio studio sulla disposizione contenuta nell’art. 75 del D.P.R. 23 dicembre 1999 n. 554 che conteneva, prima dell’entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, la norma qui in esame ed ora raccolta nell’art. 38, comma 1 lett. c), del ridetto Codice e che era caratterizzata dal riferimento non più solo al concetto di “moralità professionale” ma, ancor più latamente, alla complessa nozione di “affidabilità morale e professionale”.

 

         Ad avviso dell’Autorità di vigilanza, dunque, particolarmente complessa è l’individuazione dei reati che sono considerati incidenti sull’affidabilità morale e professionale dell’imprenditore e delle modalità attraverso le quali può essere dimostrata la mancata ricorrenza della condizione in esame (cfr. determinazione 15 luglio 2003 n. 13). Sicuramente “influiscono sull’affidabilità morale e professionale del contraente i reati contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la fede pubblica ed il patrimonio, se relativi a fatti la cui natura e contenuto siano idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con le stazioni appaltanti per la loro inerenza alle specifiche obbligazioni dedotte in precedenti rapporti con le stesse. La mancanza, tuttavia, di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali ad. es. l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive” (così si è espressa la determinazione dell’Autorità n. 56 del 13 dicembre 2000, concordando con le indicazioni di cui alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 1° marzo 2000, n. 182/400/93).

 

         Siffatta discrezionalità è, tuttavia, limitata dalla previsione della norma secondo cui è fatta salva, in ogni caso, l’applicazione degli artt. 178 del codice penale e 445 del codice di procedura penale, riguardanti, rispettivamente, la riabilitazione e l’estinzione del reato per decorso del tempo nel caso di applicazione della pena patteggiata.

 

         Analogamente ed all’opposto, non potrà essere fatta alcuna valutazione discrezionale della concreta fattispecie, dovendosi automaticamente escludere il concorrente, nel caso di ricorrenza delle ipotesi di cui all’art. 32-quater codice penale (malversazione, corruzione, etc.), implicante una “incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”, nonché di quella di irrogazione di sanzione interdittiva nei confronti della persona giuridica emessa ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 per reati contro la pubblica amministrazione o il patrimonio commessi nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica medesima.

 

         Conclude poi l’Autorità, nella richiamata determinazione n. 13 del 2003, nel senso che “le condanne che incidono sull’affidabilità morale e professionale, indipendentemente dalla modalità di irrogazione della sanzione, stante la formula generica adoperata dall’art. 75 (del D.P.R. n. 554 del 1999, n.d.r.), consentono all’Amministrazione una lata valutazione discrezionale del caso concreto per stabilire la rilevanza o meno di una data condanna penale, ancorché questa sia estranea alla qualità dell’imprenditore. Dal che consegue l’obbligo per il partecipante alle gare di dichiarare anche i decreti penali di condanna. Dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere discrezionale di valutazione dei reati degli interessati, si deve dare contezza con idonea e congrua motivazione; motivazione ancor più puntuale nei casi di decreto penale di condanna ex art. 459 c.p.p., atteso che in tale ipotesi l’applicazione della pena avviene eccezionalmente per reati di particolare tenuità che comportano l’irrogazione di una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di pena detentiva, per cui la condanna inflitta con il rito del decreto penale non fa emergere elementi particolarmente sintomatici di una scarsa moralità professionale. (Cons. Stato, sez. V, 18 ottobre 2001, n. 5517)”.

 

         11. – Non si può non considerare – come si è già anticipato - che le sopra riportate osservazioni dell’Autorità sono riferite ad una disposizione, quale era quella contenuta nell’art. 75 del D.P.R. n. 554 del 1999, che reca locuzioni non perfettamente coincidenti con quelle che oggi compaiono nell’art. 38, comma 1 lett. c), del Codice dei contratti pubblici.

 

         Invero l’art. 75, comma 1, del D.P.R. n. 554 del 1999 stabiliva (essendo stato abrogato dall'articolo 256 del Codice con decorrenza 1° luglio 2006) che: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: (…) c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, oppure di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati che incidono sull'affidabilità morale e professionale (…)”.

 

         L’art. 75 del previgente Regolamento (di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici) fa riferimento ai reati che “incidono sull'affidabilità morale e professionale”, mentre il vigente art. 38 del Codice richiama specificamente la “moralità professionale”.

 

         Vi è stata dunque una evidente scelta del Legislatore nel senso di limitare le ipotesi di esclusione ai casi in cui il precedente penale ascritto al (nel nostro caso) rappresentante legale della ditta non incida in senso ampio e sfumato sulla levatura morale dello stesso ma specificamente ed esclusivamente sulla sicura fedeltà e correttezza professionali.

 

         D’altronde la direttiva comunitaria 31 marzo 2004 n. 18, della quale (insieme con la coeva direttiva n. 17) il Codice costituisce strumento di recepimento nell’ordinamento nazionale, fa sempre riferimento alla “moralità professionale” dell’operatore [si veda, in tal senso, quanto espresso nei considerando nn. 34 e 43 (proprio in tema di esclusione dalle selezioni per precedenti penale)]. Ma quel che merita di essere evidenziato è la particolare declinazione delle ipotesi di esclusione dalla selezione contenuta nell’art. 45.

 

         Al primo comma la norma comunitaria individua alcune ipotesi di obbligatoria esclusione dalla selezione affermando che: “È escluso dalla partecipazione ad un appalto pubblico il candidato o l'offerente condannato, con sentenza definitiva di cui l'amministrazione aggiudicatrice è a conoscenza; per una o più delle ragioni elencate qui di seguito: a) partecipazione a un'organizzazione criminale, quale definita all'articolo 2, paragrafo 1, dell'azione comune 98/773/GAI del Consiglio; b) corruzione, quale definita rispettivamente all'articolo 3 dell'atto del Consiglio del 26 maggio 1997 ed all'articolo 3, paragrafo 1, dell'azione comune 98/742/GAI del Consiglio; c) frode ai sensi dell'articolo 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee; d) riciclaggio dei proventi di attività illecite, quale definito all'articolo 1 della direttiva 91/308/CEE del Consiglio del 10 giugno 1991 relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite. Gli Stati membri precisano, in conformità del rispettivo diritto nazionale e nel rispetto del diritto comunitario, le condizioni di applicazione del presente paragrafo. Essi possono prevedere una deroga all'obbligo di cui al primo comma per esigenze imperative di interesse generale. (…)”.

 

         Al comma 2, invece, l’art. 45 della direttiva in parola testualmente reca: “Può essere escluso dalla partecipazione all'appalto ogni operatore economico: “a) che si trovi in stato di fallimento, di liquidazione, di cessazione d'attività, di amministrazione controllata o di concordato preventivo o in ogni altra analoga situazione risultante da una procedura della stessa natura prevista da leggi e regolamenti nazionali; b) a carico del quale sia in corso un procedimento per la dichiarazione di fallimento, di amministrazione controllata, di liquidazione, di concordato preventivo oppure ogni altro procedimento della stessa natura previsto da leggi e regolamenti nazionali; c) nei cui confronti sia stata pronunciata una condanna con sentenza passata in giudicato conformemente alle disposizioni di legge dello Stato, per un reato che incida sulla sua moralità professionale; d) che, nell'esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall'amministrazione aggiudicatrice; e) che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali secondo la legislazione del paese dove è stabilito o del paese dell'amministrazione aggiudicatrice; f) che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e delle tasse secondo la legislazione del paese dove è stabilito o del paese dell'amministrazione aggiudicatrice; g) che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni che possono essere richieste a norma della presente sezione o che non abbia fornito dette informazioni. Gli Stati membri precisano, conformemente al rispettivo diritto nazionale e nel rispetto del diritto comunitario, le condizioni di applicazione del presente paragrafo. (…)”.

 

         L’esame delle due disposizioni comunitarie sopra riportate manifesta come anche il Legislatore europeo non abbia inteso prevedere l’esclusione ex se dalla gara di un operatore che abbia riportato una qualsiasi condanna ma, ferma l’esclusione automatica nei casi di reati che vengono giudicati “a monte” incompatibili con l’affidamento di una commessa pubblica, la esclusione non può che avvenire dopo una valutazione [recita infatti il secondo comma “(…) può essere escluso (…)”] da parte della stazione appaltante circa il rilievo che il precedente penale sia in grado di assumere con riferimento alla “moralità professionale”, all’esito di uno scrutinio circoscritto a tale aspetto.

 

         12. - Da quanto si è sopra verificato ed osservato discendono due ordini di conseguenze:

 

sotto un primo profilo, a voler (rectius, dover) considerare il rilievo della normativa comunitaria in materia ed al di fuori delle ipotesi di esclusione automatica per precedenti penali che determinano la implicita incompatibilità a partecipare a selezioni per l’affidamento di contratti pubblici, di volta in volta la stazione appaltante deve effettuare una accurata verifica dell’incidenza del reato con la “moralità professionale” del rappresentante legale e per esso della ditta concorrente;

sotto altro profilo, non può assumere rilevanza autonoma, ai fini dell’esclusione della ditta dalla gara, la mancata indicazione di un precedente penale che non incida sulla “moralità professionale” del rappresentante legale e per esso della ditta concorrente;

         Tale ultima conclusione si produce per effetto delle seguenti tre considerazioni:

 

se, al di là delle ipotesi di esclusione automatica normativamente determinata, la stazione appaltante non può dichiarare incompatibile rispetto alla selezione in corso la concorrente il cui rappresentante legale non si sia macchiato di reati che incidono sulla “moralità professionale”, la dichiarazione di quel “tipo” di reato appare oggettivamente ininfluente e quindi addirittura superflua;

in assenza di dichiarazione (resa ai sensi delle disposizioni contenute nel D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445) circa la sussistenza di un precedente penale che rientri nella surriferita tipologia di reati ininfluenti sulla capacità partecipativa della concorrente alla gara, la possibilità di verifica da parte della stazione appaltante non resta pregiudicata, essendo anzi sempre ammessa e consentita alla stazione appaltante, visto che il soggetto aggiudicatore deve svolgere autonomamente le indagini al fine di acquisire dall’Amministrazione della giustizia quei “documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento” selettivo, stante l’applicazione alle procedure di scelta del contraente dell’art. 18, comma 2, della legge 7 agosto 1990 n. 241 e ciò non solo per effetto del richiamo generalizzato alle disposizioni contenute nella legge n. 241 del 1990 operato nell’art. 2, comma 3, del Codice, ma anche per l’espresso rinvio di cui all’art. 74, comma 7, del medesimo Codice;

ad ogni modo opera, quale previsione normativa di chiusura, l’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, per effetto del quale l’Amministrazione procedente non può escludere dalla selezione la concorrente che abbia reso una dichiarazione incompleta, onerando la stazione appaltante del compito di invitare i concorrenti alla integrazione documentale ovvero a fornire chiarimenti su aspetti dubbi che potrebbero comportare l’esclusione dalla selezione e ciò quale diretta proiezione del principio comunitario della massima partecipazione alle gare pubbliche.

         Premesso che per il noto principio della primauté del diritto comunitario deve essere disapplicata qualsiasi disposizione della legislazione nazionale in contrasto con una norma comunitaria, indipendentemente dal fatto che sia anteriore o posteriore a quest'ultima, incombendo tale obbligo di disapplicazione sul giudice nazionale (cfr., tra le tante, Corte giust. CE, 9 settembre 2003 n. 198) così come a tutti gli organi dello Stato, conseguentemente e proprio al fine di scongiurare ogni intervento disapplicativo peraltro non ritenuto necessario dal Collegio nell’ipotesi qui scrutinata, l’art. 38, comma 1 lett. c), del decreto legislativo n. 163 del 2006 non può che essere interpretato – compatibilmente con il contenuto delle disposizioni recate dalle direttive nn. 17 e 18 del 2004 dell’Unione europea - nel senso che la mancata dichiarazione da parte del rappresentante legale di una ditta concorrente circa un precedente penale che non abbia alcun riflesso negativo sul requisito della “moralità professionale”, non può determinare – ex se ed in assenza di invito, da parte della stazione appaltante, alla integrazione documentale ovvero a fornire chiarimenti – l’esclusione della concorrente dalla selezione ovvero (come è avvenuto nel caso qui in esame) la non aggiudicazione definitiva in suo favore (per quell’unica ragione).

 

         13. – Va ancora specificato come sia, peraltro, corretto sostenere che l’indagine a cura della stazione appaltante avente ad oggetto il rilievo del precedente penale ascritto al rappresentante legale della ditta concorrente sulla “moralità professionale” debba avvenire avendo riguardo al tipo di rapporto che con un determinato soggetto deve essere instaurato, alla gravità del reato in relazione alla tipologia del rapporto ed alle condizioni che in concreto inducono a ritenere che un vincolo contrattuale con quel soggetto non debba essere costituito. Detto diversamente, l’esercizio della predetta potestà deve essere motivato e, siccome la motivazione, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, è fondata sulle risultanze dell’istruttoria, cioè su un accertamento di fatto concreto, dette valutazioni non andranno espresse su categorie astratte di reati, ma tenendo conto delle circostanze in cui un reato è stato commesso, per dedurne un giudizio di affidabilità o inaffidabilità. La norma perciò non richiede apprezzamenti assoluti ma un’accurata indagine sul singolo fatto, giudicato come costituente reato, su cui si fonderà il giudizio, richiesto all’Amministrazione.

 

         Ne consegue che, nel caso di specie e come correttamente rilevato dalla parte ricorrente, l’Amministrazione procedente (alla quale era demandato il compito di apprezzare se eventuali condanne potessero implicare un vulnus alla moralità professionale del soggetto partecipante alla gara), oltre ad indicare la condanna subita dal legale rappresentante della Società ricorrente, avrebbe dovuto, esercitando il ridetto potere discrezionale conferitole dalla legge, espressamente valutare l’incidenza in concreto della condanna medesima sul piano dell’affidamento (deontologico-morale-)professionale dell’impresa interessata (attraverso la disamina di alcuni rilevanti connotati concreti della fattispecie penale chiamata in causa) e solo nel caso di un esito negativo di tale esame, procedere all’esclusione della società concorrente (e, nella specie, aggiudicataria provvisoria della selezione).

 

         E ciò, a maggior ragione, in un caso, come è quello che è ad oggetto della presente controversia, in cui il (solo) precedente penale riferito al rappresentante legale della ditta concorrente sia limitato ad una sentenza ex art. 444 c.p.p. per omicidio colposo determinatosi in occasione di un incidente stradale e, quindi, per violazione di norme del Codice della strada (oltre che al Codice penale, ovviamente); un reato, dunque, che non appare per nulla contiguo o collegabile – se non, intuitivamente, in senso puramente paradossale - al “tipo” di appalto che avrebbe dovuto essere affidato alla ditta, trattandosi di lavori di manutenzione ordinaria delle strade e dei marciapiedi del III Municipio del Comune di Roma.

 

         In considerazione dei tratti distintivi della fattispecie in esame, dunque, non risulta legittima l’esclusione senza che sia stata data adeguata contezza di un (previo prudente) apprezzamento delle ragioni che, nel concreto, precludevano l'eventuale affidamento della commessa pubblica in ragione del precedente penale riferito al rappresentante legale della Società ricorrente.

 

         14. – La fondatezza dei motivi di ricorso, in particolare quello attinente alla mancata indagine da parte dell’Amministrazione in ordine alla incidenza del precedente penale sul tipo di contratto da stipularsi e, conseguentemente, la censura di difetto di motivazione, determina l’accoglimento del gravame e, per l’effetto, l’annullamento del provvedimento di non procedere all’aggiudicazione definitiva in favore della Società Sistemi di costruzioni S.r.l. e di escutere la cauzione provvisoria, impedendosi ogni ulteriore efficacia dell’atto, ad esempio in ordine alla eventuale obbligo di comunicare la notizia dell’infedele dichiarazione all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

 

         L’accoglimento del ricorso - siccome proposto - non incide, tuttavia, sulla validità del contratto medio tempore stipulato dal Comune di Roma, Municipio III con la odierna controinteressata Do.ma.co. S.r.l. (depositato in atti), atteso che la Società ricorrente non ha impugnato formalmente, neppure con ricorso contenente motivi aggiunti, l’aggiudicazione definitiva intervenuta nei confronti della predetta Do.ma.co. S.r.l., il cui annullamento solo avrebbe potuto dar luogo alla caducazione dell’atto negoziale (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 15 settembre 2008 n. 8328).

 

         Quanto alla domanda risarcitoria, genericamente formulata dalla parte ricorrente nell’atto introduttivo del presente giudizio essa non può essere scrutinata in quanto, per costante orientamento giurisprudenziale, è inaccoglibile la domanda di risarcimento del danno in carenza di prova sull'esistenza e sull'entità del pregiudizio patrimoniale dedotto (cfr., tra le tante e da ultimo, T.A.R. Lazio, Sez. I, 5 novembre 2008 n. 9624).

 

         15. – In ragione di quanto sopra debbono ritenersi fondate le censure siccome dedotte dalla Società ricorrente di talché deve darsi accoglimento al ricorso proposto con annullamento dell’atto impugnato.

 

         Nondimeno, per la particolarità e la complessità della questione posta a fondamento della controversia qui decisa si stima che sussistano giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio tra le parti controvertenti.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda, pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Spese compensate.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio dell’8 aprile 2009.

      Il Presidente Il relatore ed estensore

      Luigi Tosti Stefano Toschei

 

Depositata in segreteria

il 20 aprile 2009

 

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