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TAR Piemonte, Sez. I, 5/5/2010 n. 2346
Sulla legittimazione delle associazioni di categoria ad agire per l'accertamento dell'iniquità delle condizioni generali di contratto.

Una clausola del bando di gara che lasci in bianco un elemento essenziale del contratto, quale il termine di pagamento, vìola l'art. 64 del d.lgs. n. 163/06 (Codice dei contratti), in quanto rende impossibile la formulazione dell'offerta.

L'art. 8 del d.lgs. n. 231 del 2002 prevede la legittimazione delle associazioni di categoria, in rappresentanza delle imprese piccole e medie, a richiedere al giudice competente di accertare, previa eventuale pronuncia di inibitoria in via d'urgenza, la iniquità di condizioni generali di contratto ai sensi dell'art. 7 della medesima legge rispetto a clausole concernenti la data del pagamento e le conseguenze normative del ritardo nel medesimo. Le associazioni di categoria divengono così tutrici di interessi collettivi rispetto a clausole inserite nel bando o nei capitolati che possono, a causa della loro iniquità, avere un effetto dissuasivo rispetto ad una probabile e più ampia volontà di partecipazione. Si è così introdotta una forma generale di tutela collettiva contro l'utilizzazione di condizioni contrattuali inique collocata "a monte" rispetto alla tutela individuale del singolo imprenditore che abbia stipulato un contratto contenente clausole inique.


Una clausola del bando di gara che lasci "in bianco" un elemento essenziale del contratto, quale il termine di pagamento, vìola l'art. 64 del d.lgs. n. 163/06 (Codice dei contratti), in quanto rende impossibile la formulazione dell'offerta per mancanza di indicazioni relativamente ad un parametro essenziale della medesima. Il legislatore ha apprestato due livelli di tutela: uno demandato alle associazioni di categoria, al fine di inibire l'uso di condizioni generali di contratto qualora prefigurino clausole derogatorie della disciplina protettiva inique dal punto di vista commerciale; uno successivo, che consente al contrante danneggiato di chiedere l'accertamento della nullità della clausola, contrattata individualmente, qualora la medesima presenti le caratteristiche di iniquità di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 231/2002. In relazione alla specifica clausola relativa alle condizioni di pagamento, i bandi di gara possono prefigurare la specifica regolamentazione contrattuale ovvero sollecitare l'offerta del concorrente: l'amministrazione può limitarsi a individuare una regolamentazione dei tempi e modi di pagamento ovvero invitare il concorrente a formulare, sulla base di individuati parametri, un'offerta secondo lo schema dell'invito ad offrire, fermo restando che, ai sensi del combinato disposto dell'art. 64 e dell'alleg. IX A del d.lgs. n. 163/2006, l'individuazione delle modalità di pagamento costituisce elemento primario che il bando deve prevedere espressamente in attuazione della normativa comunitaria. L'art. 8 del d.lgs. n. 231/2002, nell'approntare una tutela collettiva avanzata avverso le condizioni generali unilateralmente predisposte in deroga ai parametri di legge, prevede che le stesse possano essere sindacate preventivamente rispetto alla conclusione del contratto, su impulso delle associazioni di categoria. Il sindacato si svolge in virtù dei parametri che dettano limiti e criteri di un'eventuale deroga in sede di contrattazione bilaterale alla disciplina normativa, sanzionando con la nullità la violazione di tali limiti e criteri qualora iniquo; pertanto le associazioni di categoria hanno il potere di sollecitare un sindacato preventivo di equità della clausola predisposta, in aderenza ai parametri di legge.

Materia: appalti / disciplina

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

Sui ricorsi numero di registro generale 162 del 2010 e 197 del 2010, proposti da:

Confcommercio - F.I.P.E. e Angem, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avv.ti Carlo Piccirillo, Katia Giardini, con domicilio eletto presso l’avv.to Katia Giardini in Torino, corso San Martino, 4; Eutourist Serv-System s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.to Carlo Cotto, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Torino via Botero n. 17;

 

contro

Azienda Ospedaliero-Universitaria "S.Giovanni Battista di Torino", in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv.to Silvia Di Palo, con domicilio eletto presso l’avv.to Silvia Di Palo in Torino, corso Bramante, 88;

Regione Piemonte, non costituita;

 

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

quanto al ricorso n. 162 del 2010:

l'art. 19, commi 2 e 5, del capitolato generale d'oneri per la fornitura di beni e servizi e l'art. 19, penultimo comma, del capitolato speciale d'appalto, richiamati dal bando della "GARA 2" (nn. 437315 di gara e 0363369594 di C.I.G.), procedura aperta di appalto pubblico di servizi, indetta il 31/8/2009, dalla Regione Piemonte - Azienda Ospedaliero-Universitaria "San Giovanni Battista di Torino", per la gestione globale del servizio di ristorazione e nutrizione collettiva per degenti, dipendenti e altri utenti dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria San Giovanni Battista di Torino per un periodo di anni quattro, così come rettificati con avvisi inviati alla GUCE il 10/12/2009;

nonché i capitolati generali d'oneri per la fornitura di beni e servizi e speciale d'appalto, il bando che li richiama, e ogni qualsivoglia altro atto presupposto, consequenziale e connesso.

quanto al ricorso n. 197 del 2010:

della determinazione n. 1294/3427/60/2009 del 10.12.2009 con cui stono stati modificati l'art. 19 del Capitolato Generale e l'art. 19 del Capitolato Speciale di Appalto relativo alla procedura aperta per la gestione globale del servizio di ristorazione e nutrizione collettiva per degenti, dipendenti e altri utenti dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria San Giovanni Battista di Torino per un periodo di anni quattro - n. di gara 437315 - n. C.I.G. 03624173F7;

nonché degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi.

Visti i ricorsi con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliero-Universitaria "S.Giovanni Battista di Torino" e di Azienda Ospedaliero-Universitaria "San Giovanni Battista di Torino";

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 aprile 2010 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Le associazioni di categoria ricorrenti hanno adito l’intestato TAR impugnando gli atti in epigrafe e deducendo di avere una prima volta impugnato il bando relativo alla medesima gara per la declaratoria di nullità ed iniquità, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 231/2002, delle clausole del capitolato generale d’oneri relative al termine di pagamento e alla decorrenza e misura degli interessi per il caso di ritardo, e per l’adozione dei consequenziali provvedimenti idonei ad eliminare gli effetti dannosi dei medesimi. Il Tar Piemonte, con sentenza n. 3260/09, ha accolto il ricorso. Con avviso di rettifica inviato alla G.U.C.E. il 10.12.2009 l’azienda ospedaliera ha modificato la clausola prevedendo che le parti, in sede di successiva stipulazione del contratto, avrebbero contrattato i termini di pagamento e il saggio degli interessi di mora, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura del servizio oggetto del contratto, ai flussi finanziari di cassa in entrata a disposizione dell’azienda e ai tempi tecnici necessari alle verifiche dell’esistenza del debito (liquidazione fatture).

Le associazioni ricorrenti lamentano una elusione della decisione n. 3260/09, essendo stato spostato il momento di contrattazione in deroga alla vigente normativa ad una fase successiva all’aggiudicazione, così eludendo la possibilità di tutela inibitoria tramite le associazioni di categoria, prevista dalla legge.

Lamentano le associazioni ricorrenti la violazione di legge, l’eccesso di potere e il difetto di motivazione alla luce della natura cogente ed inderogabile della disciplina dettata dal d.lgs. n. 231/02 di recepimento della Direttiva 2000/35. Creditore e debitore possono concordare termini di pagamento diversi da quelli di legge ovvero diverse conseguenze del ritardo, sempre che tale accordo non risulti gravemente iniquo (e come tale nullo) e venga raggiunto individualmente e non predisposto unilateralmente; sono inoltre inammissibili, quali ragioni di deroga alla normativa, quelle esclusivamente volte a procurare liquidità aggiuntiva al debitore, quali il riferimento ai flussi finanziari di cassa ed alle procedure di pagamento.

Lamentano le associazioni di categoria il difetto di motivazione oltre che la violazione di legge in relazione alle ipotesi di possibile deroga alla vigente normativa preconfigurate nella riformulata clausola del bando e chiedono, previa concessione dell’inibitoria di legge, l’accertamento di nullità della clausola.

Si è costituita l’amministrazione resistente preliminarmente eccependo il difetto di legittimazione della ricorrente ANGEM in relazione al potenziale interesse di suoi iscritti a partecipare alla gara, confliggente con quello espresso tramite il ricorso; nel merito ha evidenziato che scopo della normativa invocata non è quello di garantire in ogni caso alle associazioni di categoria la proponibilità di una azione inibitoria, ferma restando l’azione individuale volta all’accertamento di iniquità della clausola; non è vietato alle parti accordarsi individualmente su termini di pagamento più lunghi, circostanza cui va raccordata la rinnovata clausola, che si è limitata a indicare la possibilità di un futuro accordo individuale fissandone i parametri.

Ha chiesto pertanto respingersi il ricorso.

Con provvedimento n. 105/2010 è stata concessa, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 231/2002, l’inibitoria in relazione all’impugnata clausola.

Con successive memorie per l’udienza di merito parte ricorrente evidenziava, tra l’altro, che, con sentenza n. 1885/10, il Consiglio di Stato sez. V ha confermato la sentenza 3260/09 di questo TAR, pronunciata in relazione alla prima delle clausole di bando, riconoscendo la legittimazione delle ricorrenti ad impugnare il bando, come ampiamente argomentato in atti. Precisava di non avere interesse, quanto alle possibili misure da adottarsi al fine dell’eliminazione degli effetti dannosi della contestata clausola, all’annullamento dell’intero bando. Richiamava la giurisprudenza del Consiglio di Stato circa l’applicabilità alla PA del divieto di inserire autoritativamente nei bandi deroghe ai principi di cui all’art. 4 del d.lgs. 9 ottobre 2002 n. 231.

L’amministrazione ribadiva i propri assunti difensivi.

Con altro ricorso successivamente riunito e depositato successivamente alla concessa inibitoria parte ricorrente Eutourist Serv-System s.p.a. ha impugnato i medesimi atti deducendo di avere partecipato al sopralluogo finalizzato all’offerta, pur non avendola allo stato formalizzata; ha dedotto di essere impossibilitata a formulare un’offerta al ribasso per l’assoluta indeterminatezza dei termini di pagamento a seguito della modificazione dell’art. 19 del capitolato speciale e dell’art. 19 del capitolato generale. La nuova formulazione non predetermina alcun termine di pagamento rendendo ignota una della condizioni essenziali per la formulazione dell’offerta, sostanzialmente incentrata sul ribasso nel prezzo offerto. Lamenta quindi la violazione del’art. 2 del d.lgs. n. 163/2006 e la violazione del principio di trasparenza e correttezza, nonché la violazione degli artt. 4 e 7 del d.lgs. n. 231 del 2002. L’amministrazione ha individuato quali possibili parametri di pagamento i propri flussi finanziari di cassa e i propri tempi tecnici di liquidazione fatture, parametri di natura non oggettiva ed esclusivamente dipendenti dall’organizzazione dell’appaltatore, in violazione della disciplina normativa.

Si è costituita l’amministrazione resistente eccependo l’inammissibilità del ricorso per non avere parte ricorrente presentato domanda di partecipazione alla gara entro i termini di presentazione, scaduti in data 15.2.2010; poiché la clausola in contestazione non poteva definirsi escludente e tale da impedire assolutamente la formulazione dell’offerta (erano infatti pervenute altre quattro offerte) la ricorrente, avendo scelto di non partecipare alla gara, non poteva dirsi legittimata all’impugnativa. Nel merito ribadiva la legittimità della propria condotta che aveva demandato alla successiva contrattazione individuale la deroga (astrattamente possibile) alle regole dettate dal d.lgs. n. 231/2002, così emendando il bando dal riscontrato vizio di imporre unilateralmente i termini della deroga.

Con successiva memoria di merito la società ricorrente precisava che l’indeterminatezza della clausola del bando la poneva nella sostanziale impossibilità di formulare una offerta, risultando non nota una componente essenziale della medesima; tale circostanza aveva legittimato la diretta impugnativa del bando. Ribadiva quindi i propri assunti difensivi.

Riuniti i ricorsi la causa veniva discussa e decisa all’udienza dell’8.4.2010

 

DIRITTO

Preliminarmente deve essere riconosciuta la legittimazione ad agire delle associazioni di categoria ricorrenti. Come esaustivamente chiarito dal giudice d’appello nella sentenza Cons. St. sez. IV n. 469/2010, l’art. 8 del d.lgs. n. 231 del 2002 prevede la legittimazione delle associazioni di categoria, in rappresentanza delle imprese piccole e medie, a richiedere al giudice competente di accertare, previa eventuale pronuncia di inibitoria in via d’urgenza, la iniquità di condizioni generali di contratto ai sensi dell’art. 7 della medesima legge rispetto a clausole concernenti la data del pagamento e le conseguenze normative del ritardo nel medesimo. Le associazioni di categoria divengono così tutrici di interessi collettivi rispetto a clausole inserite nel bando o nei capitolati che possono, a causa della loro iniquità, avere un effetto dissuasivo rispetto ad una probabile e più ampia volontà di partecipazione. Si è così introdotta una forma generale di tutela collettiva contro l’utilizzazione di condizioni contrattuali inique collocata “a monte” rispetto alla tutela individuale del singolo imprenditore che abbia stipulato un contratto contenente clausole inique.

Testualmente, nella precitata decisione, si afferma che “la legge opera un procedimento di “soggettivazione” dell’interesse in capo all’associazione cui attribuisce un diritto soggettivo proprio ed autonomo all’astensione o alla cessazione dell’utilizzo sul mercato di condizioni inique”, sicchè le associazioni di categoria finiscono per non agire “in rappresentanza ma per concreta rappresentatività che giustifica la legittimazione ad agire”.

Sussiste, pertanto, la legittimazione ad agire delle associazioni di categoria ricorrenti.

Anche la ricorrente Eutourist si deve ritenere legittimata per la peculiarità della fattispecie. Eccepisce parte resistente che la società non ha presentato domanda di partecipazione nei termini. In punto di fatto, innanzitutto, si osserva che la peculiare scansione cronologica delle vertenze qui riunite ha comportato, sostanzialmente, che la ricorrente Eutourist, in virtù della sospensiva già accordata su istanza delle associazioni di categoria precedentemente ricorrenti, non può dirsi decaduta dalla facoltà di presentare la domanda di partecipazione. La ricorrente Eutourist ha infatti pacificamente presentato ricorso con atto notificato e depositato in data 8.2-17.2.2010; nelle more, con ordinanza resa all’udienza del 12.2.2010, l’impugnato bando è stato sospeso su altrui ricorso. Come riconosciuto dalla stessa amministrazione i termini di presentazione delle domanda di partecipazione avrebbero dovuto scadere il 15.2.2010, cioè successivamente alla notificazione del ricorso introduttivo Eutourist ed alla sospensiva accordata su istanza delle associazioni di categoria, sicchè, sussistendo una sospensiva che colpiva parte della cosiddetta legge di gara, non è certo imputabile alla ricorrente di non aver presentato domanda in un termine paralizzato dalle vicende giudiziarie.

Neppure si ritiene che l’impugnata clausola avrebbe potuto essere contestata dalla singola impresa partecipante solo all’esito della gara.

Per la peculiare conformazione della clausola pare preferibile la tesi della società ricorrente, che lamenta l’impossibilità tout court della formulazione dell’offerta, non per una sua maggiore o minore convenienza economico-commerciale, bensì proprio per la mancanza di indicazioni in sede di gara in relazione ad un parametro essenziale della medesima.

La clausola contestata recita quanto segue: “L’amministrazione si riserva di stabilire, in accordo con l’aggiudicatario provvisorio, i termini di pagamento ed il saggio di interessi di mora, in caso di ritardato pagamento, in sede di stipulazione del contratto. Tale accordo, ai sensi dell’art. 7 co. 1 del d.lgs. n. 231/2002, avrà riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura del servizio oggetto del contratto, ai flussi finanziari di cassa in entrata a disposizione di questa azienda, ai tempi tecnici strettamente necessari alle verifiche dell’esistenza del debito.”

Alla modifica della clausola, come evidenziato dall’amministrazione, si è accompagnata una modifica della determinazione della base d’asta.

Formulata in questi termini la legge di gara pare perplessa, lasciando sostanzialmente “in bianco” un elemento essenziale del contratto; non sembra, infatti, scontata la lettura che ne fornisce l’amministrazione in giudizio e secondo cui è ovvio che, in mancanza di successivo accordo, si applicheranno i termini di legge. Per come letteralmente è formulata la disposizione da una parte sembra implicitamente evincersi che non si applicheranno i termini di legge, ritenendo l’amministrazione “necessaria” una ulteriore contrattazione sul punto, dall’altra restano ignoti gli esiti di detta contrattazione, rendendo così impossibile a priori per il concorrente, non tanto valutare la convenienza economica del contratto, quanto proprio preconfigurarne il contenuto complessivo

L’amministrazione infatti ha ritenuto di non riproporre una motivata e puntuale formula derogatoria al disposto del d.lgs. n. 231 del 2002; neppure ha formulato la clausola in termini di espresso invito ad offrire rivolto al concorrente in sede di gara affinchè, in quel medesimo contesto, questi proponesse eventuali deroghe al disposto normativo.

L’amministrazione ha semplicemente rinviato ad un momento successivo ogni determinazione affidandola ad una ulteriore contrattazione, salvo apparentemente dare per scontata la necessità della deroga contrattuale. Il concorrente è stato quindi messo di fronte ad una clausola quantomeno perplessa, ignorando i concreti termini della successiva contrattazione sui tempi e modi di pagamento sicché, anche una volta individuato l’aggiudicatario provvisorio, residuerebbe un vuoto nell’accordo contrattuale circa questi aspetti, aspetti certamente essenziali della negoziazione, sia perché significativamente incidenti sul valore economico dell’appalto, sia perché presidiati da norme imperative a tutela del contraente ritenuto debole e derogabili solo in presenza di ben specifici presupposti. Il tutto, pare, anche in violazione anche dell’art. 64 del d.lgs. n. 163/2006 che sancisce espressamente che il bando di gara deve contenere le informazioni di cui all’allegato IX A del codice e ogni altra informazione ritenuta utile; a sua volta l’allegato IX A prevede, tra la prescritta informativa, quella concernente: “Modalità essenziali di finanziamento e di pagamento e/o riferimenti alle disposizioni in materia”, modalità che nel caso si specie vengono rinviate “aliunde”.

Ne discende che (non essendo propriamente previsto, come solo in giudizio sostiene l’amministrazione, che spettasse al concorrente in sede di gara formulare un’offerta sul punto) parte ricorrente non lamenta, nel caso di specie, la sussistenza di condizioni gravose o economicamente svantaggiose ma più radicalmente l’incomprensibilità allo stato della futura configurazione dell’assetto contrattuale in relazione ad un punto essenziale. Ha statuito il supremo consesso amministrativo che: “Non occorre la previa domanda di partecipazione alla gara ai fini dell’ammissibilità del ricorso avverso il bando di gara allorché si sia in presenza di clausole del bando che, quanto meno, rendono gravose le condizioni di partecipazione alla gara, sì da alterare l’essenza dell’oggetto della stessa” (Cons. St. sez. IV 23.3.2010 n. 1705).

Devono pertanto essere respinte le eccezioni preliminari mosse dall’amministrazione resistente in punto legittimazione.

Quanto al merito si ritiene opportuno un inquadramento della normativa applicabile.

La legge n. 231 del 2002 è stata adottata in attuazione della Direttiva 2000/35 nel cui preambolo si precisa che “la presente direttiva disciplina tutte le transazioni commerciali a prescindere dal fatto che esse siano effettuate tra imprese pubbliche o private o tra imprese e autorità pubbliche, tenendo conto del fatto che a queste ultime fa capo un volume considerevole di pagamenti alle imprese. Essa pertanto dovrebbe disciplinare anche tutte le transazioni commerciali tra gli appaltatori principali ed i loro fornitori e subappaltatori”; la direttiva precisa “la presente direttiva dovrebbe proibire l'abuso della libertà contrattuale in danno del creditore. Nel caso in cui un accordo abbia principalmente l'obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, o nel caso in cui l'appaltatore principale imponga ai propri fornitori o subappaltatori termini di pagamento ingiustificati rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi, si può ritenere che questi elementi configurino un siffatto abuso”.

Dalla disciplina comunitaria, in conformità alla quale non può che leggersi la disciplina nazionale, si evince, dunque, che le pubbliche amministrazioni che operano quali parti di transazioni commerciali sono vincolate dalla normativa (sicchè il legislatore nazionale non potrebbe introdurre norme che di fatto le sottraggono a tale vincolo, avvantaggiandole rispetto a qualsivoglia altro operatore economico, per la sola ragione di essere soggetti pubblici, in tal senso ad esempio Cons. St. sez. V 12 aprile 2005 n. 1638). Di tanto ha preso anche atto il legislatore nazionale là dove all’art. 9 del d.l. n. 78/2009 ha espressamente sancito: “Al fine di garantire la tempestività dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, in attuazione della direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, recepita con il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231:

a) per prevenire la formazione di nuove situazioni debitorie:

1. le pubbliche amministrazioni incluse nell'elenco adottato dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, adottano entro il 31 dicembre 2009, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, le opportune misure organizzative per garantire il tempestivo pagamento delle somme dovute per somministrazioni, forniture ed appalti. Le misure adottate sono pubblicate sul sito internet dell'amministrazione.”

A fronte di questi principi il legislatore nazionale ha stabilito, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 231/2002, che: “Le associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), prevalentemente in rappresentanza delle piccole e medie imprese di tutti i settori produttivi e degli artigiani, sono legittimate ad agire, a tutela degli interessi collettivi, richiedendo al giudice competente: a) di accertare la grave iniquità, ai sensi dell'articolo 7, delle condizioni generali concernenti la data del pagamento o le conseguenze del relativo ritardo e di inibirne l'uso.”

L’art. 7 a sua volta ha previsto che: “L'accordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardato pagamento, è nullo se, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza, risulti gravemente iniquo in danno del creditore.

Si considera, in particolare, gravemente iniquo l'accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, abbia come obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, ovvero l'accordo con il quale l'appaltatore o il subfornitore principale imponga ai propri fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi. Il giudice, anche d'ufficio, dichiara la nullità dell'accordo e, avuto riguardo all'interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle altre circostanze di cui al comma 1, applica i termini legali ovvero riconduce ad equità il contenuto dell'accordo medesimo”.

Il legislatore ha quindi sostanzialmente apprestato due livelli di tutela: uno demandato alle associazioni di categoria, che porta ad inibire l’uso di condizioni generali di contratto qualora prefigurino clausole derogatorie della disciplina protettiva inique dal punto di vista commerciale; uno successivo, che consente al contrante danneggiato di chiedere l’accertamento della nullità della clausola, benchè contrattata individualmente, qualora la medesima presenti le caratteristiche di iniquità di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 231/2002.

Il sovrariportato contesto normativo deve, poi, coordinarsi con le regole di svolgimento delle gare di appalto.

Per comprendere le opzioni di cui l’amministrazione dispone in sede di gara pare utile considerare la natura dei bandi di gara stessi.

Sotto un profilo squisitamente contrattuale (che pare quello correttamente utilizzabile a parametro là dove si valuti l’applicabilità di una disciplina propria dei contratti e si dia per assunto che l’amministrazione deve operare in condizioni parificate a qualsivoglia operatore commerciale privato, come imposto dalla direttiva comunitaria citata), nei bandi sono state ravvisate talvolta delle offerte al pubblico talaltra degli inviti ad offrire.

Nella prima ipotesi il bando si presenta come una serie di condizioni contrattuali unilateralmente predefinite dall’amministrazione alla quali il concorrente, partecipando alla gara o alla selezione, sostanzialmente intende aderire. La dottrina più moderna e la giurisprudenza hanno tuttavia rilevato come sussista una differenza, ad esempio, tra un bando di concorso, per lo più strutturato come offerta al pubblico, ed un bando di gara di appalto, che su elementi essenziali del contratto (quali per tutti il prezzo) è più propriamente qualificabile invito ad offrire, poiché non predetermina una compiuta regolamentazione contrattuale complessiva, ma detta dei parametri alla luce dei quali sollecita il partecipante alla gara a formulare la sua offerta.

Pare al collegio che, in relazione alla specifica clausola relativa alle condizioni di pagamento, i bandi di gara, valutati in ottica strettamente contrattuale funzionale alla disciplina in applicazione, per la loro naturale complessità ben possano o prefigurare la specifica regolamentazione contrattuale ovvero sollecitare l’offerta del concorrente: l’amministrazione potrà limitarsi a individuare una regolamentazione dei tempi e modi di pagamento (in questo modo costruendo una sorta di condizione generale di contratto cui la controparte partecipando aderisce) ovvero potrà, proprio sullo specifico profilo dei tempi e modi di pagamento, ed esattamente come normalmente avviene per il prezzo, invitare il concorrente a formulare, sulla base di individuati e legittimi parametri, un’offerta secondo lo schema dell’invito ad offrire. Il tutto fermo restando che, ai sensi del combinato disposto dell’art. 64 e dell’allegato IX A del d.lgs. n. 163/2006, l’individuazione delle modalità di pagamento o dei parametri per determinarli nel contesto della gara costituisce un elemento che il bando deve prendere in espressa considerazione in attuazione della normativa comunitaria.

Tanto premesso la copiosa giurisprudenza citata dalle associazioni ricorrenti pare lasciare ambigua una questione di fondo, poiché non chiarisce espressamente se l’amministrazione, che sceglie di dettare in sede di gara una predefinita regola relativa ai pagamenti, debba necessariamente limitarsi a riproporre le condizioni di legge ovvero possa derogarvi, sempre in aderenza al disposto del d.lgs. n. 231/2002, preconfigurando una regolamentazione in deroga, non per questo solo illegittima.

Da una punto di vista negoziale è evidente, nel complesso della disciplina di cui al d.lgs. n. 231/2002, che non vi sia assoluta incompatibilità tra la predefinizione unilaterale di clausole contrattuali e la loro strutturazione in deroga ai tempi e modi di pagamento previsti dal d.lgs. n. 231/2002, purché in aderenza al dettato dell’art. 7 del d.lgs. medesimo. Ciò risulta proprio dell’art. 8 del decreto legislativo qui azionato che, nell’approntare una tutela collettiva avanzata avverso le condizioni generali unilateralmente predisposte (art. 1341 c.c.) in deroga ai parametri di legge, prevede che le stesse possano essere sindacate preventivamente rispetto alla conclusione del contratto, su impulso delle associazioni di categoria. Il sindacato si svolge ex lege in applicazione dei parametri dell’art. 7, cui l’art. 8 rinvia, che altro non sono che quelli che dettano i limiti e i criteri di eventuale deroga in sede di contrattazione bilaterale alla disciplina normativa, sanzionando con la nullità la violazione di tali limiti e criteri qualora iniquo. Il combinato disposto normativo ha senso solo se si ammette che anche la condizione generale di contratto può astrattamente contenere una legittima deroga ai parametri legali, salva la sua sindacabilità preventiva alla luce dell’art. 7 della legge. Le associazioni di categoria potranno, quindi, sollecitare un sindacato preventivo di equità della clausola predisposta, in aderenza ai parametri di legge. Qualora il legislatore avesse, invece, inteso stabilire che le condizioni unilaterali ex se, ed in quanto sintomatiche di una posizione di forza del contraente che le predispone, non possano mai derogare al criterio legale, coerentemente avrebbe dovuto prevedere che le associazioni di categoria, in sede di sindacato preventivo delle stesse, ne potessero chiedere semplicemente la declaratoria di nullità per il solo fatto di essere predisposte unilateralmente; non avrebbe avuto significato il richiamo ai parametri di cui all’art. 7, che introduce un sindacato di equità dall’esito non scontato, sicché anche la clausola in deroga, se conforme a legge, potrebbe risultare valida. Presupposto imprescindibile del sindacato di equità è infatti che la clausola non sia ex se vietata ma possa risultare legittima o illegittima all’esito della valutazione di merito.

Se tanto è vero non si ritiene che diverso trattamento possa essere riservato alla condizioni generali di contratto solo perché predisposte da una amministrazione in sede di gara. La direttiva ha univocamente chiarito che i soggetti pubblici, che intervengono massicciamente nelle transazioni commerciali e pesano, quindi, significativamente nelle disfunzioni del mercato connesse ai ritardi nei pagamenti, per questo specifico profilo sono equiparati agli operatori privati. Ciò comporta che, da una parte, il legislatore nazionale non può creare strutturali condizioni favorevoli di pagamento legate alla natura pubblica del debitore, il quale non gode quindi di alcun privilegio; dall’altra, tuttavia, la qualità di soggetto pubblico non può - paradossalmente - divenire una sorta di penalizzazione per il contraente pubblico che si vedrebbe sempre vietata la predisposizione di condizioni di pagamento in deroga, anche là dove ciò sarebbe legittimo da parte di un operatore privato.

Né con questo si entra in conflitto con quelle decisioni del giudice d’appello che hanno ritenuto inique nel concreto specifiche modalità derogatorie di pagamento individuate nei bandi, osservando ad esempio come le medesime, in violazione della normativa, venissero giustificate solo per ragioni soggettivamente connesse a tempi e modi di pagamento da parte dell’appaltante e non oggettivamente ancorate a ragioni di mercato; ancora scorrette sono state ritenute condizioni unilaterali derogatorie la cui accettazione veniva nel bando posta a pena di esclusione (Cons. St. sez. IV 2.2.2010 n. 469; Cons. St. sez. V 28.9.2007 n. 4996). La normativa prevede, infatti, che il contraente debole possa tutelarsi invocando un sindacato di equità sulla clausola in deroga; è evidente come la predisposizione di una deroga, nell’ambito di una gara, con vincolo di accettazione imposta a pena di esclusione (introducendo in questo modo una prerogativa di carattere autoritativo esercitabile proprio nel contesto dell’evidenza pubblica) possa risolversi in una elusione del sindacato di equità e non possa quindi trovare applicazione, come più volte stabilito dal supremo consesso amministrativo, a danno di colui che dichiari invece di voler partecipare alla gara riservandosi tuttavia di invocare il sindacato giudiziale di equità sulla clausola che ritiene iniquamente preconfigurata.

La clausola unilateralmente predisposta potrà, per contro, legittimamente derogare alla normativa qualora resti aderente al dettato normativo che la legittima, se giustificata da ragioni oggettive che contemplino la “corretta prassi commerciale”, ovvero la “natura della merce o dei servizi” la “condizione dei contraenti e i rapporti commerciali tra i medesimi”.

In pratica l’amministrazione, come il contraente privato, potrà invocare circostanze specifiche ed oggettive di mercato in base alle quali la stessa, che come attore del mercato finisce per subirne le condizioni, chiederà che i propri creditori tollerino quelle medesime dilazioni che essa ad esempio subisce dai propria debitori; per contro, come reso chiaro dal preambolo della direttiva comunitaria, non potrà integrare una peculiare condizione del debitore qualsivoglia altra condizione puramente soggettiva, inclusa la mera qualità di pubblica amministrazione, come ampiamente ribadito dalla giurisprudenza citata da parte ricorrente.

Resta infine l’opzione per l’amministrazione di sollecitare il mercato a proporre condizioni di pagamento più favorevoli; ciò ovviamente non sottrarrà l’accordo raggiunto ad un eventuale giudizio di iniquità ma non pare di per sé illegittimo, posto che la legge stessa contempla la possibilità di deroga ai tempi e modi di pagamento, circostanza che può diventare, per l’amministrazione che bandisce una gara, dato apprezzabile e sottoponibile alla competizione concorrenziale tra gli operatori economici. Questi ultimi, d’altro canto, in un corretto confronto concorrenziale, non dovrebbero, pena l’anomalia dell’offerta, che formulare offerte per i medesimi sostenibili e remunerative, quindi verosimilmente eque.

Nel senso della legittimità della scelta dell’amministrazione di sollecitare il mercato in relazione a tempi e modi di pagamento in un appalto da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa si è recentemente espressa la Corte dei conti sezioni riunite in sede di controllo delib. n. 9 del 26.3.2010. .

Anche in ipotesi di aggiudicazione secondo la schema del prezzo più basso, non pare inconcepibile una sollecitazione in tal senso, se si considera che il mero valore economico di un credito può essere complessivamente quantificato anche alla luce dei suoi tempi di scadenza e connessi interessi moratori, come normalmente avviene nelle operazioni di sconto dei crediti.

Nel concreto del presente giudizio si ritiene di poter procedere ad una riduzione ad equità della clausola, pronuncia ammissibile secondo la disciplina normativa e domandata in ricorso là dove si richiedono tutti i rimedi idonei a tutelare i ricorrenti; la soluzione pare rispettosa dell’esigenza di non censurare l’amministrazione ricorrente per il semplice fatto di avere preso una iniziativa che astrattamente potrebbe essere legittima, dall’altra della necessità, per le parti ricorrenti, di evitare squilibri contrattuali concretamente possibili a proprio danno.

Alla luce dei sovrariportati principi pare idonea a soddisfare le ragioni dei ricorrenti una parziale modifica della clausola che, nel rispetto degli intenti dichiarati dalla stessa amministrazione in giudizio, da una parte espliciti che, in mancanza di successivo accordo, troveranno applicazione i termini di legge. Si elimina così l’ambiguità della legge di gara stigmatizzata dalla società ricorrente; dall’altro si ritiene di fare salva la volontà dell’amministrazione, concretamente espressa in termini di intenti, di provocare una successiva contrattazione sui termini di pagamento e sul saggio di interessi; tale manifestazione di volontà pare ex se trasparente e non incompatibile con una compiuta regolamentazione contrattuale che, con la precisazione effettuata, si viene a definire a prescindere dal successivo accordo. D’altro canto, se pure non sembra precluso all’amministrazione porre tra gli elementi dell’offerta oggetto di competizione i tempi e i modi di pagamento, la modifica della clausola non può essere realizzata sostituendosi alle opzioni, tutte in sé valide, che solo all’amministrazione compete effettuare. Si procede perciò in modo più aderente possibile a quanto statuito dalla stazione appaltante, salvaguardando la scelta di prefigurare una “possibile successiva contrattazione” nei limiti in cui questa non crei un vuoto nella disciplina contrattuale.

Quanto ai parametri di tale futura contrattazione il bando invoca “la corretta prassi commerciale, la natura del servizio oggetto del contratto, i flussi finanziari di cassa in entrata a disposizione di questa azienda, i tempi tecnici strettamente necessari alle verifiche dell’esistenza del debito”; pare indiscutibile la legittimità dei primi due elementi, conformi alla vigente normativa. Non altrettanto si ritiene per i “flussi di cassa”, là dove non è comprensibile quale sia il dato incidente sui flussi di cassa che l’amministrazione ritiene di valorizzare per invocare una dilazione, posto che non sono invocabili né la natura pubblicistica dell’appaltante in sé né eventuali sue peculiari ed inidonee strutture organizzative; lo stesso dicasi per i “tempi tecnici necessari alla verifica dell’esistenza del debito” poiché, così formulata l’ipotesi, non è dato comprendere se detti tempi tecnici sono dettati dal regolamento contrattuale, da esigenze della controparte o esclusivamente da una struttura organizzativa interna non tesa a garantire il rispetto della tempestività dei pagamenti, come ormai espressamente imposto dal legislatore nazionale.

La modifica della clausola nei termini sopra esposti per parziale accertata iniquità della medesima di fatto soddisfa anche le ragioni di annullamento invocate da parte ricorrente Eutourist inducendo un effetto identico al parziale annullamento.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra tutte le parti del giudizio alla luce della evidente complessità e delicatezza della materia.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – sezione prima –

Accoglie in parte i ricorsi e per l’effetto accerta e dichiara l’iniquità della clausola impugnata, come modificata nell’avviso di rettifica 10/12/2009, nella parte in cui non esplicita che, in mancanza di accordo derogatorio, si applicano comunque i termini di legge e, nei sensi di cui in motivazione, nella parte in cui prevede quali parametri di possibile deroga concordata i “flussi finanziari di cassa in entrata a disposizione di questa azienda” e “i tempi tecnici strettamente necessari alle verifiche dell’esistenza del debito”.

Compensa le spese di lite tra tutte le parti del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2010 con l'intervento dei Magistrati:

Franco Bianchi, Presidente

Alfonso Graziano, Referendario

Paola Malanetto, Referendario, Estensore

 

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE

   

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/05/2010

 

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