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Consiglio di Stato, Sez. VI, 11/3/2010 n. 1443
Sui limiti del potere delle stazioni appaltanti, negli appalti di forniture, di individuare particolari caratteristiche tecniche dei prodotti da fornire.

Sull'illegittimità dell'operato di una stazione appaltante che abbia introdotto un criterio valutativo innovativo rispetto a quanto previsto dal bando di gara.



In tema di appalti di forniture l'Amministrazione può legittimamente individuare particolari caratteristiche tecniche, ma a condizione che la loro specificazione sia effettuata con riferimento ad elementi in grado distinguere nettamente l'oggetto della fornitura, senza determinare alcuna discriminazione nei confronti delle imprese di settore; di conseguenza, è vietato prevedere specifiche tecniche, che indichino prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza, a meno di non inserire la clausola di equivalenza, ammissibile quando le stazioni appaltanti non possano fornire una descrizione dell'oggetto dell'appalto mediante specifiche tecniche sufficientemente precise.

E' illegittimo l'operato di una stazione appaltante che abbia introdotto un criterio valutativo innovativo rispetto a quanto previsto dal bando di gara. E' necessario, infatti, che i concorrenti siano posti nella condizione di conoscere, preventivamente, il parametro valutativo cui si atterrà l'amministrazione aggiudicatrice, al fine di predisporre le proprie offerte.

Materia: appalti / appalti pubblici di forniture

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

 

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 8097 del 2009, proposto da:

Ifo - Istituti Fisioterapici Ospitalieri, rappresentato e difeso dall'avv. Gian Michele Gentile, con domicilio eletto presso Gian Michele Gentile in Roma, V.Giuseppe Gioacchino Belli 27;

 

contro

Hi Tech Service Snc ed Altri in P. e Q.Le Componente Rti, Rti Gedimed Srl, Rti Medical Line Instruments Scarl, Tecnosalus Srl;

 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III QUA n. 07103/2009, resa tra le parti, concernente AFFIDAMENTO FORNITURA APPARECCHIATURE E ATTREZZATURE REPARTO CHIRURGIA AMBULATORIALE.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 23 bis comma sesto della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2010 il Consigliere Fabio Taormina e udito per parte appellante l’ avvocato Mereu per delega dell’Avvocato Gentile

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Il Tar del Lazio con la decisione in epigrafe appellata, ha accolto il ricorso proposto dall’odierna appellata e volto ad ottenere l’annullamento degli atti di una gara bandita dall’appellante amministrazione e consistenti della deliberazione del direttore generale degli IFO n. 704 del 23 luglio 2008 avente ad oggetto” aggiudicazione e affidamento a seguito di procedura ristretta esperita ai sensi del combinato disposto dagli articoli 55 e 70 del D. Lgs. 163 del 2006, alla società Tecnosalus, della fornitura d’apparecchiature varie, attrezzature ed arredi occorrenti al nuovo reparto di day surgery e chirurgia ambulatoriale dell’Istituto S. Gallicano negli IFO, nonché del contratto nel frattempo stipulato e di ogni altro atto, in particolare della delibera n. 208 del 4 marzo 2008 relativa all’ammissione delle ditte che hanno presentato domanda di partecipazione alla procedura nonché dei verbali della commissione aggiudicatrice (delibera 467 del 19.5.2008).

Quanto alla connessa domanda volta ad ottenere la declaratoria del diritto della ricorrente all’aggiudicazione della gara o in subordine, per il rinnovo della procedura limitatamente alla fase riguardante l’applicazione del criterio “apparecchiature, attrezzature ed arredi” (45 punti) il Tar ha preso atto della avvenuta stipulazione del contratto (e dell’avvenuta integrale esecuzione della fornitura) non pervenendo alla declaratoria della nullità e/o inefficacia del contratto medio tempore intervenuto.

Ha infine accolto – seppure parzialmente, quanto alle voci di danno lamentate– la domanda volta ad ottenere la condanna al risarcimento del danno dell’amministrazione.

Il ricorso di primo grado era affidato alle seguenti censure, omogeneamente raggruppate:

1)violazione ed errata applicazione dell’articolo 42 del decreto legislativo n. 163 del 2006. Violazione ed errata applicazione del punto 8, lettera f) del bando di gara. Violazione dei principi e delle regole sullo svolgimento delle procedure di gara. Eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà;

2)Violazione dei principi del Trattato CE in materia di scelta del contraente. Eccesso di potere. Violazione dell’articolo 83 del d. lg.vo 163/2006 e dell’articolo 2 dello stesso decreto. Violazione dei principi di parità di trattamento, non discriminazione, par condicio e proporzionalità. Illogicità, ingiustizia manifesta. Violazione del principio di buon andamento dell’azione amministrativa e di imparzialità.

3) Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, manifesta ingiustizia, errore nei presupposti. Illogicità ed errore nelle motivazioni. Violazione del principio della par condicio tra concorrenti e di buon andamento dell’azione amministrativa.

Il Tar, dopo avere escluso la fondatezza delle censure raggruppate nel primo motivo di gravame e tendenti ad ottenere l’esclusione dell’aggiudicataria, ha preso in esame le ulteriori doglianze proposte dalla odierna appellata, ritenendo pienamente fondato il secondo motivo di censura e, in parte, il connesso terzo motivo di doglianza.

Quanto alla seconda doglianza, essa si fondava sulla circostanza che la commissione di gara, subito dopo la presentazione delle offerte, aveva inserito quale ulteriore criterio - oltre quelli contenuti nel bando in ordine decrescente di importanza e i sub criteri specificati in quest’ultimo- quello “dell’omogeneità con le apparecchiature esistenti”.

Ciò in violazione di quanto precisato dalla giurisprudenza anche comunitaria, a proposito delle gare pubbliche svolte secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per le quali è stata costantemente esclusa la possibilità dell’introduzione di nuovi criteri o sub criteri oltre quelli già fissati e indicati nel bando di gara ed è stata limitata al massimo la discrezionalità della commissione.

Tale modus operandi, peraltro, collideva con il principio di parità di trattamento e di par condicio tra imprese (avendo fornito, l’impresa controinteressata, aggiudicataria dell’odierna procedura, apparecchiature all’interno del reparto ospedaliero appellante poco tempo prima, la stessa avrebbe di fatto beneficiato al massimo del nuovo criterio enunciato).

La tempestiva conoscenza di tale nuovo criterio valutativo, avrebbe consentito alla odierna appellata ed alle altre imprese partecipanti alla gara in ogni caso, di predisporre una diversa offerta adeguandola anche al criterio appena riferito.

Il Tar ha ritenuto detta censura fondata sotto tutti i profili esposti.

Muovendo dall’analisi dell’art. 10 del Capitolato Speciale (“i 60 punti riservati all’offerta tecnica devono essere ripartiti nel modo sottoindicato:

45 punti per le caratteristiche tecniche e funzionali;

5 punti per la durata della garanzia

5 punti per i termini di consegna

5 punti per l’assistenza tecnica post garanzia.”) si è evidenziato che a proposito del criterio relativo alle caratteristiche tecniche e funzionali, il medesimo articolo individuava varii sottocriteri (-versatilità e maneggevolezza, facilità d’uso, programma gestionale, caratteristiche costruttive e livello tecnologico di ogni singola apparecchiatura;- carattere estetico -riferito prevalentemente all’ingombro- e possibile rendimento e qualità dei materiali.).

Dall’esame degli atti di gara, (verbale n. 2) risultava che la commissione aveva stabilito che “ai fini della valutazione delle caratteristiche tecniche, la commissione ritiene opportuno tener conto, oltre che della rispondenza alle caratteristiche tecniche minime richieste, anche dell’omogeneità dei prodotti proposti con le apparecchiature già in dotazione (e ciò sia ai fini manutentivi che di opportunità) nonché alla loro versatilità, maneggevolezza, facilità d’uso e anche carattere estetico dei beni”.

L’espressione letterale si prestava ad equivoci atteso che il subcriterio contestato dall’impresa appellata si aggiungeva “alle caratteristiche minime richieste” come dato necessariamente ulteriore e nuovo rispetto a quanto stabilito in precedenza.

Ad avviso dei primi Giudici, la commissione di gara “invece di specificare il peso rispettivo dei due sotto criteri appena indicati e di motivare gli aspetti che aveva intenzione di prendere in considerazione in relazione ai singoli profili enunciati in ciascuno di loro (ad esempio, l’ingombro oppure la qualità dei materiali esplicitando le misure ritenute ottimali per l’ingombro e quelle, parimenti ritenute migliori, per la qualità) dando conto, in tal modo, del percorso che intendeva seguire per la formazione della sua volontà, rendendolo in tal modo comprensibile, ha proceduto ad un’aggiunta illegittima che era stata assunta, anche, in violazione della par condicio tra imprese partecipanti alla gara.”

Ciò perché appariva evidente che detto sottocriterio non si presentava come criterio motivazionale o meglio come una specificazione di uno dei profili indicati in ciascuno dei due subcriteri previsti nel bando di gara, ma si poneva come un ulteriore parametro di giudizio non stabilito inizialmente.

Doveva poi considerarsi che la originaria ricorrente, nonostante il prezzo complessivo offerto, pari a circa Euro 380 milioni a fronte dei circa Euro 482 milioni della controinteressata (prezzo, quindi sensibilmente più basso) non aveva ottenuto l’aggiudicazione della fornitura, collocandosi al 2° posto con un punteggio pari 76,32 e uno scarto di soli punti 1, 99 rispetto alla Tecnosalus.

Da ciò il Tar ne ha fatto discendere l’automatica incidenza del sub criterio enunciato e illegittimamente introdotto e applicato, risultato decisivo al fine dell’aggiudicazione medesima che, sulla base dell’applicazione degli altri criteri e punteggi riconosciuti per le singole voci, avrebbe visto la originaria ricorrente nella veste di aggiudicataria

Il Tar ha poi preso in esame il terzo motivo di censura, (laddove si lamentava l’eccesso di potere sotto molteplici profili per avere, la commissione di gara, valutato erroneamente molte delle apparecchiature offerte) accogliendolo in parte con riguardo a talune delle valutazioni rese con riguardo a singole apparecchiature offerte.

Più in dettaglio, tale censura è stata ritenuta fondata nella parte relativa alle valutazioni espresse con riferimento alle apparecchiature n. 4, 12 e 5 (tavolo porta ferri).

Annullati gli atti, e preso atto della integrale esecuzione del contratto stipulato con la controinteressata aggiudicataria, il Tar ha conseguentemente accolto in parte la domanda risarcitoria per equivalente (rigettando il petitum afferente alla c.d. “perdita da chance” e riducendo la voce risarcitoria da “danno curriculare”).

Ha quantificato l’importo risarcitorio nel 10% del prezzo offerto dall’appellata (in concreto: € 38.043,95) oltre al 3% attribuito in via equitativa a titolo di danno curricolare.

L’appellante amministrazione ha proposto un articolato appello sottoponendo a rivisitazione critica l’intero impianto della sentenza di primo grado.

Quanto alla premessa maggiore dell’iter motivazionale contenuto nell’appellata decisione, si rilevava che il criterio della omogeneità non introduceva alcuna “innovazione valutativa” ma semmai, rientrava a pieno titolo nel concetto di specificazione dei criteri contenuti nel bando.

In ogni caso il criterio introdotto era risultato del tutto ininfluente ai fini dell’aggiudicazione

Infatti la sentenza conteneva un errore palese allorchè in punto di “prova di resistenza”, prendendo in esame le singole voci, aveva provveduto a sottrarre tout court i punteggi riconducibili al criterio “omogeneità”, senza avvedersi che il singolo punteggio attribuito al singolo prodotto, doveva poi essere ridotto per il numero di prodotti offerti.

L’art. 10 del capitolato, infatti, prevedeva che il punteggio massimo di 45 punti sarebbe stato ottenuto mercè la sommatoria dei punteggi attibuiti ad ogni singola apparecchiatura diviso il numero delle apparecchiature stesse.

Queste ultime erano 37.

Pertanto, anche sottratti i 13 punti del lavapadelle a tale “voce”, detto punteggio sottratto doveva essere diviso per il numero di 37, corrispondente alle apparecchiature (id est: 0, 35 punti): sottraendo tale voce, posto che lo scarto tra l’appellata e la controinteressata aggiudicataria era di punti 1,99, ugualmente la gara sarebbe stata aggiudicata alla controinteressata Tecnosalus, (ancorchè con un divario, inferiore, di punti 1,64).

A pag 10 del ricorso in appello si sono elencate le apparecchiature (6 in totale) in relazione alle quali la commissione aveva menzionato il criterio dell’omogeneità.

Tale criterio aveva prodotto una divergenza valutativa in sfavor dell’appellata soltanto in due casi (lavapadelle ed elettrobisturi); anche sottraendo i 26 punti valutativi (13 per ciascuna apparecchiatura) attribuiti all’originaria aggiudicataria (ovviamente dividendoli per 37) il divario restava incolmabile.

Del pari errate, perché apodittiche, si appalesavano le argomentazioni contenute alle pagg. 12 e 13 dell’appellata decisione con riguardo ai vizi riscontrati nell’operato della Commissione con riferimento alle valutazioni espresse per le apparecchiature nn. 4, 12 e 5.

Pur a volere seguire l’iter motivazionale contenuto nell’appellata decisione, sottraendo i punteggi attribuiti alla controinteressata aggiudicataria e riconducibili alla voce valutativa ritenuta illegittimamente aggiunta, egualmente la controinteressata medesima si sarebbe aggiudicata la gara.

Pertanto non si sarebbe dovuta annullare la gara.

In via subordinata, comunque, non v’era certezza che l’appellata già ricorrente in primo grado si sarebbe aggiudicata la gara medesima, e pertanto erroneamente era stato disposta la liquidazione del 10% dell’utile.

Ma ancor quando si fosse ritenuta esatta la prognosi aggiudicatoria svolta in sentenza, essa era errata quanto alla quantificazione risarcitoria, avendo cumulato la voce “danno curricolare” pur avendo disposto la liquidazione del 10% dell’utile, in spregio alle indicazioni della costante giurisprudenza che ritiene il danno curricolare forfettariamente ricompreso nella liquidazione del 10% dell’utile; del pari generica ed inesatta appariva la liquidazione degli interessi e della rivalutazione, laddove non era stata precisata la data di decorrenza di questi ultimi.

Con memoria deposita il 9.2.2010 parte appellante ha puntualizzato e ribadito le sopraindicate censure.

Alla camera di consiglio del 10 novembre 2009 fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la Sezione, la controversia è stata rinviata al merito.

 

DIRITTO

Il ricorso in appello è parzialmente fondato, e deve essere parzialmente accolto, unicamente con riguardo alle premesse ed alla misura della statuizione risarcitoria riconosciuta dal Tar, meritando invece l’appellata decisione conferma nella restante parte (ed in particolare con riguardo al capo di sentenza che ha riconosciuto la illegittimità dell’ operato della stazione appaltante quanto alla introduzione dell’ulteriore criterio dell’omogeneità ed conseguente annullato la gara).

Deve premettersi, al fine di perimetrare il thema decidendi che parte appellata non si è costituita nell’odierno giudizio di guisa che la porzione dell’appellata decisione che ha respinto talune delle censure contenute nel ricorso di primo grado afferenti alla presunta carenza valutativa su alcune apparecchiature, e quella - reiettiva del primo motivo del ricorso di primo grado con il quale si postulava la doverosa esclusione dell’aggiudicataria- sono ormai passate in giudicato.

Ciò posto, la prima censura da esaminare investe l’an della statuizione demolitoria resa dal Tar.

Sul punto l’appello è certamente infondato e deve essere respinto.

Pare infatti al Collegio esatta ed immune da censure la appellata decisione, alla stregua degli elementi documentali versati in atti.

Segnatamente, nel prendersi in esame le dorsali dell’iter motivazionale seguito dai primi Giudici, appare opportuno evidenziare le seguenti considerazioni.

In primo luogo, il Collegio ha già in passato condivisibilmente affermato che la motivazione del provvedimento non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo, individuando con ciò il fondamento dell'illegittimità della motivazione postuma nella tutela del buona andamento amministrativo e nell'esigenza di delimitazione del controllo giudiziario. (Consiglio Stato , sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2555 ).

Le considerazioni dell’appellante circa la concreta incidenza del requisito/criterio ulteriore introdotto, pertanto, possono avere rilievo con riguardo al giudizio prognostico circa l’esito della gara, ma non possono riverberarsi, sulla valutazione a monte in ordine alla legittimità dello svolgimento della medesima sotto i plurimi versanti prospettici del diritto delle partecipanti ad una compiuta informazione circa i criteri di aggiudicazione seguiti dall’amministrazione (in modo da consentire alle medesime la piena conoscenza di ogni elemento per predisporre l’offerta), della par condicio complessiva (con riguardo alla posizione delle imprese partecipanti che non avevano in precedenza effettuato forniture per l’amministrazione) della trasparenza delle operazioni di gara: esattamente, lo si ribadisce, di tali aspetti prospettici i primi Giudici hanno tenuto conto pervenendo alla statuizione demolitoria .

Ciò perchè, la giurisprudenza amministrativa – anche antecedente al c.d. “codice degli appalti” di cui al d.lvo n. 163/2006- ha costantemente affermato, quanto alle c.d. “specifiche tecniche”, che “ai sensi dell'art. 19 comma 5, d.lg. n. 158 del 1995, non possono essere introdotte specifiche tecniche che menzionino prodotti di una fabbricazione o di una provenienza determinata o procedimenti particolari aventi l'effetto di favorire o eliminare talune imprese, a meno che tali specifiche tecniche siano giustificate dall'oggetto dell'appalto.”(Consiglio Stato , sez. VI, 19 settembre 2007, n. 4884 ).

Già in passato, peraltro, si era affermato che “in sede di gara pubblica per l'appalto di fornitura l'amministrazione aggiudicatrice può individuare particolari caratteristiche tecniche dei prodotti ritenuti idonei allo svolgimento delle attività cui destinare le forniture, purché l'individuazione di tali specifiche caratteristiche sia effettuata facendo riferimento ad elementi davvero significativi per distinguere nettamente l'oggetto della fornitura, senza determinare alcuna discriminazione a favore o contro le imprese produttrici di determinati beni, mentre nei casi in cui le specifiche tecniche risultino tutte incentrate sul riferimento al prodotto già confezionato dalle imprese produttrici, il riferimento tecnico deve essere necessariamente corretto attraverso il riferimento al concetto di «equivalenza»(Consiglio Stato , sez. V, 24 luglio 2007, n. 4138);”l'art. 8 comma 6 d.lg. 24 luglio 1992 n. 358, stabilisce in via generale il divieto di introdurre nelle clausole contrattuali specifiche tecniche che facciano riferimento espresso a prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza: tuttavia, è possibile derogare a tale divieto in considerazione dell'oggetto dell'appalto allorquando le amministrazioni aggiudicatrici non possano fornire una descrizione dell'oggetto del contratto mediante specifiche sufficientemente precise e comprensibili da parte i tutti gli interessati; pertanto, è giustificata la scelta del comune di inserire due clausole siffatte dirette ad ottenere la partecipazione di operatori in grado di disporre correttamente dei prodotti di marche caratterizzate da una presenza importante sul mercato per garantire un alto livello di affidabilità della fornitura di computer e la sua compatibilità con i sistemi informatici già in dotazione presso l'amministrazione e collegati in rete nonché l'esigenza di un'immediata ed effettiva reperibilità dei pezzi di ricambio.” (Consiglio Stato , sez. V, 18 dicembre 2002, n. 7050)

Scopo primario e “tradizionale” delle procedure evidenziali applicate ai contratti passivi stipulati dalle amministrazioni è quello di garantire che queste ultime si aggiudichino beni e servizi di migliore qualità ad un minore prezzo (oltreché quello di garantire che le imprese offerenti operino in regime di equilibrata concorrenza).

Deve quindi essere recisamente escluso, in via di principio che un prodotto migliorativo sotto il profilo tecnico od economico, possa essere giudicato inadeguato perché non rispettoso di specifiche tecniche a loro volta non “essenziali”: ciò configurerebbe una inammissibile aporia e vulnus alla stessa ratio delle procedure evidenziali.

La problematica si sposta quindi, in via di principio, nella doverosa verifica delle giustificazioni rese dall’amministrazione a supporto del proprio modus operandi, in guisa da verificare se sussistano elementi che possano integrare logica e giustificabile eccezione al principio dianzi enunciato.

Ma, prima ancora di ciò ed in disparte ogni giudizio sulla “razionalità” del criterio introdotto, è doveroso verificare se il criterio “omogeneità” costituisca, o meno, “novum” violativo della par condicio o specificazione (sub criterio) di dati valutativi già contenuti nel bando di gara.

Ciò perché, a garanzia della trasparenza e della par condicio dei concorrenti, è necessario che le imprese partecipanti ad una gara siano in grado di conoscere, nella sua interezza, quale sarà il parametro valutativo cui si atterrà l’amministrazione, al fine di predisporre le proprie offerte, costituendo inammissibile vulnus ai richiamati principi l’introduzione “postuma” di criteri non contenuti nel bando.

A tal proposito, e difformemente da quanto sostenuto dall’appellante, ritiene il Collegio –in linea con quanto sostenuto dal Tar- che non sussista dubbio alcuno che sia stato introdotto nel caso di specie un elemento/criterio valutativo non specificativo, ma innovativo rispetto a quanto dal bando previsto.

E che, inoltre, sia discriminatorio rispetto alle imprese di settore.

Il punto dal quale è necessario, muovere, infatti, riposa nella constatazione che il bando stabiliva che nell’ambito del criterio relativo alle caratteristiche tecniche e funzionali, si individuassero varii sottocriteri (- versatilità e maneggevolezza, facilità d’uso, programma gestionale, caratteristiche costruttive e livello tecnologico di ogni singola apparecchiatura;- carattere estetico -riferito prevalentemente all’ingombro- e possibile rendimento e qualità dei materiali.).

Quello dell’omogeneità con le apparecchiature già in dotazione costituisce novum che non integra alcunché; che favorisce chi avesse in passato effettuato forniture per l’amministrazione; che costituisce elemento “spiazzante” ed imprevedibile per le imprese che avevano già apprestato la propria offerta non “tarandola” su tale elemento.

Come è noto, la giurisprudenza più recente prescrive sul punto che “in tema di appalti di forniture l'Amministrazione può legittimamente individuare particolari caratteristiche tecniche, ma a condizione che la loro specificazione sia effettuata con riferimento ad elementi in grado distinguere nettamente l'oggetto della fornitura, senza determinare alcuna discriminazione nei confronti delle imprese di settore; di conseguenza è vietato prevedere specifiche tecniche, che indichino prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza, a meno di non inserire la clausola di equivalenza, ammissibile quando le stazioni appaltanti non possano fornire una descrizione dell'oggetto dell'appalto mediante specifiche tecniche sufficientemente precise.” (Consiglio di Stato , sez. V, 24 aprile 2009 , n. 2600).

L’operato dell’amministrazione non soddisfa alcuna di tali condizioni (oltre a costituire novum imprevedibile per le partecipanti); le deduzioni contenute nel ricorso in appello, secondo le quali il parametro dell’omogeneità non costituiva novum, ma specificazione del canone “estetico” già contenuto nel bando di gara urtano già sotto il profilo lessicale con i termini utilizzati e non sono in alcun modo accoglibili (sol che si consideri che il canone estetico – come era stato specificato nel bando- si riferiva prevalentemente all’ingombro-).

Avuto riguardo alla indubitabile circostanza che il criterio dell’omogeneità, ove fosse stato anticipatamente conosciuto dalle partecipanti, avrebbe influenzato l’attività di preparazione dell’offerta svolta da queste ultime, appare evidente che l’operato dell’amministrazione appaltante non soddisfa le esigenze di trasparenza e par condicio a più riprese condivisibilmente affermate dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui “la trasparenza e l'imparzialità che caratterizzano la serie procedimentale di una gara di appalto si concretizzano nel principio di concorsualità, della segretezza, completezza, serietà, autenticità e compiutezza delle offerte formulate rispetto alle prescrizioni ed alle previsioni della "lex concorsualis" e nella previa predisposizione da parte dell'amministrazione appaltante dei criteri di valutazione delle offerte: al rispetto di tali principi è tenuta non solo la p.a., ma anche i concorrenti cui incombe l'obbligo di presentare offerte che, al di là del loro profilo tecnico-economico (specifico oggetto della valutazione di merito da parte della stazione appaltante), devono avere le caratteristiche della compiutezza, della completezza, della serietà, della indipendenza e della segretezza, le quali soltanto assicurano quel gioco della libera concorrenza e del libero confronto attraverso cui può giungersi ad individuare il miglior contraente possibile.”(Consiglio di Stato , sez. IV, 27 dicembre 2001, n. 6424)

Per individuare i limiti dei poteri di cui dispone, al riguardo, la commissione aggiudicatrice è utile richiamare anche la sentenza della Corte di Giustizia, Sez. II, del 24.11.2005 in C-331/04, la quale ha stabilito: "che il diritto comunitario non osta a che una commissione aggiudicatrice attribuisca un peso relativo ai subelementi di un criterio di aggiudicazione stabilito precedentemente, effettuando una ripartizione tra questi ultimi del numero di punti previsti per il detto criterio dall'amministrazione aggiudicatrice al momento della redazione del capitolato d'oneri o del bando di gara, purché una tale decisione:

- non modifichi i criteri di aggiudicazione dell'appalto definiti nel capitolato d'oneri o nel bando di gara;

- non contenga elementi che, se fossero stati noti al momento della preparazione delle offerte, avrebbero potuto influenzare la detta preparazione;

- non sia stata adottata tenendo conto di elementi che possono avere un effetto discriminatorio nei confronti di uno dei concorrenti".

Nel caso in esame non possono dirsi rispettati i principi sopra indicati, soprattutto con riferimento alla esigenza di non introdurre ex post “elementi che, se fossero stati noti al momento della preparazione delle offerte, avrebbero potuto influenzare la detta preparazione”: sulla circostanza che la gara fosse viziata non v’è dubbio ed esattamente il Tar ha annullato gli atti impugnati.

L’esattezza della statuizione demolitoria resiste pienamente alle censure contenute nel ricorso in appello.

Né dicasi che essa poteva essere condizionata, nell’an, dall’esito della “prova di resistenza”, ponendosi la riscontrata illegittimità qual vizio che si pone a monte della procedura, precede la fase attributiva dei punteggi ( e rende inintellegibile, come meglio si vedrà di seguito, l’operato della Commissione).

Come si è dianzi rilevato, constatata la circostanza che il criterio relativo alla omogeneità (che per quanto sopra si è specificato è da ritenersi essere stato illegittimamente introdotto) era stato utilizzato dalla stazione appaltante, e che la originaria ricorrente, nonostante il prezzo complessivo offerto, sensibilmente più basso rispetto a quello dell’aggiudicataria (pari a circa Euro 380 milioni a fronte dei circa Euro 482 milioni della contro interessata) non aveva ottenuto l’aggiudicazione della fornitura, collocandosi al 2° posto con un punteggio pari 76,32 e uno scarto di soli punti 1, 99 rispetto alla Tecnosalus, il Tar ne ha fatto discendere la circostanza che l’appellante si sarebbe certamente aggiudicata la gara.

Tale statuizione (e, soprattutto, la conseguenza che il Tar ne ha fatto discendere in punto di consistenza della pretesa risarcitoria) è invece inesatta e deve essere annullata, potendosi sul punto accogliere il ricorso in appello.

Invero dagli atti di causa si evince che, nella gara de quo, il criterio illegittimamente introdotto della omogeneità era stato “utilizzato” dall’amministrazione in numerosi casi (il dato è incontestato dalla stessa parte appellante: si veda il richiamo in proposito contenuto nel ricorso in appello).

Esso, però aveva dato luogo alla attribuzione di un punteggio in favore della controinteressata soltanto in due casi (id est: con riferimento al lavapadelle ed all’elettrobisturi).

Il punteggio così attribuito alla controinteressata era stato pari a punti 26( 13 per ciascuna apparecchiatura suindicata).

Il Tar sottraendo tali 26 punti dal complessivo punteggio attribuito alla aggiudicataria, ha ritenuto che tale scarto potesse agevolmente colmare la differenza di 1,99 punti cristallizzata in atti, facendone discendere che, per ciò solo, l’appellata si sarebbe resa sicura aggiudicataria della gara.

Così non avvedendosi della clausola di cui al’art. 10 del capitolato speciale di gara, secondo cui (come era logico, del resto, posto che doveva essere valutata una pluralità di apparecchiature) il punteggio complessivo “sottratto” avrebbe dovuto essere diviso per il numero –pari a 37- delle apparecchiature sottoposte a valutazione.

Il punteggio da sottrarre all’aggiudicataria, quindi, era pari a 26/37: 0, 70punti, cioè.

Da ciò non poteva discendere – come erroneamente affermato dal Tar- una sicura prognosi di aggiudicazione in favore dell’appellata (lo scarto originario era pari a punti 1,99, lo si ripete).

E peraltro, simile prognosi non poteva essere supportata dalla circostanza che, come dianzi riferito, il criterio della omogeneità fosse stato comunque menzionato con riguardo ad altre (quattro) apparecchiature.

Posto che tale criterio, per dette apparecchiature, non aveva dato luogo ad attribuzione espressa di punteggio, e che comunque con riferimento alle medesime erano stati riscontrati dalla commissione di gara altri elementi differenziali, non appare intellegibile se esso avesse rivestito – o meno – portata decisiva.

Ne discende che la posizione della appellata, già ricorrente di primo grado vittoriosa, non poteva essere qualificata in termini di “certa aggiudicataria pretermessa” ma di partecipante classificatasi al secondo posto (su tre partecipanti alla gara, posto che una quarta offerente era stata esclusa), certamente pretermessa con riguardo alla introduzione arbitraria del criterio della omogeneità, ma di cui non si poteva pronosticare con certezza l’aggiudicazione della gara ove il detto criterio dell’omogeneità non avesse trovato ingresso nella procedura di gara.

Con riferimento alla posizione di questa, vengono inoltre in rilievo due elementi: quello per cui essa aveva presentato l’offerta di gran lunga migliore, sotto il profilo economico, e quello relativo al minimo scarto che la distanziava dall’aggiudicataria.

La posizione all’appellata riconoscibile è quindi quella di soggetto titolare di una chance qualificata e consistente, ma non già di certa aggiudicataria: sul punto l’appello deve essere accolto.

Ciò premesso, nella incontestata considerazione che l’unica forma di tutela cui poteva farsi riferimento era (ed è) quella risarcitoria per equivalente, devono prendersi in esame le censure di parte appellante volte a contestare an e quantum della tutela risarcitoria accordata dal Tar, muovendo dal quadro sinora delineato della riscontrata illegittimità della procedura e della titolarità in capo all’appellata di una qualificata probabilità (e non già della certezza) dell’aggiudicazione.

Le censure relative all’an del riconoscimento della tutela risarcitoria sono certamente infondate.

Deve rammentarsi che in giurisprudenza costituisce jus receptum il principio per cui Il danno ingiusto causato dalla stazione appaltante in conseguenza dell'irregolare svolgimento di una gara pubblica, ancorché riferito alla lesione di interessi legittimi, comporta una responsabilità di tipo extracontrattuale che, ai sensi dell'art. 2043 c.c., richiede comunque la verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa.(Consiglio Stato , sez. IV, 28 aprile 2006, n. 2408)

La consolidata giurisprudenza amministrativa e quella della Cassazione sin dalle decisioni n. 500 e 501 del 1999 ha postulato la non discendenza della responsabilità risarcitoria a cagione della (sola) conclamata illegittimità dell’azione amministrativa e la necessità dell’indefettibile elemento della culpa in capo all’amministrazione.

Nel caso di specie deve evidenziarsi che negligenza, imprudenza, imperizia è ravvisabile in capo all’amministrazione.

Già in passato, infatti, la giurisprudenza amministrativa aveva espresso il convincimento che “il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, ma richiede la positiva verifica di tutti i requisiti previsti dalla legge: ai fini dell'accertamento dell'elemento della colpa dell'amministrazione, è necessario accedere direttamente ad una nozione oggettiva di colpa, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento ed, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità della violazione commessa dall'amministrazione, anche alla luce dell'ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all'organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell'apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento.”(Consiglio di Stato, sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169).

L’orientamento in questione si è ormai stabilmente consolidato -in particolare sotto il profilo della non ravvisabilità di colpa in capo all’amministrazione allorché la stessa abbia conformato la propria azione a consolidate interpretazioni giurisprudenziali (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione VI n. 213 del 25.1.2008).

Di converso ne discende che, salvo casi eccezionali, colpa possa ravvisarsi allorchè la condotta dell’amministrazione si sia posta in termini collidenti ed antitetici rispetto a plurime e consolidate interpretazioni giurisprudenziali ( il che è avvenuto nel caso di specie, sol che si ponga mente alle risposte fornite dalla giurisprudenza e dianzi sinteticamente riportate in materia di integrabilità ex post dei bandi di gara, e di introduzione di specifiche).

La sentenza appellata è, sul punto, condivisibile: l’appellata ha provato gli elementi strutturali della responsabilità ex art. 2043, con riferimento alla culpa dell’amministrazione (palese, posto che la condotta della medesima si pose in controtendenza rispetto a plurimi e concordanti indicazioni giurisprudenziali).

Anche con riguardo all’avvenuta prova del danno subìto a cagione della statuizione demolita dal Tar, è esatto e condivisibile il dictum dei primi Giudici.

Esso, per le ragioni dianzi chiarite, però, non può essere qualificato come riconducibile ad una sicura aggiudicazione ingiustamente negata, ma deve essere ricondotto nell’alveo di una chance qualificata (proprio avuto riguardo alla circostanza che essa aveva presentato l’offerta di gran lunga migliore sotto il profilo economico, al minimo scarto che la distanziava dall’aggiudicataria, alla ristretta platea di partecipanti alla gara ed alla circostanza che il criterio della omogeneità risultò lesivo in concreto della posizione della medesima, con riguardo all’operato dell’amministrazione, in ben sei casi, di cui quattro non quantificabili in termini di sicura attribuzione del punteggio).

Come è noto, la giurisprudenza ritiene legittimo il ricorso a criteri presuntivi per la quantificazione del danno medesimo rinvenibile nell'elaborazione giurisprudenziale in materia di valutazione del pregiudizio connesso alla perdita di chance, derivante in particolare dalla perdita dell'occasione di aggiudicarsi un appalto (Consiglio di Stato , Sezione VI, 15 febbraio 2005, n. 478).

Con riferimento alla quantificazione risarcitoria (è indubbio ed è rimasto incontestato che, essendo stata la fornitura espletata si dovesse procedere alla liquidazione per equivalente), quindi, tenuto conto dell’insegnamento per cui il risarcimento per equivalente della chance va quantificato con la tecnica della determinazione dell'utile che sarebbe stato possibile conseguire in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei partecipanti alla gara posto che esso, - non potendo essere provato nel suo preciso ammontare - deve avvenire in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. (si veda, sul punto, Consiglio di Stato , Sezione VI, 25 luglio 2006, n. 4634).

Nel caso di specie, tenuto conto dei suindicati criteri, esso appare riconducibile alla percentuale del 5% del prezzo dalla appellata offerto (così quantificata detta chance comprensiva dell’ipotizzato e richiesto danno curricolare), e pertanto pari ad € 19.021,95 maggiorati di interessi legali decorrenti dal momento della presentazione della domanda giudiziale (cfr. Consiglio di Stato , sez. IV, 31 ottobre 2006, n. 6456) ed eventualmente dell’ulteriore rivalutazione monetaria ove superiore a tale saggio.

Conclusivamente l’appello deve essere parzialmente accolto nei termini illustrati nella motivazione che precede, con parziale riforma dell’impugnata decisione e parziale reiezione del ricorso di primo grado.

Sussistono le condizioni di legge per la compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe lo accoglie parzialmente nei termini di cui alla motivazione.

Compensa le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2010 con l'intervento dei Signori:

Giovanni Ruoppolo, Presidente

Luciano Barra Caracciolo, Consigliere

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Domenico Cafini, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

                       

                       

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/03/2010

 

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