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Consiglio di Stato, Sez. V, 15/5/2009 n. 3001
Sull'interpretazione dell'art. 13, c. 4, del cd. decreto Bersani (d.l. 4 luglio 2006 n. 223).

L'art. 13 del dl. 223/2006, ha implicitamente sancito, con carattere generale, che le società miste devono necessariamente operare intra moenia.

La sanzione della nullità prevista nell'art. 13, c. 4, del d.l. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani), colpisce i contratti scaturiti da una procedura ad evidenza pubblica svoltasi in epoca in cui era già cogente il divieto normativo, altrimenti non troverebbe giustificazione plausibile la previsione di cui al c. 3 del citato art. 13, la quale delinea un procedimento di graduale conformazione da compiersi a mezzo della cessione a terzi delle attività non consentite, ovvero la costituzione di separate società da allocare sul mercato. La lettura interpretativa dell'art. 13, c. 4, del d.l. n. 223/2006, nel senso anzidetto si evince, inoltre, dal contenuto della modifica apportata al c. 4 dell'art. 13 dal c. 720 dell'art.1 della l. 27 dicembre 2006 n. 296, secondo cui "restano validi, fatte salve le prescrizioni di cui al c. 3, i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione bandite prima della predetta data" . E' evidente, infatti, che il legislatore ha inteso far chiarezza una volta per tutte introducendo una disposizione che, in quanto di natura interpretativa, ha efficacia retroattiva e dunque si applica a tutte le fattispecie - ivi comprese quella che forma oggetto delcaso di specie - in cui le procedure sono state bandite prima ma i relativi contratti sono stati stipulati dopo l'entrata in vigore del decreto suddetto.

L'art. 13 del dl. 223/2006, nel rendere definitivamente cogente per le società miste il principio di esclusività nel rapporto di committenza con gli enti costituenti o affidanti, ha implicitamente suggellato, con carattere generale, il suo corollario, e cioè che le stesse devono necessariamente operare intra moenia.

Materia: società / partecipazione pubblica

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dalla società SIRAM spa, in persona del legale rappresentante pt, dalla CITELUM s.a, in persona del legale rappresentante, dalla CO.GE.I. srl, in persona del legale rappresentante e la SIMET srl, in persona del legale rappresentante pt, la prima in proprio ed in qualità di mandataria e le altre in proprio ed in qualità di mandanti di un raggruppamento temporaneo tra le suddette società, rappresentate e difese dall’avv. Gherardo Marone ed elettivamente domiciliano in Roma alla via Sicilia n. 50, presso lo studio dell’avv. Luigi Napolitano;

 

contro

la CONSIP spa, in persona del legale rappresentante pt, rappresentata e difesa in giudizio dall’avv. prof. Andrea Guarino ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma alla piazza Borghese n. 3;

 

e nei confronti

di GEMMO spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa in giudizio dagli avv.ti Antonio Bargone e Marco Annoni ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma alla via Udine 6;

 

nonché di

HERA spa, in persona del legale rappresentante pt, rappresentata e difesa in giudizio dall’avv. prof. Antonio Carullo ed elettivamente domiciliata nello studio dell’avv. Gianmarco Grez con studio in Roma Corso Vittorio Emanuele II 18;

 

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo per il Lazio Sez. III, n. 6333/2008 del 30 giugno 2008;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla camera di consiglio del 31 marzo 2009 relatore il Consigliere Giulio Castriota Scanderbeg.

Uditi l'Avv. Marone e l’Avv. Martelli per delega dell’avv. Guarino e l'Avv. Annoni;

 

FATTO E DIRITTO

1. Il raggruppamento temporaneo appellante, partecipante alla gara d’appalto ( distinta in otto lotti) bandita da CONSIP per l’affidamento del servizio di illuminazione pubblica, ha impugnato in primo grado gli esiti della procedura ad evidenza pubblica, conclusasi con l’aggiudicazione della gara all’ATI Gemmo spa- Hera spa in relazione ai lotti 1,2,3,4,7 e 8.

A motivo del gravame il ricorrente deduceva violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.l.223/06, in corretta applicazione del quale Hera spa, in quanto partecipata da numerose amministrazioni pubbliche distinte dall’amministrazione aggiudicatrice, non avrebbe potuto prendere parte alla gara; inoltre, il raggruppamento ricorrente denunciava la violazione del divieto di svolgere, sempre da parte della medesima società mista, attività extraterritoriale nonchè la violazione ( sempre in ordine alla partecipazione di Hera spa) dell’art. 13 del bando, nella parte in cui lo stesso prevede il divieto di partecipare a raggruppamenti con altre imprese per i soggetti che avessero raggiunto i requisiti inerenti il fatturato minimo. Ancora il ricorrente lamentava disparità di trattamento nella valutazione delle offerte concorrenti, la scadenza di validità delle offerte stesse e la mancanza delle garanzie contrattuali in capo alla Gemmo spa.Con motivi aggiunti il medesimo raggruppamento  articolava nuovi motivi, in particolare di violazione dell’art. 12 del d.lgs. 157/95 per aver un amministratore della società Gemmo riportato condanna per un reato tributario ed ancora violazione dell’art. 13 del citato DL 223/06.

Con la epigrafata sentenza il Tar, dopo aver dichiarato la inammissibilità del gravame in relazione ai lotti 3 e 7 ( in relazione ai quali la posizione di graduatoria non giustificava un interesse all’annullamento degli esiti della gara in danno del solo raggruppamento aggiudicatario), ha rigettato nel resto il ricorso. Insorge avverso detta sentenza il raggruppamento ricorrendo riproponendo sostanzialmente i motivi di censura già inutilmente articolati dinanzi al giudice di primo grado.

Resistono all’appello la Consip nonché le società Hera e Gemmo.

All’udienza del 31 marzo 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

2. L’appello è infondato e va rigettato.

2.1 Come premesso in fatto, la prima questione da dirimere riguarda la legittimità della partecipazione alla gara de qua di Hera spa, in ATI con Gemmo spa, in quanto avente natura di società mista.

Il raggruppamento appellante assume che la prima delle dette società ( e quindi il raggruppamento nel suo insieme), proprio perché <partecipata> nel capitale da molte amministrazioni locali (ben 115), era sfornita di titolo legittimante la partecipazione, facendovi ostacolo il divieto normativo introdotto dall’art. 13 del DL 4.7.06 n. 223.

Va premesso che tale disposizione normativa non era vigente all’epoca in cui l’appalto è stato bandito ( 2003 ), ma era invece entrata in vigore ( nel suo testo originario, su cui infra), all’epoca in cui ( agosto 2006) la stazione appaltante ha concluso la convenzione con l’aggiudicataria dei lotti.

Nella versione originaria, la disposizione richiamata, dopo aver sancito il generale principio secondo cui le società costituite dalle amministrazioni regionali e locali avrebbero dovuto operare esclusivamente con gli enti costituenti e affidanti e dopo aver fissato (comma 3) un periodo transitorio di dodici mesi per l’adeguamento al principio appena detto, comminava all’ultimo comma la nullità dei contratti conclusi in violazione delle prescrizioni contenute nei commi 1 e 2 ( relative, appunto, al rapporto esclusivo con gli enti costituenti ed al conseguente oggetto sociale, anch’esso connotato dai caratteri della esclusività).

Proprio in forza di tale ultima disposizione, implicante la sanzione della nullità ai rapporti contrattuali costituiti in violazione del divieto normativo, l’appellante invoca l’applicazione letterale della disposizione e chiede pertanto, ai fini delle consequenziali pronunce caducatorie sugli atti di gara, che sia acclarato il difetto di legittimazione partecipativa della ridetta società ( rectius del raggruppamento ove la stessa figura).

Senonchè la censura non merita di essere accolta.

Sul punto il Tar ha osservato che la disciplina normativa più volte richiamata non troverebbe applicazione alla fattispecie per la ragione che il divieto normativo riguarderebbe soltanto le società costituite per produrre beni e servizi strumentali all’ente pubblico, laddove Hera avrebbe un azionariato diffuso, sarebbe quotata in borsa e quindi avrebbe struttura di soggetto autonomo che opera sul mercato dei servizi pubblici locali; come tale estraneo al divieto normativo. Qui va però precisato, per completezza, che la esclusione, dal fuoco del divieto normativo, dei servizi pubblici locali, è avvenuto soltanto ad opera della modifica al testo del citato DL introdotta dal comma 4 septies dell’art. 18 del DL 29.11.2008 n. 185, in epoca quindi successiva al <completamento> dell’iter selettivo per cui è causa ( conclusosi con il contratto dell’agosto 2006). Con il che risulta smentita la tesi – in parte fatta propria dal Tar – facente leva, ai fini della non applicazione della richiamata disciplina restrittiva, sulla natura del servizio oggetto di procedura ad evidenza pubblica.

Il Collegio ritiene nondimeno che sia da condividere la conclusione dei primi giudici in ordine alla inapplicabilità alla fattispecie del divieto normativo, ma il percorso per addivenire a tale approdo deve fondarsi su basi giuridiche diverse, fondate sulla corretta lettura interpretativa della disposizione normativa al caso che ne occupa.

Si è già riportato il contenuto proprio del citato art. 13 del DL 4.7.2006 n. 223.

Si tratta ora di cogliere l’esatta portata inerente l’efficacia temporale del divieto partecipativo. Già in base ai principi generali ( tempus regit actum)  è ovvio che il rispetto di una norma imperativa di legge che impone, come detto, il rapporto di esclusività con gli enti costituenti o affidanti per le società pubbliche o miste costituite dalle amministrazioni regionali o locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in tanto è esigibile nei confronti dei partecipanti ad una gara ( nonchè da parte della stessa amministrazione aggiudicatrice) in quanto la disposizione è entrata in vigore al momento della indizione della gara o comunque durante il suo svolgimento. Nella specie è pacifico che la disposizione dianzi richiamata sia entrata in vigore – 19 luglio 2006 – quando si era completamento esaurito il procedimento finalizzato alla selezione del contraente, ancorchè non fosse stata ancora formalizzata la convenzione con l’aggiudicataria ( che risale all’agosto di quello stesso anno).  Deve aggiungersi che una lettura coerente dell’intero articolo deve giocoforza portare a concludere nel senso che la sanzione della nullità colpisce i contratti che tengono dietro ad una procedura ad evidenza pubblica svoltasi in epoca in cui era già cogente il divieto normativo più volte menzionato. Altrimenti non troverebbe giustificazione plausibile la previsione di cui al comma 3 del citato articolo, la quale delinea un procedimento di graduale conformazione ( per un periodo massimo di 12 mesi)  da compiersi a mezzo della cessione a terzi delle attività non consentite, ovvero la costituzione di separate società da allocare sul mercato. Infatti se il previsto divieto partecipativo e la correlata sanzione della nullità dei relativi contratti operassero immediatamente ( anche in relazione a vicende procedimentali già concluse) 

Ma a confortare la lettura interpretativa della disposizione in parola nel senso anzidetto soccorre il contenuto della modifica apportata al comma 4 del citato articolo dal comma 720 dell’art.1 della L. 27 dicembre 2006 n. 296, secondo cui <restano validi, fatte salve le prescrizioni di cui al comma 3 ( e cioè gli oneri dismissivi, ndr), i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del presente decreto, ma in esito a procedure di aggiudicazione bandite prima della predetta data> . E’ evidente, infatti, che a tale ultima disposizione non potrebbe che attribuirsi valenza interpretativa del precedente precetto. Lo impongono evidenti esigenze di parità di trattamento tra situazioni identiche che non potrebbero ricevere dal legislatore trattamenti differenziati ( peraltro con conseguenze di così significativo impatto sulla validità dei contratti), ma anche il dato testuale, ed in particolare il riferimento temporale ai contratti conclusi dopo l’entrata in vigore del presente decreto ( e non della presente modifica normativa); dati tutti che sono fin troppo sintomatici del fatto che il legislatore ha inteso far chiarezza una volta per tutte introducendo una disposizione che, in quanto di natura interpretativa, ha efficacia retroattiva e dunque si applica a tutte le fattispecie – ivi compresa quella che forma oggetto del presente giudizio – in cui le procedure sono state bandite prima ma i relativi  contratti sono stati stipulati dopo  l’entrata in vigore del decreto suddetto.

3. Discorso non dissimile deve essere fatto in ordine ad altro motivo di censura, incentrato sul divieto di extraterritorialità per le società miste costituite o partecipate da amministrazioni locali in vista del soddisfacimento di proprie finalità (essenzialmente produzione di beni e servizi). E’ noto che il divieto per le società mista di restare affidatarie, con gara o senza, di servizi al di fuori del territorio di riferimento è stato oggetto di scelte legislative non sempre coerenti. Introdotto dall’art. 35 della l. n. 488 del 2001, sia pur al termine di un periodo transitorio, quel divieto è stato abrogato dall’art. 14 della l. n. 326 del 2003, salvo ad essere reintrodotto (anche questa volta con la previsione di un periodo transitorio di ultravigenza del precedente sistema)  dalla legge n. 350 del 2003 (che ha modificato i commi 6 e 15 quater dell’art. 113 del T.U. n. 267/00). Infine, il più volte citato art. 13 del dl. 223/2006, nel rendere definitivamente cogente per le società miste il principio di esclusività nel rapporto di committenza con gli enti costituenti o affidanti, ha implicitamente suggellato, con carattere generale, il suo corollario, e cioè che le stesse devono necessariamente operare  intra moenia.

Ma anche in tal caso si pongono questioni interpretative di diritto intertemporale, dato che all’epoca in cui Hera spa ha partecipato alla gara non era ancora in vigore il suddetto divieto espresso di extraterritorialità. Prima dell’entrata in vigore del regime interdittivo generale la giurisprudenza amministrativa ( di recente v. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4080 del 25 agosto 2008) ha sempre affermato il principio in base al quale le società miste, pur legittimate in generale a svolgere la propria attività anche al di fuori del territorio di normale riferimento, fossero comunque tenute, in virtù di un legame genetico-funzionale con gli enti costituenti, a non trascurare il settore d’attività e l’ambito territoriale d’origine. Ma sul punto, come ha ben rilevato il Tar, le dimensioni della società Hera – desumibili anche dai dati di fatturato esibiti in giudizio – nonché i suoi ingenti mezzi tecnici e finanziari sono tali ( in carenza di elementi di diverso segno, che in ogni caso incombeva all’odierna parte appellante addurre quale materiale probatorio di causa) da ritenere insussistente un pericolo di sviamento ( anche ai limitati fini di un non proficuo perseguimento) rispetto alle finalità istituzionali avute di mira dagli enti pubblici partecipanti al suo capitale.

4. Quanto alla ipotizzata violazione della lex specialis di gara ( art. 13 del bando), nella parte in cui la stessa inibiva la partecipazione in ATI a quelle imprese che avessero raggiunto già con i propri mezzi i dati di fatturato minimo previsti per la partecipazione alla selezione, il Collegio deve pervenire anche sul punto alla reiezione della censura. Deve infatti ritenersi definitivamente acclarato che, per un verso, in caso di partecipazione di uno stesso concorrente a più lotti di gara, il fatturato minimo cui aver riguardo avrebbe dovuto calcolarsi ( ai sensi dell’art. 7 del disciplinare) sulla base della somma degli importi dei singoli lotti relativamente ai quali un’impresa avesse presentato la propria offerta; e che, inoltre, il fatturato di Hera spa così calcolato ( relativamente all’attività di gestione e servizio di impianti elettrici) era indubbiamente inferiore alla sommatoria degli importi posti  a base dei singoli lotti alla cui assegnazione ha partecipato la società Hera, come messo in evidenza, con puntuali indicazioni numeriche, dal difensore di Consip spa in sede di memoria conclusionale.

5. Sorte non diversa merita il quinto motivo di ricorso, col quale l’appellante lamenta che l’Amministrazione non avrebbe verificato la persistenza della garanzia provvisoria d’appalto (cauzione provvisoria) a seguito del subentro della società Gemmo spa alla Gemmo impianti spa. Ora, osserva il Collegio che un’eventuale omissione di tal fatta ( anch’essa non provata) sarebbe addebitabile alla Commissione di gara e come tale non potrebbe avere – come voluto dall’appellante - effetti (addirittura espulsivi) in danno del soggetto partecipante alla selezione ( dato che la stessa appellante ammette che, nel corso di una procedura ad evidenza pubblica, possa mutare la veste giuridica di un soggetto partecipante, senza che ciò comporti di norma effetti pregiudizievoli per il partecipante alla gara). Inoltre , è a dirsi che, sul piano civilistico ( art. 2504 bis cod. civ.),  il soggetto che risulta dalla fusione di due o più società o dalla incorporazione di una società nell’altra subentra senza soluzione di continuità nei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al soggetto dante causa; con il che non par dubbio che anche la posizione del partecipante ad una selezione non può subire – proprio in ragione del principio di continuità sancito dalla disciplina codicistica- condizionamenti negativi per effetto di trasformazioni della sau veste giuridica che dovessero intervenire durante l’iter di svolgimento della procedura ad evidenza pubblica, salvi gli opportuni chiarimenti o integrazioni documentali che la stazione appaltante possa richiedere al nuovo soggetto subentrante nella posizione di concorrente.

6. Da ultimo, va evidenziato che non merita condivisione l’ultimo motivo di gravame, riproduttivo di analoga censura già articolata in primo grado dalla  odierna parte appellante, riguardante la pretesa estromissione dalla gara della società Gemmo ( e per essa del raggruppamento tra tale ultima società e la Hera spa) per  asserita mancanza dei requisiti soggettivi in capo al suo legale rappresentante. A parte il rilievo della genericità della ( quantomeno) iniziale formulazione della censura ( sanzionata dal primo giudice con la declaratoria di inammissibilità della stessa), dato che non sarebbe stato indicato lo specifico requisito soggettivo effettivamente mancante (e, soprattutto, in relazione a quale delle due società in ATI ed a quale dei suoi amministratori quel generico requisito soggettivo fosse realmente mancante), va osservato che, in ogni caso, alla luce delle acquisizioni istruttorie di causa, la circostanza è risultata smentita in fatto; è emerso infatti che la declaratoria di estinzione del reato e di cessazione degli effetti penali della condanna pronunciata dal giudice dell’esecuzione penale risale ad epoca ( marzo 2005) antecedente la stessa aggiudicazione provvisoria. Non solo, ma poiché gli effetti di tale pronuncia meramente dichiarativa retroagiscono al momento in cui si è verificato il fatto estintivo ( e cioè al decorso del quinquennio dalla data di irrogazione della sentenza di condanna a seguito di< patteggiamento>), va pure soggiunto che: a)  la stazione appaltante, nel momento in cui, dopo l’aggiudicazione, ha eseguito la verifica sui contenuti effettivi delle dichiarazioni dei partecipanti ( e quindi anche in ordine alla verifica dei requisiti di moralità) non avrebbe potuto rilevare alcunché in danno della società Gemmo, stante, a quella data, il già intervenuto effetto estintivo, sui reati e su ogni effetto penale delle condanne, delle richiamate declaratorie del giudice dell’esecuzione penale; b) si sarebbe al più potuto porre un problema di dichiarazione infedele del partecipante ( nel senso che la società Gemmo Impianti spa avrebbe dovuto  dichiarare, alla data di presentazione della domanda partecipativa, i precedenti penali, ancorchè risalenti ( al 1968 ed al 1990) ed astretti al regime estintivo correlato al decorso del quinquennio ( effetto estintivo che tuttavia non si verifica ope legis ma necessita dell’intervento del giudice). Tuttavia una censura così formulata ( e cioè quella di aver prodotto una dichiarazione infedele) non risulta essere mai stata articolata dall’odierna parte appellante, la quale si è sempre limitata a dedurre una generica carenza dei requisiti soggettivi di partecipazione in capo alla società Gemmo; carenza che, per quanto fin qui detto, non poteva in concreto predicarsi a carico della partecipante per la rilevata estinzione, per effetto delle richiamate declaratorie del giudice penale, di ogni conseguenza penale delle condanne a suo tempo inflitte al signor Gemmo; 3) nè rileva il fatto che il Tar Bari, con sentenza n. 561/06, avrebbe ritenuto legittima, per i medesimi pregiudizi penali gravanti sul signor Gemmo, la esclusione della società Gemmo da altra gara,  dato che -come incontestatamente rilevato dalla difesa di Consip- la gara oggetto di scrutinio da parte dei giudici baresi si era conclusa senza che fossero ancora intervenute le richiamate decisioni del giudice penale (con i consequenziali effetti estintivi sulle pregresse fattispecie delittuose, non ricollegabili ex se, come detto, al semplice decorso del tempo previsto dalla legge per l’estinzione del reato e di ogni effetto penale della condanna) .

In definitiva, alla luce dei rilievi svolti l’appello va respinto.

Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, ricorrendo giusti motivi.

 

P. Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo rigetta e per l’effetto conferma l’impugnata sentenza.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso a Roma, in palazzo Spada, il 31 marzo 2009, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,  Sezione sesta, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Claudio Varrone                                Presidente

Paolo Buonvino                                 Consigliere

Maurizio Meschino                            Consigliere

Roberto Garofoli                               Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg              Consigliere est.

 

Presidente

CLAUDIO VARRONE

Consigliere                                                                            Segretario

GIULIO CASTRIOTA SCANDERBEG    STEFANIA MARTINES

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/05/2009

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA

 

 

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